La pace è

Comune-info - Wednesday, November 26, 2025

Raccontare è necessario per riuscire a condividere e mettere insieme i mattoni che ci aiutano a costruire altri possibili mondi, ma soprattutto per continuare a ragionare, riflettere, confrontarsi, partecipare, agire insieme e anche per decostruire quei paradigmi che oggi vengono presentati come “verità” ma tali non sono e in nome di queste pseudo verità vengono giustificate politiche autoritarie, suprematiste, patriarcali e guerrafondaie. Oggi ci troviamo in questo drammatico periodo storico che dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni Settanta non pensavamo possibile.

Secondo una tradizione storica etologica e antropologica diventata poi negli anni popolare (ancora oggi le recenti affermazioni di Nordio in merito ai femminicidi, ne dimostrano un retaggio), l’essere umano è istintivamente pronto ad aggredire. Ricordo ancora negli anni Settanta il libro di Richard Dawkins Il gene egoista che affermò anche nel settore finanziario, economico, aziendale, una filosofia basata sulla competizione  di “tutti contro tutti”. Oggi la biologia, l’antropologia, l’etologia, le neuroscienze, hanno mostrato, al contrario, che esistiamo gli uni per gli altri e che anche Rousseau aveva ragione. 

Dalle vecchie  teorie collegate al gene egoista, il passo può essere breve per legittimare  le guerre, le aggressioni, i femminicidi, le distruzioni, i crimini, le violenze, considerate perciò  come ineludibili, fenomeni naturali non modificabili. 

Così anche la pace  nell’ambito dello strumentale dibattito politico viene vista come qualcosa di innaturale, da confinare ostinatamente nell’ambito utopico o ideologico. 

Ma le recenti e potenti manifestazioni mondiali a sostegno del popolo palestinese hanno mostrato che il desiderare un mondo di pace ci appartiene come popoli per contrapporci alle guerre di potere e di dominio del mondo. 

Si tratta, prima di tutto, di imparare a considerare la pace come un viaggio umano, come politica dell’umanità. Se la pace viene considerata una meta possibile e necessaria e non come qualcosa che segue a una guerra, possiamo considerarla come un viaggio che ci porta dall’altra parte del mondo, anche in senso simbolico, verso il mondo giusto, quella parte di mondo che è dei popoli e non di chi vuole padroneggiare. Come ogni meta di un lungo viaggio, pensare la pace è la premessa per renderla possibile, pensando ai percorsi da fare, alle tappe necessarie, alle risorse da investire, alle difficoltà da sciogliere, alla storia dei Paesi e alle persone e comunità che li vivono. 

La pace, dunque, come percorso, meta e viaggio. “Noi non vogliamo la guerra. Ma non si può abolire la guerra se non mediante la guerra. Affinché non esistano più fucili, occorre il fucile”. Queste parole di Mao Tse-Tung (Il libro delle guardie rosse, Feltrinelli 1969) esprimono quel  pensiero ancora diffuso anche ai nostri giorni. 

Basta leggere la Risoluzione del Parlamento Europeo del 2 aprile 2025 nell’attuazione della Politica di Sicurezza e Difesa comune, per farci precipitare in un clima di guerra che non solo porta al riarmo e all’ingente spesa europea e nazionale, spesa sottratta alle politiche del diritto al welfare, ma prevede un pericoloso riallineamento delle politiche educative. A tal fine l’UE e i suoi stati membri sono invitati “a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate…”. Tradotto: per fare le guerre c’è bisogno di armare i giovani. E il processo di militarizzazione delle scuole già in atto lo rivela. 

Queste politiche belliciste nazionali e mondiali preparano le nuove generazioni a un futuro di guerre (la Leonardo, società a controllo pubblico, ha avuto nel 2024 un fatturato di 17,76 miliardi di euro, con una stima che arriva a 118 miliardi di commesse fino al 1929). Eppure lo Statuto delle Nazioni Unite afferma che queste sono nate proprio per “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” avendo come fine quello di mantenere la pace e la sicurezza internazionale. 

E ancora su queste affermazioni dovremmo ricordare che esiste una Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1984. 

Purtroppo gli argomenti giuridici internazionali non sono bastati ad evitare ancora oggi la strage di vite umane del popolo Palestinese, svuotando di riconoscimento il diritto internazionale. Trovarci in questo tempo che sta anticipando stati di guerra permanente ci fa percepire come ci troviamo già dentro una battaglia, dove i confini tra politica interna e politica estera si fanno ogni giorno nebulosi e rischiosi al contempo, apparentemente confusi, contraddittori e altalenanti e più cresce l’instabilità internazionale più i principi democratici si indeboliscono all’interno e nei rapporti tra stati, con il ritorno dichiaratamente rivendicato dell’uso della forza e del controllo.

L’esaltazione della guerra come necessaria e come qualcosa che appartiene alla storia dell’essere umano fin dalla preistoria (nella visione di Homo Homini Lupus) si contrappone all’altra visione antropologica dove gli esseri umani si liberano attraverso i rapporti di cooperazione, di solidarietà e di fiducia in uno scambio di culture di pace tra individui e tra individuo e società riscoprendo il senso dell’agire come comunità e il valore umano delle relazioni. 

Possiamo farlo attingendo alle scienze, all’etologia più recente che ci vede esseri ipersociali con le nostre modalità comportamentali, quelle dell’abbraccio, del sorriso, dell’affettività e socialità dimostrando che le forme dell’altruismo non sono poi così innaturali, tutt’altro. Quest’anno, su questi temi, è uscito un interessante libro per ragazzi e ragazze di ogni età, scritto da Vittorio Gallese (professore di psicobiologia, noto per aver scoperto i neuroni a specchio) e Ugo Morelli: Umani, come, perché, da quanto tempo e fino a quando?.

La pace nasce con ognuno di noi, la portiamo dentro ma oggi il termine “pacifista” nell’ambito del dibattito politico, veicola un non so che di offensivo, da non prendere sul serio, da considerare comunque in modo polemico, ingenuo e inconcludente. 

Nel 1981 uscì un bellissimo film di J. J. Annaud, La guerra del fuoco, di ambientazione preistorica. Il regista chiese la consulenza dell’etologo Desmond Morris. Il film è quindi privo di linguaggio verbale, si basa solo sulle gestualità e sui versi gutturali, ma io ho ancora forte il ricordo di alcune scene che con  delicatezza ed efficacia rappresentavano l’umanità dei personaggi preistorici e la loro socialità a indicare un passaggio evolutivo dalla lotta alla sopravvivenza alla scoperta della cultura umana. 

Con queste premesse ci siamo incontrati il 22 novembre scorso (“Educare è l’arte della pace”) presso la sede di Omep (Organizzazione Mondiale dell’Età Prescolare) con tanti studenti e studentesse universitarie per confrontarci insieme partendo da questi interrogativi: quali azioni e gesti per costruire culture di pace? e quali resistenze e ostacoli impediscono la costruzione delle culture di pace?

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