La ladra di parole: la Nigeria di Adunni raccontata da Abi DaréLA LADRA DI PAROLE: LA NIGERIA DI ADUNNI RACCONTATA DA ABI DARÉ
La ladra di parole ✏ Abi Daré
7 Maggio 2022/di Veronica Sgobio
CATEGORIE: Libreria / Narrativa / Romanzo
Tempo di lettura: 7 minuti
*
La ladra di parole, Abi Daré, Editrice Nord, 2021, traduzione dall’inglese di
Elisa Banfi.
La ladra di parole è il romanzo scritto da Abi Daré che narra la vicenda di una
giovane ragazza, Adunni, nella sua Nigeria, tra il 2014 e il 2015. Secondo me,
però, questo libro è molto di più e proverò a raccontare tutta la complessità
che mi ha trasmesso, sperando di riuscire a rendergli giustizia.
Innanzitutto, cosa vuol dire essere una “ladra di parole”? È stata questa la
domanda che mi sono fatta quando è stata annunciata l’uscita in Italia
del romanzo. Ero incuriosita dal fatto che una persona potesse essere definita
in questo modo. Anche perché, dal mio punto di vista, la protagonista, nonché
narratrice è tante cose, meno che una ladra di parole. E, onestamente, è stato
proprio quando ho realizzato che tipo di personaggio fosse quello di Adunni che
la lettura mi ha assorbita ancora di più.
«”ASPETTA, ADUNNI! CHE COLORE DI ROSSETTO PORTO? ROSSO COME SPOSINA O ROSA COME
RAGA…”
“PORTA UN ROSSETTO NERO”, MI DICO DA SOLA, APPENA CHE SVOLTO DIETRO L’ANGOLO.
“NERO COME UN FUNERALE!”»
La ladra di parole è il romanzo d’esordio di Abi Daré, scrittrice nigeriana
cresciuta a Lagos, e che da diciotto anni vive in Inghilterra. Il titolo scelto
per la traduzione italiana è certamente d’impatto e, come detto poco sopra, è
stata una delle prime cose che mi ha attirata verso quest’opera. L’originale,
però, è decisamente più affine con la narrazione e con tutto ciò che accade tra
le pagine di questo libro. In inglese, infatti, questo romanzo si intitola The
girl with the louding voice, letteralmente “La ragazza dalla voce forte”. Un
titolo che riesce a dire molto della sua protagonista, in poche parole, e cui si
ritrovano anche riferimenti nel corso della lettura.
In effetti, la voce narrante di questo romanzo è quella di Adunni, una ragazzina
di appena quattordici anni di un piccolo villaggio in Nigeria, Ikati, che, sin
da subito, appare come una vera e propria eroina. Tanto che, molte volte,
nell’andare avanti con la vicenda narrata, mi sono dimenticata la reale età
della sua protagonista. Quattordici anni sono pochi per sposarsi. Come lo sono
anche per rimanere incinta e dare eredi al proprio marito, ovviamente di molto
più anziano. E altrettanto per riuscire ad affrancarsi da due famiglie, quella
di origine e quella acquisita per matrimonio, ma è quello che, di fatto, fa
Adunni.
«VADO VIA DA IKATI.
È QUELLO CHE VOLEVO DA TUTTA LA MIA VITA, ANDARE VIA DA QUESTO POSTO E VEDERE
COM’È IL MONDO PIÙ FUORI, MA NON COSÌ. NON SEGUITA DA UN CATTIVO NOME, NON COME
UNA PERSONA CHE TUTTO IL VILLAGGIO LA CERCA PERCHÉ CREDE CHE HO AMMAZZATO UNA
DONNA.»
Quello che colpisce nel romanzo di Abi Daré, è ovviamente la tempra e la
decisione del personaggio di Adunni nel perseguire i suoi obiettivi. Un qualcosa
che, si scoprirà a poche pagine dall’inizio della lettura, le deriva dagli
insegnamenti della madre, morta qualche tempo prima dell’inizio delle vicende
narrate in questo romanzo, e che potremmo definire in qualche modo causa
scatenante.
Scopriamo, infatti, che è stata proprio lei ad averle raccomandato di studiare,
di crescere anche dal punto di vista culturale per non rimanere intrappolata in
una vita decisa per lei, ma non da lei. Per me, è questo ciò che dimostra in
quale senso la sua voce sia potente tanto da risuonare al di sopra di tutto: la
quattordicenne Adunni non si darà mai per vinta, nemmeno quando tutto intorno a
lei sembrerà così sgretolato, senza punti di riferimento. Anche quando le poche
persone dalla sua parte sembreranno vacillare. Anzi, soprattutto in quel momento
lei continuerà a puntare con ferma decisione ai suoi obiettivi. Come si legge in
questo passaggio:
«E POI RINGRAZIO CHE, ANCHE SE MR KOLA NON È TORNATO COI MIEI SOLDI, PERÒ ALMENO
NON SONO DENTRO UNA CASSA NELLA TERRA, CHE LA TERRA MI FA DA COPERTA E DA
CUSCINO. PREGO PER IL NUOVO ANNO DEL 2015 CHE ARRIVA TRA POCO: CHE È UN ANNO
BELLO E CHE SONO FELICE, PERCHÉ MI PRENDONO A SCUOLA.»
Non solo. Questo è uno di quei pezzi del romanzo in cui è chiaro quali sono le
priorità di Adunni. Non le importa che qualcuno non abbia rispettato dei patti
con lei, l’importante è che, alla prima occasione, lei possa essere
effettivamente ammessa alla scuola che vuole frequentare, quella che le è utile
per costruirsi il futuro che vuole lei per lei stessa. E poi c’è la sua passione
sfrenata per l’imparare. La quattordicenne, infatti, fa sempre molte domande per
capire di più e meglio, anche quando la situazione imporrebbe il silenzio per
prudenza, e cerca costantemente occasioni di apprendimento. Da un certo punto in
poi, quindi, anche il lettore inizia a imparare con lei, che si cimenta nella
lettura di un libro che racconta diversi fatti relativi alla nazione in cui si
svolge la storia, la Nigeria, e di cui l’autrice riporta parti all’inizio di
alcuni capitoli.
«FATTO: CON PIÙ DI 250 ETNIE, LA NIGERIA OFFRE UNA GRANDE VARIETÀ DI CIBI. TRA I
PIÙ APPREZZATI CI SONO IL RISO JOLLOF, SPIEDINI DI CARNE PEPATA ALLA GRIGLIA
CHIAMATI SUYA, E LE AKARA, DELIZIOSE POLPETTE DI FAGIOLI.»
Il tema dell’istruzione e dell’apprendimento è un fil rouge che corre lungo
tutta la narrazione. Anche perché, come si realizza fin dalla prima riga di
questo romanzo, la quattordicenne Adunni si esprime in un inglese
approssimativo, con parole e tempi verbali storpiati che, anche nella traduzione
italiana, vengono riportati con un italiano sgrammaticato. La sua sete di
conoscenza, quindi, è ben comprensibile da parte di chi legge che, come chi si
mette dalla sua parte, non può fare a meno di tifare per l’emancipazione di
Adunni.
Adunni è una ladra di parole che, in realtà, prende in prestito quelle di chi le
insegna a parlare bene e a prepararsi all’ammissione a scuola. Al tempo stesso,
poi, si tratta di una ladra di parole che non potrà far altro che lasciarvi lì,
a non poter posare il libro, a non poter smettere di leggerlo, per la grande
voglia di sapere come andrà a finire, se la giovane ce la farà, se la sua
emancipazione potrà divenire realtà, e se la sua vicenda potrà essere un modo
per segnare un cambio di rotta rispetto alla tradizione che vuole giovani spose
bambine, non scolarizzate, a dare eredi a mariti di molto più anziani di loro.
Una tradizione di cui spesso sono le stesse ragazzine a essere le prime
promotrici:
«ENITAN SOSPIRA, SEMBRA CHE È STUFA DI ME CHE FACCIO TANTE STORIE. “MORUFU È
RICCO. PENSA A TE E ALLA TUA FAMIGLIA. COSA VUOI ANCORA DALLA VITA, SE HAI UN
BRAVO MARITO?”
“MA NON LO SAI CHE HA GIÀ DUE MOGLI? E QUATTRO FIGLIE?”
“E ALLORA? NON FA GNENTE!” RIDE, ENITAN. “SEI FORTUNATA CHE TI SPOSI. DEVI
RINGRAZIARE DIO! È UNA BELLA COSA, SMETTI DI PIANGERE PER GNENTE.”»
Però non è propriamente per niente che piange Adunni perché, come si legge
subito dopo questo breve scambio, lei ha un’altra idea di futuro rispetto alla
sua amica:
«“MORUFU NON MI AIUTA A FINIRE LA SCUOLA.” HO IL CUORE COSÌ PIENO CHE LE LACRIME
MI TRABOCCANO SULLA FACCIA. “LUI A SCUOLA NON C’È ANDATA. E, SE IO NON CI VADO,
COME FACCIO A TROVARE IL LAVORO E GUADAGNARE I SOLDI? COME FACCIO A TROVARE UNA
VOCE CHE LA SENTONO FORTE?”»
Da un lato, si tratta di uno di quei passaggi che lasciano chi legge senza
parole per la crudezza e lucidità con cui, tanto un punto di vista quanto
l’altro, vengono difesi. Dall’altro, si tratta dell’ennesimo passo che mi ha
fatta soffermare a pensare all’età della protagonista. Perché quattordici anni
sono pochi, ma ad Adunni sono sufficienti per riuscire a capire la grande
correlazione tra un buon livello di istruzione e un futuro roseo, tanto da
impegnarsi con tutta se stessa, anche a rischio della sua stessa vita, per
ottenerlo. Vi consiglio caldamente di leggere questo romanzo, per una lettura
che molte volte potrà apparirvi tosta, ma che sarà certamente d’ispirazione,
proprio come lo è l’intervista all’autrice, Abi Daré, fatta da Il Libraio.
Non mi resta che dirvi buon ascolto, buona lettura e grazie per aver letto fino
a qui!✎
INCIPIT
«Quella mattina lì il papà mi chiama, che mi vuole dentro al parlour.
Sta seduto nel divano senza cuscino e mi guarda. Il papà c’ha un modo strano di
guardarmi. Sembra che me le vuole dare senza nessun motivo, o che ho le guance
piene di merda e, se apro la bocca per parlare, dopo puzza tutto.
“Sah?” gli dico, e vado giù in ginocchio con le mani nella schiena. “Mi
chiamavi?”
“Vieni qua.”
Lo so che mi deve dire qualcosa di brutto. Lo vedo dentro ai suoi occhi: sono
opachi come un sasso marrone restato al sole caldo troppo tempo. Ce li ha uguali
a tre anni fa, quando ha detto che dovevo smettere di andare a scuola. Ero già
la più grande della classe e gli altri bambini mi chiamavano “Aunty”. Lo dico
per davvero: il giorno che ho smesso la scuola e il giorno che è morta la mia
mamma sono i più brutti della mia vita.»
Tags: Abi Daré, Editrice Nord, evidenza, inglese, Nigeria
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