Tag - accoglienza diffusa

Rompere ghettizzazione e invisibilità
-------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- Il concorso della rassegna Fuori dal ghetto. Rosarno Filmfestival quest’anno avrà come tema centrale lo sfruttamento del lavoro. La sicurezza sul lavoro. Al centro dunque c’è il contrasto allo sfruttamento lavorativo che rappresenta una piaga diffusa su tutto il territorio nazionale, caratterizzato dalla violazione in materia di orario di lavoro, salari, contributi, diritti alle ferie, salute e sicurezza lavorativa. Dalla Piana di Gioia Tauro in Calabria a Saluzzo in Piemonte, a Nardò Puglia, a Latina nel Lazio, a Ragusa in Sicilia, lavoro nero, grigio e caporalato rimangono elementi strutturali sui quali intervenire. Non solo per i lavoratori stranieri ma per tutti i lavoratori e lavoratrici. L’agricoltura crea infatti posti di lavoro per i migranti ma il sistema non riesce a costruire processi di accoglienza degna in grado di interrompere i processi di ghettizzazione e invisibilità. Per questo la rassegna cerca di raccogliere soprattutto storie di vita: storie di accoglienza negata, storie di soprusi ma anche storie di riscatto nella quali la convivenza e lavoro regolare costruiscono economie in grado di rispondere a processi di spopolamento, di crescita collettiva. È importante testimoniare e documentare. Le opere potranno avere una durata massima di 20 minuti. Le opere possono essere inviate in formato con estensione Mpg4 con dimensione massima di 2 GB (si consiglia di inviare I film in formato 1920×1080 con wetransfer). La selezione delle opere è a cura e a giudizio insindacabile della direzione artistica. Al termine della pre-selezione gli autori verranno informati sul risultato telefonicamente o via email. Le opere andranno inviate all’indirizzo email fuoridalghetto2022@gmail.com entro e non oltre il 30 settembre 2025. Data la particolarità del concorso non ci saranno premi in denaro. I vincitori (primo e secondo) riceveranno un cesto di prodotti agricoli della Cooperativa Mani e Terra di Rosarno, inoltre le opere verranno proiettate in tutti gli spazi che organizzeranno eventi e aderiranno al Fuori dal Ghetto. “Il cinema non è solo una fabbrica di sogni – ha detto Ken Loach – È anche strumento di indagine sociale e di supporto alle pratiche sociali, di critica e denuncia delle tante forme di sfruttamento, strumento di raccordo conoscitivo tra culture diverse”. Spiega Ibrahim Diabate, ghanese, operatore di Mediterranean Hope: “Questo festival ci dà la possibilità di dialogare con il territorio e istituzioni. Essere considerati. Dieci anni fa non era possibile. Il nostro punto di vista non viene mai ascoltato. La giuria per il concorso sarà composta da lavoratori braccianti e studenti e cerca di sanare questa mancanza, questo collegamento con il territorio”. Fuori dal ghetto. Rosarno Filmfestival è promosso da Mediterranea Hope– Federazioni delle Chiese Evangeliche in Italia, Rete delle Comunità Solidali/Recosol, S.O.S Rosarno con l’adesione di Sea Watch, ResQ, Campagne Aperte, Impresa Sociale Sankara/Caulonia, Ass. Coopisa Cooperazione in Sanità/Reggio Calabria), Ass. Culturale Terra dei Morgeti/San Giorgio Morgeto, Ass. Santa Barbara/San Ferdinando, Equo Sud/eggio Calabria, La Coperta della Memoria Piana di Gioia Tauro, Faro Fabbrica dei Saperi Kiwi impresa sociale/Rosarno, Autogestione in movimento Fuorimercato/Milano, Acmos e Cascina Arzilla/Torino, ICS Consorzio Italiano Solidarietà/Trieste, RiMaflow/Milano, I.C S Trieste. E ancora: Comune-info, Confronti, Altreconomia, Volere la Luna, Pressenza stampa Internazionale, ZaLab laboratorio indipendente/Padova, Carovane Migranti/Torino. Bando GhettoDownload -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Rompere ghettizzazione e invisibilità proviene da Comune-info.
Vicofaro a Pistoia non muore
-------------------------------------------------------------------------------- Vicofaro -------------------------------------------------------------------------------- A Pistoia, il 1° luglio del 2025 sarà ricordato come il giorno della vergogna delle istituzioni, sia civili che religiose. A un manipolo di una ventina di tutori dell’ordine, scomodati addirittura da Taranto, è stato ordinato di dare l’assalto alla struttura di Vicofaro per liberarla della presenza ingombrante degli ultimi sei ospiti del centro, i più fragili, i più bisognosi di cure e contatti umani significativi, i più affezionati a quella che hanno considerato come la propria “casa”, che ha offerto loro riparo e attenzione. Viste le gravi fragilità personali in questione, avremmo desiderato l’intervento di operatori sanitari, psicologi e dello stesso don Massimo Biancalani per rassicurarli e favorire il loro ricollocamento in strutture adeguate. Marziani in assetto di guerra, invece, li hanno affrontati diffondendo il panico e completando la smobilitazione di Vicofaro nella maniera più lacerante possibile. Perché questo colpo di mano conclusivo? Per suggellare la chiusura di Vicofaro, auspicata dalle istituzioni e più volte reiterata, ma finora rinviata? Una vendetta finale che serva a rimettere in ordine gli organigrammi del potere? Anche perché, nelle settimane passate, il ricollocamento degli ospiti del centro di accoglienza, seppure in maniera disorganica e deludente sul piano delle prospettive, è proceduta senza alcuna tensione. La maggior parte dei ragazzi ha accettato le nuove destinazioni mentre i volontari della struttura hanno contribuito a facilitare l’intera operazione, indicando le sedi più opportune in relazione alle esigenze degli stessi ragazzi. Era necessario arrivare a questo punto di rottura? Da anni, lo stesso don Massimo Biancalani e la comunità che gli si raccoglie attorno, hanno ripetutamente chiesto l’intervento delle istituzioni e della società civile. Questo, per definire e concordare un progetto, una rete integrata di residenze protette all’interno della quale Vicofaro avrebbe svolto il ruolo di hub, di centro di prima accoglienza o, come comunemente riconosciuto, di accoglienza di bassa soglia. Tavoli di lavoro, di confronto e di co-progettazione sono stati proposti o semplicemente avviati ma puntualmente naufragati nelle nebbie e nella neghittosità delle istituzioni e della società civile. Vicofaro non ha mai negato la propria disponibilità. Certo, le condizioni dell’ospitalità sono andate sempre più peggiorando visto l’alto numero degli ospiti e la ristrettezza degli spazi e dei servizi. La ristrutturazione dei locali era diventata ineludibile. Perché è stato necessario far incancrenire l’esperienza di Vicofaro e non intervenire per tempo? Qualcuno ha giocato al tanto peggio tanto meglio? Forse ora sono in gioco carriere politiche, ecclesiastiche ed elezioni che hanno agito da detonatore di questa situazione? Una cosa è certa. Nel giro di poche settimane sono state messe a disposizione circa otto sedi per il ricollocamento dei ragazzi, mentre fino a ieri c’era il deserto. Sorprendente. Ormai era stata decisa la chiusura del centro di Vicofaro e così tutti si sono dati da fare. Chiusura? Hanno chiuso i locali, hanno sigillato gli ingressi, ma a dispetto delle esultanze del ministro Piantedosi e del sindaco Tomasi, non hanno potuto sigillare i cuori di tutti coloro che hanno dato vita all’esperienza di Vicofaro, a partire da don Massimo a tutti i volontari e a coloro che in tutta Italia hanno visto in questo centro di accoglienza un modello di umanità, di pace e di fratellanza. Da oggi Vicofaro si moltiplica per dieci, per cento e oltre, si moltiplica nella presenza dei ragazzi ospitati e ricollocati nelle varie sedi, nello spirito e nell’azione dei volontari, degli accompagnatori, degli insegnanti, dei sanitari che sempre sono stati al fianco dei ragazzi e che si faranno promotori di altre 10, 100, 1000 Vicofaro. Annamaria Argentaro, Daniela Banchini, Paolo Bongiovanni, Enrico Campolmi, Martina Chiti, Antonio Fiorentino, Giovanni Ginetti, Isabella Pratesi, Sandra Torrigiani -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato da Antonio Fiorentino, architetto ed esponente del Gruppo Urbanistica di perUnaltracittà di Firenze, su perunaltracitta.org. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI MASSIMO BIANCALANI: > Non smetteremo di accogliere -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Vicofaro a Pistoia non muore proviene da Comune-info.
Che cosa vuol dire transculturale? Parte II
LA TRANSCULTURA NON È SOLO LA PROPOSTA DI UNA DIREZIONE, UN TRANSITO FRA MONDI CULTURALI DIVERSI INEVITABILMENTE DINAMICI, MA VUOLE INDICARE ANCHE UNA TRASFORMAZIONE FRA COLORO CHE COSTRUISCONO UNA RELAZIONE -------------------------------------------------------------------------------- Foto ed elaborazione di Giovanni Izzo -------------------------------------------------------------------------------- Se è vero che le parole sottendono un pensiero quindi sono parole-pensiero, anche il termine transculturale necessita di alcune spiegazioni per non cadere nella trappola di parole criptiche e quindi incomprensibili. Questo rischio è abbastanza frequente soprattutto quando si utilizzano in campo scientifico (psichiatria transculturale, psicoterapia etc.) dove sono frequenti classificazioni e definizioni spesso distaccate dalla realtà. Fenomeni come l’emigrazione – un terremoto secondo Karl Jaspers -presenta anche aspetti culturali spesso non considerati nella loro giusta rilevanza. Migranti, rifugiati – persone non categorie – vengono in molti casi deprivati della loro storia e della loro cultura. Noi, come operatori della salute mentale, quale atteggiamento utilizziamo verso la loro sofferenza? I vecchi metodi frutto di un pensiero “catastale” forse non sono sufficienti per avvicinarsi a quel qualcosa di “di nuovo” che irrompe nelle nostri menti prima che nei nostri ambulatori, servizi, centri di accoglienza. Siamo presi solo dallo “studiare un oggetto esotico” e quindi interessante, lasciando inalterati i nostri modi di osservare/agire? Quale scienza e con quali strumenti? Queste interrogazioni – più che interrogativi – sono presenti nei nostri processi di cura e di formazione professionale spesso non adeguati di fronte a “nuovi utenti”. In questa sede possiamo accennare a un approccio transculturale, consapevoli che è solo l‘inizio di un percorso articolato che cercheremo di sviluppare più approfonditamente in seguito su queste pagine. Con tale metodo intendiamo un attraversamento di culture durante il quale si è contaminati e si contamina a sua volta, influenzandosi vicendevolmente, senza che una cultura prevalga sull’altra, secondo gli insegnamenti dell’antropologo cubano Ferdinando Ortiz (2025). Egli, coniando il termine di transculturacion “dando e prendendo“( toma y daca) aveva espresso il dinamismo proprio di ogni processo culturale aperto allo scambio paritario. Deleuze la considerava una scienza “dei margini, degli interstizi della liminarità”(Deleuze-Guettari,1980) connaturata alla dimensione dell’incontro e della relazione con tutti gli imponderabili a cui questa modalità conduce. Una sua possibile applicazione, la “psichiatria transculturale”, non deve aggiungersi al già affollato mondo ”psy”come un nuovo modo di catalogare sintomi e sindromi, ma di costruire una direzione di cambiamento nel processo di osservazione, passando attraverso (non sopra) le modalità di esprimere le sofferenze psichiche e le loro manifestazioni culturali. In questo passaggio fra pratiche e saperi diversi che ogni incontro/scontro con culture altre sollecita e provoca. si produce un arricchimento reciproco. Tale percorso offre la possibilità all’osservatore, al terapeuta, al ricercatore, ad ogni operatore di mettersi in discussione, di scommettersi per rendersi conto che il famoso “oggetto” di studio è da tempo diventato soggetto. È qui fra noi, con tutto il suo carico di sofferenza e di diversità. La sua presenza, tra l’altro, pare continuamente chiederci come ci poniamo di fronte a quel “qualcosa che avanza”, a “quello straniero” che ci costringe a guardarci, non solo a guardarlo. Ascolta come mi batte forte il tuo cuore, recita la poetessa Wisława Szymborska. Una società complessa, divenuta da tempo multiculturale e multietnica – a dispetto di chi voglia ancora negarlo – può mettere in difficoltà l’operatore non preparato e porre in forse l’adeguatezza degli stessi i servizi in cui lavora. Una “modalità transculturale” forse può aiutare in quegli attraversamenti di altri mondi e modi di conoscenza associati alla possibilità di modificare l’orizzonte della ricerca, della cura e, in generale, dell’approccio ad eventi e persone provenienti da paesi diversi. Non aiuta certo rimanere ancorati a una posizione culturo-centrica, secondo cui ogni società pensa che la sua cultura sia “centrale” rispetto al “resto con cui viene in contatto”. Ecco quindi l’idea di un viaggio, di una mobilitazione dentro e fuori di sé, di preparazione a un nomadismo di pensiero-azione, necessario per bagnarsi in altro e nell’altro, nell’altrove e nell’altrui. Se è vero che da tempo l’immagine dell’osservatore inerte non va più bene, anche l’osservatore che interagisce con l’oggetto della sua ricerca ha bisogno di ingranare un’ulteriore marcia, quella dell’esploratore un po’ sporco, con i segni del con-tatto. È un viaggio comunque assai poco esotico che si configura specialmente come un processo di trasformazione del “viaggiatore”, all’interno dei propri pregiudizi e visioni del mondo, previa sospensione delle sue vecchie categorie di pensiero. La transcultura non è solo la proposta di una direzione, un transito fra mondi culturali diversi, ma vuole indicare anche una trasformazione fra i contraenti della relazione che si costruisce. Una operazione rischiosa che richiede un cambiamento, un diverso posizionamento lontani da facili la tentazioni di “derive” più facili, più comode, più “alla moda”, consoni a un dibattito marcato da consolidati stereotipi. Un messaggio fuori dal “solito” approccio statico e auto confermante e pronto a divenire sociale e culturale e quindi “politico”, nel senso più alto del temine (e a cui sembra non siamo più abituati). -------------------------------------------------------------------------------- Che cosa vuol dire transculturale? Parte I -------------------------------------------------------------------------------- Alfredo Ancora, Psichiatra e psicoterapeuta, Directeur Scientifique Université Populaire “E. De Martino D. Carpitella” Paris, Ordinary member Society for Academic Research on Shamanism, è condirettore della rivista “Transculturale”. Si occupa di psichiatria e psicoterapia transculturale di gruppo, sciamanesimo, problematiche migratorie e tradizioni popolari. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Che cosa vuol dire transculturale? Parte II proviene da Comune-info.
Un paese che ha bisogno di tutti
TRA I TANTI REFERENDUM CHE IN PASSATO SONO STATI PROPOSTI E VOTATI IN ITALIA, NESSUNO HA RIGUARDATO DIRETTAMENTE E INDIRETTAMENTE BAMBINI E BAMBINE, RAGAZZI E RAGAZZE COME QUELLO SULLA CITTADINANZA DELL’8 E 9 GIUGNO. GRAZIE A QUESTO REFERENDUM VERRANNO INFATTI RIDOTTI DA DIECI A CINQUE GLI ANNI DI RESIDENZA LEGALE RICHIESTI PER POTER AVANZARE LA DOMANDA DI CITTADINANZA ITALIANA CHE, UNA VOLTA OTTENUTA, SAREBBE AUTOMATICAMENTE TRASMESSA AI PROPRI FIGLI E ALLE PROPRIE FIGLIE MINORENNI. QUESTA SEMPLICE MODIFICA MIGLIOREREBBE LA VITA DI OGNI GIORNO DI CIRCA 2,5 MILIONI DI PERSONE, MENTRE SONO OLTRE UN MILIONE I RAGAZZI E LE RAGAZZE CHE, PUR FREQUENTANDO ISTITUTI SCOLASTICI, NON POSSONO AL MOMENTO BENEFICIARE DELLA CITTADINANZA. IN QUESTO ARTICOLO LA RETE MOVI (MOVIMENTO DI VOLONTARIATO ITALIANO), DA SEMPRE IMPEGNATA TRA L’ALTRO SUI TEMI DELLE COMUNITÀ EDUCANTI E DELLA PARTECIPAZIONE (AD ESEMPIO CON IL PROGETTO NAZIONALE SCUOLE APERTE PARTECIPATE IN RETE), SPIEGA PERCHÉ HA DECISO DI ADERIRE ATTIVAMENTE ALLA CAMPAGNA REFERENDARIA IN CORSO Immagine tratta dalla pag. fg Referendum cittadinanza -------------------------------------------------------------------------------- Come MoVI abbiamo deciso di aderire attivamente promuovendo la partecipazione al referendum. La legge sulla cittadinanza in Italia ha oltre trent’anni e risulta ormai disallineata con le esigenze di una società che, dopo tre decenni, è mutata. A oggi risultano riforme mancate e di diritti non riconosciuti rispetto al resto d’Europa. Grazie anche alla nostra esperienza di lavoro sul campo, siamo profondamente convinti che la crescita della nazione si basi su una maggiore uguaglianza e parità di diritti tra tutte le persone che la abitano e che la vivono attivamente con il loro lavoro, le loro famiglie e le tante attività sociali che svolgono. Secondo quanto riportato dall’ultimo Rapporto sullo stato dei diritti in Italia presentato dalla Onlus A Buon Diritto lo scorso gennaio, in questo momento in Italia si stima ci siano 2.500.000 cittadini di origine straniera che in questo Paese nascono, crescono, vivono, lavorano. Sono invece oltre un milione i ragazzi e ragazze che, pur frequentando istituti scolastici in Italia, non possono beneficiare della cittadinanza. Un problema che si ripercuote anche nel caso di nuove nascite andando così a pesare ancora di più sul calo demografico italiano, arrivato oggi ai minimi storici. Ma la legge che disciplina l’acquisizione della cittadinanza italiana ha ben 33 anni, risale infatti al 1992. Da allora, come riporta il sopracitato Rapporto, non si sono registrate particolari novità salvo l’approvazione da parte della Camera dei deputati nel 2015 di un testo che prevedeva da un lato l’acquisizione per ius soli e dall’altro quella per ius culturae. Proposta arrenatasi, circa tre anni dopo, al Senato in prossimità con la conclusione della XVII Legislatura. Il dibattito su una proposta incentrata solo sullo ius scholae, depositata nel 2018, invece è bloccata in parlamento dal 2022. Il decreto Salvini del 2018 ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della revoca della cittadinanza. La norma, di fatto, ha creato una cittadinanza di serie A, di chi l’ha acquisita al momento della nascita e che non può subire la revoca; e una di serie B, cioè di chi l’ha acquisita in un momento successivo e che ne può essere privato dopo una condanna in via definitiva per reati particolarmente gravi in materia di terrorismo ed eversione. Pur comprendendo la necessità di tutelare la sicurezza della cosa pubblica, la norma sembrerebbe non conciliarsi con il principio di uguaglianza sancito in Costituzione. Questa campagna referendaria è un grande segnale che ha visto una mobilitazione importante della società civile e che, finalmente, ha visto le associazioni di nuovi cittadini o di italiani senza cittadinanza in un ruolo cardine nella gestione della campagna. Quella proposta dal Referendum Cittadinanza è una piccola modifica che non risolve tutte le storture di una legge sorpassata come la L.91/1992 ma agevola il raggiungimento dei requisiti per presentare domanda di cittadinanza risultando un grande passo avanti per la vita di milioni di cittadini di origine straniera che in Italia nascono e crescono ma anche per coloro che da anni abitano questo Paese contribuendo alla crescita con il loro lavoro. Ma soprattutto quella proposta è una risposta ai loro diritti a oggi negati: come il poter votare, il partecipare agevolmente a percorsi di studio all’estero, poter partecipare a concorsi pubblici come tutti gli altri cittadini. -------------------------------------------------------------------------------- Per approfondire: https://referendumcittadinanza.it/ -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE: > Fare cittadinanza -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Un paese che ha bisogno di tutti proviene da Comune-info.