SIRIA. Torna la fame nei quartieri curdi di Aleppo
Dal 13 marzo il governo siriano ha imposto l’embargo ai quartieri a maggioranza
curda della “capitale del nord” per sostituirsi all’autogestione sorta dopo il
2012 del modello-Rojava. Senza farina, i forni chiudono. Ma la gente, curdi e
arabi, reagisce
La marcia di protesta dello scorso sabato nei quartieri di Aleppo, Sheikh
Maqsoud e al-Ashrafiyyah, contro l’embargo imposto dal governo siriano (Foto:
Medya News)
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 14 aprile 2022, Nena News – Va avanti ormai dal 13 marzo scorso: oggi
compie un mese l’isolamento imposto dal governo siriano ai quartieri di Aleppo a
maggioranza curda, Sheikh Maqsoud e al-Ashrafiyyah. Per prenderli per fame: da
trenta giorni la quarta divisione dell’esercito siriano impedisce che alla
popolazione, 200mila persone, arrivino rifornimenti di cibo.
«I residenti vengono perquisiti ai posti di blocco e quelli sorpresi a portare
cibo nel quartiere arrestati – ci spiega Tiziano, volontario italiano nella
Siria del nord-est – Diversi camion e auto di generi alimentari di proprietà dei
negozianti sono stati già sequestrati e per la scarsità di farina i panifici non
sono in grado di funzionare, causando carenza di pane».
In pieno Ramadan, il mese sacro dell’Islam, nella seconda città del paese e tra
le più antiche al mondo, la “capitale del nord”, tornano i fantasmi del passato
recente. Nessun bombardamento, di quelli che negli anni brutali della guerra
civile siriana sfigurarono le sue antiche bellezze e affamarono la sua
popolazione, gli anni della battaglia, durissima, tra il governo siriano da una
parte e le milizie islamiste e qaediste dall’altra. Ma la fame è dietro
l’angolo. Sta già arrivando.
«Ci sono tre porte per entrare a Sheikh Maqsoud: Ashrafiyeh, Awared e Maghsalat
al-Jazira – continua Tiziano – Da due mesi il governo siriano le apre e le
chiude al commercio e al passaggio dei residenti a intermittenza. Così i prezzi
dei generi alimentari nei mercati stanno arrivando alle stelle, un litro d’olio
costa 15mila lire».
In un paese in cui il salario medio mensile – nel settore pubblico – non supera
le 100mila lire; dove, secondo i dati Onu, l’80% della popolazione vive in
povertà; e dove l’inflazione negli ultimi mesi ha toccato picchi del 300%, un
mix di svalutazione della moneta, sanzioni internazionali e mancata
ricostruzione delle reti economiche del paese.
Se a Sheikh Maqsoud e al-Ashrafiyyah le chiusure a singhiozzo sono ormai realtà
da tre anni, stavolta la tensione è iniziata a montare a inizio marzo, con
maggiori controlli ai checkpoint del governo: uno studente si è visto comminare
tre mesi di carcere, lo hanno trovato con 300mila lire addosso, quando Damasco
ha imposto arbitrariamente un limite di 150mila per chi entra ed esce dai due
quartieri.
Uno dei forni chiusi a Sheikh Maqsoud
Il 13 marzo, l’embargo. «Il giorno dopo, il 14, i soldati del regime hanno
provato a confiscare un camion di zucchero che entrava – aggiunge Tiziano – Il
proprietario si è rifiutato e ha forzato il blocco. I soldati hanno aperto il
fuoco, le forze di autodifesa del quartiere hanno risposto: un soldato siriano è
morto, due feriti».
Un mese dopo, con i prezzi dei beni di prima necessità triplicati, si tenta di
reagire. Ad Aleppo sabato scorso a migliaia sono scesi in strada per manifestare
contro la chiusura: hanno marciato verso i confini dei due quartieri, intonato
slogan, «No all’assedio», «No alla politica della fame».
Al checkpoint Jizre, in mano il microfono, uno dei membri del comitato di
quartiere di Sheikh Maqsoud, Ali al-Hasan, ha gridato per ricordare il ruolo che
curdi e arabi hanno avuto contro le milizie jihadiste negli anni della guerra:
«Questi due quartieri hanno protetto Aleppo e il suo castello, è stato grazie
alla resistenza della nostra gente che Aleppo non è caduta».
«Come la gente del quartiere ha resistito nel 2016 all’invasione dei mercenari
dello Stato turco – racconta Yasmin Idlibi, giovane araba – così oggi resistiamo
all’embargo. Siamo tutti siriani, abbiamo il diritto di chiedere che il governo
risponda delle sue colpe».
Al polo opposto del territorio settentrionale, a rispondere sono state le
Asaysh, le forze di autodifesa interna dell’Amministrazione autonoma della Siria
del nord-est: come pressione reciproca, hanno bloccato la strada che conduce
all’aeroporto di Qamishlo, sotto gestione russa, e assunto il controllo della
panetteria al-Ba’ath della città “capoluogo” del Rojava, quella che rifornisce
le forze militari siriane e i commercianti che lavorano nella zona controllata
dal governo.
«Ad Aleppo il problema principale è che il regime ha sequestrato tutti i carichi
di farina che vanno ai forni popolari per la distribuzione del pane – spiega
Tiziano – Cinque giorni fa le sette panetterie nel quartiere di Sheikh Maqsoud
hanno finito le scorte e hanno chiuso. L’Amministrazione autonoma fa pressione
sul regime bloccando il forno al-Ba’ath a Qamishlo e quello nel quartiere
Mahatta ad Hasakah che riforniscono le basi delle milizie, dell’esercito e i
quartieri controllati da Damasco».
Una strategia che ricalca quella del 2021: a un assedio simile su Sheikh Maqsoud
le Asaysh avevano reagito circondato le postazioni del governo siriano a
Qamishlo e Hasakah. Alla fine Damasco sospese il blocco.
A monte sta la realtà sorta negli anni della guerra civile a Sheikh Maqsoud e
al-Ashrafiyyah: con il collasso dello Stato e la realizzazione del progetto del
confederalismo democratico, teorizzato leader del Pkk Abdullah Ocalan, dal
Rojava è nata un’amministrazione autonoma condivisa da etnie e confessioni
diverse. E che non è rimasta confinata nei cantoni a maggioranza curda: ad
Aleppo i due quartieri sono gestiti con l’identico modello, dai consigli
popolari, e difesi dalle unità curde Ypg e dalle Asaysh.
Lo sottolinea Ibrahim Etalah, arabo, ai microfoni di Anha: «Arabi, curdi e
cristiani vivono in pace in questi quartieri dentro il progetto di fratellanza
dei popoli. Il fattore decisivo contro l’embargo è la resistenza comune».
Per Damasco l’autogestione e l’autodifesa interne sono un ostacolo alla
riassunzione del controllo totale sulla seconda città siriana, mai del tutto
riacquisito dal 2012. Una realtà che non è confinata ad Aleppo: numerose le
città “divise”tra forze e agende diverse.