
Via Bibulo
Comune-info - Thursday, July 24, 2025
Martedì 22 luglio a Roma il Consiglio comunale ha deciso di acquistare uno stabile nel quartiere di Cinecittà, in Via Bibulo, per aggiungerlo al proprio patrimonio abitativo, trasformando così un centinaio di appartamenti occupati in case popolari. Il tutto a un costo molto vantaggioso (ventidue milioni di euro), che rapidamente rientreranno nelle casse comunali attraverso i canoni d’affitto, e che anzi in un tempo ravvicinato produrranno perfino una rendita.
Al di là dell’efficacia della procedura, che se estesa e moltiplicata ridurrebbe sensibilmente la pressione dell’emergenza alloggiativa a Roma, e non solo quella cronicizzata negli edifici occupati, la decisione di riguarda un palazzo che ha una storia particolare. Mi prendo qualche riga per raccontarla, perché penso possa rappresentare una felice esemplarità.
Nella primavera del 2005, vent’anni fa, l’allora X Municipio decise di requisire quello stabile e vi sistemò centinaia di senzacasa, che altrimenti avrebbero continuato a vivere in strada. La cosa suscitò un gran clamore, immobiliaristi e palazzinari si allarmarono quanto non mai e la loro stampa di complemento pubblicò pagine e pagine scandalizzate e intimidatorie. Io stesso venni attaccato e minacciato con svariate canagliate. Com’era pressoché scontato venni denunciato (Sandro Medici era l’allora Presidente del Municipio X, ndr) per abuso di potere, reato oggi allegramente abolito, e a lungo perseguito con richieste di danni finanziari per svariati milioni di euro.
Grazie a queste denunce venimmo a scoprire chi fosse il proprietario dello stabile di Via Bibulo. Era un monsignore che viveva e lavorava in Vaticano. Successivamente, in occasione di altre requisizioni, c’imbattemmo in altri proprietari, un detenuto nel carcere di Isernia per reati di camorra, una contessa che aveva la sua residenza nel Principato di Monaco, ecc.
In sede penale venni assolto in tutt’e tre i gradi di giudizio: i giudici riconobbero il mio diritto a requisire immobili vuoti e inutilizzati e non riscontrarono alcun dolo da parte mia. Più lunga e tormentata fu invece la causa civile per il risarcimento delle mancate rendite immobiliari, ma anche in quel caso l’assoluzione fu piena. Non finirò mai di ringraziare i miei due compagni avvocati, Lucentini e Grimaldi. Ma l’aspetto più interessante che emerse da questa lunga ricaduta giudiziaria è che, in condizioni di emergenza sociale, venne confermata la congruità del ricorso alla requisizione: strumento giuridico che può essere usato dai sindaci o dai prefetti.
Nel frattempo, per venti lunghi anni, le famiglie beneficiarie dalla requisizione si “barricarono” nel loro diritto, benché la validità dell’ordinanza municipale si esaurì nel tempo. La loro fu una lotta di strenua resistenza, che non cedette di un millimetro lungo le varie compravendite dello stabile, con le relative minacce, intimidazioni e ingannevoli lusinghe. Restarono unite e non furono sgomberate. Tutto questo fino a ieri. Da oggi in poi potranno finalmente godere appieno del loro diritto a restare in quelle case.
Quando ripenso a questa vicenda, mi torna sempre in mente una battuta consolatoria che mi rivolse uno dei senzacasa all’indomani della requisizione: “Al sindaco La Pira l’hanno fatto beato, a te, preside’, te volevano manda’ in galera”.
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