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VERONA: CHIUSA L’OCCUPAZIONE DEL GHIBELLIN, MA “LA LOTTA È ANCORA APERTA”. TRASMISSIONE SPECIALE CON LE VOCI PROTAGONISTE
Si è chiusa l’esperienza di occupazione abitativa del Ghibellin Fuggiasco. Attiviste e attivisti del Laboratorio Autogestito Paratod@s di Verona hanno comunicato alla stampa una decisione presa già da alcuni mesi e che a portato alla chiusura definitiva dello stabile di viale Venezia 51, lo scorso 10 maggio. Il tempo intercorso da allora è servito a Paratod@s per elaborare una posizione politica da rendere pubblica e anche per continuare a trovare una soluzione abitativa alle decine di migranti che senza il Ghibellin non hanno un posto dove abitare. L’idea di occupare lo stabile abbandonato da trent’anni, che si trova a lato dello spazio Paratod@s, era stata presa nel 2021. All’epoca decine di giovani originari principalmente da alcuni paesi dell’Africa occidentale, erano stati ospitati nei locali in affitto da compagni e compagne, dove da dieci anni si svolgono attività politiche e culturali. Era poi scaturita l’idea di occupare la struttura adiacente al Laboratorio. Non doveva essere un’occupazione di lungo periodo, precisano nel comunicato diffuso oggi il collettivo Paratod@s, “pensavamo si trattasse di una situazione temporanea e non immaginavamo l’inizio di un percorso”. I coinquilini che alloggiavano al Ghibellin erano perlopiù lavoratori in regola con il permesso di soggiorno, provenienti principalmente da Mali, Burkina Faso, Senegal, Gambia e Nigeria. Oltre 150 quelli ospitati negli anni: hanno alloggiato nei due piani dello stabile occupato, in alcuni periodi, anche da 60 persone contemporaneamente. Negli stessi spazi aveva trovato alloggio anche Moussa Diarra, ventiseienne maliano ucciso dalla Polizia il 20 ottobre scorso. “Le condizioni igienico/sanitarie e le problematiche strutturali dell’edificio non consentivano più di garantire il pieno rispetto della dignità umana. E se non abbiamo tenuto fede all’impegno di chiudere prima dell’inverno è stato solo per non aggiungere altro disagio alla già grave emergenza freddo, gestita con numeri e modalità che da sempre riteniamo insufficienti e non adeguate”, è scritto nel comunicato stampa. “Negli anni si è venuta a creare una comunità di lotta composta da attivisti e migranti“, aggiungono ai nostri microfoni da Paratod@s, ripercorrendo l’esperienza. “Speravamo che l’enormità del problema sollevato e la nostra spinta dal basso avrebbero portato a risposte concrete e ad un cambio radicale di visione sul tema casa, accoglienza e dormitori”. Negli anni qualche risposta è arrivata, lo riportano i numeri diffusi oggi da Paratod@s: “15 persone sono stabilmente ospitate in strutture Caritas, attraverso l’intervento del vescovo Pompili, tra dicembre 2023 e gennaio 2024; 22 persone hanno una casa AGEC (tra quelle non comprese nel piano di riatto/assegnazione dell’ente) attraverso la collaborazione con la cooperativa La Casa degli Immigrati; 5 persone hanno ottenuto posti letto attraverso la collaborazione con la cooperativa La Milonga; 1 persona ha avuto posto letto attraverso i servizi sociali del Comune di Verona; circa 30 persone hanno ottenuto la residenza fittizia, attraverso il dialogo con l’ufficio anagrafe del comune di Verona e la collaborazione con la rete sportelli; 6 persone sono state escluse da qualunque tipo di percorso e soluzione da parte delle istituzioni, nonostante la pressione esercitata nei mesi successivi, affinché si trovasse una sistemazione”. Compagni e compagne di Paratod@s rivendicano un’esperienza che “ha mostrato come l’azione dal basso di autorecupero di un edificio abbandonato sia pratica possibile, realizzabile e necessaria. In una città come Verona, con centinaia di edifici pubblici vuoti, con un mercato immobiliare intossicato dal profitto, in cui a student3 universitari3 vengono chiesti 500 euro per un posto letto, i progetti di Hotel/cohousing sociale dovrebbero essere pubblici e accessibili”. Radio Onda d’Urto ha incontrato la comunità del Ghibellin presso il Laboratorio Autogestito Paratod@s e ha realizzato una trasmissione speciale con i protagonisti dell’esperienza dell’occupazione abitativa. La prima parte della trasmissione (37 minuti). Ascolta o scarica La seconda parte della trasmissione (42 minuti). Ascolta o scarica Con le voci di Rachele Tomezzoli, Giuseppe Capitano, Osasuyi, Alessia Toffalini, Bakari Traoré, Sekou.
Riconosciuta la protezione speciale al richiedente nigeriano, dopo violazione dei termini della cd. procedura accelerata
Il Tribunale di Napoli ha riconosciuto la protezione speciale in seguito alla presentazione dell’istanza ex art. 7-quinquies del D.L. n. 20/2023. Ciò che rende peculiare questa decisione è il fatto che, all’epoca, il ricorrente aveva presentato una nuova domanda di protezione internazionale presso la Questura di Taranto. La domanda era stata dichiarata inammissibile dalla Commissione Territoriale di Caserta. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Successivamente, il richiedente si è rivolto al difensore legale, quando ormai erano trascorsi i 15 giorni previsti per proporre ricorso secondo la procedura accelerata. La difesa ha quindi sollevato un’eccezione, sostenendo che non erano stati rispettati i termini della procedura accelerata e che, di conseguenza, dovevano applicarsi i termini ordinari di 30 giorni. Il Tribunale di Napoli ha accolto questa eccezione, ritenendo il ricorso tempestivo. Ne deriva che l’effetto sospensivo del provvedimento impugnato è automatico e che il termine per proporre ricorso non è di 15, ma di 30 giorni. A questo proposito, va ricordato che – per quanto riguarda i termini procedurali previsti dall’art. 28-bis del D.Lgs. 25/2008 – la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, è da tempo consolidata. È stato infatti affermato il principio secondo cui, in caso di superamento dei termini per l’audizione del richiedente o per la decisione della Commissione, si ripristina la procedura ordinaria. In tal caso, si applica nuovamente il principio generale della sospensione automatica del provvedimento della Commissione Territoriale e il termine per impugnare torna ad essere quello ordinario di trenta giorni, previsto dall’art. 35-bis, comma 2, del medesimo decreto. Nel merito, il ricorrente ha dimostrato una solida integrazione sociale e lavorativa. Come rilevato dal Tribunale: “L’acclarata stabilità lavorativa rende l’istante inespellibile ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico sull’Immigrazione, poiché il rimpatrio violerebbe i suoi diritti fondamentali alla vita privata, tutelato dall’art. 8 della CEDU, nonché i diritti al cibo, all’abitazione e a un ambiente salubre, riconosciuti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 3 gennaio 1976 e ratificato dall’Italia con la legge n. 881/1977”. Tribunale di Napoli, decreto del 15 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al riconoscimento della protezione speciale
Nigeria, dopo trent’anni concessa la grazia postuma a Ken Saro-Wiwa, scrittore e attivista
Il presidente nigeriano Tinubu ha concesso la grazia postuma a Ken Saro-Wiwa e ad altri otto attivisti Ogoni giustiziati nel 1995, suscitando reazioni contrastanti. Attivisti e familiari chiedono ora la piena assoluzione e la fine dell’impunità per i crimini ambientali nel Delta del Niger. Il presidente nigeriano Bola Tinubu ha annunciato la grazia per Ken Saro-Wiwa e altri otto attivisti politici del popolo Ogoni, tutti giustiziati 30 anni fa durante la dittatura militare. La scorsa settimana, il presidente nigeriano, parlando davanti all’Assemblea nazionale, ha annunciato l’intenzione di concedere la grazia presidenziale postuma a nove attivisti Ogoni, tra cui il notissimo scrittore e attivista ambientalista Ken Saro-Wiwa, impiccati nel 1995 dopo un processo sommario in un tribunale militare per via delle loro proteste e del loro attivismo contro l’inquinamento provocato da Shell nel Delta del Niger, regione ricca di petrolio in cui vive il gruppo etnico Ogoni. Quelle esecuzioni scatenarono la condanna internazionale contro l’allora giunta militare nigeriana di Sani Abacha e continuano ancora oggi a essere una questione altamente controversa nella storia del Paese. “Non si può perdonare qualcuno che non ha commesso alcun reato; chiediamo la totale assoluzione”, ha detto alla stampa nigeriana Celestine Akpobari, coordinatrice dell’Ogoni Solidarity Forum, in aperta polemica con la decisione presidenziale di graziare gli attivisti giustiziati decenni fa. “Dire ‘perdono’, penso sia un insulto. Se c’è un gruppo che ha bisogno di perdono, è proprio il governo nigeriano, che ha commesso così tanti crimini contro il popolo Ogoni”. Il portavoce di Tinubu ha respinto tali critiche. “Il presidente ha fatto ciò che è normale. Possono presentare una richiesta di esonero e il presidente se ne occuperà”, ha dichiarato Bayo Onanuga all’agenzia Reuters, in risposta all’organizzazione. Diversa invece la posizione della famiglia di Ken Saro-Wiwa: secondo una dichiarazione firmata da Noo Saro-Wiwa, scrittrice britannico-nigeriana e figlia del defunto attivista, diffusa ai media nigeriani, “vogliamo credere che il conferimento di queste onorificenze nazionali simboleggi l’innocenza di questi eroi e rafforzi ulteriormente la visione globale secondo cui la sentenza emessa quasi 30 anni fa era errata e la loro esecuzione considerata un omicidio giudiziario”. Nella sua dichiarazione, in cui ringrazia anche il presidente Tinubu “per aver fatto la cosa giusta”, Noo Saro-Wiwa ha reiterato le accuse contro Shell, che ha causato “devastazioni ambientali” con le sue attività nel Delta del Niger, chiedendo anche al presidente “una revisione del procedimento giudiziario che ha portato a questa sentenza errata, che ha causato una perdita così colossale alla nostra famiglia, al popolo Ogoni e ai nigeriani”. Nnimmo Bassey, noto ambientalista nigeriano e direttore della fondazione Health of Mother Earth, è invece di parere diverso: “Ken Saro-Wiwa e gli altri meritano di essere onorati, ma in un momento in cui il governo è disperato e vuole aumentare la produzione di petrolio, mentre l’inquinamento continua incessantemente, la decisione è inopportuna”, ha dichiarato al quotidiano Premium Times. La grazia presidenziale, ha detto Bassey, non basta perché Ken Saro-Wiwa e gli altri otto attivisti sono innocenti e andrebbero quindi scagionati: “Una semplice grazia in questo momento sembra mirare alla riapertura dei pozzi petroliferi nell’Ogoniland, un passo che significherebbe ballare sulle tombe dei leader assassinati. L’assoluzione è l’azione politica che chiediamo al governo per porre fine al genocidio ambientale e agli altri crimini commessi contro il popolo Ogoni”. La Shell, che ha interrotto le trivellazioni petrolifere nella zona nei primi anni Novanta e in seguito ha venduto i suoi beni nella regione, ha negato qualsiasi responsabilità o illecito. Nel marzo 2022, un tribunale olandese ha respinto una causa contro la multinazionale petrolifera, intentata da quattro vedove degli attivisti giustiziati dal governo nigeriano nel 1995, tra cui proprio la vedova Saro-Wiwa: la corte olandese ha stabilito che non c’erano prove sufficienti per supportare l’affermazione delle vedove secondo cui Shell fosse coinvolta nella corruzione di testimoni legati al caso. Tuttavia, nel 2019, un tribunale danese aveva riconosciuto alle vedove una prima vittoria nella loro lunga battaglia, consentendo al processo di continuare ma avvisando i ricorrenti che dovevano provare la responsabilità di Shell. Da 30 anni, i parenti dei nove Ogoni assassinati cercano di mettere Shell di fronte alle proprie responsabilità nei tribunali stranieri, dopo aver esaurito ogni possibilità legale in Nigeria. La compagnia anglo-olandese è stata accusata di aver prodotto documenti falsi e corrotto testimoni per risultare estranea ai fatti, e ha anche pagato 15,5 milioni di dollari a un gruppo di famiglie di attivisti, inclusa la famiglia di Saro-Wiwa, con un accordo siglato nel 2009 in cui tuttavia ha negato ogni responsabilità o illecito. Oggi, l’amministrazione Tinubu sta facendo sforzi importanti per riprendere le trivellazioni petrolifere nell’Ogoniland, sforzi che tuttavia hanno suscitato nuove critiche da parte degli attivisti ambientalisti. Alagao Morris, vicedirettore esecutivo dell’Environmental Defenders Network, un gruppo ambientalista del Delta del Niger, ha dichiarato ai media nigeriani che la grazia ai nove Ogoni sembra essere un tentativo di placare il popolo Ogoni di fronte alla continua devastazione ambientale della regione. “L’inquinamento che dovrebbe essere affrontato non è stato affrontato”, ha detto Morris, sottolineando che la questione delle trivellazioni petrolifere dovrebbe essere decisa dal popolo Ogoni e che la completa assoluzione di Saro-Wiwa e degli altri attivisti giustiziati sarebbe dovuta avvenire molto tempo fa. La Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa, dipende dal petrolio per oltre il 90% dei proventi delle esportazioni e per circa due terzi delle entrate governative.   Africa Rivista
Ubuntu, storia di Blessing
Uscirà in libreria il prossimo 23 maggio per Baldini e Castoldi il libro di Chiara Ingrao, che cura le parole di Blessing e Giovanna Calciati, La vita è un profumo. Canto a due voci. È un libro prezioso e raro. Raro innanzi tutto nella forma: è un prosimetro, nel quale la prosa è di Giovanna, ma “armonizzata” da Chiara, e i versi sono di Blessing. (Chiara e Giovanna, compagne e amiche da sempre, avevano già lavorato insieme anni addietro al bellissimo progetto che univa contro la guerra e l’odio razziale donne israeliane e palestinesi e che aveva dato vita ad un altro libro, Salaam Shalom. Diario da Gerusalemme e altri conflitti). Questo nuovo testo è raro anche perché narra la relazione di una maternità affidataria, tra slanci ritrosie confidenze e conflitti, tra biografia e autobiografia di entrambe, madre e figlia, in un intreccio di vicende anch’esso raro perché complesso. Rara, unica anzi, è la vita di Blessing, bimba nigeriana abbandonata dalla madre, che migra in Europa, vittima di tratta, e con le sue rimesse nutre due famiglie di una decina di persone. La bambina cresce dapprima con la nonna che l’ama, anche se, seguendo le usanze del villaggio, la fa infibulare; quindi si trasferisce a tre anni con la sorella di sei a Benin City, nella ricca casa del padre, poligamo e violento, che stupra regolarmente lei e la sorellina Sofia. Finalmente la madre chiama in Italia i suoi figli, per primo il maschio, che però ha già appreso i comportamenti del padre. Potrebbe essere una svolta, ma anche la mamma picchia la piccola e la casa in cui tutti vivono è una casa di prostituzione, di cui Blessing si vergogna. Viene più tardi affidata dalle assistenti sociali a una comunità e infine a 17 anni conosce Giovanna e va a vivere con lei, salvo poi cercare un appartamento per i fatti propri. L’obiettivo che la nuova madre le suggerisce, infatti, è “diventare libera indipendente buona”. Bles si diploma, si iscrive all’università, anche se non la completerà mai, lavora come mediatrice culturale e linguistica e come insegnante di italiano per stranieri sia da volontaria che con contratti a tempo determinato; ama la musica, disegna e dipinge, cucina ottimamente, impara a fabbricare parrucche, viaggia, anche da sola. Ma il suo passato è in continuo agguato alle sue spalle: “sono rotta, sono tutta rotta e nessuno mi può più incollare”. Per questo le pesano come irrimediabili rifiuti le delusioni amorose, pur così usuali nell’adolescenza, e le umiliazioni che il razzismo serpeggiante nel nostro Paese non le lesina, come quella volta che una collega in Questura disse di lei, forse a bella posta perché sentisse, “si muove come uno scimpanzé”. Certo ci sono gli affetti, sinceri e profondi, a cominciare da quello di Giovanna e del suo compagno, degli amici, dei nipotini, del cane Baxi, ma non sono sufficienti. Bles alterna periodi di entusiasmo a fasi di depressione e bulimia, tenta più volte il suicidio, si sottopone spontaneamente a diversi ricoveri in quella che chiama “Villa Speranza”. Ma neanche le terapie bastano. Nella notte fra il 24 e il 25 maggio 2022, a quasi 28 anni, Blessing decide di non indossare più il profumo della vita. In un biglietto a Giovanna lascia scritto: “ho trovato il coraggio. Questo mondo non mi appartiene”. In tutta la sua storia, in tutta la sua vita, il personale si fa politico: nell’impegno di solidarietà con gli altri stranieri, nella tesina di maturità che confronta le migrazioni dall’Italia a fine Ottocento con le attuali dall’Africa, nelle sue testimonianze pubbliche contro le mutilazioni genitali femminili, nelle iniziative di incontro fra europei e africani che organizza tramite la musica, la cucina, lo sport. Anche perciò questo libro è raro, perché è politico, politico fin dalla sua genesi: una rete di donne sollecita Giovanna, per elaborare il suo dolore, a ricostruire gli scritti di Bles per darli alle stampe e si mette all’opera coadiuvandola con letture, cernite, catalogazione e rifiniture. Si tratta di più di mille poesie e poi lettere, pagine di diario, e-mail e chat. Raro, politico e solidale è anche lo scopo del volume: il ricavato delle vendite andrà interamente devoluto ad un progetto chiamato “Dai sogni di Blessing al tuo”, con il quale si intende aiutare giovani donne (anche madri) tra i 17 e i 28 anni (quelli trascorsi da Bles con Giovanna) a realizzare un loro proposito di studio o di lavoro o anche semplicemente un desiderio come un viaggio o il ritorno a casa. Questo in linea con la filosofia di vita che ha sostenuto sino alla fine la forte e fragile ragazza nigeriana: Ubuntu, che in lingua bantu significa “io sono perché noi siamo”. Il libro si articola in due parti: la prima “A due voci” racconta la storia che abbiamo qui brevemente riassunto ed è il prosimetro vero e proprio; la seconda “Per voce sola” raccoglie in sequenza cronologica i versi scelti dalla rete di compagne di Giovanna e da lei stessa. Pregevole e rara anch’essa, questa raccolta, poiché la scrittura di Bles è davvero interessante, specie quando mescola fino a quattro lingue, italiano inglese pidgin e bini. Tutti i registri vengono toccati: dalla rabbia all’ironia, dalla tenerezza alla disperazione, dalla determinazione allo scoramento. E se i primi componimenti sono ancora piuttosto semplici, pur in uno scavo psicologico non comune a 17 anni o poco più, quelli più maturi esprimono il decantarsi di sentimenti ed emozioni attraverso un uso sapiente di correlativi oggettivi inusuali e spiazzanti, che impongono al lettore interruzioni necessarie per una sua personale riflessione. Il tostapane rotto, le scatole colorate e le scatole cinesi, il treno, la strada come un righello, la tazzina di caffè, la giacca nera, la lavagna sono tutte figure della sua anima, del suo tragitto di vita, dei suoi incontri. Rare le poesie in cui una più esplicita autobiografia viene pacatamente ricostruita e rievocata, come la lunghissima I have lost and gain. Riportiamo qui quella che forse è l’ultima che ha scritto. SOGNO il sogno è fantasia dei sensi PIANGO la pioggia bagna la terra, il pianto copre i miei occhi SVENGO svenire è dimenticare, ricordare, ricordare sempre. RIDO i miei denti sono tasti di un pianoforte… quando qualcuno riuscirà a suonarli?… LUCE Luce è apertura. Apre la tenda e la luce invade i miei occhi e il mio sentire. SOGNO perché la vita è un dono PIANGO e non rimpiango SVENGO e rinvengo RIDO e mi fido LUCE e pace Daniela Musumeci
La ladra di parole: la Nigeria di Adunni raccontata da Abi Daré
LA LADRA DI PAROLE: LA NIGERIA DI ADUNNI RACCONTATA DA ABI DARÉ La ladra di parole ✏ Abi Daré 7 Maggio 2022/di Veronica Sgobio CATEGORIE: Libreria  / Narrativa  / Romanzo Tempo di lettura: 7 minuti * La ladra di parole, Abi Daré, Editrice Nord, 2021, traduzione dall’inglese di Elisa Banfi. La ladra di parole è il romanzo scritto da Abi Daré che narra la vicenda di una giovane ragazza, Adunni, nella sua Nigeria, tra il 2014 e il 2015. Secondo me, però, questo libro è molto di più e proverò a raccontare tutta la complessità che mi ha trasmesso, sperando di riuscire a rendergli giustizia. Innanzitutto, cosa vuol dire essere una “ladra di parole”? È stata questa la domanda che mi sono fatta quando è stata annunciata l’uscita in Italia del romanzo. Ero incuriosita dal fatto che una persona potesse essere definita in questo modo. Anche perché, dal mio punto di vista, la protagonista, nonché narratrice è tante cose, meno che una ladra di parole. E, onestamente, è stato proprio quando ho realizzato che tipo di personaggio fosse quello di Adunni che la lettura mi ha assorbita ancora di più. «”ASPETTA, ADUNNI! CHE COLORE DI ROSSETTO PORTO? ROSSO COME SPOSINA O ROSA COME RAGA…” “PORTA UN ROSSETTO NERO”, MI DICO DA SOLA, APPENA CHE SVOLTO DIETRO L’ANGOLO. “NERO COME UN FUNERALE!”» La ladra di parole è il romanzo d’esordio di Abi Daré, scrittrice nigeriana cresciuta a Lagos, e che da diciotto anni vive in Inghilterra. Il titolo scelto per la traduzione italiana è certamente d’impatto e, come detto poco sopra, è stata una delle prime cose che mi ha attirata verso quest’opera. L’originale, però, è decisamente più affine con la narrazione e con tutto ciò che accade tra le pagine di questo libro. In inglese, infatti, questo romanzo si intitola The girl with the louding voice, letteralmente “La ragazza dalla voce forte”. Un titolo che riesce a dire molto della sua protagonista, in poche parole, e cui si ritrovano anche riferimenti nel corso della lettura. In effetti, la voce narrante di questo romanzo è quella di Adunni, una ragazzina di appena quattordici anni di un piccolo villaggio in Nigeria, Ikati, che, sin da subito, appare come una vera e propria eroina. Tanto che, molte volte, nell’andare avanti con la vicenda narrata, mi sono dimenticata la reale età della sua protagonista. Quattordici anni sono pochi per sposarsi. Come lo sono anche per rimanere incinta e dare eredi al proprio marito, ovviamente di molto più anziano. E altrettanto per riuscire ad affrancarsi da due famiglie, quella di origine e quella acquisita per matrimonio, ma è quello che, di fatto, fa Adunni. «VADO VIA DA IKATI. È QUELLO CHE VOLEVO DA TUTTA LA MIA VITA, ANDARE VIA DA QUESTO POSTO E VEDERE COM’È IL MONDO PIÙ FUORI, MA NON COSÌ. NON SEGUITA DA UN CATTIVO NOME, NON COME UNA PERSONA CHE TUTTO IL VILLAGGIO LA CERCA PERCHÉ CREDE CHE HO AMMAZZATO UNA DONNA.» Quello che colpisce nel romanzo di Abi Daré, è ovviamente la tempra e la decisione del personaggio di Adunni nel perseguire i suoi obiettivi. Un qualcosa che, si scoprirà a poche pagine dall’inizio della lettura, le deriva dagli insegnamenti della madre, morta qualche tempo prima dell’inizio delle vicende narrate in questo romanzo, e che potremmo definire in qualche modo causa scatenante. Scopriamo, infatti, che è stata proprio lei ad averle raccomandato di studiare, di crescere anche dal punto di vista culturale per non rimanere intrappolata in una vita decisa per lei, ma non da lei. Per me, è questo ciò che dimostra in quale senso la sua voce sia potente tanto da risuonare al di sopra di tutto: la quattordicenne Adunni non si darà mai per vinta, nemmeno quando tutto intorno a lei sembrerà così sgretolato, senza punti di riferimento. Anche quando le poche persone dalla sua parte sembreranno vacillare. Anzi, soprattutto in quel momento lei continuerà a puntare con ferma decisione ai suoi obiettivi. Come si legge in questo passaggio: «E POI RINGRAZIO CHE, ANCHE SE MR KOLA NON È TORNATO COI MIEI SOLDI, PERÒ ALMENO NON SONO DENTRO UNA CASSA NELLA TERRA, CHE LA TERRA MI FA DA COPERTA E DA CUSCINO. PREGO PER IL NUOVO ANNO DEL 2015 CHE ARRIVA TRA POCO: CHE È UN ANNO BELLO E CHE SONO FELICE, PERCHÉ MI PRENDONO A SCUOLA.» Non solo. Questo è uno di quei pezzi del romanzo in cui è chiaro quali sono le priorità di Adunni. Non le importa che qualcuno non abbia rispettato dei patti con lei, l’importante è che, alla prima occasione, lei possa essere effettivamente ammessa alla scuola che vuole frequentare, quella che le è utile per costruirsi il futuro che vuole lei per lei stessa. E poi c’è la sua passione sfrenata per l’imparare. La quattordicenne, infatti, fa sempre molte domande per capire di più e meglio, anche quando la situazione imporrebbe il silenzio per prudenza, e cerca costantemente occasioni di apprendimento. Da un certo punto in poi, quindi, anche il lettore inizia a imparare con lei, che si cimenta nella lettura di un libro che racconta diversi fatti relativi alla nazione in cui si svolge la storia, la Nigeria, e di cui l’autrice riporta parti all’inizio di alcuni capitoli. «FATTO: CON PIÙ DI 250 ETNIE, LA NIGERIA OFFRE UNA GRANDE VARIETÀ DI CIBI. TRA I PIÙ APPREZZATI CI SONO IL RISO JOLLOF, SPIEDINI DI CARNE PEPATA ALLA GRIGLIA CHIAMATI SUYA, E LE AKARA, DELIZIOSE POLPETTE DI FAGIOLI.» Il tema dell’istruzione e dell’apprendimento è un fil rouge che corre lungo tutta la narrazione. Anche perché, come si realizza fin dalla prima riga di questo romanzo, la quattordicenne Adunni si esprime in un inglese approssimativo, con parole e tempi verbali storpiati che, anche nella traduzione italiana, vengono riportati con un italiano sgrammaticato. La sua sete di conoscenza, quindi, è ben comprensibile da parte di chi legge che, come chi si mette dalla sua parte, non può fare a meno di tifare per l’emancipazione di Adunni. Adunni è una ladra di parole che, in realtà, prende in prestito quelle di chi le insegna a parlare bene e a prepararsi all’ammissione a scuola. Al tempo stesso, poi, si tratta di una ladra di parole che non potrà far altro che lasciarvi lì, a non poter posare il libro, a non poter smettere di leggerlo, per la grande voglia di sapere come andrà a finire, se la giovane ce la farà, se la sua emancipazione potrà divenire realtà, e se la sua vicenda potrà essere un modo per segnare un cambio di rotta rispetto alla tradizione che vuole giovani spose bambine, non scolarizzate, a dare eredi a mariti di molto più anziani di loro. Una tradizione di cui spesso sono le stesse ragazzine a essere le prime promotrici: «ENITAN SOSPIRA, SEMBRA CHE È STUFA DI ME CHE FACCIO TANTE STORIE. “MORUFU È RICCO. PENSA A TE E ALLA TUA FAMIGLIA. COSA VUOI ANCORA DALLA VITA, SE HAI UN BRAVO MARITO?” “MA NON LO SAI CHE HA GIÀ DUE MOGLI? E QUATTRO FIGLIE?” “E ALLORA? NON FA GNENTE!” RIDE, ENITAN. “SEI FORTUNATA CHE TI SPOSI. DEVI RINGRAZIARE DIO! È UNA BELLA COSA, SMETTI DI PIANGERE PER GNENTE.”» Però non è propriamente per niente che piange Adunni perché, come si legge subito dopo questo breve scambio, lei ha un’altra idea di futuro rispetto alla sua amica: «“MORUFU NON MI AIUTA A FINIRE LA SCUOLA.” HO IL CUORE COSÌ PIENO CHE LE LACRIME MI TRABOCCANO SULLA FACCIA. “LUI A SCUOLA NON C’È ANDATA. E, SE IO NON CI VADO, COME FACCIO A TROVARE IL LAVORO E GUADAGNARE I SOLDI? COME FACCIO A TROVARE UNA VOCE CHE LA SENTONO FORTE?”» Da un lato, si tratta di uno di quei passaggi che lasciano chi legge senza parole per la crudezza e lucidità con cui, tanto un punto di vista quanto l’altro, vengono difesi. Dall’altro, si tratta dell’ennesimo passo che mi ha fatta soffermare a pensare all’età della protagonista. Perché quattordici anni sono pochi, ma ad Adunni sono sufficienti per riuscire a capire la grande correlazione tra un buon livello di istruzione e un futuro roseo, tanto da impegnarsi con tutta se stessa, anche a rischio della sua stessa vita, per ottenerlo. Vi consiglio caldamente di leggere questo romanzo, per una lettura che molte volte potrà apparirvi tosta, ma che sarà certamente d’ispirazione, proprio come lo è l’intervista all’autrice, Abi Daré, fatta da Il Libraio. Non mi resta che dirvi buon ascolto, buona lettura e grazie per aver letto fino a qui!✎ INCIPIT «Quella mattina lì il papà mi chiama, che mi vuole dentro al parlour. Sta seduto nel divano senza cuscino e mi guarda. Il papà c’ha un modo strano di guardarmi. Sembra che me le vuole dare senza nessun motivo, o che ho le guance piene di merda e, se apro la bocca per parlare, dopo puzza tutto. “Sah?” gli dico, e vado giù in ginocchio con le mani nella schiena. “Mi chiamavi?” “Vieni qua.” Lo so che mi deve dire qualcosa di brutto. Lo vedo dentro ai suoi occhi: sono opachi come un sasso marrone restato al sole caldo troppo tempo. Ce li ha uguali a tre anni fa, quando ha detto che dovevo smettere di andare a scuola. Ero già la più grande della classe e gli altri bambini mi chiamavano “Aunty”. Lo dico per davvero: il giorno che ho smesso la scuola e il giorno che è morta la mia mamma sono i più brutti della mia vita.» Tags: Abi Daré, Editrice Nord, evidenza, inglese, Nigeria CORRELATI LA LADRA DI PAROLE: LA NIGERIA DI ADUNNI RACCONTATA DA ABI DARÉ 7 Maggio 2022 / 0 Commenti Continua a leggere https://www.afrologist.org/wp-content/uploads/2022/04/LaLadraDiParole_AbiDare_copertina.jpg 844 1500 Veronica Sgobio https://afrologist.org/wp-content/uploads/2019/02/Logo-bozza-Letture-afropolitane-con-libro-tutta-scritta-con-A-bis-1030x202.png Veronica Sgobio2022-05-07 10:49:042022-05-07 17:00:53La ladra di parole: la Nigeria di Adunni raccontata da Abi Daré CHINELO OKPARANTA E LE DONNE FORTI DEI SUOI RACCONTI 23 Luglio 2021 / 0 Commenti Continua a leggere https://www.afrologist.org/wp-content/uploads/2021/07/Chinelo-Okparanta-La-felicita-e-come-lacqua_slider.jpg 844 1500 Eleonora Salvatore https://afrologist.org/wp-content/uploads/2019/02/Logo-bozza-Letture-afropolitane-con-libro-tutta-scritta-con-A-bis-1030x202.png Eleonora Salvatore2021-07-23 19:26:392021-07-23 19:26:39Chinelo Okparanta e le donne forti dei suoi racconti GENERAZIONI IN CAMMINO DA GULU STATION A ROMA 16 Gennaio 2021 / 0 Commenti Continua a leggere https://www.afrologist.org/wp-content/uploads/2021/01/EC-Osundu_Quando-il-cielo-vuole-spuntano-le-stelle-slider.jpg 844 1500 Eleonora Salvatore https://afrologist.org/wp-content/uploads/2019/02/Logo-bozza-Letture-afropolitane-con-libro-tutta-scritta-con-A-bis-1030x202.png Eleonora Salvatore2021-01-16 09:58:112021-07-19 10:55:56Generazioni in cammino da Gulu Station a Roma L'articolo La ladra di parole: la Nigeria di Adunni raccontata da Abi Daré proviene da Afrologist.
FOCUS ON AFRICA. Alla conoscenza degli Yorùbá
La nostra rubrica sul continente africano si occupa oggi di questo vasto gruppo etno-linguistico presente nell’Africa occidentale e soprattutto in Nigeria, tra le voci principali nella lotta per la ristrutturazione nigeriana post-coloniale di Federica Iezzi Roma, 16 aprile 2022, Nena News - Gli Yorùbá sono stati parte integrante della politica in Nigeria a partire dal 1914, dalle vicissitudini della politica delle lotte nazionaliste contro l’imposizione coloniale, alla politica di indipendenza e di costruzione della nazione, i valori tradizionali fondamentali e la visione filosofica. La giustizia per la popolazione Yorùbá è al centro della vita sociale, non importa quanto comunalista o individualista. E la famiglia rappresenta l’unità di base della vita sociale. Nella società Yorùbá tradizionale, il marito è il capofamiglia riconosciuto. In quanto tale, ci si aspetta che sia leale nei rapporti con la moglie e i figli, per non danneggiare la coesione familiare. Questo livello di giustizia è direttamente proiettato sulla comunità e sulle relazioni gerarchiche. L’errata percezione della violazione gerarchica è stata al centro di vari disordini civili nello Yorùbáland pre-coloniale. Lottare è contro natura ed essere ostacolati da altri esseri umani è un ulteriore insulto che chiama la resistenza. Gli Yorùbá esprimono apertamente e coraggiosamente la loro opposizione a ciò che percepiscono come un’imposizione ingiusta di un dominio dagli strani costumi e convenzioni che calpestano di fatto la loro tradizionale vita sociale e politica. Prima dell’incursione britannica in Africa, furono combattute numerose guerre civili tra gli Yorùbá a causa della percezione dell’ingiustizia. Ògún, il dio della giustizia Yorùbá, è venerato per il suo approccio intransigente alla sua responsabilità. Una credenza comune è che Ògún punirà chiunque infranga un voto o una promessa. L’idea è che chiunque si appropria indebitamente di qualcosa non la farà franca. Oltre alle situazioni di conflitto, gli Yorùbá fanno appello alla giustizia nella valutazione di specifiche realtà, come l’assegnazione di beni e servizi o la corruzione pubblica. L’approccio tradizionale alla giustizia punitiva è al centro dell’attenzione. I valori morali tradizionali del popolo Yorùbá presuppongono una rete di relazioni tra individui concepite per essere metafisicamente eguali. Nonostante questa uguaglianza metafisica, è giustificato l’ordine gerarchico nella vita sociale, in risposta al bisogno sociale di stabilità e protezione comune.  Una delle basi per l’allontanamento di un capo è il tradimento della fiducia dei soggetti subalterni. La giustizia preserva il bene della vita sociale attraverso un sistema di aspettative reciproche: dalla società c’è l’aspettativa che ogni individuo contribuisca con i suoi sforzi alla stabilità e al progresso del gruppo. Dall’individuo, c’è l’aspettativa che i suoi bisogni vengano soddisfatti. Nei moderni contesti politici delle relazioni interetniche e delle implicite lotte per il potere, gli Yorùbá sono stati apparentemente guidati dai tradizionali appelli alla giustizia nel contesto delle relazioni sociali e politiche. Il dominio straniero si insinuò nello Yorùbáland nel 1861 con l’annessione di Lagos, che, un anno dopo, divenne una colonia formale della Gran Bretagna. Fu solo nel Nigerian Youth Movement (NYM) che il fascino yorùbá per la giustizia incontrò per la prima volta il Consiglio Legislativo nigeriano. Alle porte dell’indipendenza, la Nigeria era una federazione di tre regioni: nord, ovest ed est, ciascuna con una nazionalità etnica maggioritaria e una miriade di nazionalità minoritarie le cui culture e lingue erano a grave rischio di estinzione. Il nord era a maggioranza fulani. L’occidente aveva gli Yorùbá e l’oriente aveva gli Igbo. Era chiaro che, per una questione di equità e giustizia, se il Paese non sostituiva il colonialismo esterno con il colonialismo interno, il posto delle minoranze etniche nella democrazia nigeriana veniva perduto. Da un’onesta osservazione della politica della Nigeria dall’era coloniale è chiaro come l’acuto senso di giustizia che ha spinto gli Yorùbá a lottare contro l’imposizione coloniale, contro un traballante sistema federale, difendendo i diritti delle minoranze in tutto il Paese, ha invocato un vero sistema democratico. Che gli Yorùbá siano stati le voci principali nella lotta per la ristrutturazione nigeriana post-coloniale, è indubbio. È coerente con la loro avversione all’ingiustizia sociale e con la promozione dell’unità, evitando la marginalizzazione culturale ed economica. Nena News