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La resistenza psichica in Palestina
A GAZA E IN CISGIORDANIA NON C’È UN “POST”. IL TRAUMA È CONTINUO, CUMULATIVO E IRRAPPRESENTABILE SECONDO I CANONI DISCRIMINANTI DELLA PSICHIATRIA OCCIDENTALE. PER QUESTO LO STRAORDINARIO LAVORO PORTATO AVANTI DA ALCUNE ÉQUIPES DI PRESIDI PSICOSANITARI IN CISGIORDANIA E IN CIÒ CHE RESTA DI GAZA SI ARTICOLA IN DIVERSE PRATICHE DI RESTITUZIONE DI UNA DIFFERENTE RAPPRESENTAZIONE DELLA SOCIETÀ PALESTINESE: GRUPPI DI ASCOLTO, SOCIALITÀ IN SPAZI APERTI, LABORATORI DI CUCINA E DI ABITI TRADIZIONALI, INCONTRI COLLETTIVI DI EX-PRIGIONIERI, PIANTUMAZIONE. TUTTI MOMENTI DI COMUNE. INCONTRO CON SAMAH JABR, PSICHIATRA E SCRITTRICE -------------------------------------------------------------------------------- Con i capelli grigi e le macchie bianche sulla pelle, a Lana è stata diagnosticata una vitiligine dopo un grave attacco di panico provocato da un bombardamento aereo israeliano a Gaza nel gennaio 2024. Nel suo campo di sfollamento è conosciuta come la “bambina anziana”. Lana ha due fratelli ma ora, dice la mamma, passa la maggior parte del tempo da sola. L’Unicef ha stimato che quasi tutti gli 1,2 milioni di bambini di Gaza hanno bisogno di salute mentale e supporto psicologico. A causa del blocco israeliano non può lasciare la Striscia di Gaza per curarsi. La vicenda di Lana è stata raccontata da Middle East Eye (in Italia da Assopacepalestina.org) -------------------------------------------------------------------------------- Samah Jabr, psichiatra, scrittrice, dirige l’unità di salute mentale del Ministero della sanità palestinese. Nell’aula gremita del dipartimento di economia dell’Università “Roma Tre” il 20 maggio ha presentato il suo ultimo documento sul massacro psicofisico in atto a Gaza e Cisgiordania: Il tempo del genocidio. La casa editrice “Sensibili alle foglie”, si è fatta promotrice della fenomenale pratica psicosociale della dottoressa Jabr, pubblicando i suoi precedenti lavori, Dietro i fronti (2019) e Sumud (2021) che offrono allo sguardo italiano lo spaccato atroce delle conseguenze psichiche ed esistenziali della sistematica distruzione di vite in Palestina ad opera del governo di Israele (qui una sua testimonianza in video). Il fulcro della pratica difficile della psicoterapia a Gaza, a Gerusalemme e in Cisgiordania consiste nella necessità di ritessere il mondo da parte delle donne e dei bambini, quando sopravvivono alle bombe, alle torture e alla detenzione. Avendo l’esercito israeliano preso di mira il sistema sanitario palestinese (140 specialisti detenuti, torturati e uccisi, ospedali distrutti e non più in grado di curare anche quando si interrompono i bombardamenti), e usando la fame come arma, le difficoltà maggiori consistono nel mancato riconoscimento dei traumatismi che l’occidente insiste nel rubricare come sintomi di stress post-traumatico. Ma, dice la dottoressa Samah, in Palestina non c’è un “post”. Il trauma è continuo, cumulativo e irrappresentabile secondo i canoni discriminanti della psichiatria occidentale. Riporta un’indagine di Al-Jazeera che in un giorno esplodono 42 bombe, 12 edifici distrutti, 15 morti, 6 bimbi, 35 bimbi feriti con una media di 60 morti giornalieri. Il che significa ospedali e strutture sanitarie distrutte; il che significa ancora che il sistema sanitario palestinese per molti anni non esisterà. Se da più di 100 giorni Israele blocca cibo, acqua e qualsiasi aiuto umanitario, la fame diviene un’arma di genocidio. Citando un’inchiesta della rivista scientifica “Lancet”, disponibile sul suo sito web, la dottoressa Jabr mostra che i 60.000 morti palestinesi dal 7 ottobre 2023 a oggi devono essere moltiplicati per 4,5 e il moltiplicatore riguarda gli scomparsi, i deceduti per malattia e per inedia che non sono conteggiati dalle autorità. -------------------------------------------------------------------------------- Foto Donne in nero Piacenza -------------------------------------------------------------------------------- Il tutto configura una catastrofe psichica che eccede in maniera significativa i criteri della sintomatologia del disagio comunemente rubricati nella categoria del manuale diagnostico statistico (DSM) dell’American Psychiatric Association, peraltro “affetta” da intrinseca raccomandazione alla dipendenza da psicofarmaci, oltre che da deflagrante logica coloniale, come già avevano dimostrato Franz Fanon e Michel Foucault all’epoca dell’indipendenza algerina e oltre. La pratica clinica in Palestina deve infatti fronteggiare: ragazzi e ragazze con disordini alimentari. Depressione e senso di colpa di madri per aver generato figli e figlie in un mondo assassino. Deficit di attenzione in studenti e studentesse brillanti costrette a studiare in scuole con curricula israeliani, pena la chiusura. Piccoli che portano interamente sulle loro spalle la responsabilità di intere famiglie con padri uccisi o detenuti. La politica diventa un affare personale, dice Samah Jabr, in un trauma collettivo prodotto socialmente. Perché la condizione traumatica non risale al 7 ottobre ma a 77 anni di occupazione, di furto della terra e di pulizia etnica variamente articolata. E lo stesso concetto di trauma non può essere generalizzato perché la Palestina non è un territorio con confini da stato territoriale, ma è l’insieme frammentato di almeno cinque comunità tra Gaza, Gerusalemme, West Bank. Le condizioni psicosociali delle diverse énclaves sono diverse per ognuna e quando si parla di disagio psichico bisogna anzitutto chiedersi di quale gruppo parliamo. La salute in generale dipende molto dall’aiuto delle ONG e delle organizzazioni umanitarie il cui limite però è avere un approccio biomedico alla “psicopatologia”, pur essendo essenziale il loro intervento, oggi in gran parte vietato. La violenza, integrata nella vita quotidiana palestinese, la disoccupazione di massa, la povertà, la fame e l’esperienza soffocante dei check points producono invidia, competizione e vittimizzazione che sono versioni diverse del cosiddetto stress post-traumatico secondo la psichiatria mainstream. Il colonialismo psicologico ne è l’effetto, perché laddove la clinica considera solo il trauma individuale e argomenta del possibile ritorno ad una situazione pre-trumatica con un approccio “omeostatico” e neutrale, niente di tutte queste stupidaggini ha a che vedere con la reale condizione di deprivazione dei palestinesi. La letteratura occidentale, dice la dottoressa Jabr, non ha mai riconosciuto la Nakba e parla di stress post-trauma e di depressione quando la realtà è che il 70 per cento dei palestinesi non distingue tra depressione e oppressione. Il che significa che lo stato d’animo prevalente è rabbia e umiliazione, peraltro alimentate dal regime di apartheid, con l’affievolirsi progressivo della volontà di resistenza. Esempio: donne che vedono la propria abitazione rasa al suolo, si sentono male e vengono portate ai pronto soccorso israeliani e si sentono dire che stanno fingendo i loro sintomi. Come dunque fronteggiare l’emergenza? Il lavoro della dottoressa Jabr e delle incredibili équipes dei pochi presidi psicosanitari ancora operanti in Cisgiordania e in ciò che rimane di Gaza si articola in diverse pratiche di restituzione di una diversa rappresentazione della società palestinese: gruppi di ascolto, socialità in spazi aperti, laboratori di cucina e di abiti tradizionali, incontri collettivi di ex-prigionieri, piantumazione, tutti momenti di comune, che consentono a gruppi, villaggi, amicizie, di continuare la vita di resistenza ormai secolare degli abitanti. Il Sumud, resistenza e persistenza di vita, è tutto questo, ed è bellezza, incredibile capacità istintiva di esistere, di radicarsi laddove la terra frana, è dura, è resa deserto, appropriata e violata. Eppure le immagini che Samah Jabr ci mostra annunciano una realtà incancellabile: i bimbi si incontrano, costruiscono aquiloni, li fanno volare, poi rientrano nei gruppi, occhi magnifici di vita vera. Poi, il cavallo di Jenin: Dopo il bombardamento israeliano della città i bambini hanno costruito con le macerie un cavallo che troneggia nella piazza distrutta. L’esercito israeliano ha bombardato ancora quella piazza; i bambini hanno ricostruito il cavallo. Il Sumud è terapia, letteratura, arte, terra. Solo persone che hanno vissuto questa esperienza possono capirlo, dice Samah Jabr. Anche la giustizia ha un effetto terapeutico. Mentre “qui” si parla per lo più di pace, “là” solo la negoziazione di una giustizia pacifica è lecita ed è essenziale. Il riconoscimento del dolore e la solidarietà hanno un effetto terapeutico. Perché non riguarda solo “loro”, ma anche “noi”, anzi in primo luogo riguarda chi oggi è silente, complice, vuole armarsi e continuare ad uccidere. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La resistenza psichica in Palestina proviene da Comune-info.
Unicef su Settimana europea Salute mentale
UNICEF su SETTIMANA EUROPEA SALUTE MENTALE (19 – 25 Maggio) Nei 43 Paesi dell’OCSE e dell’UE, nel 2022 circa un individuo su sei di età compresa tra i 10 e i 19 anni soffriva di un disturbo mentale diagnosticabile. Il suicidio è la quarta causa di morte più comune tra gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni. L’Italia è all’8° posto su 36 Paesi sulla salute mentale e ha il 6° tasso più basso di suicidi adolescenziali (su 42 Paesi). Diverse le iniziative promosse nel nostro Paese dall’UNICEF per la Settimana. 19 maggio 2025 – In occasione della Settimana Europea della Salute Mentale (19 – 25 maggio) l’UNICEF ricorda che nel 2022 in 43 Paesi dell’OCSE e dell’UE, circa un individuo su sei di età compresa tra i 10 e i 19 anni soffriva di un disturbo mentale diagnosticabile e lancia una serie di attivazioni sull’importanza della salute mentale per bambini, bambine e giovani. Circa la metà dei problemi di salute mentale manifestati in età adulta insorge durante l’infanzia, con ripercussioni significative sulla qualità della vita, il benessere mentale, le relazioni, l’istruzione e l’inserimento lavorativo degli adulti. Secondo la Report Card 19 dell’UNICEF Innocenti “Il benessere di bambine, bambini e adolescenti in un mondo imprevedibile”, il suicidio è la quarta causa di morte più comune tra gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni; i tassi di suicidio in questa fascia di età sono sostanzialmente più alti tra i ragazzi rispetto alle ragazze. Fra il 2018 e il 2022 I tassi di suicidio sono diminuiti in 18 paesi, sono rimasti pressoché stabili in 7 e sono aumentati in 17. L’Italia è all’8° posto su 36 Paesi sulla salute mentale e ha il 6° tasso più basso di suicidi adolescenziali (su 42 Paesi). Per quanto riguarda la soddisfazione degli adolescenti per la propria vita, nella maggior parte dei paesi, la percentuale di bambini con un’elevata soddisfazione per la vita è diminuita tra il 2018 e il 2022. Le ragazze hanno meno probabilità di avere una elevata soddisfazione per la propria vita rispetto ai ragazzi. In quattro paesi – Cile, Messico, Polonia e Turchia – il calo della percentuale di bambini con un’elevata soddisfazione per la vita è stato superiore a 10 punti percentuali. In Italia tra i 15enni, la soddisfazione della vita è leggermente calata dal 76% (2018) al 73% (2022). Sulla soddisfazione per la propria vita per i ragazzi incidono fattori quali l’incidenza della condizione socioeconomica familiare; l’esercizio fisico regolare; l’uso intenso dei social media; la frequenza delle conversazioni con i genitori; La frequenza di episodi di bullismo. In particolare per quanto riguarda l’utilizzo dei social media: gli adolescenti che utilizzano moderatamente i social tendono ad avere una soddisfazione di vita leggermente superiore rispetto agli utenti più assidui o a coloro che non li utilizzano affatto. L’impiego dei social media è stato associato a una percezione negativa della propria immagine corporea, sia per le ragazze che per i ragazzi. In tutti i Paesi, più della metà degli adolescenti ha affermato che i genitori dedicano del tempo a conversare con loro almeno una volta a settimana, dal 53% in Giappone al 91% in Irlanda. L’Italia ha il 79%. Per quanto concerne il diffuso fenomeno del bullismo, nella maggior parte dei paesi si è verificata una diminuzione dei tassi, compresa l’Italia, dove il 14,3% dei quindicenni afferma di aver subito atti frequenti di bullismo. INIZIATIVE – In occasione della Settimana, l’UNICEF Italia realizzerà 3 attivazioni principali per tenere alta l’attenzione sul tema. In particolare: una giornata sarà dedicata al tema “non è salute senza salute mentale”, con un contenuto online realizzato insieme a Guida Psicologi per ricordare che la salute mentale ha la stessa importanza di quella fisica; in un’altra giornata insieme con Il Punto Economico si ricorderà l’importanza di investire sulla salute mentale di tutti e in particolare di bambini e giovani per il benessere delle nostre società. Chiuderà la settimana un contenuto realizzato da Maria Beatrice Alonzi, scrittrice, esperta di analisi comportamentale, cultura ed etica degli spazi digitali; per ribadire quanto sia importante chiedere aiuto e quali siano i servizi disponibili, ai quali oggi è possibile ricorrere. Inoltre, l’UNICEF, in collaborazione con la Commissione Europea, organizzerà a Bruxelles il workshop “Child and Youth Well-being and Mental Health First”, in calendario il 20 e 21 maggio 2025. Protagonisti anche adolescenti e giovani, con un membro dello Youth Advisory Board che insieme ai rappresentanti UNICEF sottolineerà l’importanza di politiche inclusive che mettano al centro le voci dei bambini e dei ragazzi, in particolare di quelli provenienti da contesti vulnerabili. L’evento è parte del progetto TSI Technical Support Instrument. Infine, in occasione della settimana europea, la Comunità di Pratiche (CdP) per il supporto psicosociale di adolescenti e giovani migranti e rifugiati in Italia promossa dall’UNICEF si apre a nuovi servizi. La Comunità riunisce i servizi già attivi sul territorio al fine di rafforzare il sistema e formare i vari attori che si collocano in tutte le fasi di accoglienza. Le realtà interessate possono inviare richiesta di adesione. UNICEF
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