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Sant’Anastasia ricorda i Caduti della Flobert: nasce una borsa di studio per la sicurezza sul lavoro
Cinquant’anni dopo la tragedia il sacrificio che insegna: presentato il bando “Caduti della Flobert”, un impegno per la memoria e il futuro. Il prossimo lunedì 17 novembre, alle ore 18.00, presso la Biblioteca Comunale di Sant’Anastasia, verrà ufficialmente presentato il primo bando di concorso per l’assegnazione di borse di studio destinate agli studenti delle scuole superiori del territorio che si distinguono per il loro impegno sul tema della sicurezza sul lavoro. L’iniziativa, fortemente voluta e promossa dall’Associazione “Caduti della Flobert” in collaborazione con l’ANPI – sezione di Sant’Anastasia, bandisce il concorso dal titolo: “La sicurezza sul lavoro: valori e norme per costruire un futuro più sicuro.” Ricordare non è solo un atto simbolico, ma un gesto che trasmette valori alle nuove generazioni. Con questa borsa di studio si desidera che il lascito dei caduti della Flobert non resti confinato nei monumenti o nelle cerimonie, ma trovi un riflesso concreto nella formazione e nell’impegno dei giovani. Il sacrificio non deve restare solo un simbolo, ma diventare motore di nuove opportunità. La memoria diventa così progetto per il futuro. Il bando è rivolto agli studenti del triennio di alcune scuole superiori del territorio e mira a costruire un ponte tra memoria e futuro, tra ricordo del passato e fiducia nel domani. Un’iniziativa che unisce ricordo collettivo, valori civici e sostegno ai giovani, come spiega il presidente dell’Associazione, Ciro Liguoro. Gli studenti dovranno valorizzare i temi della memoria, del servizio e della cittadinanza attiva attraverso la produzione di un elaboratore scritto o multimediale, video o documentario, o una presentazione in PowerPoint o Canva del progetto grafico. Le borse di studio saranno tre: il primo premio di 2000 euro, il secondo di 1000 e il terzo di 500. L’iniziativa vuole rendere omaggio ai caduti della Flobert, ma anche a quanti hanno perso la vita in circostanze legate alla mancanza di sicurezza sul lavoro, sostenendo concretamente i giovani nel loro percorso formativo. Nei mesi precedenti, il concorso è stato preceduto da un percorso di formazione sui temi del lavoro, con laboratori e attività condotti da docenti, esperti e volontari. Un modo attivo per trasformare la memoria di una tragedia in un’occasione di formazione, riflessione e impegno civile, diffondendo la cultura della sicurezza, della dignità del lavoro e del diritto alla vita. Sono coinvolti istituzioni, scuole, università, archivi e centri di ricerca storica, impegnati nella documentazione e nel riconoscimento delle vittime attraverso atti concreti: intitolazioni, targhe, spazi pubblici, ma anche eventi e performance teatrali, come lo spettacolo “Vite Infrante”, che intreccia memoria storica, denuncia e formazione dei giovani, perché “il silenzio uccide due volte” e “non c’è futuro senza giustizia”. LA MEMORIA DELLA FLOBERT: UNA FERITA CHE PARLA AL PRESENTE Un impegno dal forte valore emotivo, sociale e storico quello che porta avanti il presidente dell’Associazione, nata per volontà dei familiari delle vittime della strage che, l’11 aprile 1975, cancellò la vita di tredici lavoratori, tutti tra i 20 ei 40 anni. Un gesto che trasmette valori alle nuove generazioni: i caduti rappresentano il sacrificio di chi ha perso la vita sul lavoro, ma anche la speranza di un futuro più giusto. La borsa di studio “Caduti della Flobert” si pone come ponte tra passato e futuro, un segno di rispetto per chi ha perso la vita sul lavoro, ma anche un investimento sui protagonisti di domani. Tramandare la memoria significa, oltre che onorare gli operai caduti, contrastare ogni forma di oblio, mantenendo viva l’attenzione per una cittadinanza attiva, consapevole e ispirata ai valori costituzionali. COS’ERA LA FLOBERT La Flobert era una fabbrica di Sant’Anastasia, a pochi chilometri da Napoli, che produceva proiettili per pistole giocattolo, lanciarazzi e munizioni con polvere pirica. Le condizioni di lavoro erano precarie: lavoratori in nero, grandi quantità di polvere da sparo e cartucce stoccate in modo pericoloso. Il nome richiamava Flobert, inventore francese della cartuccia a percussione anulare. L’11 aprile 1975 l’evento tragico che sconvolse la comunità locale, aprendo una ferita mai rimarginata. Una scintilla innescò la prima deflagrazione, seguita da una seconda, ancora più distruttiva. La fabbrica esplose, causando una devastazione che si estese oltre lo stabilimento, nella campagna vesuviana. Tredici le vittime, tra i 20 ei 40 anni, un solo superstite: Ciro Liguoro, che riportò gravi lesioni. Oggi, Liguoro – allora ventiquattrenne – ha trasformato il dolore in un impegno civile costante, affinché “tragedie come quella della Flobert non si ripetano mai più”. Ogni anno si rinnova la Giornata della Memoria, un monitor sociale per sensibilizzare sul tema della sicurezza sul lavoro, della tutela dei lavoratori e della loro dignità. Sono trascorsi cinquant’anni da quella tragedia: il luogo ei nomi delle vittime sono diventati simboli, non solo di quell’evento, ma di una riflessione più ampia e dolorosa sulla sicurezza, sugli incidenti e sulla dignità del lavoro. Cinquanta anni rappresentano un’enorme distanza in termini di progresso, evoluzione e sviluppo tecnologico. Quella tragedia dovrebbe apparire alla “preistoria” della consapevolezza dei diritti sul lavoro, eppure ancora oggi, nel 2025, la persistenza di incidenti e morti sul lavoro rappresenta una grave e inaccettabile contraddizione della società contemporanea. Nell’epoca in cui la tecnologia, la normativa e la consapevolezza sociale dovrebbero garantire livelli sempre più alti di tutela, la mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro ei numeri drammaticamente alti dei morti sul lavoro di fatto ridurre quella distanza temporale e negano uno dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali: il diritto alla vita e alla dignità del lavoratore. Dietro ad ogni “infortunio” c’è spesso molto più di una fatalità: c’è una catena di responsabilità, scelte economiche sbagliate, carenza di controlli, cultura del profitto ad ogni costo. La sicurezza spesso viene percepita come una spesa superflua. Si aggiunge poi la rete di responsabilità frammentata: appalti e subappalti che diluiscono i doveri e rendono difficile l’individuazione delle responsabilità. Non basta l’indignazione all’indomani dell’ennesima tragedia: servire controlli capillari, formazione continua, cultura diffusa della prevenzione, visione etica del lavoro. La morte di un lavoratore non è solo statistica ma è il fallimento di un intero sistema, perché la sicurezza non è un lusso ma un diritto in un Paese civile. ALCUNI DATI Secondo la International Labour Organization (ILO) ogni anno muoiono nel mondo quasi tre milioni di persone per cause legate al lavoro, incidenti e malattie professionali. Nel contesto dell’Unione Europea i dati registrati al 2023 sono di 3298 morti per incidenti sul lavoro, numero che diventa significativamente più alto se si includono le malattie professionali e le condizioni legate al lavoro come causa di morte. In Italia ogni settimana si contano nuove vittime sul lavoro. Nel 2024 (gennaio–dicembre) l’INAIL ha registrato 797 morti per infortuni sul lavoro (accidenti mortali). Sempre nel 2024, considerando anche il tragitto casa-lavoro, in itinere, il totale supera le 1000 vittime. Nel 2025, nei primi quattro mesi, l’INAIL registra 286 denunce di casi mortali da lavoro. Di queste, 207 in occasione di lavoro (+1,5% rispetto allo stesso periodo del 2024) e 79 in itinere (+29,5%). Sempre nel 2025, da gennaio ad agosto, i casi mortali denunciati sono stati 674, di cui 488 “in occasione di lavoro” (-3% rispetto allo stesso periodo del 2024) e 186 “in itinere” (+8,8%). Per le malattie professionali, per lo stesso periodo del 2025, l’INAIL segnala un incremento delle denunce dell’8,9% rispetto allo stesso periodo del 2024. In particolare, al giugno 2025, i dati indicano che la regione con più vittime “in occasione di lavoro” è la Lombardia con 56 casi. Seguono il Veneto (36), la Sicilia (31), il Piemonte (29) e la Puglia (27). La Campania, da gennaio a oggi, registra 64 casi mortali nei luoghi di lavoro. I dati sono sottostimati perché molte morti non sono registrate come morti sul lavoro e, nei Paesi con sistemi di monitoraggio più deboli, la copertura è più limitata. I settori più a rischio includono agricoltura, costruzioni, industria estrattiva. Una vera emergenza. Nonostante i progressi, quella della sicurezza sul lavoro è un dramma che si ripete con una regolarità intollerabile. La sicurezza sul lavoro non può essere una questione burocratica, ma deve essere un diritto fondamentale. Gina Esposito
Ascoltare i più giovani
-------------------------------------------------------------------------------- In questi giorni arriva al cinema Noi e la grande ambizione, un film nato durante gli incontri che hanno accompagnato la distribuzione di Berlinguer. La grande ambizione. Il nuovo film riflette sulla voglia di cambiare l’ordine delle cose, tra angosce e speranze, che coinvolge tanti giovani in un tempo di profonda crisi della democrazia. In questa intervista Andrea Segre, il regista dei due film, racconta cosa è emerso in quel tour, ragiona su come possiamo imparare ad ascoltare e accompagnare giovani e giovanissimi e suggerisce quale ruolo possono avere le esperienze di comunicazione indipendente come Zalab e Comune. Intanto, come racconta Segre, in collaborazione con Forum Disuguaglianze e Diversità e Campagna Sbilanciamoci nasce Piattaforma solidale: fino al 31 dicembre 2025, per ogni abbonamento alla piattaforma zalabview.org, ZaLab devolve il 50% dei ricavi netti per sostenere il potenziamento e la messa in rete di esperienze e pratiche di giustizia sociale e ambientale, come quelle dei protagonisti del film Noi e la grande ambizione, con attenzione a quelle che si pongono anche lo scopo di legarsi a lotto a livello nazionale e internazionale. L’intervista realizzata da Gianluca Carmosino e Riccardo Trosi per Comune: -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Ascoltare i più giovani proviene da Comune-info.
L’altra America anti-Trump è “socialista democratica”
Ipnotizzati dalle mosse orarie di Trump gli intermediari dell’informazione stanno perdendo di vista ciò che accade negli Stati Uniti. Al massimo, quando proprio si sforzano di immaginare qualcosa per il “dopo Trump”, elaborano nostalgie per il ritorno a prima del crack, sognando – se non proprio un altro Biden – […] L'articolo L’altra America anti-Trump è “socialista democratica” su Contropiano.
Adolescenti: meno cannabis e sigarette tradizionali, ma boom di nicotina elettronica e psicofarmaci
Le abitudini degli adolescenti italiani cambiano e si ridefiniscono i rischi. Diminuisce il consumo delle sostanze illegali classiche come la cannabis, ma prendono forza nuove forme di dipendenza e comportamenti problematici, spesso legati al mondo digitale e a prodotti di nuova generazione. Il misuso di psicofarmaci senza prescrizione medica è sempre più diffuso, specialmente tra le ragazze, e il gioco d’azzardo tocca il suo massimo storico. Il fumo si trasforma, con un progressivo abbandono della sigaretta tradizionale a favore di un policonsumo di dispositivi a base di nicotina. E’ la fotografia scattata dal report ESPAD®Italia 2024 dal titolo “Sotto la superficie – Le nuove sfide dell’adolescenza tra rischi e quotidianità”, curato da Silvia Biagioni, Corrado Fizzarotti e Sabrina Molinaro dell’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifc). Uno studio che prende avvio dal progetto europeo European school Survey Project on Alcohol and other Drugs, che ha coinvolto un campione rappresentativo di 20.201 studenti delle scuole superiori di tutta Italia (15-19 anni), analizzandone consumi, abitudini e comportamenti a rischio. La sigaretta tradizionale lascia il posto al policonsumo. Sebbene l’uso esclusivo di sigarette tradizionali sia in calo, quasi sei studenti su dieci (58%) hanno provato almeno un prodotto contenente nicotina nel corso della propria vita. Accanto alle sigarette classiche, emergono con forza le sigarette elettroniche, utilizzate nell’ultimo anno dal 40% degli studenti, e i prodotti a tabacco riscaldato. Ne deriva un quadro di passaggio verso un consumo diversificato di prodotti, con prevalenze in aumento soprattutto tra le ragazze, e con rischi maggiori di sviluppo di dipendenza da nicotina. Il 2024 segna poi quasi un record negativo per l’uso di psicofarmaci senza prescrizione medica, che raggiunge una delle diffusioni più alte di sempre. A farne uso nell’ultimo anno è stato il 12% degli studenti, con una prevalenza tra le ragazze (16%) doppia rispetto ai ragazzi (7,5%). L’alcol si conferma invece un elemento centrale nella socialità giovanile in Italia: oltre tre quarti degli studenti (76%) ne ha fatto uso nell’ultimo anno. A distanza dal periodo pandemico, preoccupano la risalita del binge drinking tra i ragazzi, e l’abbassamento dell’età della prima intossicazione alcolica, che per una quota crescente di adolescenti avviene prima dei 14 anni. In controtendenza, si intensifica la diminuzione dell’uso di sostanze illegali: i livelli di consumo di cannabis, che resta comunque la sostanza illegale più diffusa, sono oggi più bassi rispetto al passato. Per quanto riguarda il gioco d’azzardo, sia tradizionale sia praticato online, l’indagine evidenzia come abbia raggiunto nel 2024 i livelli più alti di sempre: il 57% degli studenti ha giocato d’azzardo nell’ultimo anno, nonostante la legge ne vieti l’accesso ai minori. L’11% presenta un profilo di gioco definibile “a rischio” o “problematico”. L’universo digitale, inoltre, assume un ruolo sempre più centrale e sensibile nella vita degli adolescenti, con l’uso intensivo della rete, il cyberbullismo e le challenge online che mostrano come le dimensioni reale e virtuale siano ormai profondamente intrecciate. La dimensione digitale assume un ruolo sempre più centrale. L’uso intensivo della rete, il gaming, le sfide online, il cyberbullismo, così come il fenomeno dell’hikikomori, mostrano come reale e virtuale siano ormai profondamente intrecciati. All’interno di questo quadro, anche il gioco d’azzardo, tradizionale e online, ha raggiunto nel 2024 i livelli più alti di sempre e continua a mostrare legami stretti con altri comportamenti a rischio. Il report evidenzia una netta spaccatura territoriale, con un nord che registra un maggior consumo di psicofarmaci senza prescrizione medica, in particolare in Friuli-Venezia Giulia, Lombardia e Veneto. Nel centro Italia emergono invece le prevalenze più elevate per l’uso di sostanze come cocaina e cannabis, soprattutto in Lazio e Umbria. Sud e Isole si confermano le aree con le percentuali più alte di fumatori quotidiani di sigarette tradizionali. La Sardegna, invece, spicca per l’alto consumo di cannabis nella vita. “I dati 2024 ci mostrano un’adolescenza in rapida trasformazione, ha sottolineato Sabrina Molinaro, dirigente di ricerca del Cnr-Ifc e coordinatrice dello studio. Non assistiamo a una diminuzione del rischio, ma a una sua mutazione. Diminuiscono i consumi di sostanze illegali ‘classiche’, ma si rafforzano nuove forme di dipendenza legate alla tecnologia e a prodotti di nuova generazione, dalle sigarette elettroniche al gioco d’azzardo online. Aumenta anche il ricorso a psicofarmaci come forma di automedicazione per gestire ansia e stress. È un quadro che richiede un’alleanza tra scienza, scuola e famiglie per dotare i ragazzi di nuovi strumenti critici e per orientare le politiche di prevenzione verso queste sfide emergenti ”. Qui per scaricare la ricerca Giovanni Caprio
Marocco. Generazione Z 212 e le proteste giovanili: dalle reti digitali alle strade
Nell’autunno del 2025, il Marocco ha assistito a un vasto movimento di protesta guidato dai giovani, che ha riportato al centro del dibattito nazionale questioni fondamentali come la giustizia sociale, i diritti basilari e la legittimità politica. Il movimento – conosciuto come Generazione Z 212, in riferimento al prefisso telefonico […] L'articolo Marocco. Generazione Z 212 e le proteste giovanili: dalle reti digitali alle strade su Contropiano.
Un’Italia cristallizzata nella povertà; a farne le spese stranieri, giovani, operai
Il rapporto Istat pubblicato ieri sui dati riguardanti la povertà nell’anno 2024 parlano di un’Italia che è ormai bloccata in una condizione di povertà che attanaglia una parte importante del paese. Una parte che si allarga, semmai, piuttosto che ridursi, nonostante i proclami e la propaganda del governo. L’istituto di […] L'articolo Un’Italia cristallizzata nella povertà; a farne le spese stranieri, giovani, operai su Contropiano.
Gaza e il clima
Nei molti articoli di “geopolitica” sul futuro di Israele, della Palestina, dell’Ucraina, della Russia, dell’Europa, dell’Occidente che ho avuto occasione di leggere manca un dato di fondo: come sarà il mondo dal punto di vista fisico, climatico, sociale, di qui a 10-20 anni? Avremo tempo e risorse per continuare a fare guerre, fabbricare armi sempre più micidiali, promuovere conflitti, oppure ci dovremo occupare di salvare le nostre case, le nostre città, i nostri territori dai disastri ambientali che si verificheranno sempre più spesso, sempre più intensamente, sempre più diffusamente, con conseguenze, anche economiche, sempre più gravi? Tutti, compresi i negazionisti climatici – e quelli che prestano fede o si lasciano ingannare da loro – sanno che il pianeta tutto e i singoli territori in cui ciascuno di noi vive non saranno più quelli di ora, ma non vogliono occuparsene perché lo considerano un problema troppo grande o troppo difficile da affrontare. Alcuni di noi, abitanti di questo pianeta, ne risentiranno in modo drammatico (alluvioni, tornado, incendi, siccità, ondate di calore, crisi idriche e di approvvigionamenti, innalzamento del livello dei mari e delle temperature, ecc.), altri in modo più lieve, ma alcuni in misura tanto forte da costringerli a cercare la propria sopravvivenza altrove: secondo le previsioni più accreditate, nel corso del secolo, ma a partire da ora (la deadline, quando ancora se ne parlava, era stata posta intorno al 2030…) e dai prossimi decenni, circa la metà degli abitanti del pianeta – 4-5 miliardi di esseri umani – dovrà emigrare verso altri territori, per lo più verso l’emisfero settentrionale, liberato dai ghiacci e dal gelo dal riscaldamento globale. Siamo pronti ad affrontare queste migrazioni epocali? E in che modo? Questo è ciò che manca dalle mappe dei futurologi di governo e dei media, ma che è ben presente nelle menti dei pochi membri dell’élite – soprattutto militari, soprattutto del Pentagono – che si misurano con i dati di fatto. Gli stessi che stanno imponendo una svolta radicale ai bilanci degli Stati, trasferendo quantità sterminate, e apparentemente insensate, di risorse dal sostegno all’esistenza delle rispettive popolazioni alle armi, alla guerra, allo sterminio. Quelle risorse economiche e “umane” oggi indirizzate al “ riarmo” (come se non fossimo già abbastanza armati), ma soprattutto alla militarizzazione delle istituzioni e della società, e composte in misura crescente da strumenti di sorveglianza dual-use, domani saranno utilizzate per cercare di fermare i flussi incontrollati di migranti in cerca della propria sopravvivenza in altre regioni del pianeta. Che fare? Gaza ci ha mostrato tutta la determinazione con cui si è cercato di eliminare da un territorio piccolissimo come “la Striscia”, con una politica di sterminio programmato, una popolazione giudicata superflua o nemica, ma quello era, e forse è ancora, solo un laboratorio. Domani quegli stessi mezzi, sempre più sofisticati e micidiali, potranno essere impiegati per cercare di fermare il flusso dei migranti ambientali e sociali in fuga dalle aree del nostro pianeta diventate invivibili. Se il genocidio del popolo di Gaza ha suscitato l’indignazione e una reazione di massa in molti Paesi, ha dimostrato però di lasciare indifferenti, anzi, accondiscendenti, i loro governi. Ed è di questo che dobbiamo preoccuparci. Per questo c’è stata, e dovrà continuare a esserci, una mobilitazione così ampia per Gaza, soprattutto da parte di una generazione, quella di Greta, già impegnata con alterne vicende nella difesa del clima: una generazione che, a differenza di quelle precedenti, percepisce qual è la posta in gioco di questa tremenda aggressione. Grottesco quindi utilizzare la presenza di uno striscione che inneggiava al 7 Ottobre per attribuirne la condivisione alle decine e centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi che si sono mobilitati contro il genocidio in atto. Ancora più grotteschi gli autodafè dei giornalisti che fino a ieri irridevano i giovani attaccati tutto il giorno ai cellulari e che oggi si accorgono che in tutto il mondo quei giovani i cellulari li usano per informarsi su ciò di cui i massmedia non parlano e per convocare le loro manifestazioni. A novembre si svolgerà a Belém la COP30 per il clima: nient’altro che una sfilata di decine di migliaia (fino a 100mila, come a Sharm-El-Sheikh tre anni fa) di “delegati” – molti della grande industria del petrolio e affini, molti diplomatici ignari dei problemi, ma anche molti esperti della materia resi impotenti dai primi – per fare finta di occuparsi del clima. Ma se non metteranno all’ordine del giorno quello che è il problema centrale dei prossimi decenni, prendendo innanzitutto una netta posizione contro le guerre e le armi che hanno offuscato l’urgenza della lotta per i clima,  quell’incontro sarà nient’altro che una stanca ripetizione delle inutili COP che l’hanno preceduto. Il fatto è che i governi di tutto il mondo si sono dimostrati incapaci di prendere sul serio la minaccia climatica che incombe su tutta l’umanità. Minaccia che può essere affrontata – all’inizio sicuramente in modo inadeguato, ma via via in modo sempre più drastico, e replicabile, mano a mano che i disastri ambientali lo imporranno – solo se verrà presa in mano dalle popolazioni che ne sono colpite: con misure di adattamento alle condizioni sempre più ostiche in cui si verranno a trovare, come si è visto nel corso di molti dei disastri climatici che hanno colpito un territorio negli ultimi tempi. Ma poi anche con misure di prevenzione: tutte – dalla generazione energetica da fonti rinnovabili e diffuse all’alimentazione e all’agricoltura di prossimità, dall’edilizia all’assetto del territorio, dalla mobilità condivisa al contenimento del turismo e dello sport-spettacolo – che potranno avere effetti positivi anche sulla mitigazione, cioè sulla riduzione del ricorso ai combustibili fossili che i governi – e chi li governa – non sanno accettare. E chi, di quelle popolazioni, potrà o si vedrà costretto a prendere l’iniziativa? Sicuramente le nuove generazioni: quelle solo l’altro ieri mobilitate per il clima e oggi per Gaza, ben consapevoli delle ragioni di fondo che le spingono a farlo. Guido Viale
Madagascar. Una rivolta popolare e giovanile contro la povertà e per riforme profonde
Riceviamo e pubblichiamo dal Madagascar la corrispondenza di un lettore di Contropiano La situazione nella capitale Tananarivo è caotica e le notizie ultime parlano del Presidente Andry Rajolina che potrebbe essersi rifugiato nell’ambasciata francese. Poco fa un piccolo aereo proveniente dal Madagascar è atterrato a Mauritius dopo essere stato respinto […] L'articolo Madagascar. Una rivolta popolare e giovanile contro la povertà e per riforme profonde su Contropiano.
Napoli, la Chiesa apre le porte a otto studenti palestinesi: un segno di fraternità concreta
Dalla solidarietà alla concretezza: la Chiesa di Napoli accoglie otto studenti palestinesi grazie al progetto IUPALS e all’impegno del cardinale Battaglia. Mentre i conflitti continuano a scuotere il mondo e la distanza dalle sofferenze altruistiche crescere ogni giorno, la Chiesa di Napoli ha scelto di rispondere con un gesto di speranza: accogliere otto giovani studenti palestinesi, offrendo loro sembra un’occasione reale di rinascita attraverso lo studio e la condivisione. L’iniziativa, voluta dal cardinale Mimmo Battaglia , nasce dal desiderio di rendere la comunità diocesana segno vivo di fraternità, accoglienza e fiducia nel futuro. Il primo ad arrivare in città è Fadi , 28 anni, originario di Gaza City. Dopo un periodo trascorso a Palermo, sarà ora ospitato nella casa canonica della Cattedrale, accolto dai giovani del MUDD – Museo Diocesano Diffuso . Entro la fine di ottobre arriveranno anche gli altri sette studenti, che troveranno ospitalità in diverse strutture dell’Arcidiocesi, grazie alla Caritas di Napoli e alla Fondazione Napoli C’entro . > “Accogliere questi ragazzi significa accogliere la vita che chiede di poter > ricominciare”, > ha dichiarato il cardinale Battaglia. > “È un gesto che racconta chi vogliamo essere: una Chiesa che non alza muri ma > apre porte, che non resta spettatrice del dolore ma si fa compagna di viaggio > di chi cerca un domani possibile.” L’esperienza si inserisce nel più ampio progetto nazionale IUPALS – Università italiane per studenti palestinesi , promosso dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri , del Ministero dell’Università e della Ricerca e del Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme . A Napoli hanno aderito le tre università statali, Federico II , L’Orientale e Parthenope,  che hanno messo a disposizione borse di studio per studenti palestinesi, trovando nella Chiesa partenopea un partner naturale per l’accoglienza e l’accompagnamento umano. UN PONTE TRA NAPOLI E GAZA L’arrivo dei giovani studenti si inserisce in un legame profondo che da tempo unisce la diocesi di Napoli alla comunità cristiana di Gaza, guidata da padre Gabriel Romanelli , parroco della Sacra Famiglia di Gaza , l’unica parrocchia cattolica romana nella Striscia. Nei mesi scorsi, grazie alla generosità di fedeli, parrocchie e associazioni cittadine, la Chiesa di Napoli ha raccolto 63.500 euro destinati alle famiglie più colpite dai bombardamenti: “una goccia di umanità in un mare di crudeltà”, come l’ha definita lo stesso cardinale Battaglia durante la festa di San Gennaro . In quell’occasione, un videomessaggio di padre Romanelli aveva raggiunto i fedeli napoletani, suscitando commozione e preghiera. “ Il sangue è sacro: ogni goccia innocente è un sacramento rovesciato ”, ricorda il cardinale. “ È il sangue di ogni bambino di Gaza che metterei accanto all’ampolla del Santo, perché non esistono ‘altre’ lacrime: tutta la terra è un unico altare. ” LA PACE COME CAMMINO CONDIVISO In comunione con Papa Leone XIV , che sabato 11 ottobre 2025 alle ore 18:00 guiderà in Piazza San Pietro un Rosario per la pace , la Chiesa di Napoli ha invitato tutte le parrocchie e comunità religiose a vivere giovedì 23 ottobre una giornata di digiuno e adorazione eucaristica . Un segno di preghiera e di vicinanza a chi soffre a causa della guerra, che unisce idealmente Napoli al mondo intero in un unico invito alla pace. Con questa accoglienza, la diocesi partenopea rinnova il proprio impegno a farsi casa e comunità per chi cerca vita, studio e pace . Un gesto che non risolve i conflitti del mondo, ma li attraversa scegliendo di restare umani, di “stare accanto”. Un segno che nasce dal Vangelo e si traduce in futuro, nel cuore di Napoli. * Caritas di Napoli – La Chiesa di Napoli accoglie 8 studenti palestinesi * Educazione.chiesacattolica.it – La diocesi di Napoli accoglie 8 studenti palestinesi * ANSA Campania – La Chiesa di Napoli accoglie otto giovani da Gaza * Comunicare il Sociale – La comunità si fa casa per chi cerca futuro, studio e pace * Vatican News – Papa Leone XIV guiderà l’11 ottobre il Rosario per la pace in Piazza San Pietro Lucia Montanaro
Coltivare futuro nei Quartieri Spagnoli di Napoli: l’idroponica come atto di rinascita
A volte basta un seme, o anche solo un’idea, per far nascere un modo diverso di guardare al mondo. Per tre giorni, la corte di FOQUS – Fondazione Quartieri Spagnoli si è trasformata in un vero laboratorio di idee e incontri. Esperti, studenti e cittadini si sono confrontati su come educazione, ambiente e comunità possono intrecciarsi per immaginare città più vivibili, sostenibili e inclusive. All’interno delle GEA 2025 – Giornate Educazione Ambiente , il dialogo si è esteso dai temi della rigenerazione urbana all’innovazione agricola, dalla scuola come motore del cambiamento alla ricerca di nuove economie del rispetto. Ho potuto seguire direttamente uno degli incontri, “Coltivare senza suolo e produrre comunità” , dedicato alle nuove forme di agricoltura idroponica e acquaponica. Un dibattito denso di spunti, che ha messo in luce quanto le pratiche di coltivazione fuori suolo possano essere non solo una soluzione tecnica, ma anche una visione culturale e sociale per le città di domani. Dalla terra ferita al cemento che fiorisce Fra le testimonianze più significative, quella di Francesco Pio Fiorillo , fondatore di Lympha , un’azienda agricola di Licola che ha fatto dell’idroponica la propria missione principale. Attraverso questa tecnica, Fiorillo coltiva in fuori suolo , puntando su un modello di agricoltura ecologica e rigenerativa , capace di ridurre drasticamente il consumo d’acqua, eliminando l’uso di pesticidi e riducendo l’impatto ambientale dei trasporti e del suolo agricolo tradizionale. L’obiettivo è costruire un nuovo equilibrio tra innovazione e natura, dimostrando che la tecnologia può essere una via concreta per la sostenibilità ambientale , non un suo contrario. > «Da noi stiamo cercando di creare un sistema di agricoltura rigenerativa», ha > raccontato. > «Abbiamo tanto terreno e vogliamo coltivarlo per riprenderlo, con colture che > rigenerano il suolo stesso. È importante accompagnare la natura con i nostri > processi, non sostituirla.» La rigenerazione del terreno circostante rappresenta così un’estensione naturale del progetto idroponico , un modo per ripristinare equilibrio e biodiversità anche agli spazi adiacenti. Poi ha aggiunto un’immagine che nasce proprio da Napoli: > «Prima di iniziare questa avventura abitavo in centro e, dal mio palazzo, > guardavo il golfo di Napoli ei Quartieri Spagnoli pensando a quanto cemento mi > circondasse. Da lì è nata l’idea: quanto verde potrebbe produrre, iniziando > dai tetti, creando anche una copertura termica naturale. Il nostro obiettivo è > rendere questo cemento sempre più verde.» Quell’idea oggi si è trasformata in un piccolo impianto al quartiere Arenella , con duecento piante che crescono in mezzo a quattro palazzi. Non è una grande serra, ma un inizio, un segno: la prova che anche nel cuore del cemento può nascere vita. UN PROGETTO ALLA PORTATA DI TUTTI Fiorillo ha raccontato con semplicità che solo pochi anni fa non avrebbe saputo piantare nemmeno una piantina di basilico. Oggi guida un’esperienza che mostra come l’idroponica possa essere alla portata di tutti, anche di chi non ha un giardino, ma solo un balcone o un terrazzo. Coltivare senza terra, ha spiegato, è un modo per riavvicinarsi alla natura , anche in città, e per comprenderne i processi con occhi nuovi. Nell’azienda Lympha , oltre alla produzione, si svolgono visite didattiche e attività formative dedicate a bambini e ragazzi delle scuole, che vengono accolti per scoprire da vicino come funziona la coltivazione fuori suolo. Sono esperienze che uniscono curiosità, stupore e consapevolezza: piccoli passi per formare le coscienze di domani. COLTIVARE CONOSCENZA, COLTIVARE FUTURO Le coltivazioni idroponiche e acquaponiche usano fino al 90% di acqua in meno rispetto a quelle tradizionali e permettono di produrre prodotti di alta qualità anche dove il terreno è inutilizzabile. Ma il loro valore non è solo tecnico: è simbolico. È la prova che si può cambiare, che l’innovazione può nascere dal rispetto. I PRINCIPALI VANTAGGI DELL’IDROPONICA I principali vantaggi della coltivazione idroponica includono un risparmio idrico e significativo energetico , un controllo completo sulla nutrizione delle piante , un uso efficiente dello spazio e la possibilità di coltivare in qualsiasi periodo dell’anno . Inoltre, elimina o riduce drasticamente la necessità di diserbanti e pesticidi , consente una produzione più rapida e produce raccolti più uniformi e puliti , privi di residui di terreno. Le ricerche confermano che i prodotti coltivati fuori suolo mantenendo gli stessi valori nutrizionali e organolettici di quelli cresciuti in piena terra, e in molti casi risultano più controllati e sicuri , perché privi di contaminazioni e seguiti in ogni fase di crescita. La pianta riceve esattamente ciò di cui ha bisogno, senza sprechi, e restituisce cibo sano e di qualità. UN MOVIMENTO CHE CRESCE NEL MONDO Quello che a Napoli è stato raccontato come esempio locale fa parte di un movimento internazionale in piena espansione. In Olanda , le serre idroponiche producono oltre il 40% delle verdure esportate in Europa. In Svezia e Finlandia stanno nascendo le farm verticali urbane, coltivazioni su più livelli illuminati da luci LED a basso consumo. A Singapore , l’idroponica è una strategia nazionale per la sicurezza alimentare, mentre in Giappone oltre duecento fabbriche di verdura integrano scuola, scienza e agricoltura. Persino nel deserto degli Emirati e in Arabia Saudita , l’acquaponica è diventata un modo per combattere la scarsità d’acqua e creare lavoro. Tutto questo mostra che il fuori suolo non è una moda, ma una possibile risposta ai cambiamenti climatici e alla perdita di terreno fertile . E soprattutto è un modo per educare, per mettere in rete persone, saperi e sogni. LA SFIDA: CREARE UNA RETE Chi coltiva in idroponica o acquaponica, però, si muove ancora in un quadro normativo incerto: mancano riconoscimenti ufficiali e certificazioni specifiche . Eppure, come è emerso anche dal confronto a FOQUS, la sfida più grande non è solo tecnica, ma umana : fare rete, costruire un progetto comune che unisca innovazione, ricerca e impegno educativo. Solo così queste esperienze potranno diventare un modello stabile, riconosciuto e condiviso, capace di generare un cambiamento reale nel modo in cui produciamo e conteniamo il cibo. DAL CEMENTO AL VERDE Il modello sperimentato da Lympha, insieme a tante realtà in Italia e nel mondo, dimostra che la speranza si può coltivare. È un approccio che unisce conoscenza e tecnologia, ma anche rispetto, visione e fiducia. Un modello che sta già dando i suoi frutti e che offre un incentivo in più per guardare al futuro con più coraggio, più fiducia e più desiderio di partecipare. Perché coltivare senza terra, in fondo, significa coltivare futuro .          FOQUS – Fondazione Quartieri Spagnoli         GEA – Giornate Educazione Ambiente         Linfa – Agricoltura idropica e rigenerativa * Cos’è la coltivazione idroponica – Wikipedia Lucia Montanaro