
I leader occidentali continuano a sostenere Israele non perché sono codardi: sono ideologi imperialisti convinti
Assopace Palestina - Friday, September 12, 2025di Layth Hanbali e James Smith,
Mondoweiss, 11 settembre 2025.
Nessuna prova convincente e inconfutabile del genocidio convincerà i leader occidentali a interrompere il sostegno a Israele, perché non è nel loro interesse. L’unica cosa che fermerà il genocidio è renderlo più costoso che redditizio.

Ci viene ripetutamente detto che l’élite politica occidentale, insieme alle sue appendici istituzionali, è codarda, che ha semplicemente troppa paura di dire e fare di più di fronte al genocidio del regime sionista a Gaza, o che è troppo facilmente influenzabile dalla propaganda sionista e troppo legata alla lobby filo-regime. Ma tali accuse non reggono a un esame approfondito.
Biden, Harris e quasi tutto il Partito Democratico, compresa la sua cosiddetta “ala progressista”, erano così impegnati a sostenere la colonia sionista che hanno preferito rinunciare a vincere le elezioni del 2024 piuttosto che opporsi seriamente ai suoi crimini atroci e alle altre violazioni dei diritti umani. Allo stesso modo, una pletora di funzionari governativi europei – Keir Starmer, David Lammy, Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Friedrich Merz e molti altri – sono così impegnati a sostenere la colonia sionista che sono disposti a rischiare l’incriminazione per favoreggiamento di crimini di guerra piuttosto che sospendere gli accordi commerciali o la vendita di armi a Israele.
L’intera classe dirigente occidentale ha volontariamente e completamente smascherato la fallacia dei valori liberali, dello stato di diritto e della libertà di espressione, al fine di preservare il sostegno incondizionato al regime sionista. Non si tratta di codardia politica. Rappresenta piuttosto un impegno ideologico incrollabile nei confronti dei propri interessi economici e politici, come dimostra la colonia sionista.
Non dovrebbe sorprendere che le elezioni continuino nei paesi occidentali senza l’emergere di una sola alternativa antisionista coerente: l’élite politica, economica e culturale è quasi interamente unita nel suo sostegno al regime sionista e alla sua campagna secolare di espansione coloniale. In effetti, questa illusione di scelta si è già verificata molte volte dall’inizio del genocidio, durante le elezioni negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Germania, Francia e altrove.
In molti paesi, la maggioranza dell’opinione pubblica era già contraria alla colonia sionista e favorevole alla lotta palestinese, mentre il genocidio era in cima alle loro preoccupazioni, eppure non sono stati in grado di votare per una rappresentanza politica antisionista e filopalestinese. In breve, l’opinione pubblica non può eliminare con il voto la violenza coloniale. Né si tratta di una questione di mancanza di comprensione o di deficit di simpatia: più testimonianze, più conferenze e più rapporti cambieranno ben poco.
La codardia non può spiegare questo sostegno ostinato. Una spiegazione alternativa riconosce la colonia sionista come un’estensione dell’espansione e dello sfruttamento occidentale. La colonia sionista sostiene il complesso militare-industriale acquistando armi dall’Occidente e utilizzandole sui palestinesi come cavie, mentre la sua repressione di vasta portata delle aspirazioni politiche in tutta la regione permette all’Occidente di rafforzare la sua presa sulle economie regionali e, per estensione, sul loro gas, petrolio, acqua e manodopera.
Gli interessi economici hanno motivato il sostegno dell’Occidente al progetto sionista sin dai suoi primi giorni. Uno dei motivi principali per cui i colonizzatori britannici vennero meno alla loro promessa di indipendenza per gli arabi della regione e rilasciarono invece la Dichiarazione Balfour – che aprì la strada alla colonizzazione sionista della Palestina – fu quello di evitare il rischio di perdere il controllo del Canale di Suez.
Allo stesso modo, il sostegno incondizionato degli Stati Uniti alla colonia sionista è stato consolidato negli anni ’60 al fine di promuovere le ambizioni economiche e politiche americane nella regione durante la Guerra Fredda. Il presidente John F. Kennedy pose fine all’embargo americano sulle armi con il regime sionista nel 1961, legò gli interessi di sicurezza delle due colonie e stabilì la loro “relazione speciale”. Sebbene il sostegno americano al regime sionista sia stato oggetto di una breve incertezza (ad esempio, nel 1975, il rifiuto del regime sionista di accettare i termini di un’iniziativa americana per la distensione con l’Egitto portò gli Stati Uniti ad annunciare la sospensione delle spedizioni militari fino alla capitolazione di Israele), la promozione da parte di Israele degli interessi americani nella regione divenne una pietra miliare della sua identità nazionale. Nel 1986, il senatore americano Joe Biden dichiarò apertamente: “Se non ci fosse Israele, dovremmo inventarlo”. Quarantasette anni dopo, come presidente degli Stati Uniti, ha ripetuto le stesse identiche parole al presidente del regime sionista, Isaac Herzog, che ha risposto: “È fantastico”.
È chiaro che non esistono atrocità, prove inconfutabili o designazioni legali o morali in grado di convincere i leader occidentali a cambiare rotta. Altre immagini e filmati di bambini assassinati (come se 20.000 non fossero sufficienti), altre dichiarazioni pubbliche dei politici sionisti che intendono sterminare i palestinesi (come se le loro dichiarazioni dell’8 ottobre 2023 e le azioni corrispondenti non fossero sufficienti), prove più chiare che il sostegno militare, economico e diplomatico occidentale alimenta il genocidio (come se i politici occidentali non ne fossero già ben consapevoli), non provocheranno alcun cambiamento.
Né il genocidio, né la fame, né la pulizia etnica, né l’occupazione, né la sottomissione con apartheid del popolo palestinese sono un prezzo troppo alto da pagare per l’élite occidentale; i benefici politici ed economici che traggono dalla colonia sionista superano di gran lunga il valore che attribuiscono alla vita dei palestinesi.
Aumentare il costo del sostegno al genocidio
Coloro che lottano per la giustizia e la liberazione dei palestinesi devono tenere conto di questa realtà, poiché non sarà mai sufficiente concentrarsi semplicemente sul convincere l’opinione pubblica che i palestinesi meritano giustizia e liberazione. Una campagna molto più efficace a favore dei palestinesi deve rendere più costoso che redditizio sostenere il regime sionista. Questo è il motivo per cui la repressione più dura del movimento di solidarietà con la Palestina in Occidente è stata diretta contro Palestine Action – ora proscritta come organizzazione terroristica con una mossa senza precedenti da parte del governo britannico, per cui i sostenitori rischiano pene detentive estreme – poiché sono stati in grado di mobilitare un numero consistente di persone per distruggere equipaggiamenti militari e minacciare i margini di profitto che sostengono l’appoggio occidentale alla colonia sionista.
Altrove, anche coloro che hanno fatto tremare le gabbie delle istituzioni d’élite – università, ospedali, agenzie di comunicazione e aziende tecnologiche – sono stati repressi. Microsoft ha recentemente licenziato quattro dipendenti per aver protestato contro l’uso diretto della sua tecnologia contro i palestinesi – aggiungendosi ad altri dipendenti licenziati all’inizio dell’anno – e secondo quanto riferito sta collaborando con l’FBI per rintracciare altri manifestanti.
Le università, in particolare negli Stati Uniti, negano i diplomi ai manifestanti e chiamano la polizia per picchiare e arrestare i propri studenti. Gli operatori sanitari sono stati licenziati, sospesi e indagati per aver espresso solidarietà ai palestinesi e per aver denunciato la complicità istituzionale nei crimini del regime sionista. Le istituzioni mediatiche hanno preso di mira coloro che hanno denunciato il loro modo di operare come estensione della lobby sionista e hanno soppresso le notizie che smascherano la misura in cui gli interessi politici ed economici occidentali sostengono direttamente il sionismo.
Una repressione di così ampia portata è direttamente correlata all’impatto dirompente di questi sforzi sulle strutture di produzione economica e culturale che sostengono l‘appoggio incondizionato dell’Occidente alla colonia sionista.
All’interno dei sistemi di potere globali valgono le stesse regole: la critica al regime sionista è consentita fintanto che non rappresenta una minaccia tangibile alle strutture di produzione economica e culturale che lo preservano. A titolo illustrativo, la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese ha condannato apertamente i crimini del regime sionista sin dalla sua nomina nel maggio 2022, eppure l’amministrazione statunitense ha deciso di imporle sanzioni solo dopo che ha pubblicato un rapporto che nominava alcune delle più grandi aziende che sostengono la colonia sionista e amplificava le richieste di un boicottaggio globale.
Coloro che cercano giustizia e liberazione in Palestina devono guardare oltre le testimonianze, le conferenze e i rapporti che percepiscono l’inazione come una questione di mancanza di consapevolezza o comprensione. Dobbiamo invece puntare a un’interruzione tangibile delle strutture della produzione economica e culturale sionista.
Il minimo indispensabile per farlo è il boicottaggio individuale e collettivo delle aziende, delle agenzie di comunicazione e delle altre istituzioni che traggono profitto dalla colonia sionista e dalla sua logica genocida di eliminazione del popolo palestinese, e che quindi la sostengono. Oltre al boicottaggio, esistono una moltitudine di strategie di escalation e varie forme di azione diretta, e a tal fine deve esserci un numero sufficiente di noi disposti a pagare un prezzo nella lotta per la nostra liberazione collettiva.
Layth Hanbali è ricercatore presso l’Istituto di Studi sulla Palestina e dottorando presso la Libera Università di Bruxelles.
James Smith è docente di studi umanitari presso l’University College di Londra e medico d’urgenza. Ha lavorato a Gaza come medico durante il genocidio in corso di Israele.
Traduzione a cura di AssopacePalestina
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