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L’ultimo assalto alla Patagonia con l’accordo ENI-YPF
L’accordo ENI-YPF, la compagnia petrolifera statale argentina, per il progetto “Argentina LNG” segna l’ultimo assalto al cuore della Patagonia, dove Vaca Muerta, una delle più grandi riserve di gas e petrolio non convenzionali al mondo, è da anni al centro di un’inarrestabile corsa estrattiva. L’accordo, che prevede due unità galleggianti per il GNL, ciascuna da 6 milioni di tonnellate l’anno, punta a generare un mercato da 30 miliardi di dollari entro il 2030.  Il governo Milei, invece, vede nel progetto una via per la stabilità finanziaria. Tuttavia, la narrazione di Vaca Muerta come “El Dorado” energetico si scontra con una realtà di promesse tradite. Per un decennio, i governi argentini hanno promesso che l’estrazione di gas e petrolio avrebbe portato prosperità. Eppure, nel 2022, Neuquén, la capitale della provincia di Neuquén, registrava un tasso di povertà urbana del 38,4%, come denunciato dal Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura. Añelo, epicentro operativo del giacimento, è il simbolo di questa contraddizione: un villaggio trasformato dal boom petrolifero, ma con carenze strutturali e sociali evidenti. UN DECENNIO DI FRACKING E DEVASTAZIONE AMBIENTALE Vaca Muerta è una formazione geologica di scisto che si estende per 30mila chilometri quadrati tra le province di Neuquén, Río Negro, Mendoza e La Pampa e detiene la seconda più grande riserva di gas di scisto e la quarta più grande riserva di olio di scisto al mondo. Dal 2013, con l’avvio dell’estrazione non convenzionale sotto Cristina Fernández, il fracking è diventato il fulcro dell’industria estrattiva nella regione, una tecnica estremamente dannosa per l’ambiente e per le popolazioni indigene che vi abitano, oltre che possibile causa di eventi sismici. Detta anche fratturazione idraulica, questa tecnica inietta ad alta pressione una miscela di acqua, sabbia e sostanze chimiche per estrarre petrolio o gas di scisto da rocce argillose nel sottosuolo. Ogni pozzo richiede tra 100mila e 27 milioni di litri d’acqua, con gravi rischi di contaminazione di suolo e falde acquifere, in particolare per il fenomeno del “flowback” – acqua di ritorno con residui tossici e idrocarburi – che minaccia fiumi e falde, nonostante YPF assicuri una gestione “sostenibile”. Le denunce di organizzazioni come Opsur evidenziano rischi concreti, ma le autorità provinciali minimizzano, lasciando le comunità a fare i conti con un ambiente sempre più compromesso. Il fracking, inoltre, aggrava la crisi idrica in una regione già colpita da una siccità decennale. > L’accordo ENI-YPF, che punta a intensificare l’estrazione, accelera queste > pratiche, consumando enormi quantità di acqua e sottraendola alle comunità > locali. In un contesto in cui l’acqua è scarsa, l’industria estrattiva consuma > risorse vitali, mentre le comunità non hanno accesso all’acuqa potabile. L’impatto ambientale non si limita all’acqua. Dal 2015, la regione ha registrato 442 terremoti legati al fracking, mentre nubi di metano e composti organici volatili (come benzene e toluene) inquinano l’aria, come documentato nel 2023 da una delegazione di giornaliste e giornalisti nazionali e internazionali che ha visitato Vaca Muerta. Le e i giornalisti che hanno visitato la zona hanno riscontrato che i principali disturbi per cui le persone residenti si rivolgono al medico sono quelli respiratori, non solo per le sostanze nocive correlate all’estrazione. Il paradosso che vivono le comunità che vivono nella regione è emblematico: la mancanza di gas naturale per tutti. Su una delle più grandi riserve di gas al mondo, il gas non ha mai raggiunto le loro case (disponibile solo per il 35% delle case) e per scaldarsi le famiglie usano bombole di gas sociale o bruciano legna, quando va bene, mentre i più poveri ricorrono a spazzatura o vecchie pantofole per cucinare e scaldarsi. LA CRISI DI AÑELO Añelo, a 104 chilometri da Neuquén, è il volto umano della crisi di Vaca Muerta. Trasformata in capitale operativa del giacimento, la cittadina è dominata da colossi come Chevron, YPF, Shell, Total e Pluspetrol. Ma il boom economico ha portato prosperità solo a pochi. Luís Castillo, residente del quartiere La Meseta, denuncia a elDiarioAR fogne straripanti che invadono le strade, mancanza di gas naturale e acqua potabile e infrastrutture al collasso. L’impatto sociale è altrettanto grave. L’arrivo delle multinazionali ha fatto esplodere i costi della vita: un monolocale costa 150.000 pesos mensili, una stanza con bagno condiviso 80.000, cifre insostenibili per chi non lavora nell’industria estrattiva. Nel 2022, il tasso di povertà urbana di Neuquén era al 38,4%, un dato che smentisce le promesse di benessere universale. Le comunità locali, che vivono a pochi passi dalle riserve di idrocarburi, non vedono i benefici del gas che dovrebbe “salvare” l’Argentina. Al contrario, affrontano carenze croniche e un ambiente sempre più degradato. Il contrasto tra le aspettative e la realtà è evidente. Per un decennio, i governi argentini hanno venduto Vaca Muerta come la chiave per la rinascita economica. Ma chi vive accanto ai pozzi non ha accesso ai servizi più elementari. La narrazione ufficiale, che dipinge l’estrattivismo come motore di sviluppo, si scontra con la vita quotidiana di Añelo, dove la ricchezza del sottosuolo non si traduce in benessere, ma in abbandono e disuguaglianza. LA LOTTA DEI MAPUCHE All’industria estrattiva, così come allo sfruttamento ambientale in generale, si sono sempre opposte le comunità Mapuche che abitano da secoli le terre ancestrali di Vaca Muerta, le più colpite dall’industria estrattiva. Il fracking non solo devasta l’ambiente da cui dipendono per la loro sussistenza, ma compromette la loro identità culturale e spirituale, profondamente legata alla terra. Pratiche tradizionali come la transumanza, un sistema di migrazione stagionale del bestiame, sono minacciate dalla crescente domanda di acqua e terra per l’estrazione. La Malalweche Territorial Identity Organization, che rappresenta oltre 20 comunità a Mendoza, denuncia che queste attività, in un contesto di crisi idrica e climatica, mettono a rischio la loro stessa sopravvivenza. Non solo. A Mendoza, dove Vaca Muerta copre 8.700 chilometri quadrati, i Mapuche devono affrontare anche politiche che negano i loro diritti territoriali, che mirano a espropriare le comunità e a facilitare il fracking e altre attività estrattive. Nel 2023, la Camera dei Deputati di Mendoza ha messo in discussione il loro status di popolo indigeno, aprendo la strada a espropri per il fracking. > A livello nazionale, il governo Milei ha aggravato la situazione: l’abolizione > dell’Istituto Nazionale per gli Affari Indigeni, la chiusura dell’Istituto > contro la Discriminazione e la revoca della Legge 26160, che proteggeva le > comunità indigene dagli sgomberi, hanno portato a violente espulsioni. Queste > politiche riflettono una strategia chiara: sacrificare i diritti delle > comunità per favorire gli interessi estrattivi. Nonostante le avversità, i Mapuche non si arrendono. La Confederazione Mapuche di Neuquén organizza marce, blocchi stradali e azioni legali, come la causa contro la Comarsa per lo smaltimento tossico. A Mendoza, la Malalweche ha portato la lotta sul piano internazionale, rivolgendosi ai Relatori Speciali delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e sull’Ambiente e ha presentato un amicus curiae alla Corte Interamericana dei Diritti Umani, evidenziando come il fracking aggravi la crisi climatica e la scarsità d’acqua, violando i loro diritti. Le comunità chiedono il rispetto della Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che garantisce la consultazione libera, previa e informata. La loro lotta, però, si scontra con un’Argentina che sembra aver scelto il profitto a scapito della terra e delle sue genti. Vaca Muerta, venduta come la salvezza dell’Argentina, rischia di diventare un l’ennesimo modello di sviluppo che arricchisce pochi, devasta l’ambiente e calpesta i diritti umani. Immagine di copertina di Bruce Gordon per EcoFlight (Flickr) – Vista aerea di impianti di estrazione di petrolio tramite “fracking” SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo L’ultimo assalto alla Patagonia con l’accordo ENI-YPF proviene da DINAMOpress.
LibGen e la ricerca universitaria piratata sono il nuovo giacimento di dati per allenare l'intelligenza artificiale
Meta ha usato anche LibGen, un database illegale online, per allenare la sua AI, scavalcando così il diritto d'autore e il lavoro di chi fa ricerca, che finisce sfruttato due volte. Ma il copyright non è la soluzione. Notizia di queste settimane è quella relativa all’utilizzo da parte di Meta di LibGen, un archivio online di materiali, anche accademici, piratati, per aiutare ad addestrare i suoi modelli linguistici di intelligenza artificiale generativa. La notizia è un paradosso, soprattutto, in particolare se letta dalla prospettiva della ricerca accademica. Chi scrive è l’opposto di un sostenitore del copyright: è un sistema che offre pochissima autonomia e un lievissimo sostegno ai piccoli, e dona, invece, un enorme potere ai grandi gruppi editoriali, oltre a essere un ostacolo alla libera circolazione della conoscenza e della cultura. [...] La razzia spregiudicata di questi contenuti è predatoria perché omette completamente l’esistenza di chi quei contenuti li ha creati, e non perché non ne rispetta il copyright, ma perché avanza una pretesa di possesso su quei contenuti come se non esista alcun livello ulteriore. È predatoria perché si rivolge, senza alcun ragionamento culturale, alla pirateria, che è stata creata per indebolire un sistema iniquo. Così facendo Meta crea un livello di sfruttamento ulteriore su quei contenuti, facendosi gioco di una strategia di resistenza, di fatto svuotandola. Il fatto che Meta si sia rivolta a un database illegale per questa operazione dimostra due cose: che il copyright è finito e non serve assolutamente a nulla (ma questo lo sapevamo già da molto) e, allo stesso tempo, che non esiste limite alcuno all’azione delle aziende tecnologiche e alle loro dinamiche estrattive. Non vi erano limiti all’estrazione di dati per la pubblicità targetizzata, perché dovrebbero esistere per l’AI generativa? Credere che questo contribuirà a indebolire il copyright o a finalmente mandarlo in soffitta è una favola che può funzionare solo in qualche narrazione determinista dove l’AI è un agente neutro, inevitabile e irrefrenabile, cui non è possibile, né giusto, porre limiti. È una narrazione tossica e di comodo, e molto pericolosa, ed è la stessa da decenni. La risposta non può certamente essere il copyright, ma nemmeno la resa incondizionata a questo pensiero che mischia linguaggio corporate a filosofia spiccia. Non abbiamo fatto e sostenuto le battaglie per la Rete libera, il fair use, le licenze creative commons e per la memoria di Aaron Swartz per fare finta che finire sfruttati da Meta una volta in più sia una cosa di cui essere contenti. Articolo completo qui
[2025-05-08] Altri Mondi, Altre Voci @ Zazie nel metrò
ALTRI MONDI, ALTRE VOCI Zazie nel metrò - Via Ettore Giovenale 16, Roma (giovedì, 8 maggio 19:30) ALTRI MONDI, ALTRE VOCI INCHIESTE, REPORTAGE E SGUARDI CONDIVISI SU GEOGRAFIE INVISIBILI Quattro appuntamenti dedicati alla presentazione e al confronto con gruppi di giornalismo indipendente e collettivi di freelance: Fada Collective, IrpiMedia, Centro di Giornalismo Permanente e Rivista Corvialista. Con Altri Mondi, Altre Voci vogliamo dare spazio a chi ogni giorno cerca nuovi modi di raccontare il mondo, sporcandosi le mani con la realtà, attraversandola con cura, passione e senso critico. Crediamo in un’informazione che non si limiti a osservare da lontano, ma che scelga da che parte stare, assumendo uno sguardo dichiaratamente partigiano: schierato con i corpi, le lotte e le comunità che si muovono ai margini, contro le narrazioni imposte dal potere. Un giornalismo che non rincorre la neutralità come forma di equidistanza, ma che prende posizione, costruendo ponti tra chi racconta e chi resiste. Gli incontri si svolgeranno a Zazie nel Metrò alle 19.30 in queste date: • GIOVEDÌ 8 MAGGIO, CENTRO DI GIORNALISMO PERMANENTE. Repressione in Nord Africa: il filone tunisino e marocchino della lotta senza confine ai dissidenti (Matteo Garavoglia). Istituzioni totali e diritto all'informazione: come il giornalismo indipendente può raccontare i luoghi di privazione della libertà personale (Marica Fantauzzi) • GIOVEDÌ 15 MAGGIO, FADA COLLECTIVE L’attacco dell'industria petrolifera all'Iraq: una lunga inchiesta sugli impatti degli impianti estrattivi di Eni, BP e Shell nel sud iracheno, in particolare sull'accesso all'acqua e sulla salute. • GIOVEDÌ 22 MAGGIO, RIVISTA CORVIALISTA Presentazione del numero 1 della "Rivista Corvialista”: Come raccontare e dare voce alle periferie invisibili o stigmatizzate delle grandi cittá? Quali le metamorfosi del "serpentone" di Corviale? Partecipano i redattori e le redattrici della rivista, che diventa trimestrale. • GIOVEDÌ 29 MAGGIO, IRPIMEDIA DesertDumps: In Nord Africa esiste un sistema per espellere nel deserto i migranti che provengono da Paesi schiacciati tra il Sahara e l’Equatore. Lo scopo è impedire loro di raggiungere l’Europa, principio-guida del lungo processo di esternalizzazione delle frontiere condotto dall’Unione europea negli ultimi vent’anni.
Apuane sotto assedio: la montagna come campo di battaglia ecologica
Se dovessimo associare un colore all’idea di Alpi, probabilmente, sarebbe il bianco: il colore della neve che copre le cime più alte e del ghiaccio che abita le terre più alte del paese. Se però le Alpi a cui ci stiamo riferendo sono quelle Apuane, il bianco che avremmo in mente non sarebbe quello dell’acqua ghiacciata, ma quello della roccia viva, del marmo lucente che emerge dalle ferite sui loro versanti squarciati, o quello che riempie i fiumi che in esse originano, la marmettola. Questa, che rende le acque dei fiumi Lucido, Frigido, Versilia e Lunigiana di un bianco sporco e torbido, soffocando forme di vita e portando con sé l’impronta tossica di un’economia che, in nome del profitto, erode lentamente un ecosistema unico, ignorando il prezzo pagato da chi lo abita. Ci troviamo nel cuore della Toscana per raccontare una storia di sfruttamento e colonizzazione che richiama le vicende di territori lontani, accomunati dal fatto che le risorse naturali vengono svuotate fino all’osso e che a pagarne gli impatti più negativi sono i loro abitanti. ESTRATTIVISMO: IL VOLTO LOCALE DI UN PROBLEMA GLOBALE L’estrattivismo è una logica sistemica, un modello economico basato sull’esportazione di materie prime, che implica grandi impatti ambientali e sociali, spesso in territori periferici o marginalizzati. Le sue conseguenze sono tangibili e ben evidenti in tanti luoghi: dalle miniere d’oro del Perù, al litio del deserto cileno, fino alle sabbie bituminose del Canada. E anche se siamo abituati a pensare che siano logiche che si attuano lontano dal bel paese, in realtà, in Italia, l’estrattivismo assume una forma particolare, quella delle montagne sventrate, delle cave che si moltiplicano, di miliardi di euro in blocchi di marmo che viaggiano verso la Cina, lasciando sul territorio da cui sono partite polveri sottili, paesaggi devastati e comunità frammentate. Nelle Alpi Apuane, attualmente, ci sono oltre 160 cave attive, molte delle quali (circa 80) situate all’interno dei confini del Parco Naturale Regionale omonimo: un paradosso ambientale che prende il nome, non a caso, di “parco minerario”. Nel periodo che va dal 2005 al 2022, secondo il dossier realizzato da Legambiente, nelle cave attive sono state estratte oltre 68 milioni di tonnellate di materiali, delle quali soltanto il 22,8% è composto da blocchi di marmo e ben il 77,2% di detriti, utilizzati perlopiù nell’industria del carbonato di calcio. Sono addirittura una decina le cave con una resa in blocchi inferiore al 10%. Tutto ciò che non va a comporre i blocchi pregiati, diventa polvere, calce, residuo industriale, e, appunto, marmettola. MARMETTOLA: INQUINAMENTO INVISIBILE La marmettola è il risultato meno sconosciuto e più subdolo dell’estrazione del marmo: si tratta di una sospensione di polveri sottili di carbonato di calcio, mescolate all’acqua, che finiscono nei fiumi e nei suoli. Ha un colore bianco ed è impalpabile e polverosa come la farina raffinata, ma se lasciata a terra ed esposta alle piogge si trasforma in una fanghiglia melmosa, nociva per l’ambiente, perché una volta secca cementifica gli alvei dei fiumi e dei torrenti, forma uno strato impermeabile, occupando gli interstizi dell’alveo, habitat dei macroinvertebrati bentonici, che sono alla base dell’ecologia fluviale, con un effetto devastante per la biodiversità e contribuendo ad aumentare il rischio di esondazioni e alluvioni. > Si tratta di una sostanza letale per gli ecosistemi fluviali, perché le > particelle in sospensione opacizzano le acque, riducendo la penetrazione della > luce e conseguentemente l’ossigenazione delle acque, con danni evidenti alle > forme di vita che le abitano.  La polvere di marmo, inoltre, non solo è pericolosa per l’ambiente per la sua consistenza e per la sua reazione agli agenti atmosferici, ma è anche inquinante perché in essa si trovano tracce di terriccio di cava, oli e grassi usati per lubrificare gli strumenti per il taglio, tracce di idrocarburi per alimentare le macchine, metalli derivanti dagli utensili di taglio, come tagliatrici a catena e fili diamantati. La maggior parte di questa polvere, negli anni 2012-2015, risulta portata da ditte autorizzate al trattamento dei rifiuti allo stabilimento della Huntsman Tioxide di Scarlino (GR), che la utilizza nelle fasi produttive come agente neutralizzante degli effluenti acidi. Altre destinazioni sono state individuate in impianti autorizzati tramite procedura semplificata secondo quanto previsto dal DM 05/02/98, come cementifici, opere civili e stabilimenti industriali. Tuttavia, come evidenziano gli esperti dell’Agenzia Regionale per Protezione dell’Ambiente Toscana (ARPAT), il quantitativo complessivo di marmettola desunto dalle dichiarazioni MUD relative alle attività estrattive e di trasformazione dell’intero comprensorio Apuo-Versiliese lascia dimostra che un importante quantitativo di marmettola non risulti gestito. Infatti, il rifiuto marmettola – che dovrebbe essere raccolto all’origine per essere recuperato-trattato ovvero smaltito secondo quanto previsto nell’autorizzazione – spesso e anche in ingenti quantità, risulta abbandonato nell’ambito dell’area di cava dove resta esposto all’azione degli agenti atmosferici meteorici che lo disperdono nell’ambiente circostante. Infatti, le analisi condotte da Source International mostrano alterazioni nei valori di torbidità e pH in prossimità delle cave (e non solo) con effetti persistenti nel tempo. La presenza di marmettola, infatti, determina un significativo degrado qualitativo dei corpi idrici, causando danni sia alle acque superficiali che a quelle sotterranee e sorgive. L’inquinamento delle acque sotterranee e delle sorgenti, che in buona parte sono captate con scopo idropotabile, sebbene sia ancor più grave di quello delle acque superficiali, è meno percepito, perché non direttamente visibile; le sorgenti con torbidità contenuta sono potabilizzate da filtri mentre quelle con da elevata torbidità vengono temporaneamente escluse dalla rete, generando uno spreco di risorse. > In questo senso, è emblematico il caso del depuratore del Cartaro, che è stato > pagato dai cittadini per abbattere la torbidità delle acque dell’omonimo > fiume, imbiancate a causa della vicina cava privata. Quello della marmettola che viene prodotta dalle cave è il frutto di un inquinamento sistemico, normalizzato, reso invisibile da una narrazione che celebra il marmo come “oro bianco”, simbolo del lusso Made in Italy, ma si dimentica di mostrarne anche i costi ambientali. Una delle questioni cruciali è la corretta identificazione della marmettola come rifiuto o come sottoprodotto: infatti in linea di principio i materiali residui non devono essere classificati come rifiuti, potendo assumere la qualifica di sottoprodotto quando possono trovare utilizzo in altri cicli di lavorazione. Occorre tuttavia sottolineare che ad oggi, in fase di controllo, non sono mai state riscontrate le condizioni che consentirebbero di attribuire a tale rifiuto la qualifica di sottoprodotto. ‍LA SCIENZA NELLE MANI DI CHI RESISTE Di fronte a tutto questo, nel corso dei decenni sono sorte numerose risposte dal basso, che hanno preso la forma di manifestazioni, conferenze, camminate partecipate e pressioni sulla politica. Tra queste, negli ultimi mesi, c’è stato il monitoraggio partecipato promosso da Source International con il progetto “Osservatorio Cittadino delle Acque Apuane follow-up”, un’esperienza che coniuga citizen science e giustizia ambientale, sostenuto con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese. > L’idea è semplice ma potente: formare cittadine e cittadini per raccogliere > dati ambientali in modo indipendente, condividere strumenti scientifici come > sonde multiparametriche, tubi di torbidità e applicazioni per la mappatura per > costruire insieme una contro-narrazione basata su fatti, misurazioni, prove. Il progetto ha coinvolto già oltre 35 cittadini e 3 associazioni, con uscite sul campo, workshop online, momenti pubblici, e i dati raccolti sono stati caricati su una piattaforma aperta (KoboToolbox), dove sono accessibili a chiunque sia interessato, e soprattutto, dove sono a disposizione per diventare strumenti di denuncia e mobilitazione. CARTOGRAFIE PER LA GIUSTIZIA AMBIENTALE Non si tratta solo di una questione di dati, infatti il monitoraggio partecipato ha anche l’obiettivo di stimolare un ripensamento delle mappe, che da geografie neutre, diventano così narrazioni visive dei conflitti, strumenti per vedere l’invisibile, come la marmettola nei fiumi o le fratture nelle montagne. Durante gli incontri organizzati da Source international, attivisti e scienziati ambientali hanno mostrato come la cartografia digitale possa essere usata per denunciare crimini ambientali, monitorare violazioni dei diritti e proporre alternative sostenibili, in una nuova forma di ecologia politica, che unisce scienza, comunità e tecnologia. NON UN CASO ISOLATO, MA UN PARADIGMA DIFFUSO Tra i motivi per cui è importante non distogliere l’attenzione sul caso delle Alpi Apuane, oltre al sostegno per le popolazioni locali che da decenni sembrano combattere contro i mulini a vento, c’è anche il fatto che non si tratti di un’eccezione, un caso isolato, ma di un paradigma. Infatti, le dinamiche di estrazione, esclusione e inquinamento si ripetono ovunque nel pianeta ci sia una risorsa da “valorizzare”. Per fortuna, però, così come le minacce, anche le risposte si moltiplicano: dalle reti di resistenza agli osservatori popolari, fino alle iniziative di scienza dal basso.  Per questo motivo parlare di quello che accade oggi nei versanti delle Alpi Apuane significa anche parlare di clima, democrazia e diseguaglianze, e diventa un invito a guardare con occhi nuovi anche ciò che crediamo familiare e a scegliere da che parte stare. Per approfondire queste tematiche e scoprire da vicino queste esperienze di resistenza e monitoraggio partecipato, sarà possibile partecipare all’evento pubblico organizzato da Source International il 29 maggio all’Università di Pisa: sarà un’occasione per ascoltare, discutere, analizzare i risultati del monitoraggio partecipato e, soprattutto, ragionare insieme. Immagine di copertina di Manuel Micheli SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Apuane sotto assedio: la montagna come campo di battaglia ecologica proviene da DINAMOpress.
Resistenza indigena contro l’espansione estrattivista
L’espansione estrattivista ha caratterizzato per secoli l’economia e la storia dell’Ecuador, ed è stata da sempre sinonimo di ecocidio e di distruzione delle culture indigene. A questo fenomeno le popolazioni si sono opposte e hanno sviluppato molteplici forme di opposizione. Lo sfruttamento di risorse naturali da parte delle imprese petrolifere e minerarie continua a provocare un grave danno per il territorio amazzonico ecuadoriano.  Queste pratiche estrattive accelerano il depauperamento delle risorse naturali e minacciano la sopravvivenza fisica, culturale e spirituale dei popoli locali, contribuendo al perpetuarsi della colonizzazione dei loro territori. > Lo sviluppo illimitato e lo sfruttamento costante dei territori è in antitesi > al neologismo quechua Sumak Kawsay, creato negli anni 1990 da organizzazioni > indigene socialiste, che indica il principio radicato nella cosmovisione > indigena e nella conoscenza ancestrale del “vivere bene” in armonia con la > terra. Con l’aumentare della devastazione ambientale, cresce con gli anni anche l’incidenza di malattie tra gli abitanti. Nel decimo rapporto del Registro Biprovinciale dei Tumori delle province di Sucumbíos e Orellana, l’associazione UDAPT – La Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones Petroleras de Texaco (Unione delle persone colpite dalle operazioni petrolifere della Texaco) e la ong Clínica Ambiental riportano un incremento delle persone malate di cancro, di cui il 74% donne, e una maggior presenza della malattia nella popolazione che vive nelle vicinanze delle aree in cui operano diverse aziende petrolifere. L’incidenza dei tumori è allarmante e non accenna a diminuire. Visitando la zona equatoriale dell’Amazzonia, l’odore acre e il suono aggressivo e ininterrotto delle fiamme segnalano l’avvicinarsi alle zone dove si pratica il gas flaring, ossia la combustione di gas di scarto derivanti dall’estrazione del petrolio, i quali, anziché essere recuperati, vengono bruciati nell’ambiente attraverso i cosiddetti “mecheros de la muerte”. Queste alte ciminiere emanano sostanze tossiche che contribuiscono alla devastazione ambientale e rappresentano una delle principali cause dell’aumento dei casi di cancro. Solo nell’Amazzonia ecuadoriana sono attivi ben 486 “mecheros”. Dal dolore per le ferite inflitte alla terra e alle persone, nascono forme di Lotta, Resistenza e Cura collettiva. Nel 2023 la storica vittoria nel referendum contro lo sfruttamento petrolifero nel Parco Yasuní e l’estrazione mineraria nel Chocó Andino – una delle 40 riserve di biodiversità del pianeta – sembrava un nuovo punto di svolta fortemente voluto dalla popolazione ecuadoriana. > Nell’agosto del 2024 però, a distanza di un anno, la situazione era rimasta > invariata, nulla era cambiato nelle attività minerarie e nelle strategie di > tutela ambientale, e anzi il governo ecuadoriano ha chiesto una proroga di > cinque anni per l’attuazione della volontà popolare. Al centro delle azioni di lotta ci sono le comunità indigene e le popolazioni locali che con determinazione si organizzano e si formano per attivare nuove forme di resistenza locale. Proteste, scioperi, querele contro lo Stato, campagne di sensibilizzazione e denuncia per proteggere i loro territori ancestrali. Ancora oggi luoghi e persone, custodi per secoli di tradizioni, culture e conoscenze, sono minacciati da un modello di sviluppo che, in nome del progresso, saccheggia risorse naturali, inquina i fiumi, l’aria, deforesta le montagne e compromette l’equilibrio ecologico. Anche la cura emerge come elemento centrale, non limitandosi a sanare le ferite e le cicatrici fisiche, ma anche quelle spirituali, causate dal disprezzo e dall’oppressione delle culture indigene e locali. La cura come difesa del territorio e cura degli elementi e simboli che identificano e rappresentano la memoria ancestrale, culturale, spirituale e cosmogonica delle popolazioni native. Che futuro ha questo processo di guarigione collettiva? Riuscirà a proteggere il territorio ferito? Davide Costantino Il terreno sotto le torce degli impianti di gas flaring è un triste cimitero di insetti. Oltre a danneggiare la salute delle comunità locali, le fiamme hanno un impatto devastante sulla flora e fauna dell’Amazzonia Davide Costantino I gas di scarto bruciano nella ciminiera del pozzo petrolifero nella Parahuacu Oil Station, rilasciando inquinamento atmosferico ed un odore acre diffuso nell’aria che si estende per chilometri Davide Costantino Tubi neri di petrolio carbonizzato si snodano attraverso la vasta foresta amazzonica, lacerando il silenzio della natura e penetrando nel cuore pulsante di un ecosistema ancestrale Davide Costantino Il “pozzo Lago Agrio N° 1” è stato il primo pozzo petrolifero perforato in Ecuador nel 1967 dal consorzio americano Texaco-Gulf, aprendo l’era dell’oro nero nell’Amazzonia ecuadoriana e facendo della zona di Lago Agrio la capitale petrolifera dell’Ecuador Davide Costantino L’impronta umana del petrolio su un albero della foresta amazzonica. In 30 anni, la compagnia Texaco ha perforato 356 pozzi, creando bacini di ritenzione per raccogliere residui di petrolio, rifiuti tossici e acqua contaminata. L’impatto è ancora visibile Davide Costantino Donald Moncayo coordinatore generale di UDAPT – La Unión de Afectados y Afectadas por las Operaciones Petroleras de Texaco (Unione delle persone colpite dalle operazioni petrolifere della Texaco), mostra gli sversamenti di petrolio e i luoghi contaminati ancora presenti nelle province amazzoniche di Sucumbíos e Orellana Davide Costantino Sala di attesa dell’ambulatorio dell’équipe sanitaria dell’UDAPT. L’associazione lavora per contrastare gli effetti devastanti dell’inquinamento ambientale offrendo supporto terapeutico e sociale a chi è colpito da malattie gravi, in particolare oncologiche, provocate dalle attività estrattive Davide Costantino Jenny España, conduce una sessione di biomagnetismo per trattare il dolore post-operatorio di una paziente curata dal cancro. Secondo il Registro dei Tumori Biprovinciale delle province di Sucumbíos e Orellana, sono stati registrati in totale 531 casi di cancro (fino al 2023) Davide Costantino M. è seguita dall’Equipo de Salud, durante un trattamento alternativo specifico per la riduzione del dolore. Questo approccio mira a migliorare la sua qualità di vita, affiancando le terapie tradizionali Davide Costantino L’attività mineraria e l’estrazione petrolifera continuano a costituire una minaccia costante per il territorio ancestrale amazzonico. La Guardia Indigena, composta da uomini e donne, ha organizzato gruppi di osservatori e guardie per proteggersi dalle nuove e crescenti minacce Davide Costantino Un truck proveniente dalle raffinerie di petrolio che attraversa il territorio amazzonico. Oltre all’estrazione petrolifera anche la costruzione di strade è una delle principali cause di deforestazione soprattutto nell’Amazzonia ecuadoriana Davide Costantino Membri della Guardia Indigena durante un’operazione di controllo del territorio amazzonico minacciato da attività illegali. La profonda conoscenza del territorio e l’utilizzo di nuove tecnologie hanno un ruolo fondamentale per la conservazione del territorio Davide Costantino Decimo incontro di scambio di conoscenze ed esperienze per la difesa del territorio presso la Comunità Shuar di Consuelo. Guardie Indigene durante le attività spirituali e formative per la protezione e la difesa dei loro territori, per fortificare i processi del diritto all’autonomia e all’autogoverno Davide Costantino Al centro delle azioni di lotta le Guardie Indigene si organizzano e si formano per attivare nuove forme di resistenza locale per la preservazione del territorio Davide Costantino Il fuoco sacro è il cuore spirituale nelle comunità che si impegnano a promuovere le tradizioni culturali per la difesa del territorio e per riconnettere i giovani con la foresta e i suoi spiriti Davide Costantino Attiviste davanti alla Corte Costituzionale di Quito durante la manifestazione che ha celebrato il primo anniversario della vittoria al referendum del 2023. Delia chiede che il referendum venga rispettato e venga attuato il piano per la chiusura e lo smantellamento dei siti di estrazione nel Parco Yasuní e nel Chocó Andino Davide Costantino Gruppi sociali durante una marcia per chiedere il rispetto della consultazione popolare sul Chocó andino. ‘Quito Sin Minería’ è l’urlo di protesta che si alza davanti alla Corte Costituzionale Davide Costantino La polizia nel presidio di controllo per scortare e monitorare la manifestazione per la ricorrenza dopo un anno dalla consultazione popolare del 2023 in cui la maggioranza degli elettori di Quito ha rifiutato l’estrazione mineraria nella riserva della biosfera Chocó Andino Davide Costantino Marcia nel centro di Quito contro lo sfruttamento minerario nell’Amazzonia ecuadoriana. Le misure di protezione ambientale non sono state attuate, il Governo chiede una proroga di cinque anni per dismettere le perforazioni dei giacimenti Tutte le immagini sono di Davide Costantino e fanno parte di un più ampio reportage intitolato «LA NOSTRA TERRA: Resistenza indigena contro l’espansione estrattivista» SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Resistenza indigena contro l’espansione estrattivista proviene da DINAMOpress.
Il popolo MAPUCHE la terra la difende, non l’accende!
Urgente: Criminalizzazione del Popolo Mapuche in Argentina Chiamata alla solidarietà internazionale Abbiamo bisogno urgentemente dell’attenzione e dell’appoggio internazionale perché si visibilizzino le violazioni dei diritti umani che si stanno attualmente producendo contro il popolo mapuche nella patagonia, in argentina. In questi giorni enormi incendi hanno devastato migliaia di ettari di boschi e distrutto case. Le uniche persone che si sono mosse sono state quelle delle brigate comunitarie autorganizzate visto che il governo argentino non ha fatto nulla. Adesso, invece dell’appoggio queste stesse comunità si scontrano con una brutale repressione. Lo stato ha lanciato una campagna di criminalizzazione. contro il popolo mapuche e le persone volontarie del servizio di Vigilanza del Fuoco. (*) accusandol3, senza alcuna prova, di aver causato gli incendi. (*) i pompieri in Argentina sono volontari Cosa sta succedendo: video condiviso da Moira Millan, sottotitoli in italiano a cura di Patricia e Mari * Detenzioni e retate arbitrari: Molte comunità indigene, comprese persone anziane residenti, sono state oggetto di retate senza testimoni ufficiali. La polizia ha piazzato armi e materiali infiammabili nelle loro abitazioni per incolparle. ● Detenzioni in corso: Il pompiere volontario Nicolás Heredia è in carcere accusato di reati inventati con “prove” basate solo su testimoni non ufficiali. ● Persecuzione giudiziaria: Victoria Nuñez Fernandez, donna mapuche de Lof Pillán Mahuiza, è stata condannata a due mesi di custodia cautelare in carcere nonostante non esistano prove che la relazionino a reati. ● Militarizzazione e repressione: Le forze di sicurezza argentine, compresa la GEOP (Gruppo Speciale di Operazioni di Polizia antiterrorismo), si sono dispiegate per reprimere e intimidire le comunità indigene con azioni che ricordano le tattiche delle dittature militari del passato. Tutto questo fa parte di una strategia più ampia per screditare le persone delle comunità indigene che difendono la terra e per proteggere le industrie dell’estrattivismo a scapito dei diritti di chi su quelle terre vive. È ciò che abbiamo visto in Palestina, in Brasile e nel mondo intero, dove si accusano falsamente i popoli indigeni e oppressi di reati che non hanno commesso per giustificare la violenza dello Stato contro di loro. Abbiamo urgente bisogno di: ● Copertura mediatica internazionale per rendere evidente la persecuzione e le accuse fabbricate contro il popolo Mapuche. ● raccogliere adesioni internazionali di solidarietà per le irruzioni poliziesche e militari nella provincia di CHUBUT, ARGENTINA utilizzando questo modulo ● Pressione Legale e Politica da parte di organismi internazionali per esigere la liberazione delle persone detenute arbitrariamente e la fine della criminalizzazione della resistenza Indigena. Condividiamo questa informazione, diffondiamo nelle reti e spazi che attraversiamo, chiediamo giustizia. Il popolo Mapuche difende la sua terra, non la incendia. documentario sulla storia del popolo mapuche di Mari Casalucci, Valeria Patané, Ramon Gaete. Per favore, mettetevi in contatto se avete bisogno di altri particolari o se si desidera ampliare e approfondire questa urgente richiesta. Grazie per la vostra solidarietà Questo il comunicato che abbiamo tradotto e che data febbraio 2025 ma vogliamo ricordare quanto proprio la comunità del lof Paillan-Mahuiza ha fatto e proprio per rigenerare il bosco natio originario ed evitare gli incendi. Siamo assolutamente orgogliosi di aver partecipato alla campagna testimoniata da questo nostro articolo. Riferimenti e contatti: ● Moira millán ● XR Argentina ● Presentes Latam ● Sisas Medio ● Mujeres Indígenas ● Resumen Latinoamericano News about this: ● CELS – Criminalización de brigadistas y hostigamiento a comunidades indígenas ● Agencia Presentes – Violentos allanamientos a comunidades mapuche y a una radio comunitaria de Chubut ● ANRed – Actividades en todo el país contra los incendios y la criminalización de brigadistas y comunidades mapuche foto di copertina di Mari, settembre 2024 ************** RADIOSONAR.NET SI BASA SULL’AUTOFINANZIAMENTO. SE VUOI AIUTARCI A CONTINUARE A TRASMETTERE, PUOI EFFETTUARE UNA DONAZIONE ATTRAVERSO IL NOSTRO CONTOCORRENTE O PAYPAL  
Petrolio
Quanta parte di noi è petrolio?Tanta. Dai vestiti ai cibi che consumiamo. ENI, eccellenza del colonialismo italiano, con il suo fatturato da 154 miliardi di dollari nel 2023 è stata portata a processo da Greenpeace e REcommon. Nel frattempo in Sud Italia si mobilitano contro ENI, Shell e Total che devastano l'ambiente lucano e i rapporti fra gli abitanti della Val d'Agri. Intervistiamo Re:Common e un compagno di Ape Salerno sui processi a Greenpeace e Re:Common e sul Petrolgate in Basilicata e riprendiamo il materiale di Mimmo Nardozza, film maker independente che cura il progetto Maldagri con il quale abbiamo...