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Una Rete di Comunità di Patrimonio in difesa dello Stretto di Messina
A fine giugno, presso Capo Peloro, si è tenuta l’assemblea della Rete delle Comunità di Patrimonio del Territorio dello Stretto Sostenibile, coordinamento che si è costituito da pochi mesi con l’obiettivo di valorizzare e salvaguardare il patrimonio culturale e ambientale dell’area e che racchiude diverse realtà che operano sulla sponda siciliana e su quella calabrese Una Rete di Comunità di Patrimonio in difesa dello Stretto di Messina. Si è tenuta lunedì 30 giugno 2025 l’Assemblea della Rete delle Comunità di Patrimonio del Territorio dello Stretto Sostenibile a Capo Peloro presso Casa Cariddi, luogo che nasce come presidio No Ponte. La rete e il Ponte La Rete si occupa di patrimonio culturale e non può prescindere dall’affrontare la lotta contro il ponte perché il ponte non è sostenibile. Il ponte diviene l’emblema di una narrazione coloniale poiché viene presentato come un’opera epocale, destinata a “modernizzare” e “collegare” il Sud al resto d’Italia e all’Europa. Secondo questa retorica il territorio considerato “arretrato” viene “salvato” o “integrato” grazie all’intervento di una forza esterna, in questo caso lo Stato centrale. Il Ponte è un feticcio mediatico, una vetrina politica e rappresenta grossi interessi economici che non tengono in considerazione le comunità locali. La Rete Sostenibile delle Comunità di Patrimonio del Territorio dello Stretto è fatta proprio dalle stesse persone che vengono escluse da queste scelte. Ed è un’alternativa a questa logica top-down e con la varietà delle realtà che vi appartengono ci mostra un sud perfettamente in grado di autodeterminarsi. Al suo interno si discute di una “vertenza Sicilia-Calabria” che è la rivendicazione condivisa di un altro modello di sviluppo, contro le politiche estrattive e colonizzatrici del centro e si figura come una lotta collettiva per i diritti e le risorse del territorio. La Rete crede nell’opportunità di creare un Parco Nazionale dello Stretto che significherebbe riconoscere e proteggere uno dei territori più straordinari d’Italia – tra Sicilia e Calabria, dove si incontrano ecosistemi terrestri e marini unici, paesaggi culturali millenari, corridoi migratori per uccelli – ma anche un modello turistico sostenibile. Lunedì 30 giugno al centro dell’incontro anche la candidatura del territorio dello Stretto come Patrimonio UNESCO: “Lo Stretto non è un corridoio da attraversare, ma un ecosistema da rispettare ed un paesaggio culturale avendo ispirato miti greci e letteratura. Può diventare Patrimonio dell’Umanità, perché è già patrimonio delle nostre comunità, della nostra memoria, delle nostre specie viventi.” L’esperienza di due delle Comunità di Patrimonio dell’ultimo anno a Messina Si è parlato poi dell’esperienza di due delle Comunità di Patrimonio che si sono costituite nell’ultimo anno a Messina.   La comunità di Patrimonio Paesaggio oltre Forte che nasce nell’ambito del progetto di Italia Nostra Minore. Un ‘Faro’ sul patrimonio culturale e si colloca al Forte San Jachiddu coinvolgendo oltre ad Italia Nostra anche l’Associazione Parco Ecologico San Jachiddu, Legambiente Messina, Il cantiere dell’Incanto, Lunaria e la Libreria Colapesce. Questa comunità nasce per guardare lo Stretto non da lontano, come da un ponte sospeso, ma da dentro: dal margine, dal sentiero, dalla costa, dalla comunità. È uno sguardo laterale e profondo, che ricuce ciò che l’ingegneria vuole spezzare: il rapporto tra chi abita e ciò che è abitato. La comunità di Patrimonio Al di qua del faro racconta di un luogo liminale, marginale e al tempo stesso centrale nella memoria collettiva e nella geografia emotiva dello Stretto. La comunità che riscopre gli approdi storici rappresenta una pratica di riappropriazione del territorio e della storia, capace di contrastare le retoriche dominanti della disconnessione, del ponte e della verticalità del potere. Le esperienze delle realtà in zona sud Durante l’assemblea è stato dato spazio alle esperienze delle realtà attive in zona Sud, territorio che sta già per subire gli effetti delle presunte compensazioni del ponte come l’esproprio di Villa Pugliatti e l’agrumeto storico che la circonda. Il Comitato ex Sanderson, che nasce per riattivare la memoria e lo spazio dell’ex stabilimento Sanderson di Messina, luogo carico di storia sociale, economica e culturale, oggi in stato di abbandono. Corti di sera che fa rivivere ogni anno il bellissimo Borgo di Itala con un festival di cortometraggi a cui dall’anno scorso si è aggiunta anche l’esperienza di Accussì, Festival per gli occhi che si tiene nella piazza San Nicola di Giampilieri, villaggio della zona sud del Comune di Messina.  La Rete delle Comunità di Patrimonio del Territorio dello Stretto Sostenibile come luogo aperto La Rete delle Comunità di Patrimonio del Territorio dello Stretto Sostenibile è permeabile, aperta al confronto e continuerà a dialogare per annodare tutti i nodi e rafforzare la maglia tessendo con cura una realtà che non solo resiste ma crea, non solo si oppone ma propone, non fa muro ma apre varchi. Venera Leto – Italia Nostra Messina Forum Salviamo il Paesaggio
Eco-acquario di Messina: riflessioni e perplessità
A giugno 2025 il Consiglio Comunale di Messina ha approvato, quasi all’unanimità, un ordine del giorno che impegna l’amministrazione a includere, tra le infrastrutture compensative del ponte, un Grande “Eco-Acquario” dello stretto. L’idea è quella di realizzare un Polo Scientifico Internazionale, all’interno di un’ampia area verde chiamata Parco Blu delle Sirene, situata nella strategica zona falcata di Messina con architetture ispirate alla biodiversità marina: forme evocative di stelle marine, ricci, meduse.  Siamo ancora lontanissimi dall’affidamento della progettazione esecutiva, eppure, i rendering naïf circolanti tradiscono già un aspetto un po’ vintage.  Un po’ lo stesso effetto che fa l’edificio del   Pala cultura della città, progettato dagli architetti D’Amore e Basile nel 1975, ma inaugurato solo nel 2010. D’altronde il fascino attrattivo degli acquari risale agli anni ’90: quello di Genova è stato inaugurato nel 1992, quello di Barcellona nel 1995, quello di Valencia nel 2002. Già in ritardo, nel 2009, arriva il concorso per quello di Reggio Calabria vinto da Zaha Hadid e non ancora realizzato.  Nel frattempo, qualcosa sarà pure cambiato.   Ma soffermiamoci sulla filosofia dell’Eco-Acquario”: perché anche quando ci troviamo nella fase di immaginare una “Visione” possibile per le nostre città non riusciamo ad abbandonare l’ottusa posizione antropocentrica? Dall’acquario progettato da Renzo Piano, le cose sono profondamente cambiate: oggi circa il 60 % degli stock ittici nel Mediterraneo sono ancora sovrasfruttati e circa il 75 % delle malattie infettive emergenti  come SARS, aviaria, suina, Ebola e persino COVID-19 derivano da spillover di virus da animali all’uomo, spesso da allevamenti intensivi o wet market. Gli allevamenti ittici sono ancora in fase di regolamentazione poiché spesso sono mal gestiti e provocano fonti di inquinamento, malattie e perdita di biodiversità. Il termine “eco acquario” può essere visto dunque come un paradosso, soprattutto se lo si guarda con una lente critica, antispecista e ambientalista. È un po’ lo stesso paradosso che sottende il concetto di “pesca sostenibile”: quale pesca può essere sostenibile? non esiste pesca sostenibile per chi viene ucciso! Soprattutto in una condizione di iper-sfruttamento dei nostri fondali.  Ci nascondiamo dietro il greenwashing, a volte anche ingenuamente perché la nostra cultura è fortemente intrisa di specismo. Ma proviamo a spezzare certe abitudini antropocentriche e fermiamoci a riflettere: davvero la cosa migliore che possiamo fare per valorizzare la biodiversità è progettare una prigione a forma di Riccio?  Quando impareremo che gli animali sono “soggetti di una vita” e non nostri strumenti che sia per intrattenimento o profitto? Anche L’approccio progettuale dovrebbe cambiare rotta e prendere consapevolezza della nostra contemporaneità adottando un approccio antispecista che riconosca in questo caso, la sensibilità dei pesci, il loro valore intrinseco e i limiti ecologici reali: -l’ambiente acquatico, infatti, è ancora più difficile da replicare rispetto alla terraferma: bisogna simulare corrente, pressione, stimoli sensoriali, temperatura e le interazioni sociali sono spesso completamente distorte; -i pesci sono tra gli animali più trascurati moralmente pur essendo scientificamente riconosciuti come senzienti. I pesci sono infatti le vittime numericamente più uccise al mondo: si stima tra 1.000 e 3.000 miliardi di pesci all’anno (pesca + allevamenti). Una delle motivazioni è che si tratta di una specie anatomicamente molto distante dagli esseri umani: non hanno zampe, peli, occhi espressivi, vocalizzazioni udibili o interazioni visive familiari e questo rende più facile l’oggettivazione per cui spesso non sono completamente inclusi nelle regolamentazioni sul maltrattamento o benessere animale. Per questo motivo vengono uccisi attraverso torture che non sono immaginabili su altre specie: asfissia lenta all’aria, congelamento da vivi, sventramento da vivi, pescati sportivamente e lasciati morire lentamente dopo un’agonia. Eppure, la maggior parte della gente non ha consapevolezza che ciò accade. Addirittura, molti vegetariani decidono di continuare a mangiarli. I pesci sono “muti” ma non perché non hanno voce ma perché siamo noi che ci rifiutiamo di ascoltare continuando a commettere ingiustizie ai loro danni; -molti animali marini muoiono durante la cattura e il trasporto prima ancora di arrivare negli acquari e anche quando vi arrivano gli acquari sono delle vere e proprie prigioni acquatiche dove gli animali muoiono lentamente per noia e stress. Tutto quanto elencato è un dato di fatto e non esistono approcci ecologici che possano compensare. Perché non immaginare, invece, un’alternativa all’acquario mantenendo gli obiettivi educativi, scientifici ed ecologici ma senza utilizzare animali in cattività? Perché non immaginare delle aree marine protette dove gli animali vivano liberi nel loro habitat, non disturbati da umani? Perché non immaginare delle esperienze sensoriali progettate attraverso la tecnologia (realtà aumentata, simulazione 3D)? Perché non immaginare dei santuari per proteggere davvero le specie in pericolo e la biodiversità? Perché non immaginare centri di formazione   e di educazione alla biologia marina ma anche all’empatia raccontando le storie di animali salvati e cooperando con ONG?  Chiudere un pesce in una vasca non è un gesto neutro: è l’espressione di un mondo che separa, riduce e domina. Ma nel mondo-tutto, ogni vita è legata alle altre. E finché ci ostiniamo a osservare la natura attraverso il vetro del possesso, continueremo a distruggere ciò che diciamo di preservare. Redazione Sicilia
L’annuncio dell’apertura dei cantieri per il Ponte sullo Stretto, previsto per l’estate, è stato accolto da vivaci reazioni in Sicilia. A poche centinaia di metri dalla Prefettura di Messina, dove il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha incontrato rappresentanti istituzionali e Pietro Ciucci, amministratore delegato della società incaricata della realizzazione, un largo gruppo di attivisti “No Ponte” ha organizzato un sit-in di protesta. Insieme a loro, alcuni rappresentanti della CGIL hanno espresso preoccupazioni condivise. Durante il raduno, sono emersi importanti interrogativi sul futuro del territorio dello Stretto di Messina, evidenziando la necessità di tutelare un ambiente unico e delicato. Tra i vari interventi, hanno suscitato attenzione le parole di un’anziana signora di novant’anni, che, dall’alto della sua esperienza, ha affermato: “Un’opera che non sarà mai ultimata. Stravolgeranno l’ambiente”. Queste parole, capaci di suscitare un sorriso e una riflessione, richiamano l’importanza di considerare con attenzione le implicazioni ambientali e operative di un progetto di tale portata. Invero, mentre i sostenitori del Ponte sullo Stretto presentano l’opera come un simbolo di progresso e modernizzazione, una critica giornalistica suggerisce che questa visione potrebbe mascherare realtà più complesse. Gli argomenti a favore dell’infrastruttura includerebbero vantaggi economici, come la creazione di posti di lavoro e la crescita del turismo, insieme al miglioramento dei collegamenti tra Sicilia e continente. Tuttavia, un’analisi più approfondita solleva alcune riserve significative. Molti critici hanno espresso dubbi sul fatto che la promessa di sviluppo economico associata al progetto del ponte possa non tradursi in benefici distribuiti equamente. In primo luogo, infatti, una preoccupazione riguarda l’effetto a lungo termine sulle piccole economie locali, che potrebbero essere soffocate da un’infrastruttura che favorisce i grandi investitori e il turismo di massa, piuttosto che sostenere la crescita organica e sostenibile delle comunità esistenti. In passato, grandi opere infrastrutturali non sempre hanno portato la prosperità prevista alle comunità locali. Inoltre, la sostenibilità ambientale sostenuta dai promotori del progetto è stata messa in discussione. Gli esperti avvertono che le misure ideate per mitigare l’impatto sugli ecosistemi potrebbero non essere sufficienti a compensare i danni provocati dalla costruzione e dall’operatività del ponte. Rischiando di deturpare un patrimonio ambientale dalla bellezza inestimabile e tra i più ricchi di biodiversità. La storia ha dimostrato che le grandi opere infrastrutturali, spesso presentate come strumenti di crescita economica, generano ricchezza in modo diseguale. I benefici attesi – come posti di lavoro, turismo, e crescita economica – potrebbero rivelarsi temporanei o concentrati nelle mani di pochi, mentre le comunità locali, come già detto, potrebbero subirne gli effetti collaterali: speculazione, gentrificazione e perdita di identità. Se il progresso non è inclusivo, rischia di essere un altro nome per lo sfruttamento. C’è anche il paradosso della mobilità da considerare. Un ponte che unisce due terre potrebbe, paradossalmente, allontanarle dal loro futuro. Un aumento del traffico veicolare non solo potrebbe intensificare l’inquinamento atmosferico e acustico, ma trasformare lo Stretto in un semplice corridoio di transito, piuttosto che in un vero e proprio luogo di vita. La modernità, se ridotta solo ad accelerazione dei flussi, rischia di cancellare il valore della contemplazione e della relazione con il territorio. Sorge quindi una domanda essenziale: cosa significa realmente “avanzare”? Se il progresso viene misurato solo in termini di chilometri percorsi e crescita del PIL, il ponte potrebbe essere considerato un successo. Tuttavia, se lo valutiamo in termini di benessere diffuso, tutela del patrimonio naturale e qualità della vita, il bilancio diventa più incerto. Forse il vero progresso non risiede nel costruire ciò che è tecnicamente possibile, ma nel scegliere ciò che è eticamente sostenibile. MESSINA, 30 MAGGIO 2025 Redazione Sicilia