Neet a chi?

Comune-info - Wednesday, May 21, 2025

Ci sono domande sul senso del vivere in questo tempo di inquietudine e sulla società che costruiamo ogni giorno che vengono continuamente rimosse oppure che ci ostiniamo a voler interpretare con strumenti che servono a poco. L’espressione Neet, ad esempio, si sfalda facilmente se partissimo col definire quali sono i lavori formali a cui avrebbe accesso una larga parte dei cosiddetti Neet – persone con storie di vita, attitudini, volontà e passioni molto diverse tra loro -, nel momento in cui decidessero, per usare una metafora insopportabile ma molto gettonata, di alzarsi dal divano. Le cose certe sono due e sarebbero sufficienti per cominciare a pensare diversamente. La prima: una quota difficilmente quantificabile di giovani, abbandonati gli studi, non si rivolge né alle forme più o meno tradizionali di occupazione per formare il reddito di cui ha bisogno, né alla formazione professionale per ottenere le informazioni che servono a quello scopo. La seconda: Neet non rappresenta un acronimo in cui i supposti appartenenti si riconoscono

Foto di Nilde Guiducci

Entrato ormai da anni nel vocabolario comune del mercato e delle politiche del lavoro, il termine Neet serve a indicare una persona (solitamente giovane) che non lavora, non studia e non è nella formazione professionale (Not in employment, education and training). Quello che si intende fare in questo articolo è dare alcune informazioni generali sul rapporto tra giovani e lavoro in Liguria nella prima parte e a problematizzare il termine Neet nella seconda, proponendo di spostare l’attenzione su aspetti che vengono giudicati di grande attinenza con quanto si propone di discutere.

Il quadro delle previsioni di entrate nel lavoro di giovani fino ai 29 anni1 viene descritto nella prima tabella. Tali previsioni si concentrano nelle prime due professioni, calando sensibilmente nelle successive, e ancor più nelle tantissime che non sono riportate nella tabella. Le più richieste sono professioni che, in termini generali, vivono di stagionalità, che fanno quindi della flessibilità la propria condizione di esistenza. Non a caso, tra le competenze richieste, c’è il predominio assoluto di flessibilità e adattamento, relegando a un ruolo marginale tutte le altre. La difficoltà di reperimento degli addetti che si vorrebbe introdurre (seconda tabella) indica come quella modalità lavorativa sia poco apprezzata, anche perché dietro il termine flessibilità si presentano, in forma neppure troppo celata, altre caratteristiche del modello di lavoro proposto.

Se guardiamo alle tipologie di contratto dei giovani avviati nel 20242, vediamo il peso che hanno sul totale le varie forme di lavoro cosiddetto atipico, che atipico ormai non è più da molto tempo. Anzi, considerando il fatto che delle oltre 76.000 persone avviate con meno di 29 anni meno di 7.000 hanno avuto un contratto a tempo indeterminato, se c’è un contratto atipico, oggi, è proprio questo.

La domanda di lavoro descritta in queste prime righe si rivolge a una corrispondente offerta di lavoro. Le due definiscono insieme uno specifico mercato del lavoro. È uno dei tanti mercati del lavoro, forse il più esteso in termini numerici, il meno qualificato, quello che offre retribuzioni più basse, contratti e condizioni lavorative meno appetibili. Detto in altri termini, è il mercato del lavoro di coloro, tra i giovani, che vengono ritenuti economicamente e culturalmente più adatti a ricoprire incarichi di quel tipo. In modo meno diplomatico, a coloro che vengono giudicati più ricattabili, perché privi di esperienza, con livelli più bassi di scolarizzazione, con alle spalle famiglie non abbienti, o appartenenti alle cosiddette categorie fragili. Stiamo parlando di lavori che richiedono, a fronte di condizioni lavorative discutibili e contenuti qualitativi bassi, un elevato livello performativo, un investimento emozionale, una valorizzazione di quello che viene chiamato ormai da decenni “capitale umano”, il nostro, quello che ci fa, o ci dovrebbe far sentire, delle aziende mononucleari, percepire e agire come “imprenditori di se stessi”. Gestirsi, valorizzarsi, superarsi, non porsi limiti, ma, per favore, senza mettere in discussione quelle condizioni di lavoro.

È sufficiente questo per spiegare il fenomeno dei Neet come insieme di persone che rifiutano quel modello lavorativo? No, serve solo a definire a quali lavori formali avrebbe accesso una larga parte dei Neet, nel momento in cui decidessero, per usare una metafora molto gettonata ma da rifiutare in toto, di alzarsi dal divano.

L’altra variabile che interagisce con il fenomeno Neet è costituita dalle classificazioni ufficiali, che definiscono un occupato, un disoccupato, uno studente o un formando sulla base di parametri fissi e stabiliti ormai da lungo tempo (la condizione di occupato venne elaborata all’inizio degli anni ’50, con qualche recente modifica che non ne ha cambiato il senso), nonostante i profondi cambiamenti intercorsi. Anche i Servizi per le politiche attive del lavoro definiscono le azioni da intraprendere sulla base di strategie e obiettivi che non sempre (mi tengo largo) prendono in considerazione le mutate caratteristiche del rapporto tra vita, lavoro, reddito, progetti e futuro che interessano una quota molto importante di giovani, ben al di là di quelli rientranti nella categoria di cui si sta trattando.

Ma questo ancora non basta a descrivere il quadro generale. Se, a partire dalla fine degli anni Novanta, Internet ha modificato il modo di lavorare su larga scala, è con l’economia delle piattaforme che si registra un ulteriore salto in avanti nel rapporto tra rete e lavoro, in stretta sintonia con l’evoluzione dei rapporti sociali, con la perdita di senso e valore del collettivo e l’acquisizione di centralità dell’individuo. Su quelle piattaforme vengono proposte più o meno piccole, saltuarie opportunità lavorative che non sempre riescono a rientrare nei parametri che vengono usati per classificare l’occupato, ma che interessano una quota significativa di giovani, predominanti tra gli internet users e dove quella percentuale indicata in tabella cresce.

Amazon Mechanical Turk, MelaScrivi, AirB&B, Uber, le piattaforme per la consegna di cibo, per l’”alimentazione” e “pulizia” dei siti e dei motori di ricerca, ecc., consentono al lavoratore di risultare occupato in forme diverse, o anche di non risultare affatto occupato.

Questo senza dimenticare il lavoro non regolamentato, che interessa tutti i settori, dall’artigianato, ai servizi alle aziende, alle persone o agli animali e in cui ritagliarsi forme di produzione di reddito è tutt’altro che impossibile. Un lavoro che molte volte non viene dichiarato da chi lo svolge, per tutti i motivi che si possono facilmente immaginare.

Per non dilungarsi oltre nell’elenco, quello che si vuole sostenere è che, a fronte di classificazioni rigide e obsolete, sulla cui base viene definita una condizione o un’altra, le opportunità di svolgere attività lavorative come via di fuga dalle forme-contratto che abbiamo visto essere più gettonate certamente non mancano.

Una quota difficilmente quantificabile di giovani, abbandonati gli studi, non si rivolge né alle forme più o meno tradizionali di occupazione per formare il reddito di cui ha bisogno, né alla formazione professionale per ottenere le informazioni che servono a quello scopo. Si affidano, in molti casi temporaneamente, ad altre modalità, con altri tempi, sulla base di altre previsioni e priorità.

Da questo momento in poi entrano in campo altri elementi, in diretta conseguenza di quanto detto finora, chiaro, ma che fanno spostare il centro dell’attenzione su altro.

Provando a fare un passo avanti per capire cosa c’è in più, partiamo da una considerazione. A differenza di altri termini usati in passato, che sono serviti per riconoscere e interpellare gli appartenenti a un determinato gruppo sociale, il termine Neet non è nato all’interno di quella categoria di persone. Neet non rappresenta un acronimo in cui i supposti appartenenti si riconoscono, con maggiore o minore trasporto, anche perché non porta con sé certamente un’aurea di illuminazione spirituale. Altre definizioni hanno avuto molta più fortuna, perché scaturite dall’interno, prive, quindi, di un’accezione stigmatizzante: andando a ritroso, nerd, yuppie, punk, hippie, tra le molte che si possono ricordare. Ognuna di queste definizioni descrive una modalità di relazione tra lavoro, vita e linguaggio che muta nel tempo e che produce forme di soggettivazione articolate, tradotte in rappresentazioni identitarie piuttosto chiare e rivendicate.

Allora, se loro non si chiamano Neet, perché li chiamiamo noi Neet? Perché, nell’impossibilità di trovare una modalità assertiva, serviva un termine per unire tre negazioni, riferite a ciò che si suppone essere un soggetto riconoscibile e portatore di una specificità identitaria. Serve a farne un oggetto di studio da parte di chi deve ridurre la complessità di un fenomeno a quello che si riesce a classificare e vedere; oppure che non si riesce a vedere perché è troppo vicino. In questo, una parte non insignificante dei sociologi sono dei veri specialisti.

Qui viene il punto, a mio parere, più interessante: le quattro categorie ricordate (chiamiamole così in attesa di trovare un termine più adatto) si innestavano un tempo sulla relazione che si è detta – lavoro, vita, linguaggio -, producendo forme di esistenza che manifestavano conflitto, antagonismo, adesione, spinta e interiorizzazione psichica nei confronti delle proposizioni socioculturali ed economiche dominanti. Si tratta, in sintesi, di soggettività che si reificano in un’interazione, agonistica o antagonistica, con quelle stesse proposizioni. Da qui, parte l’autoriconoscimento, sulla base di tratti etici, estetici, comportamentali che ne definiscono i contorni e il contenuto, e il conseguente riconoscimento da parte di altri o, in termini lacaniani, dell’Altro, che li interpella, li parla, financo li governa, tramite la produzione di identità.

Le identità infatti, autoriconosciute e riconosciute, sono oggetto di azioni politiche importanti, quelle che vanno sotto il nome di politiche dell’identità. L’obiettivo di tali politiche non è solo, o non è tanto, la produzione e la gestione di identità docili, a-problematiche; deve includere – differenzialmente – identità e rivendicazioni di una qualunque minoranza nelle pratiche discorsive che legittimano e rendono fruibile il sistema di norme da cui quelle politiche dipendono. Questo ha interessato le nostre quattro categorie e le innumerevoli altre che compongono il corpo sociale, la società civile, nel tempo contemporaneo.

La categoria Neet è stata, ed è, oggetto di politiche dell’identità, non potrebbe essere diversamente. Tramite l’assegnazione di un nome vengono classificate persone in modo arbitrario e non riconosciuto dalle stesse. Per evitarne la forclusione, si prevedono azioni di ricerca e d’intervento finalizzate a una inclusione che, a seconda di dove quelle azioni vanno a impattare, presenta vari gradi di differenzialità.

Qual è allora il tratto, se esiste, che connota la categoria Neet, dato che non sembra ci siano prodotti identitari che ne consentano una rappresentazione riconoscibile? Rispondere a questa domanda è tutt’altro che facile, perché in quella categorizzazione rientrano persone con storie di vita, attitudini, volontà e passioni molto diverse tra loro. Persone a cui è stata data un’etichetta identitaria che non li rappresenta, frutto di una politica dell’identità a senso unico, non richiesta e non riconosciuta.

Riprendendo quanto detto all’inizio, la prima connotazione che verrebbe da presentare è il senso di estraneità nei confronti del lavoro, per come è stato inteso da generazioni, e dei percorsi a esso propedeutici; un lavoro che deve offrire determinate garanzie, durante e dopo, per sé e per i propri familiari. Ma non è certo l’unica, ve ne sono altre e altrettanto importanti.

Proviamo a considerare alcune variabili3 tra quelle che hanno scandito l’evoluzione dell’esistenza della grandissima maggioranza dei cittadini, non solo dell’Italia, ma dell’intero Occidente, per un periodo che va dalla seconda rivoluzione industriale alla fine del millennio: carriera, professionalità, pensione, orario di lavoro, tempo di lavoro/tempo di non lavoro nell’arco del quotidiano e in quello della vita, risorse del lavoratore/capitale umano, diritto alla salute, diritto allo studio, cura della famiglia/di sé, fiducia nel futuro, solidarietà, ideologie forti, progresso, risparmio, investimenti, mobilità sociale, senso di appartenenza a un contesto territoriale, a una classe, alla Storia.

Immaginiamo un campione di giovani rappresentativo delle complessità sociale contemporanea, le cui vite vengano declinate all’interno di queste variabili. L’impressione è che affronteremmo non poche difficoltà a spiegare anche solo il significato di alcune di queste.

All’interno delle ben note e ampie trasformazioni nel complesso sistema di relazioni, valori, norme ed enti che compongono la società civile, quelle variabili assumeranno significati diversi rispetto al passato, anche recente. La processualità in cui vivono, fatta di continuità e discontinuità, ne ha modificato profondamente il senso, dando a questo termine un’accezione più ampia rispetto a quella di significato.

È evidente che si sta parlando di qualcosa che va ben oltre i non precisati confini della categoria Neet. Ciò che più interessa è che, tramite questa operazione, saremo in grado di definire la “posizione” di un soggetto che, almeno apparentemente, non lavora, non studia e non è in formazione all’interno di un discorso che prende in considerazione una o più di quelle variabili. Alcune risulterebbero irriconoscibili, altre magari riconoscibili, ma solo come estraneità, altre ancora potrebbero risultare oscene, risibili.

“Posizione del soggetto” nel discorso è il termine chiave. Il discorso non è il prodotto di quel soggetto, ma lo spazio semantico al cui interno egli trova una posizione come “variabile intrinseca”, secondo la definizione di Deleuze. Un discorso che lo precede e lo contiene, che lo classifica. Un discorso che consente di far trasparire gli enunciati che lo innervano, segni inconfutabili del tempo che lo ha prodotto, sulla cui base un soggetto che vi entra parla e viene parlato.

Per concludere, il discorso al cui interno viene inserito il Neet non lo vede attivamente coinvolto. Egli vi prende una posizione come soggetto dell’enunciato (colui di cui si parla), mai come soggetto dell’enunciazione (colui che parla).

Sarebbe fondamentale capire come quel soggetto si collocherebbe nel discorso Neet come “colui che parla”, che posizioni “intrinsecamente variabili” ne deriverebbero. Probabilmente ne otterremmo una gamma molto vasta, in funzione del modo in cui quelle tre negazioni si relazionano con altre, non meno importanti. Sono quelle che interessano, genericamente parlando, chiaro, le condizioni di esistenza di molti giovani. Ci troveremmo a descrivere qualcosa che potremmo definire la crisi irreversibile dei pilastri storico-culturali dell’Occidente gerontocratico.

Non si fanno figli, non si creano famiglie tradizionali, non si fa sesso, non esiste nell’orizzonte di riferimento il futuro come “passione utopica”. Le relazioni (anche quelle erotico-sentimentali) sono e saranno sempre più prevalentemente virtuali; i ragazzini oggi adolescenti sono cresciuti, come ricorda Franco Berardi Bifo, sentendo più le voci riprodotte negli smartphone di quelle delle loro madri. L’ente uomo-macchina sta eliminando pezzo per pezzo l’ingombrante eredità lasciatagli dall’Uomo prodotto dell’umanesimo.

I Neet, come sintomo più che come problema, possono aiutarci a ridefinire, con loro e con tutte le soggettività che prendono forma visibile nelle trame complesse e in costante evoluzione del nostro tempo, il senso di un vivere che ci ostiniamo a voler interpretare con strumenti che servono a poco o nulla. Soprattutto, non servono a capire come proprio quel senso, per una larga parte di chi è nato a cavallo tra i due millenni, stia scomparendo irreversibilmente, sotto i nostri occhi presbiti e miopi, insieme all’Uomo che lo ha prodotto, “come sull’orlo del mare un volto di sabbia”.

1 Per ragioni di spazio, si propongono solo i dati per le professioni che hanno una previsione di minimo 500 entrate nel corso dell’anno. La lista completa è molto più lunga, ed è consultabile nel sito di Excelsior Unioncamere.

2 I dati degli avviati non corrispondono alle previsioni di ingresso, perché raccolti con procedure diverse: da indagine campionaria i primi, da fonte amministrativa i secondi.

3 Secondo la descrizione che ne dà Alquati, “la variabile è una qualunque cosa che in qualche modo sta in una processualità ed è soggetta a trasformazione, è suscettibile di assumere più stati. Muta passando tra più stati, in relazione a qualcosa che la fa mutare”. R. Alquati, Per fare conricerca, Calusca, Padova, 1993, p. 69.

* Ricercatore indipendente e lavoratore nomade. Gestisce il blog di “Transglobal”. La sua ultima pubblicazione collettiva è: La fabbrica del soggetto. Ilva 1958-Amazon 2021 (Sensibili alle foglie, 2023). Collabora saltuariamente con riviste online italiane e lusofone. Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura

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