
L’annuncio dell’apertura dei cantieri per il Ponte sullo Stretto, previsto per l’estate, è stato accolto da vivaci reazioni in Sicilia. A poche centinaia di metri dalla Prefettura di Messina, dove il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha incontrato rappresentanti istituzionali e Pietro Ciucci, amministratore delegato della società incaricata della realizzazione, un largo gruppo di attivisti “No Ponte” ha organizzato un sit-in di protesta. Insieme a loro, alcuni rappresentanti della CGIL hanno espresso preoccupazioni condivise.
Durante il raduno, sono emersi importanti interrogativi sul futuro del territorio dello Stretto di Messina, evidenziando la necessità di tutelare un ambiente unico e delicato. Tra i vari interventi, hanno suscitato attenzione le parole di un’anziana signora di novant’anni, che, dall’alto della sua esperienza, ha affermato: “Un’opera che non sarà mai ultimata. Stravolgeranno l’ambiente”. Queste parole, capaci di suscitare un sorriso e una riflessione, richiamano l’importanza di considerare con attenzione le implicazioni ambientali e operative di un progetto di tale portata.
Invero, mentre i sostenitori del Ponte sullo Stretto presentano l’opera come un simbolo di progresso e modernizzazione, una critica giornalistica suggerisce che questa visione potrebbe mascherare realtà più complesse. Gli argomenti a favore dell’infrastruttura includerebbero vantaggi economici, come la creazione di posti di lavoro e la crescita del turismo, insieme al miglioramento dei collegamenti tra Sicilia e continente. Tuttavia, un’analisi più approfondita solleva alcune riserve significative.
Molti critici hanno espresso dubbi sul fatto che la promessa di sviluppo economico associata al progetto del ponte possa non tradursi in benefici distribuiti equamente. In primo luogo, infatti, una preoccupazione riguarda l’effetto a lungo termine sulle piccole economie locali, che potrebbero essere soffocate da un’infrastruttura che favorisce i grandi investitori e il turismo di massa, piuttosto che sostenere la crescita organica e sostenibile delle comunità esistenti.
In passato, grandi opere infrastrutturali non sempre hanno portato la prosperità prevista alle comunità locali. Inoltre, la sostenibilità ambientale sostenuta dai promotori del progetto è stata messa in discussione. Gli esperti avvertono che le misure ideate per mitigare l’impatto sugli ecosistemi potrebbero non essere sufficienti a compensare i danni provocati dalla costruzione e dall’operatività del ponte. Rischiando di deturpare un patrimonio ambientale dalla bellezza inestimabile e tra i più ricchi di biodiversità.
La storia ha dimostrato che le grandi opere infrastrutturali, spesso presentate come strumenti di crescita economica, generano ricchezza in modo diseguale. I benefici attesi – come posti di lavoro, turismo, e crescita economica – potrebbero rivelarsi temporanei o concentrati nelle mani di pochi, mentre le comunità locali, come già detto, potrebbero subirne gli effetti collaterali: speculazione, gentrificazione e perdita di identità. Se il progresso non è inclusivo, rischia di essere un altro nome per lo sfruttamento.
C’è anche il paradosso della mobilità da considerare. Un ponte che unisce due terre potrebbe, paradossalmente, allontanarle dal loro futuro. Un aumento del traffico veicolare non solo potrebbe intensificare l’inquinamento atmosferico e acustico, ma trasformare lo Stretto in un semplice corridoio di transito, piuttosto che in un vero e proprio luogo di vita. La modernità, se ridotta solo ad accelerazione dei flussi, rischia di cancellare il valore della contemplazione e della relazione con il territorio.
Sorge quindi una domanda essenziale: cosa significa realmente “avanzare”? Se il progresso viene misurato solo in termini di chilometri percorsi e crescita del PIL, il ponte potrebbe essere considerato un successo. Tuttavia, se lo valutiamo in termini di benessere diffuso, tutela del patrimonio naturale e qualità della vita, il bilancio diventa più incerto. Forse il vero progresso non risiede nel costruire ciò che è tecnicamente possibile, ma nel scegliere ciò che è eticamente sostenibile.