
Pepe Mujica, ex Presidente dell’Uruguay Conferenza Magistrale: «y la Cultura?»
Pressenza - Wednesday, May 14, 2025Conferenza internazionale “Con todos y para el bien de todos” (La Habana, 25-28 Gennaio 2016)
Atto Finale, giovedì 28 Gennaio 2016
Trascrizione a cura di Gianmarco Pisa
Leader rivoluzionario, guerrigliero nei Tupamaros ai tempi della dittatura, poi deputato, senatore, ministro, leader del Movimento di Partecipazione Popolare, José “Pepe” Mujica (Montevideo, 20 maggio 1935 – 13 maggio 2025) è stato presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015 e una delle grandi figure del socialismo del XXI secolo.
Cuba sorprende sempre: perché è unica e singolare. In quale altro Paese del mondo si potrebbe tenere una conferenza come questa “con todos y por el bien de todos?”. L’umanità è presa, in quanto tale, nelle grandi sfide della nostra epoca: di fronte alle epoche della storia umana, le sfide che l’umanità è chiamata ad affrontare nel tempo presente sono praticamente infinite. L’economia capitalistica, in primo luogo, ci obbliga ad una gravosa contraddizione: il capitalismo è stato, per lunghi decenni, il motore della scienza, della tecnica, dello “sviluppo”, ci ha consentito un mirabolante sviluppo umano e un formidabile progresso tecnologico; e contemporaneamente, in quegli stessi decenni e a maggior ragione adesso, è stato anche all’origine delle più grandi devastazioni, delle maggiori distruzioni e delle più profonde diseguaglianze. Abbiamo a lungo pensato che, cambiando i rapporti sociali di produzione, avremmo cambiato anche la qualità delle relazioni umane, ma questo solo in parte, talvolta per nulla, si è verificato. La cultura è in grado di produrre cambiamenti, movimenti e trasformazioni, perché la cultura è quell’aspetto della vita umana che è in grado di generare sensazioni, percezioni ed impressioni che finiscono poi per condensarsi nell’anima stessa della società. In altri termini, la cultura non è semplicemente “sovrastruttura” e non è certo neanche un repertorio di sapere consolidato o un catalogo di cose dette e scritte; cultura è una stratificazione più profonda che riguarda la vita delle persone e l’anima dei popoli. La cultura è cosa profonda nel quadro della vita umana.
Perciò, abbiamo bisogno di una cultura che sia funzionale all’evoluzione delle persone e allo sviluppo del sistema umano. Il consumismo è funzionale alla accumulazione capitalistica perché alimenta la sovrapproduzione e sostiene il sovraconsumo e, di conseguenza, contribuisce ad alimentarla. Si possono quindi avere culture dei più diversi tipi e, per la nostra “civilizzazione” contemporanea, nell’auge del capitalismo, del mercantilismo e del neo-liberalismo, la cultura tende a riprodurre una quantità gigantesca di messaggi, perfino subliminali, per tenerci come nella tela di un ragno. Nell’Unione sovietica si facevano calcoli comparativi con le quantità prodotte in patria e le quantità prodotte in Occidente, e si riteneva così di promuovere una cultura della liberazione che non era però autenticamente di liberazione, perché basata, in fondo, sul medesimo principio produttivista.
La cultura non si crea per decreto e non può essere determinata solo dalla dinamica dello sviluppo delle forze produttive: se è vero che essa ha a che fare con i rapporti sociali e, in generale, con i rapporti sociali di produzione, di distribuzione e di scambio tra le persone e i gruppi sociali, è altrettanto vero che essa va bel al di là della pura e semplice meccanica delle forze economiche produttive. I rapporti sociali di produzione sono dunque fondamentali, ma la cultura va oltre il sistema dei rapporti sociali di produzione e concorre a determinare, a propria volta, la qualità dei rapporti sociali a tutti i livelli, tanto è vero che, nel mondo odierno, l’innovazione, e l’innovazione sociale in particolare, si è trasformata in qualcosa di altro, sempre più lontano dai suoi presupposti.
L’aspetto più negativo della cultura del capitalismo è la sua cultura produttivista, consumista ed omologante. I movimenti progressisti – avanzati, socialisti, comunisti – si fondano, essenzialmente, sull’utopia, sull’iniziativa per il cambiamento e la trasformazione sociale e sulla fiducia e l’azione delle grandi masse popolari. Non si può essere progressisti e convivere con le diseguaglianze, le sperequazioni e i privilegi del capitalismo. I fautori di una cultura progressista sono fautori, al tempo stesso, di una cultura di autodeterminazione, di liberazione e di emancipazione, e quindi deve essere instaurata e praticata, di conseguenza, una economia di solidarietà e di sobrietà, che non vuole dire “povertà” o “privazione”, ma piuttosto “giustizia” e “perequazione”. Se il modello di mercato non se ne cura e si basa e si preoccupa esclusivamente della accumulazione, della acquisizione e della appropriazione, è l’intero destino dell’umanità che viene così messo a rischio.
Questa cultura dell’individualismo, del consumismo e dell’omologazione si combatte con un impegno collettivo, consapevole e coordinato per una diversa economia, una diversa società e una diversa cultura. I migranti, sia in Europa, sia in America, viaggiano verso l’illusione ottica del capitalismo moderno, tanto è vero che non si dirigono, in ultima istanza, verso l’Italia e la Spagna, ma verso la Germania e la Svezia, e la stessa tendenza è in corso dall’altra parte del mondo, in America, dove non si dirigono verso l’Uruguay (alle cui spalle c’è il Brasile), ma verso il Messico (alle cui spalle ci sono gli Stati Uniti), perché si spingono verso i confini del “sogno dei più poveri”.
Per questo è necessario cambiare la cultura, modificare l’immaginario, definire una nuova visione. Discutiamo di politica, di elezioni e di programma, ma dobbiamo discutere anche di idee, di utopie e di visioni, per lottare per la felicità umana. Non è vero che si è più felici se si possiedono più cose – anche se tanti messaggi e tante pubblicità del mondo del capitalismo tendono a farci credere questo – ma ciascuno di noi è più felice se siamo tutti insieme più felici e se godiamo tutti delle condizioni del “buen vivir” insieme. Non possiamo dunque essere progressisti – avanzati, socialisti, comunisti – se non sfidiamo l’infelicità di milioni e milioni di persone. Non dobbiamo dimenticare che l’economia più importante è la vita umana e nulla è più importante della grandezza universale della vita umana, dell’essere vivi, del mantenersi in vita e nel rendere migliore la vita di ciascuno e ciascuna di noi, perseguendo così il bene comune della felicità, non solo personale, ma di tutti.
Ciò che ci dobbiamo impegnare a fare è di lottare tutti insieme per costruire un mondo migliore, perché la società non cambia se non a partire da un cambio strutturale che, al suo fondo, comporti un cambio etico, perché la società non cambia se non cambiano le persone che la costituiscono e se non cambiano i rapporti sociali che la sostanziano. In altri termini, la civilizzazione è cultura sociale più solidarietà intergenerazionale. La cultura della vita è amore per la vita e senso più profondo della solidarietà. Una cosa è vivere per una causa o con un’utopia; un’altra cosa è vivere senza o indifferentemente. La costruzione della solidarietà presuppone a sua volta di vivere nella solidarietà e nell’utopia, con la coscienza che permette di perseguire consapevolmente questa lotta e questo impegno e, con essa, una tale visione e una tale utopia. Per tutti questi motivi, una cultura liberatrice è una necessità reale e ha bisogno di una riforma autentica del sapere e dell’istruzione.
L’uomo non è una cosa, perché l’umanità è ideali, valori, relazioni, sentimenti e creazione, creatività.
Sotto un profilo progressivo e progressista, occorre avere un approccio positivo e affermativo nei confronti della vita e delle sue sfide. Significa: rivedere il significato dell’istruzione verso un fine di emancipazione; trasformare la fiscalità generale per evitare ogni forma di concentrazione della ricchezza; impostare un altro modello economico per salvare i lavoratori e le lavoratrici e, in definitiva, la stessa classe media dalla “plutocrazia” del sistema finanziario; salvaguardare l’ambiente e preservare l’ecosistema, definendo nuovi modelli produttivi e nuove condotte sociali; approvare un sistema nuovo di giustizia internazionale, per smetterla con l’unilateralismo e il doppio standard. Quindi, o una governance internazionale e internazionalista, universale, universalista e umanista, o il rischio dell’estinzione dei rapporti umani, dell’esaurimento della solidarietà e della fine dell’umanità.
La globalizzazione odierna non ha capo: ha un messaggio di mercato, ma non ha alcun orientamento umano. Abbiamo creato megalopoli, infrastrutture gigantesche, aerei supersonici, aggregati super-sofisticati e prodotti iper-tecnologici; ma le persone non si guardano e non si parlano. Non un “mondo aperto” come all’inizio si era auspicato e ci avevano raccontato, ma due, tre, quattro grandi blocchi economici, commerciali e finanziari mondiali, che sappiamo da dove partono ma non sappiamo dove ci portano. La cultura progressista, quindi, ha di fronte a sé una sfida grande: il pensiero liberatorio non può e non deve essere sconfitto. Le istanze di emancipazione dell’uomo sono antiche quanto l’uomo stesso e certo non smettono di essere valide per l’oggi e l’avvenire.