Secondo giorno di scontri, Shengal manifesta contro l’esercito irachenoUnità militari attaccano l’autodifesa egida: la protesta dell’Amministrazione
autonoma e delle donne. Il governo di Baghdad contro la Turchia: «Basta bombe
sul nostro territorio». Pkk: «Uccisi 44 soldati»
Blindati dell’esercito iracheno accanto a una protesta ezida contro il muro tra
Shengal e Rojava – Chiara Cruciati
di Chiara Cruciati – il Manifesto
Shengal (Iraq), 20 aprile 2022, Nena News – Ieri a Shengal con la tensione, resa
plastica dalle strade chiuse e gli scontri a intermittenza, saliva anche la
sabbia. Un vento giallo e appiccicoso ha avvolto lento le proteste nei villaggi
ezidi e gli scambi di fuoco tra unità dell’esercito iracheno e quelle delle
forze di autodifesa dell’Amministrazione autonoma della regione.
Era cominciata nel pomeriggio di lunedì, sullo sfondo dei bombardamenti
turchi contro le montagne nord-irachene, quartier generale politico e militare
del Pkk, la forza ispiratrice dietro l’autonomia ezida. È proseguita nella notte
e di nuovo ieri: postazioni delle Asaysh (le forze interne ezide) e poi quelle
delle Ybs (l’autodifesa da attacchi esterni) sono state prese di mira da soldati
iracheni, quelli che di solito quei checkpoint li condividono con gli ezidi.
Negli scontri di lunedì nel villaggio di Dugure sono state ferite sette persone,
cinque Asaysh e due civili. Poi la tensione si è allargata ai villaggi di Sinone
e Khanasor, per erompere – ieri mattina – a Shengal City e a Til Ezer, sul lato
nord del monte Shengal. I proiettili hanno mandato in frantumi le vetrine dei
negozi, ma nessun ferito.
La gente non è rimasta a guardare. Se lunedì sera, dopo il tramonto, le strade
sono state calpestate dalle donne che si sono sedute a pochi passi dall’esercito
iracheno (a gridargli in faccia «Vergogna, andatevene») ieri ha preso
parola l’Amministrazione autonoma e la galassia di associazioni che la
compongono: i membri dell’Associazione dei martiri, delle municipalità, dei
comitati di base hanno presidiato i centri dei villaggi e microfono alla mano
chiesto la fine degli attacchi.
«In questi giorni il popolo ezida celebra il Carsema Nisane (il mercoledì
d’aprile, tradizionale festa di primavera, ndr) – ha recitato l’Assemblea del
popolo – La nostra gente che sperava di poter celebrare questa festa sulla
propria terra non può tornare a Shengal. Una forza affiliata al governo centrale
ha attaccato la sicurezza pubblica ezida».
Sta qua, secondo molti, la ragione della provocazione armata dei militari
iracheni. Con le uova lessate e colorate, simbolo del mondo e del cosmo nella
tradizione ezida, già pronte e i vestiti tradizionali bianchi tirati fuori
dall’armadio, ora le celebrazioni sono in dubbio.
«Vogliono impaurire chi ancora non è tornato – ci spiegano fonti
dell’Amministrazione – Di 500mila ezidi presenti a Shengal prima del massacro
dell’Isis, nell’agosto 2014, ne restano 250mila. Gli altri sono nei campi
profughi in Kurdistan iracheno o sono stati portati in Europa. Molti vorrebbero
tornare qui a celebrare la festa e sono tante le famiglie che pensano di
rientrare nelle loro case. Facendo scoppiare la tensione, i governi della
regione tentano di impedirlo, facendo passare Shengal per un posto insicuro».
I governi su cui l’Autonomia punta il dito sono quello turco, quello centrale di
Baghdad e quello del Kurdistan iracheno. Su livelli diversi: «Gli attacchi di
questi giorni – continuano – non sono stati ordinati da Baghdad ma da unità
militari stanziate a Mosul che nei fatti sono legate al Kdp, il partito del clan
Barzani, leader del Kurdistan iracheno».
Altra dimostrazione della frammentazione politica dell’Iraq, Stato fallito
gestito da forze fedeli ad attori esterni, dall’Iran alla Turchia. Su cui
guardano gli occhi di tutti: a voler vedere eclissata l’esperienza
dell’autonomia ezida è prima di tutto Ankara, da anni impegnata su diversi
fronti contro il progetto politico curdo del confederalismo democratico.
Da domenica le bombe turche continuano così a cadere sulla regione di Zap, nel
nord iracheno, dove il Pkk ha la sua base. Ma l’operazione, ribattezzata «Blocco
dell’artiglio», non va come previsto. Secondo il movimento curdo, sarebbero
almeno 44 i soldati turchi uccisi dalle Hpg, il braccio armato del Pkk, tra loro
sei alti ufficiali.
Intanto ieri, a 48 ore dall’inizio dell’operazione, si è fatta sentire Baghdad.
Il governo iracheno, come successo spesso in passato per restare però lettera
morta (anche a causa della carenza di sovranità dello Stato di cui dicevamo
sopra), ha duramente condannato Ankara per i bombardamenti in corso.
Lo ha fatto il presidente della Repubblica Salih, curdo come previsto dalla
costituzione (ma del Puk, il rivale del Kdp di Barzani alleato della Turchia):
«Le pratiche unilaterali per risolvere questioni di sicurezza sono inaccettabili
e la sovranità irachena va rispettata. Ci rifiutiamo di essere terra di
conflitti e arena per risolvere le guerre altrui».
E lo ha fatto il ministero degli Esteri che ha convocato l’ambasciatore turco a
Baghdad: «Il governo rigetta e condanna l’operazione militare turca. È una
violazione della sovranità del nostro paese e un atto che viola i trattati
internazionali». Protesta, su Twitter, anche Moqtada al-Sadr, che si sogna già
premier pur non riuscendo, da ottobre scorso, a mettere insieme una coalizione
di governo. Nena News