Mama Africa: quando la cura sfida la violenzaQuello che segue è un estratto di una lunga conversazione con Marino Dubois,
Mama Africa: ricordi, appunti, riflessioni, informazioni tra traiettorie,
persone, violenze e i meccanismi che le governano.
È una parte dello scambio – intervista tra lei e quattro membri dell’equipaggio
di Tanimar: Marie Milliard, Roberta Derosas, Georges Kouagang e Luca Queirolo
Palmas 1.
Il testo documenta la trasformazione delle frontiere mediterranee: respingimenti
in mare, deportazioni nel deserto, rapimenti, estorsioni e la violenza crescente
negli accampamenti a nord di Sfax, in Tunisia.
L’intervista descrive inoltre le reti complesse di attori informali che operano
lungo le rotte – arnaqueurs, cokseurs, aventuriers, taxi-mafia – ed evidenzia il
ruolo politico dell’azione di Dubois: bénévole au sujet de la migration, così
come si definisce lei di fronte ai suoi oltre 100mila followers.
In una casa di campagna da qualche parte in Europa vive Marino Dubois, detta
Mama Africa. Intorno a lei, quaderni fitti di note e di numeri di telefono,
appunti, date. Sul suo profilo Facebook, che è stato chiuso e riaperto più
volte, scorrono avvisi, fotografie, richieste di aiuto.
Ad ogni momento, che sia giorno o notte, le arrivano chiamate da uomini e donne,
esseri umani in cerca di speranza, bloccati da qualche parte in Tunisia o Libia,
persone in viaggio lungo le rotte del Mediterraneo.
Riceve richieste da famiglie che cercano i propri cari, da chi non sa più a chi
rivolgersi, perché compresso dalle logiche degli Stati europei che gestiscono la
vita e la morte delle persone, riducendo a cifre la sorte di chi attraversa il
Mediterraneo.
Marino Dubois ha cominciato circa otto anni fa: l’elemento scatenate per lei è
stato l’omicidio di un giovane della Guinea che viveva in Francia. Si trattava
di Mamoudou Barry, ricercatore all’Università de Rouen-Normandie, ucciso per il
colore della sua pelle, a pugni e colpi di bottiglia.
Rouen (19 luglio 2020), manifestazione in memoria di Mamoudou Barry
Questo omicidio di stampo razzista, ennesimo frutto della violenza a cui molti
sono sottomessi, l’ha spinta ad agire. Da allora il suo lavoro si è trasformato
in un’attività costante: informare, raccogliere testimonianze, denunciare
sparizioni, restituire tracce e nomi a chi rischia di svanire senza lasciare
segno.
Abbiamo passato con lei due lunghe giornate: la conversazione tra noi è stata un
filo stretto tessuto per ore. Dal suo racconto emergono le trasformazioni delle
frontiere mediterranee: i respingimenti in mare, le deportazioni nel deserto, la
tratta di stato che continua fra Tunisia e Libia nonostante il fenomeno sia
ormai divenuto pubblico e documentato 2, i rapimenti e le estorsioni a scopo di
riscatto, la violenza crescente negli accampamenti improvvisati negli uliveti
intorno a Sfax.
Una violenza che si ripete come la corrente del Mediterraneo: silenziosa,
continua, inevitabile.
L’intervista restituisce anche la complessità delle reti che si muovono attorno
a queste rotte animate da arnaqueurs, cokseurs, taxi-mafia: figure che
gestiscono spostamenti, soldi e persone lungo i percorsi migratori.
Dubois spiega questi termini e ne restituisce la funzione all’interno di un
sistema di violenza e solidarietà che conosce dall’interno. Li ritroviamo,
insieme a molti altri, nel Contro-dizionario del confine, testo che raccoglie e
restituisce l’esperienza del viaggio a partire dai diretti protagonisti 3.
Nel corso della conversazione emergono le relazioni che Dubois ha tessuto: con
le persone in viaggio, con le famiglie che cercano i dispersi, con chi la chiama
per chiedere aiuto, coi bambini che portano il suo nome, tra progetti scolastici
nati negli insediamenti, i matrimoni e i battesimi a cui è stata invitata, nelle
reti di solidarietà che operano tra precarietà e violenza.
È un lavoro di cura il suo, in cui da pensionata continua una esperienza
lavorativa da assistente sociosanitaria, ma in un contesto in cui la vita e la
morte sono in gioco ogni giorno sul filo di una chiamata o di una notizia
condivisa.
Quello che fa, ha un valore politico: raccontare la realtà delle frontiere,
denunciare violenze e sparizioni, costruire reti di sostegno significa sfidare
le logiche statali e l’indifferenza europea, restituendo voce e visibilità a chi
è marginalizzato e invisibile.
COME HAI COMINCIATO A SOSTENERE LE PERSONE CHE CERCANO DI ATTRAVERSARE LA
FRONTIERA EUROPEA?
L’elemento scatenante è stata la storia di un ragazzo della Guinea, 7 o 8 anni
fa. Un giovane che abitava in Francia e che, intervenendo in soccorso di
un’altra persona, aggredita, è stato ucciso. Mi aveva scioccato il fatto che un
ragazzo potesse essere freddato in quel modo, a mani nude, in Francia. Era una
brava persona. Aveva una vita davanti. Ho iniziato così, da quell’ingiustizia
che mi è sembrata insopportabile.
CHI SA QUELLO CHE FAI?
Scherzi? Nessuno qui sa che sono Marino Dubois e nessuno deve saperlo. Neppure
la mia famiglia. Non capirebbero quello che faccio, e poi credo che sarebbe un
pericolo. Nessuno sa dove abito, anche se la mia foto è sulla pagina facebook.
Nessuno sa in che paese vivo. Ho già ricevuto molte minacce.
CHE LAVORO FACEVI PRIMA?
Ero assistente sociosanitaria in ospedale. Ora sono in pensione. In realtà,
continuo il mio lavoro, solo in un altro modo, curando, ascoltando. Facevo parte
del mondo medico; ho lavorato anche in un reparto di cure palliative, quindi c’è
qualcosa che continua. In ospedale ti trovi di fronte alla morte. Ma ora mi
trovo di fronte a molte morti.
Si prova una sorta di angoscia, di stress, perché ti dici: “Ma…ove sono? Quanti
sono? Quanti sopravvissuti?”. Poi ti immagini al loro posto. E quando li portano
alle prigioni e li picchiano e li mandano in Libia, sono spesso feriti. Per
esempio, nell’ultima barca erano tutti ustionati molto gravemente.
Prima del 2023, in Tunisia, le persone intercettate in mare erano lasciate
libere di tornare negli uliveti o nelle città; ma è dal 2023, dai grandi arrivi
a Lampedusa e con l’Unione Europea alle spalle, che le autorità tunisine hanno
cambiato il loro modo di agire. Ecco cosa hanno causato gli accordi. Altri
morti. Ecco tutto. L’Unione Europea vuole fermare il flusso migratorio, ma hanno
coscienza delle morti che generano queste politiche?
Potrebbero mandarli a casa loro, se volessero. Che sia l’Algeria o la Tunisia,
hanno tutti aeroporti, hanno l’OIM. Io dico: ”Ma fateli partire, non gettateli
nel deserto, non mandateli a morire”. Questo è il problema. E così dal 2023:
siamo nel 2025, sono passati due anni. Provate a immaginare il numero di morti…
RACCONTACI COSA FA OGNI GIORNO MAMA AFRICA…
Sono passati 7 anni, ma non vedo passare il tempo, non lo conto. Sono attiva
tutti i giorni, 24 ore su 24, perché le persone migranti che sono lì, gli
avventurieri, non mi lasciano dormire. Mi chiamano nel cuore della notte, a
volte mi dicono che è urgente.
Sai, mi dicono che la mattina si alzano e la prima cosa che fanno è ascoltare
Mama Marino, leggono quello che ho pubblicato su Facebook, le notizie, quali
sono i giorni adatti alla navigazione e quali no…Non hanno idea, bisogna stare
sempre ad ascoltarli e ti chiedono molte parole, molto sostegno.
Riconoscimento, speranza. Perché non ce l’hanno più, hanno perso tutto. È così.
Quindi sono obbligata a rispondere. Spesso mi dicono che non mi devo ammalare:
“Curati, curati. Non ti ammalare perché abbiamo bisogno di te, abbiamo troppo
bisogno di te. Non ti ammalare”, mi dicono.
Hanno perso tutto, non hanno nulla. Per loro sono una persona importante, anche
se per me non è così, ma per loro lo sono. Forse è egoista, ma loro hanno
bisogno che io sia lì per le loro richieste, le loro domande, i loro problemi,
per aiutare a recuperare quanto hanno perso, per i contatti…
INTORNO A TE SI È CREATO UN INCREDIBILE SISTEMA DI COMUNICAZIONE E DI SAPERE
CONDIVISO. AD ESEMPIO, QUANDO ABBIAMO PERSO UN NOSTRO AMICO IN TUNISIA, TI
ABBIAMO CHIESTO DI PUBBLICARE LA SUA FOTO. GRAZIE AI COMMENTI AL POST DI QUESTA
SCOMPARSA, ABBIAMO SCOPERTO RAPIDAMENTE CHE ERA STATO DETENUTO, POI DEPORTATO E
VENDUTO IN LIBIA E CHE ERA RIUSCITO A SCAPPARE IN ALGERIA; SIAMO ANCHE RIUSCITI
A CHIAMARLO TRAMITE UN COKSEUR…
Pubblico molti post perché ci sono tantissime persone che scompaiono. Ed è
importante pubblicare la foto di qualcuno che molto probabilmente è deceduto,
perché significa anche lasciarne una traccia.
Questo è il problema quando le persone scompaiono: perché le autorità non
recuperano tutti i corpi di chi muore in mare? Perché li seppelliscono in fosse
comuni e nessuno ne sa più nulla? Le famiglie non sono al corrente. Lo trovo
inaccettabile. Per esempio: ci sono molte donne che sono morte, diverse incinte,
ho molti video… È dura vedere quelle immagini.
A volte vengono deportati e abbandonati più volte, che sia in Libia, in Tunisia,
in Algeria. Ci sono migranti che non escono dal deserto per giorni, settimane.
Non c’è acqua, non hanno niente, non hanno più il telefono, non possono più
comunicare la loro posizione, non sanno dove si trovano. Così muoiono molte
persone.
HAI VISTO DEI CAMBIAMENTI DA QUANDO HAI INIZIATO LA TUA ATTIVITÀ?
Certo. La situazione è peggiorata, perché 7-8 anni fa non vedevo nulla di tutto
questo. Ho incominciato quando molte persone migranti erano in Algeria. Le loro
condizioni di vita erano pessime. C’erano comunque dei morti nei cantieri, dove
lavoravano e vivevano.
Poi ho conosciuto il Niger e anche qui, che dire? Le condizioni anche lì sono
disumane: le persone non hanno cibo, fanno la fila per lavarsi, non c’è acqua,
ci sono le tempeste di sabbia, dormono per terra all’aperto. Le condizioni sono
spaventose. Ma la situazione è peggiorata in tutti i sensi, sia a livello delle
autorità, ma anche fra i migranti… la violenza è aumentata.
Perché la violenza chiama violenza. A partire dal settembre 2023, dopo l’ultimo
grande ingresso a Lampedusa, è stato un disastro. Ho iniziato così ad occuparmi
anche della Tunisia e quello che facevo prima non ha più nulla a che vedere con
l’attualità. Ora ad esempio ci sono i rapimenti, un fenomeno che prima non
esisteva.
PUOI SPIEGARTI MEGLIO? CHI SONO I RAPITORI, I KIDNAPPEUR?
Ci sono sequestri di persona operati a scopo di riscatto da tunisini o altri
migranti subsahariani e spesso sono legati ad altre forme di violenza e tortura
sulle persone sequestrate. È un sistema in cui trovi migranti e non, arnaqueurs,
taxi mafia, cokseurs.
Per esempio – e mi riferisco principalmente alla Tunisia – ci sono persone che
vengono respinte nel deserto dell’Algeria e lì trovano i taxi mafia che si
offrono di riportarli a Sfax. Le persone pagano, è costoso, tra i 200 e 250
euro. Solo che, invece di essere liberate, sono portate dai kidnappeur, in case
e altri luoghi a Sfax. Le persone vengono torturate, picchiate; i sequestratori
prendono loro il telefono e chiamano le famiglie.
Un tempo a me accadeva che mi chiamassero mentre torturavano le persone;
ricevevo i video. Ci sono i rapimenti che fanno parte di un sistema di violenza
diffusa. C’è molta droga, molto alcool, che prima non c’erano. E anche questa è
colpa di Sayed, del presidente tunisino. Risale a quando ha cacciato tutti da
Sfax, quando ha proibito ai neri di avere un tetto e un lavoro.
Li hanno caricati su dei bus per poi scaricarli negli zitounes (uliveti) e lì, i
migranti hanno costruito case di fortuna, per chilometri. L’alcool, i machete,
la droga…ma le persone non sono arrivate con i machete, con l’alcol e neppure
con la droga, le caramelle, i bonbons come dicono loro. E chi li produce? Chi
glieli dà? Non è nemmeno erba, sono pasticche. Vengono da qualche parte, non le
producono certo i migranti negli uliveti. Sono i tunisini a far arrivare droga e
alcool.
HAI PARLATO DI KM, DI ZITOUNES…
Risale tutto al 2023, quando le persone sono state cacciate da Sayed e portate a
Nord di Sfax. Chi non è partito prendendo il mare, ha costruito tende e baracche
sotto gli ulivi, lungo i km di costa. Sono gli zitounes.
Sono campi di ulivi, di proprietà di persone tunisine. A volte sono grandi
campi, a volte sono più piccoli. Infiniti chilometri, come noi abbiamo città con
tanti chilometri, dal km 5, 6 fino all’80 credo, e quindi tutti i chilometri
vengono utilizzati dai migranti per accampare perché non hanno più diritto a
stare nelle case. In realtà, le autorità tunisine li hanno parcheggiati in
questi posti. E poi li hanno respinti, hanno distrutto le loro tende e loro le
hanno ricostruite e così di seguito… e questo non fa altro che creare problemi
perché, come ho detto, la violenza genera violenza.
Perché si creano bande che sono in conflitto e che vogliono prendere il
controllo dello spazio e dei traffici… e questo crea grossi problemi. La gente
ora ha paura. Hanno persino paura di parlarmi.
PIÙ SI BLOCCA IL MARE, PIÙ AUMENTA LA VIOLENZA… MA ALLO STESSO TEMPO, NEGLI
ZITOUNES CI SONO ANCHE MOLTE INIZIATIVE DI SOLIDARIETÀ…
Sì, un giorno un migrante mi ha chiamato per dirmi: «Stiamo per avviare un
progetto scolastico». Ho detto: «È fantastico, perché ci sono tanti, tantissimi
bambini, almeno li terrà occupati». All’inizio ce n’erano una decina, ma poi si
sono ritrovati con una trentina di bambini. Era davvero una buona cosa. Li
teneva occupati. E poi tutto questo è stato distrutto. C’erano anche delle
moschee, luoghi di preghiera, degli ospedali. Ci sono stati matrimoni, ci sono
stati battesimi. Le autorità distruggono, loro ricostruiscono.
E LE PERSONE TI FANNO PARTECIPARE A QUEI MOMENTI COSÌ INTIMI?
Certo! Anche quando ci sono i sacrifici, quando si preparano a salire sulla
barca per attraversare, quando sacrificano la pecora prima di un viaggio, tutto
questo, sì. Sono al corrente di tutto, mi informano. Ci sono bambini che portano
il mio nome.
CI HAI RACCONTATO CHE A VOLTE TI CHIAMAVANO DURANTE LE TORTURE…
Ora non lo fanno quasi più, perché gli aguzzini a Sfax, i sequestratori,
bloccano i telefoni. Prima, quando mi chiamavano, potevamo localizzarli. Ora non
più. Più volte, mi han chiamato e mi hanno fatto sentire come torturano.
Prendono dei sacchetti di plastica, li incendiano e poi li fanno cadere sui loro
corpi, oppure usano i coltelli o i machete. Anche le donne vengono picchiate,
torturate, violentate. È terribile. La violenza, questa violenza prima non
esisteva, perché le persone potevano andarsene. E ora sono bloccati lì a Sfax
come topi.
Ma in fondo è quello che le autorità tunisine volevano. Le persone non hanno più
niente. Ne ho tanti, tanti che mi chiamano, che mi chiedono aiuto. E io… non
posso aiutare tutti. Mi chiedono aiuto ogni giorno, ma io non riesco. Non hanno
niente da mangiare e anche questo ovviamente crea violenza.
Come puoi sopportare tutto questo? Appena riattacco, il telefono squilla di
nuovo, per un’altra cosa e sono sempre in movimento. Assistere a tutta questa
violenza è terribile.
PER CHI NON HA MAI VISTO LA TUA PAGINA, PUOI SPIEGARE COSA FAI?
Allora, innanzitutto i migranti la usano come pagina di informazione; guardano
quello che ho scritto, perché così ricevono almeno informazioni su ciò che
accade nei paesi in cui si trovano. Parlo delle aggressioni; quando c’è la
polizia che brucia gli uliveti o ci sono arresti, lo racconto. E poi le
sparizioni e le deportazioni: persone che scompaiono, le famiglie nei paesi di
origine che mi mandano foto, che mi chiedono di pubblicarle. Ne ritroviamo
molti.
Ricevo molte chiamate dalle famiglie. Pubblico anche le barche che sono
scomparse. O ancora: che una certa barca è partita da un porto. Scrivo sui
naufragi, informo sulle condizioni meteo nei luoghi di partenza di Algeria,
Tunisia e Marocco e su quelli di arrivo a Lampedusa, Pantelleria, Spagna…dico di
non partire con il cattivo tempo.
Perché ho iniziato a farlo? perché penso che potrò salvare delle vite. È il mio
obiettivo. Anche dare consigli. Per esempio: esistono problemi di sovraccarico
nelle barche, li invito a rispettare le condizioni meteo, di fare attenzione
alla costruzione della barca, al motore.
La maggior parte dei naufragi è dovuta a questo, perché le persone partono in
condizioni molto sfavorevoli, con barche che erano di legno e ora sono di ferro,
saldate male. Non ho mai navigato, eppure sono diventata un’esperta di meteo,
barche, di motori. Proprio io, che non sono mai salita su una barca.
Ci sono troppi capitani inesperti, sempre più inesperti, persone che non sono
mai state in mare e che sono messe al comando. La maggior parte dei naufragi è
dovuta al mancato rispetto delle condizioni base di sicurezza. E poi, nelle
pubblicazioni, parlo dei cokseurs. Loro sono le persone che offrono informazioni
e contatti per proseguire il viaggio, raccolgono i passeggeri per formare gli
equipaggi di autobus, taxi, barche, per costituire insomma il gruppo di viaggio.
Ci sono i lanceurs, che “lanciano” in mare le persone.
Lo fanno ovviamente tutti in cambio di soldi. Alcuni sono corretti, altri meno.
Capita che gli aventuriers diano i soldi ai cokseurs e questi poi non
organizzano il viaggio. Allora il mio compito è quello di far recuperare i soldi
alle persone. Organizzo delle conferenze, cerchiamo un terreno d’intesa, un
rimborso possibile per chi ha pagato. E se non si trova un accordo, allora io
pubblico le facce dei cokseurs sulla mia pagina dicendo che sono degli
imbroglioni, degli arnaqueurs.
Finire sulla mia pagina, fa cattiva pubblicità e toglie “clienti” a un cokseur.
Adesso, ad esempio, sto denunciando “il mauritano”, fa prezzi stracciati, fa
partire con cattivo tempo, con barche di ferro più grandi, fanno molti naufragi
le barche del “mauritano”…
COME HAI SVILUPPATO QUESTA CAPACITÀ DI RAPPRESENTANZA, DI COMUNICAZIONE? NEL TUO
LAVORO, PER ESEMPIO, FACEVI ATTIVITÀ SINDACALE? PERCHÉ CI SEMBRI QUASI UNA
SINDACALISTA DEI PASSEGGERI DA QUELLO CHE RACCONTI… NE DIFENDI I DIRITTI DI
FRONTE AD “ORGANIZZATORI” CHE NON RISPETTANO GLI ACCORDI…
Mai fatto sindacato. Difendo solo i più poveri e non l’avevo mai fatto prima.
Non lo so, è venuto così e sono state le persone a insegnarmi… Sono state loro a
darmi le carte in mano. A volte mi arrabbio. A volte ci vogliono mesi e mesi
prima di recuperare i soldi. E la gente aspetta un anno, due anni. A volte non
hanno tutti i loro soldi, ma va bene, per me se recuperano qualcosa per curarsi,
per mangiare.
HAI CORRISPONDENTI PRINCIPALI NEI DIVERSI PAESI…
Sono in contatto con molte persone e poi ci sono quelli che mi chiamano molto
spesso e con cui ho già instaurato un rapporto di fiducia e che, anche se
rimpatriate, continuano a chiamarmi dalla Guinea, Costa d’Avorio, Mali, Burkina,
per raccontarmi di loro e darmi informazioni.
LAVORI CON IL TELEFONO SU WHATSAPP, SU FACEBOOK E POI HAI DEI QUADERNI…
Questo è il quaderno dove annoto tutto. Ogni volta che ricevo una chiamata,
annoto. Per esempio, se tu guardi qui è annotata la data “1° settembre” e ho
scritto di una barca che era partita. Conservo tutti i quaderni. Ci sono i
numeri di telefono di chi mi chiama, di associazioni, di un medico, di chi può
dare una mano…Guarda qui per esempio: “Tarfaya, 8 aprile, non partito. Terza
ondata, naufragio, nessun morto, salire, salire sugli scogli, molto stanco, non
ha la forza di camminare”.
Scrivo così come viene, come mi dicono. Ah, mi ricordo di questo evento (sfoglia
il quaderno): un ragazzo che aveva perso sua sorella, una giovane donna
ritrovata poi morta in ospedale. Faccio anche delle ricerche per chi è deceduto,
ci sono le famiglie che mi chiamano. Una volta si poteva… Ora non si può più.
Avevo dei conoscenti, potevano andare all’obitorio, negli ospedali, cercare in
Tunisia.
A un certo punto, era possibile. Facevano delle giornate “porte aperte”,
diciamo; ora non è più possibile, non c’è più accesso ad ospedali e obitori. I
parenti non sapranno mai dove sono finiti i loro figli. Sono triste perché so
che li seppelliscono in fosse comuni.
Ecco un altro esempio: uno studente che aveva i documenti e che aveva perso
molti dei suoi fratelli su una barca. Voleva rimpatriare i corpi nel loro paese
ma non è stato possibile. C’erano 10 corpi. Li hanno seppelliti nelle fosse
comuni che nessuno sa dove siano, perché nessuno lo dice. Come tutte le persone
che muoiono in Tunisia negli ospedali.
Mi sono sempre chiesta: dove sono i corpi? Cosa ne fanno? Dove sono le persone?
Ci sono molte persone che sono malate. E vanno in ospedale e spariscono. È per
questo che i migranti hanno paura di andare in ospedale. Perché sanno che… non
si hanno più notizie. Non so cosa ne facciano. Ne ho sentito parlare spesso di
traffico degli organi, ma non ho prove.
Cosa ne fanno di tutte queste persone che muoiono? Perché, quando qualcuno
muore, dovrebbero segnalarlo all’ambasciata, no? Quello che non riesco a capire
è come mai i presidenti africani rimangano in silenzio di fronte al massacro dei
propri cittadini. È come se non fossero camerunesi, non fossero nigeriani, non
fossero… Non so, se un italiano morisse in Tunisia… sarebbe sulla prima pagina
di tutti i giornali.
TI ASSUMI QUESTA RESPONSABILITÀ DI PARLARE, DI RACCONTARE…
Se so che una barca è naufragata, sono obbligata a dirlo, non posso lasciar loro
credere che le persone sono vive se non lo sono. Perché la guardia costiera
tunisina sulla sua pagina web racconta solo bugie. È anche insopportabile
l’ipocrisia europea; perché se ascolti i nostri governanti che stringono accordi
con la Tunisia, la Libia, ti dicono che lo fanno per salvare vite umane.
Quindi vogliono bloccare la migrazione perché, se le persone partono, muoiono.
Eppure sanno benissimo cosa accade con i loro accordi… quello che vi ho appena
raccontato. I migranti mi fanno sempre questa domanda «Ma cosa abbiamo fatto,
cosa abbiamo fatto?».
Ed è proprio così: sai dirmi tu cosa hanno fatto?
1. Luca Queirolo Palmas, docente di sociologia delle migrazioni all’Università
di Genova, coordina il progetto di ricerca Solroutes; Georges Kouagang,
mediatore culturale e rifugiato, è parte del Laboratorio di Sociologia
Visuale dell’Università di Genova e anima il progetto The Routes Journal;
Marie Millard, filmaker e webdesigner; Roberta Derosas, social worker,
ricercatrice indipendente, attivista ↩︎
2. Si veda il rapporto State Trafficking a cura del collettivo RR(X) ↩︎
3. Equipaggio Della Tanimar, Controdizionario del confine. Parole alla deriva
nel Mediterraneo centrale, TAMU, Napoli 2026 ↩︎