Genocidio palestinese: il solco fra società e governiIl forte e crescente sostegno popolare nei confronti dei palestinesi, vittime
del genocidio in atto, attraversa le città e i villaggi di gran parte del mondo.
Al contempo cresce lo sdegno ed il distanziamento internazionale verso lo Stato
d’Israele ed il suo governo razzista, assieme al boicottaggio economico,
attraverso la campagna e la piattaforma BDS, che fornisce strumenti pratici per
evitare di acquistare prodotti da ditte israeliane connesse o conniventi con lo
Stato.
Questa grande mobilitazione dal basso non trova però specchio, se non in minima
parte, nell’impegno reale da parte delle istituzioni su ciò che sta accadendo a
Gaza. Certo, ci sono stati numerosi municipi e regioni che hanno deliberato
contro il genocidio e per il riconoscimento dello stato palestinese, hanno
appeso la bandiera palestinese alle loro finestre, alcune università hanno
interrotto collaborazioni con quelle israeliane, numerosissimi paesi stanno
riconoscendo il diritto ad uno stato palestinese indipendente. Passi importanti,
ma non di sostanza, di un’importanza tuttalpiù simbolica.
Mentre si consuma il massacro genocida a Gaza, si evidenzia sempre di più il
distacco fra società e governi, soprattutto in molti paesi europei, dove alla
tracimante protesta popolare fa da contraltare l’immobilismo delle istituzioni
pubbliche.
Quel che accade attorno alla Global Sumud Flotilla è la cartina di tornasole di
questo solco che si va approfondendo. Basti pensare che si il governo italiano
ha inviato due navi militari nella zona di mare in cui sta viaggiando la flotta
civile disarmata, ma ha badato a dichiarare che non hanno fini di scorta, ma
esclusivamente di salvataggio in mare di eventuali feriti e naufraghi. I
governi europei appaiono sempre meno rappresentativi della reale posizione dei
loro popoli.
Comunque andranno poi le cose, la Flotilla ha già vinto la prima tappa: quella
dell’uscire dall’anonimato e diventare un’entità civile internazionale degna di
notizia e d’interesse politico. Sta coprendo, con la giusta audacia, lo spazio
lasciato vuoto dai partiti, dando risalto alla forza disarmata della società che
fa, agisce, senza aspettare l’inerzia degli Stati, o quella dell’ONU,
paralizzato dalle grandi potenze.
La Sardegna sembra essere in prima fila nella mobilitazione a favore dei
palestinesi e in sostegno alla Flotilla. Allo sciopero generale indetto con
questi obiettivi il 22 settembre dall’Unione Sindacale di Base si è registrata
una partecipazione senza precedenti, ma tutto il mese di settembre ha visto
cortei per Gaza affollatissimi e chiassosi, letteralmente straripanti, in
particolare a Cagliari, ma anche a Sassari e Nuoro, oltre che in numerosi comuni
medio-piccoli. I sardi si sentono vicini ai palestinesi, non solo a causa di una
nutrita presenza nell’isola di rifugiati palestinesi, ma anche per un’atavica
solidarietà verso gli altri popoli vittime del colonialismo e dell’oppressione.
Perché la Sardegna del colonialismo ha esperienza millenaria e, ancor oggi lo
subisce come territorio stracolmo di basi militari, con continue esercitazioni,
con poche industrie ma molto inquinanti, con le speculazioni turistiche e poi
eoliche e fotovoltaiche, con il peso ambientale del gasdotto Therna, senza
scordare quell’avamposto di morte fra Domusnovas e Iglesias, targato RWM. Giusto
per dare un’idea. Quale popolo potrebbe comprendere meglio quello palestinese,
dalla sponda nord del Mediterraneo, se non quello sardo?
Vedremo come lo scollamento tra società civile e istituzioni dello Stato verrà
gestita nel prossimo futuro dagli attori in causa. Ma l’urgenza su quanto accade
ogni giorno in Palestina, ma anche in Sudan e in Ucraina, pone la politica di
riarmo dell’Unione Europea in un cono d’ombra, fuori dal quale la sola luce a
risplendere è quella delle azioni dal basso.
Carlo Bellisai