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DAI BOOMER ALLA GEN Z, I DATI CERTIFICANO CHE GLI UOMINI (E I GIOVANI) IN ITALIA GIUSTIFICANO LA VIOLENZA DI GENERE
Dati allarmanti sulla violenza di genere in Italia. La violenza economica è ritenuta accettabile da un 1 uomo su 3, ma lo è per quasi la metà dei maschi Millennial (cioè i nati tra il 1980 e il 1995) e per la successiva Gen Z (tra il 1996 e il 2012). La violenza fisica sulle donne è giustificabile per 2 maschi adulti su 10. Per 1 su 4 la violenza verbale e quella psicologica sono “colpa” delle donne. E ancora: la maggioranza (55%) dei Millennials ritiene legittimo il controllo sulla partner. Così la ricerca odierna di ActionAid su violenza di genere e giovani, che evidenzia poi come in casa il 74% delle donne si occupa ancora oggi da sola dei lavori domestici, contro il 40% degli uomini. Il 41% delle madri si occupa inoltre da sola dei figli, contro appena il 10% dei padri. Negli spazi pubblici il 52% delle donne ha provato paura (contro il 35% degli uomini), una quota che sale al 79% tra le più giovani. Il 38% delle persone ha avuto paura almeno una volta sui mezzi pubblici, ma tra le giovani donne della Gen Z il dato sale al 66%. E ancora: il 55% delle donne si è sentita svalutata nei contenuti culturali, il 70% tra le under 25. Anche online 4 donne su 10 (40%) dichiarano di aver avuto timore di reazioni sessiste ai propri contenuti online. L’intervista a Isabella Orfano, Women’s Rights Expert per ActionAid. Ascolta o scarica.
Abolire la guerra, costruire la pale - Convegno internazionale 6-7 Novembre
Il femminismo come prospettiva trasversale per parlare di conflitti, di giustizia internazionale, umanitarismo e resistenza civile.  Vinzia Fiorino, presidente della Società delle Storiche e professoressa di Storia contemporanea all'Università di Pisa ci racconta del perchè e di cosa si parlerà al Convegno internazionale del 6 e 7 Novembre dal titolo "Abolire la guerra, costruire la pace: genere, giustizia internazionale, pratiche nonviolente nei conflitti contemporanei". Al link il programma completo https://societadellestoriche.it/abolire-la-guerra-costruire-la-pace-genere-giustizia-internazionale-pratiche-non-violente-nei-conflitti-internazionali/
Materiali convegno | Le guerre degli uomini. Conflitti contemporanei, patriarcato, lavoro vivo – di Cristina Morini
Una recensione al libro di S-Connessioni precarie, Nella Terza guerra mondiale. Un lessico politico per il presente, DeriveApprodi, Bologna 2025, pp.116, euro 15,00 * * * * * Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il 24 febbraio 2022, la guerra ha conquistato il tempo presente, diventando cardine della politica, dell’economia e del diritto. [...]
La non neutralità della rete ai tempi del web 2.0: cos’è e da dove si origina la violenza digitale di genere
Nella nostra società multimediale e iperconnessa, l’uso dei social, come di altri strumenti e servizi digitali – le app, ad esempio, ce n’è una per ogni esigenza – è ormai diffusissimo, al punto tale che anche la persona più âgée non ricorda com’era la vita prima che fosse scandita dall’accendersi e dallo spegnersi della luce blu di uno smartphone. Già, com’era prima? Chi lo sa, indugia in nostalgici ricordi di telefoni analogici, dispositivi tradizionali che trasmettevano la voce convertendola in segnali elettrici che viaggiavano su cavi di rame, oppure di televisioni a tubo catodico. Sgomenta addirittura pensare che ci siano stati anni in cui non eravamo raggiungibili ovunque e comunque, come oggi siamo sempre, attraverso una rete dati, Wi-Fi o hotspot offerti da amici, colleghi di lavoro o perfetti ma generosi sconosciuti: ma come abbiamo fatto a vivere così? Per i nativi digitali, invece, un “prima” non c’è: tutto è nato nel ventunesimo secolo e il Novecento, sfondo fondamentale per le generazioni che li hanno preceduti, sembra essere retrodatato di cento anni, quasi a rappresentare un periodo della vita dell’uomo sulla Terra lontanissimo da oggi, come se non vi fosse continuità temporale tra secondo e terzo millennio. Insomma, per gli appartenenti alla Generazione Z è come se l’umanità fosse sempre vissuta all’interno dell’attuale sistema informativo-relazionale, complesso intreccio fra calcolo e connettività digitale che non si chiama più nemmeno Internet: va oltre Internet e si configura come un’infrastruttura in cui le tecnologie computazionali e quelle comunicazionali si sono saldate all’interno di piattaforme su scala globale, gestite da pochi attori privati, monarchi del regno del big tech. Visualizzare questa dicotomia fra archi generazionali è fondamentale per capire l’enorme impatto che la violenza digitale ha sulle persone, nell’ambito del più ampio fenomeno della violenza che un essere umano o un gruppo di esseri umani può dirigere verso i propri simili. Una persona nata prima dell’avvento della società della comunicazione, se parla di violenza digitale, è probabilmente incline a pensare che si tratti di un fatto relegato al virtuale e, pertanto, meno impattante sulla vita reale. Chi scrive lo può testimoniare. Questo modo di ragionare – che inevitabilmente proviene dal modo in cui, come esseri pensanti, ci siamo formati – tende a mitigare la rilevanza del fenomeno: esso è immateriale, pertanto intangibile. Invece, le persone nate nell’era digitale, soprattutto in quella che Tiziana Terranova, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Orientale di Napoli, definisce “il dopo Internet” (primo ventennio del Duemila), hanno sperimentato, fin dalla nascita, che sul piano degli effetti violenza digitale e violenza fattuale si intrecciano in un unicum perverso e inestricabile, tanto da essere l’una la cassa di risonanza dell’altra e viceversa. Soprattutto, hanno sperimentato e introiettato come il piano di interazione su cui si riproduce, tra gli altri fenomeni sociali, anche quello della violenza digitale, sia governato dai giganti finanziari che monopolizzano le piattaforme. Negli anni precedenti al ventennio del terzo millennio, invece, se pure si stava già mostrando l’effetto fortemente impattante della connessione globale sulla vita del pianeta e dei suoi abitanti, ci si percepiva come umanità dentro un’opportunità: la società della conoscenza sembrava aprire le porte a un modo nuovo di essere collettività. O, quantomeno, così ci veniva raccontata dalla narrazione mainstream. Oggi sappiamo bene che la violenza digitale, come tutto ciò che accade attraverso e dentro le piattaforme, può essere effettiva, concreta, tangibile tanto quanto quella che avviene sul piano fattuale: usa solo strumenti, in parte, differenti. Alla luce di queste trasformazioni sociali – che Terranova descrive molto bene nel suo libro Dopo Internet (Ed. Nero, 2022) – si può facilmente comprendere che la rete non è neutra. Quando il campo di osservazione si restringe agli aspetti più specificamente di genere, l’impatto della violenza digitale sulla vita di una persona cambia in base al suo sesso e al modo in cui il suo corpo è situato nel mondo. La studiosa di innovazione sociale Lilia Giugni, attivista femminista intersezionale, ha prodotto su questo tema un testo meraviglioso quanto necessario (La rete non ci salverà, Longanesi, 2022), in cui dimostra, dati alla mano, perché la rivoluzione digitale è sessista e che: > “Molestie e minacce online, pornografia non consensuale, informazioni > personali condivise senza permesso: in tutto il pianeta milioni di donne sono > esposte alla violenza digitale. E le cose non vanno meglio dall’altra parte > dello schermo. Ingegnere IT, influencer e altre lavoratrici del tech > discriminate o sfruttate sul lavoro. Pregiudizi sessisti dell’intelligenza > artificiale e forme discriminatorie di smart working. Catene di produzione > high-tech intrise di abusi e misoginia, e abissali disparità di genere > nell’accesso alle risorse tecnologiche.” Insomma, ecco descritto – in parole tutt’altro che povere – come è messo il nostro mondo tecnologicamente avanzato sotto il profilo dei diritti civili. Nel libro si dimostra che la violazione degli stessi si lega profondamente al modo in cui è costruito il nostro sistema economico. Come nelle altre industrie della globalizzazione, anche l’industria del tech è basata su discriminazioni sociali e sfruttamento del lavoro. A partire da fatti di cronaca, l’autrice descrive vari piani su cui avviene l’ingiustizia: * quello al di qua dello schermo, in cui la violenza digitale di genere si attua, per citare alcune modalità, attraverso l’odio manifesto sui social, la manipolazione della privacy, la sessualizzazione delle immagini del corpo femminile o la ridicolizzazione dei corpi non binari e queer, il cyberbullismo ai danni di chi è considerato fuori dai canoni estetici e comportamentali convenzionali; * quello dietro lo schermo, in cui si registra un costante sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori gig, cioè coloro che vengono ingaggiati con incarichi flessibili e precari attraverso piattaforme digitali nell’ambito del lavoro on demand o nella gestione di servizi di delivery; * quello delle discriminazioni attuate attraverso una digitalizzazione dei servizi che esclude progressivamente le persone prive di accesso all’educazione informatica, alimentando un vero e proprio fenomeno di ghettizzazione conoscitiva (si pensi alla difficoltà di utilizzo dello SPID); * quello dell’uso degli strumenti di riconoscimento facciale per creare esclusione dei volti non conformi agli stereotipi della whiteness, oppure per attuare forme di repressione e persecuzioni politiche. Questa breve riflessione non ha l’intento di metterci in stato di ansia rispetto all’uso della tecnologia né di favorire atteggiamenti luddisti, quanto di dare visibilità ai lavori di ricerca coraggiosi e validi – sopra citati – che su questo tema conducono con chiarezza a una consapevolezza: quella che, come Giugni scrive nella sua efficace introduzione al testo, > “la lotta per la giustizia di genere nel ventunesimo secolo non può che > passare per due binari paralleli: la denuncia della violenza e dello > sfruttamento attivati dalla tecnologia, e quella delle oscene disuguaglianze > nella sua distribuzione sociale e geografica.” Web 2.0 Dopo Internet – Edizioni Nero Generazione Z – Treccani Il privilegio della whiteness – il manifesto Gig economy: come funziona e vantaggi – Randstad La rete non ci salverà – Lilia Giugni (Google Books) Nives Monda
Liber* di dissentire, protestare e costruire. A Padova il meeting di Educare alle differenze
Il prossimo fine settimana a Padova si terrà l’undicesima edizione di Educare alle Differenze, il più grande meeting nazionale dal basso dedicato alla prevenzione delle violenze di genere a scuola. L’evento, per la prima volta in Veneto, si terrà come sempre in una scuola pubblica, nel Liceo Concetto Marchesi. Quest’anno la rete – composta da 15 associazioni fondatrici e da migliaia di insegnanti, attivist* e realtà territoriali – ha scelto un titolo che non è solo uno slogan, ma un posizionamento politico: “Liber* di dissentire”. > Dissentire, oggi, significa molto di più che difendere un progetto educativo: > significa opporsi a una trasformazione autoritaria che sta cambiando nel > profondo la natura della scuola pubblica italiana. Negli ultimi due anni, sotto la direzione di Giuseppe Valditara, il ministero dell’Istruzione e del Merito ha costruito una strategia coerente, fatta di riforme, linee guida, decreti e provvedimenti che insieme disegnano una traiettoria precisa: piegare la scuola al mercato, diffondere la propaganda familista, reprimere e censurare chi dissente. Le logiche del mercato entrano a gamba tesa nella scuola con le Indicazioni Nazionali e con le Linee Guida per l’Educazione civica, che vogliono trasformare le persone studenti in soggettività obbedienti e forza lavoro flessibile; la propaganda dei ProVita e Famiglia entra attraverso strumenti come il DDL sul consenso informato, che assegna a* genitor* un vero e proprio potere di veto su progetti educativi riguardanti affettività, corpi, generi, parità e prevenzione della violenza; la censura e la repressione del dissenso continua sotto gli occhi di tutte e tutti, con docenti sospes* tramite procedimenti disciplinari accelerati, studenti penalizzat* attraverso la riforma del voto in condotta, manganellat* o denunciat* per aver protestato contro le morti in alternanza scuola-lavoro o per aver manifestato solidarietà al popolo palestinese. > Il risultato è una scuola che diffonde paura: paura di sbagliare, di parlare, > di nominare i corpi e le differenze, di portare in classe temi considerati > scomodi. Una paura che produce autocensura tra insegnanti e dirigenti, > spingendo a evitare qualsiasi contenuto che possa essere contestato. Negli ultimi due anni la rete Educare alle Differenze ha raccolto decine di segnalazioni: docenti convocat* dai dirigenti per aver proposto progetti su affettività e parità, sospensioni e contestazioni disciplinari per aver parlato di diritti LGBTQIA+, persino intimidazioni durante le lezioni. Questi episodi non sono eccezioni o “casi isolati”: sono la manifestazione concreta di una volontà politica di ridurre la libertà di insegnamento, delegittimare chi educa e rendere la scuola uno spazio apparentemente neutro, ma in realtà profondamente controllato. In questo modello, l’insegnante “buon*” è quell* che tace, che non prende posizione, che non apre discussioni complesse su corpi, generi, relazioni, violenza, consenso. È in questa cornice che nasce il lungo lavoro sull’autotutela che la Rete porta avanti da più di un anno, e che ha dato vita a “L’educazione sessuo-affettiva non è un gioco. Vademecum di supporto e autotutela per insegnanti e associazioni”, che sarà presentato ufficialmente durante il meeting di Padova, disponibile in cartaceo e gratuitamente online da sabato sera su www.educarealledifferenze.it . Non è un semplice manuale tecnico, ma uno strumento politico e pratico pensato per chi lavora nella scuola e si trova ogni giorno a fare i conti con intimidazioni, sospensioni, pressioni e campagne di discredito. Nasce dall’ascolto di decine di testimonianze di insegnanti e associazioni che hanno visto i propri progetti boicottati o censurati, e dalla necessità di non lasciare nessun* sol* davanti a procedimenti disciplinari o a un clima di paura. * Il Vademecum si articola in tre livelli. Il primo è giuridico e normativo: spiega che la scuola ha già oggi un quadro legislativo che tutela la libertà di insegnamento, riconosce il valore educativo di percorsi dedicati alla prevenzione della violenza e sostiene il lavoro sulle relazioni e sul consenso. Il secondo è pratico e difensivo: offre strategie per affrontare situazioni di attacco, dai reclami dell* genitor* alle convocazioni da parte de* dirigenti, fino ai procedimenti disciplinari accelerati introdotti dal governo. Fornisce esempi di risposte, modulistica, riferimenti sindacali e legali, per dare a ogni insegnante la possibilità di reagire senza sentirsi isolat*. Il terzo livello è collettivo e politico: propone modalità per costruire reti di solidarietà tra docenti, associazioni e territori, perché nessuna difesa individuale può essere sufficiente se non viene accompagnata da una mobilitazione collettiva. > Questo Vademecum non serve solo a proteggersi, ma a rivendicare la legittimità > di parlare di affettività, corpi, parità e prevenzione della violenza a > scuola. È uno strumento per dire che questi percorsi non sono un’aggiunta opzionale, ma parte integrante della missione educativa pubblica. Diffonderlo significa non solo dare strumenti di difesa, ma anche rilanciare una visione politica della scuola, in cui la libertà di insegnamento sia la condizione per una comunità educante viva e plurale. Il titolo scelto per quest’edizione, “Liber* di dissentire”, parla proprio a questa condizione: a chi, ogni giorno, si trova a fare i conti con una scuola che rischia di diventare un luogo di controllo e sorveglianza, e che può essere liberata solo attraverso la pratica collettiva della libertà. Dissentire, oggi, significa non solo rifiutare la paura, ma creare alternative concrete: costruire dal basso progetti educativi che parlino di consenso, corpi, desideri, parità, anche quando le istituzioni cercano di censurarli; e collegare la scuola alle lotte sociali e internazionali, come stanno facendo in questi mesi l* studenti che manifestano per la giustizia climatica e per la Palestina, contro ogni forma di apartheid e colonialismo. di Educare alle Differenze Il meeting di Padova non sarà soltanto un momento di denuncia, ma soprattutto uno spazio di organizzazione e di resistenza: due giorni di laboratori, plenarie, autoformazione e scambio di pratiche, per dimostrare che esiste una comunità educante viva e diffusa in tutto il Paese. Proprio da qui lanceremo anche la mappatura nazionale di Educare alle Differenze, uno strumento che servirà a rendere visibili le tante esperienze di educazione sessuo-affettiva e prevenzione delle violenze che già esistono in Italia, spesso in forma frammentata o invisibile. Non partiamo da zero: ogni giorno, in molte scuole, insegnanti, associazioni e territori portano avanti un lavoro prezioso, che merita di essere riconosciuto, collegato, raccontato. Da Padova parte un messaggio chiaro: l’educazione sessuo-affettiva non si cancella, la libertà di insegnamento non si svende, il futuro della scuola si costruisce insieme, dal basso. L’immagine di copertina è di Giuditta Pellegrini SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Liber* di dissentire, protestare e costruire. A Padova il meeting di Educare alle differenze proviene da DINAMOpress.
Una piattaforma per la storia dei femminismi a portata di click http://storieinmovimento.org/2025/08/14/una-piattaforma-per-la-storia-dei-femminismi-a-portata-di-click/?pk_campaign=feed&pk_kwd=una-piattaforma-per-la-storia-dei-femminismi-a-portata-di-click #Archiviostoricodelmovimentofemminista(Torino) #movimentofemminista #archividigitali #femminismi #genere #Blog
Una piattaforma per la storia dei femminismi a portata di click
Negli ultimi anni, l'esigenza di archiviazione della memoria storica dei movimenti appare sempre più pressante e ciò riguarda anche i movimenti femministi. Oltre alle iniziative spontanee che caratterizzano alcune di queste esperienze, c'è chi sta fornendo degli utili strumenti per la fruizione del patrimonio documentale in questo ambito. Abbiamo chiesto a Elena Petricola di parlarci della piattaforma digitale dedicata ad archivi e biblioteche di donne e femminismi, resa disponibile dall'Archivio delle donne in Piemonte. L'articolo Una piattaforma per la storia dei femminismi a portata di click sembra essere il primo su StorieInMovimento.org.
“Linea Lesbica e Antiviolenza”: un sostegno alla comunitá LBT*
Dal 2017 la Linea Lesbica e Antiviolenza accoglie lesbiche, donne bisessuali, persone trans e non binarie [acronimo LBT*, ndr] che vivono situazioni di violenza nella loro relazione. In occasione del mese del Pride hanno lanciato una campagna comunicativa e di sensibilizzazione al loro lavoro, per superare pregiudizi e stereotipi vissuti ancora oggi anche all’interno dello spazio queer. Nella campagna collaborano con la fumettista Frad. Nel loro comunicato di lancio si legge: «Tra le persone accolte dalla Linea Lesbica ci sono donne che sono state cacciate di casa da genitori lesbofobici, ritrovandosi in una condizione di dipendenza economica dalla compagna e quindi esposte a minacce e violenza. Ci sono persone trans* per cui la minaccia di outing sul posto di lavoro o in altri contesti costituisce uno strumento di controllo e ricatto nelle mani della compagna. E ci sono persone che hanno introiettato la lesbobitransfobia al punto di riprodurla con giudizi e insulti alla propria partner». Abbiamo intervistato le promotrici della campagna per comprendere di più del servizio e del contesto in cui si muove. Come è nata l’idea di dare vita a un servizio specifico di ascolto per la violenza di genere nelle relazioni lesbiche? Come è cambiato il vostro servizio di ascolto da quando lo avete iniziato a oggi? L’idea di creare un punto di ascolto per la violenza di genere nelle relazioni lesbiche nasce all’interno dell’Associazione Lesbiche Bologna, in seguito all’osservazione di crescenti fenomeni di violenza tra persone LBT* in relazioni intime. Con la collaborazione di Casa Donne per non subire Violenza di Bologna abbiamo poi lanciato nel 2017 due linee telefoniche di supporto (poi unificate in una unica linea) e pian piano negli anni abbiamo visto crescere sia le chiamate che i percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Quali sono, sulla base della vostra esperienza, le motivazioni e le modalità con cui si manifesta la violenza di genere in una relazione lesbica? Le motivazioni sono sicuramente legate a una condizione di discriminazione quotidiana che le persone LBT* vivono nella società, unita a un’interiorizzazione di dinamiche violente che l’eterocispatriarcato ha insegnato un po’ a tutte le persone, insieme a una mancanza di modelli relazionali che non siano quelli dettati dalla norma eterocispatriarcale. Quindi l’interiorizzazione della cultura del possesso, della gelosia, del controllo nelle relazioni viene replicata anche nelle relazioni lesbiche, con alcune peculiarità (come la minaccia di outing o il giudizio di quanto si è lesbiche, bisessuali o trans) proprie delle relazioni lesbiche. Le modalità in cui può manifestarsi sono simili a quelle della violenza di genere nelle relazioni etero, quindi violenza fisica, sessuale, psicologica, economica, digitale, stalking ma in molti casi nelle relazioni lesbiche queste modalità assumono anche delle caratteristiche specifiche che bisogna saper riconoscere. Gli orari di operatività della linea – Il disegno è di Frad Questa violenza a volte appare stigmatizzata anche all’interno della comunità queer. Credi che si siano fatti passi avanti nel riconoscimento e nella gestione del problema? Sicuramente dal 2017 l’attenzione verso il fenomeno è aumentata, sia da parte di chi lo vive, sia da parte di molti centri antiviolenza che hanno deciso di formarsi sulle caratteristiche specifiche, o in alcuni casi hanno scelto di aprire uno sportello dedicato, come a Cagliari con Lìberas o a Padova con Lesvìa. Siamo però ancora lontane dall’accettazione e dall’emersione del fenomeno come strutturale, ci sono ancora pregiudizi e false convinzioni anche all’interno della comunità LGBTQIA+. Come è nata la collaborazione con Frad e che obiettivo vi ponete per questa campagna? Frad è parte della comunità LGBTQIA+, è unə attivistə che stimiamo molto e che ha già dato fiducia alla Linea Lesbica e Antiviolenza accettando di collaborare nella comunicazione e promozione dal 2022. Con Frad abbiamo lavorato su come rappresentare le varie soggettività LBT* che popolano la nostra comunità, evitando immagini stereotipate e dando una visione il più ampia possibile. Poi essendo anche unə fumettistə ha ispirato l’agenzia Comunicattive che ha ideato la campagna a utilizzare un mezzo immediato e molto apprezzato come il fumetto. L’obiettivo della campagna è sciogliere un po’ dei pregiudizi e dei falsi miti sulla violenza nelle relazioni lesbiche che ostacolano l’emersione e il riconoscimento del fenomeno della violenza stessa. Ricreare le chiacchiere tra le amicizie LBT*, le situazioni di attivismo dove a volte si pensa di essere immuni dalla violenza, ci permette di avvicinarci alle persone che possono riconoscersi in quelle situazioni e capire meglio cosa è violenza. Cosa vorresti dire a una persona in relazione lesbica, che si interroga se rivolgersi o no al vostro servizio? I dubbi sono importanti, interrogarsi è importante, e non implica per forza fare un percorso. Puoi provare a chiamarci, anche in forma anonima, scriverci su Whatsapp o scriverci una mail, troverai una persona accogliente, che ti ascolterà senza giudizio. Si può avere supporto telefonico gratuito per persone LBT* che vivono violenza nelle relazioni chiamando il 3913359732 (attivo il lunedì dalle 18 alle 22 e il mercoledì dalle 18 alle 20) o scrivendo a linealesbicaantiviolenza@gmail.com Immagine di copertina di Lisa Capasso, archivio Dinamopress SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo “Linea Lesbica e Antiviolenza”: un sostegno alla comunitá LBT* proviene da DINAMOpress.
“Educare in Genere?” – A Roma si parla di parità di genere, stereotipi e futuro dell’educazione
Un dialogo partecipato e necessario ha preso vita nella sede dell’associazione Energia per i diritti umani, all’interno della Biblioteca della Nonviolenza durante l’incontro dello scorso 27 Maggio “Educare in Genere?”, un appuntamento dedicato alla parità di genere e alla rappresentazione nei media. Non una semplice tavola rotonda, ma un vero e proprio spazio di riflessione collettiva, tra parole, letture e storie di cambiamento. A prendere la parola, attivistə e rappresentanti di realtà del quartiere San Lorenzo e del territorio romano, quali Chiara Franceschini (Casa delle Donne Lucha y Siesta), Anahi Mariotti (GenerAct), Andrea Acocella (Bar.lina), e Roberto Benatti (Cerchio maschile contro la violenza di genere). Alessia Grisi (Servizio Civile Universale) e Francesca De Vito (Energia per i diritti umani) hanno dato impulso a questa iniziativa per favorire connessioni e sviluppo di pensiero critico, a partire dalla lettura di tre testi simbolo della Biblioteca della Nonviolenza: Educazione sessista di Irene Biemmi, Principesse di Giusi Marchetta, e Pink is the new Black di Emanuela Abbatecola e Luisa Stagi. È proprio da quest’ultimo libro che arriva lo spunto iniziale per aprire l’incontro: “Donne e uomini non si nasce ma si diventa, attraverso un processo di socializzazione accuratamente e sapientemente differenziato per i generi, secondo un modello rigidamente binario…” Su queste parole si innesta la prima domanda, lanciata da Alessia: “Come cercate di scardinare questi modelli nei contesti educativi in cui operate? E quali ostacoli incontrate?” Si susseguono condivisioni di esperienze personali e collettive. Chiara Franceschini evidenzia la necessità di un’educazione sessuoaffettiva accessibile fin dalle prime fasi scolastiche. Anahi Mariotti sottolinea il valore della presenza di insegnanti non binariə e trans affinchè la loro visibilità contribuisca a normalizzare una pluralità di esperienze corporee ed identitarie. Andrea Acocella racconta di come, ancora oggi, troppo spesso l’educazione alla pluralità di genere sia lasciata alla buona volontà dellə singolə insegnante. Una responsabilità enorme, ma non sufficiente. Roberto chiude questo primo scambio richiamando l’importanza di un continuo lavoro di crescita personale e di una revisione critico-trasformativa del proprio agire. Poi, il confronto è proseguito con una domanda ispirata al libro Principesse: “Quali personaggi, nella vostra infanzia, vi hanno ispirato?” La domanda accende la sala. Si apre una conversazione intensa sul ruolo dei media nell’infanzia. Cartoni animati, eroi, eroine, libri e film diventano oggetto di un’analisi appassionata: strumenti che possono liberare oppure rinchiudere dentro stereotipi invisibili ma potenti. Infine, lo sguardo si sposta al futuro: “Che tipo di educazione vorreste tra dieci anni nelle scuole italiane?” Le voci convergono su una visione comune: una scuola più inclusiva, in dialogo con il mondo reale, capace di valorizzare ogni identità e incoraggiare la libertà di essere. Una scuola che non tema il cambiamento, ma lo accolga come parte integrante del processo educativo. Perché solo così può diventare uno spazio di libertà e crescita autentica. “Educare in Genere?” è stato un esempio tangibile di come la lettura, la cultura e il dialogo possano tradursi in strumenti concreti per il cambiamento sociale. Attraverso voci diverse ma che vanno nella stessa direzione, si è ribadita la centralità di progetti educativi capaci di superare stereotipi di genere e contrastare ogni forma di violenza, promuovendo una cultura del rispetto, dell’ascolto e della pluralità. Le testimonianze raccolte – tra esperienze dirette e pratiche educative – hanno messo in luce quanto sia urgente e necessario agire nei diversi contesti: dalla scuola alla famiglia, dai media alle organizzazioni del territorio. L’educazione alla parità e alla pluralità di genere è una pratica quotidiana che si costruisce insieme, con competenze, responsabilità e coraggio. Questo evento rilancia l’urgenza di moltiplicare iniziative simili e integrarle stabilmente in un’educazione davvero inclusiva, in grado di formare cittadinə consapevoli e liberə da stereotipi. Redazione Roma