
Che cosa vuol dire transculturale? Parte II
Comune-info - Wednesday, May 14, 2025La transcultura non è solo la proposta di una direzione, un transito fra mondi culturali diversi inevitabilmente dinamici, ma vuole indicare anche una trasformazione fra coloro che costruiscono una relazione

Se è vero che le parole sottendono un pensiero quindi sono parole-pensiero, anche il termine transculturale necessita di alcune spiegazioni per non cadere nella trappola di parole criptiche e quindi incomprensibili. Questo rischio è abbastanza frequente soprattutto quando si utilizzano in campo scientifico (psichiatria transculturale, psicoterapia etc.) dove sono frequenti classificazioni e definizioni spesso distaccate dalla realtà. Fenomeni come l’emigrazione – un terremoto secondo Karl Jaspers -presenta anche aspetti culturali spesso non considerati nella loro giusta rilevanza. Migranti, rifugiati – persone non categorie – vengono in molti casi deprivati della loro storia e della loro cultura. Noi, come operatori della salute mentale, quale atteggiamento utilizziamo verso la loro sofferenza? I vecchi metodi frutto di un pensiero “catastale” forse non sono sufficienti per avvicinarsi a quel qualcosa di “di nuovo” che irrompe nelle nostri menti prima che nei nostri ambulatori, servizi, centri di accoglienza. Siamo presi solo dallo “studiare un oggetto esotico” e quindi interessante, lasciando inalterati i nostri modi di osservare/agire? Quale scienza e con quali strumenti?
Queste interrogazioni – più che interrogativi – sono presenti nei nostri processi di cura e di formazione professionale spesso non adeguati di fronte a “nuovi utenti”. In questa sede possiamo accennare a un approccio transculturale, consapevoli che è solo l‘inizio di un percorso articolato che cercheremo di sviluppare più approfonditamente in seguito su queste pagine. Con tale metodo intendiamo un attraversamento di culture durante il quale si è contaminati e si contamina a sua volta, influenzandosi vicendevolmente, senza che una cultura prevalga sull’altra, secondo gli insegnamenti dell’antropologo cubano Ferdinando Ortiz (2025). Egli, coniando il termine di transculturacion “dando e prendendo“( toma y daca) aveva espresso il dinamismo proprio di ogni processo culturale aperto allo scambio paritario.
Deleuze la considerava una scienza “dei margini, degli interstizi della liminarità”(Deleuze-Guettari,1980) connaturata alla dimensione dell’incontro e della relazione con tutti gli imponderabili a cui questa modalità conduce. Una sua possibile applicazione, la “psichiatria transculturale”, non deve aggiungersi al già affollato mondo ”psy”come un nuovo modo di catalogare sintomi e sindromi, ma di costruire una direzione di cambiamento nel processo di osservazione, passando attraverso (non sopra) le modalità di esprimere le sofferenze psichiche e le loro manifestazioni culturali. In questo passaggio fra pratiche e saperi diversi che ogni incontro/scontro con culture altre sollecita e provoca. si produce un arricchimento reciproco. Tale percorso offre la possibilità all’osservatore, al terapeuta, al ricercatore, ad ogni operatore di mettersi in discussione, di scommettersi per rendersi conto che il famoso “oggetto” di studio è da tempo diventato soggetto. È qui fra noi, con tutto il suo carico di sofferenza e di diversità. La sua presenza, tra l’altro, pare continuamente chiederci come ci poniamo di fronte a quel “qualcosa che avanza”, a “quello straniero” che ci costringe a guardarci, non solo a guardarlo. Ascolta come mi batte forte il tuo cuore, recita la poetessa Wisława Szymborska.
Una società complessa, divenuta da tempo multiculturale e multietnica – a dispetto di chi voglia ancora negarlo – può mettere in difficoltà l’operatore non preparato e porre in forse l’adeguatezza degli stessi i servizi in cui lavora. Una “modalità transculturale” forse può aiutare in quegli attraversamenti di altri mondi e modi di conoscenza associati alla possibilità di modificare l’orizzonte della ricerca, della cura e, in generale, dell’approccio ad eventi e persone provenienti da paesi diversi. Non aiuta certo rimanere ancorati a una posizione culturo-centrica, secondo cui ogni società pensa che la sua cultura sia “centrale” rispetto al “resto con cui viene in contatto”. Ecco quindi l’idea di un viaggio, di una mobilitazione dentro e fuori di sé, di preparazione a un nomadismo di pensiero-azione, necessario per bagnarsi in altro e nell’altro, nell’altrove e nell’altrui. Se è vero che da tempo l’immagine dell’osservatore inerte non va più bene, anche l’osservatore che interagisce con l’oggetto della sua ricerca ha bisogno di ingranare un’ulteriore marcia, quella dell’esploratore un po’ sporco, con i segni del con-tatto. È un viaggio comunque assai poco esotico che si configura specialmente come un processo di trasformazione del “viaggiatore”, all’interno dei propri pregiudizi e visioni del mondo, previa sospensione delle sue vecchie categorie di pensiero.
La transcultura non è solo la proposta di una direzione, un transito fra mondi culturali diversi, ma vuole indicare anche una trasformazione fra i contraenti della relazione che si costruisce. Una operazione rischiosa che richiede un cambiamento, un diverso posizionamento lontani da facili la tentazioni di “derive” più facili, più comode, più “alla moda”, consoni a un dibattito marcato da consolidati stereotipi. Un messaggio fuori dal “solito” approccio statico e auto confermante e pronto a divenire sociale e culturale e quindi “politico”, nel senso più alto del temine (e a cui sembra non siamo più abituati).
Che cosa vuol dire transculturale? Parte I
Alfredo Ancora, Psichiatra e psicoterapeuta, Directeur Scientifique Université Populaire “E. De Martino D. Carpitella” Paris, Ordinary member Society for Academic Research on Shamanism, è condirettore della rivista “Transculturale”. Si occupa di psichiatria e psicoterapia transculturale di gruppo, sciamanesimo, problematiche migratorie e tradizioni popolari.
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