
Quando la fede taglia i ponti con il fossile
Comune-info - Tuesday, November 18, 2025Mentre a Belém, in Brasile, la COP30 inciampa nei soliti veti incrociati sul phase-out dei combustibili fossili, lontano dai riflettori politici arriva un segnale forte dalle chiese cattoliche e protestanti : 62 istituzioni religiose – scelgono di disinvestire dal fossile. Un gesto di disobbedienza morale che nasce nei territori dove crisi climatica e fragilità sociale camminano ormai insieme

Il 18 novembre, mentre governi e grandi compagnie trattano il futuro come fosse merce di scambio, parrocchie, diocesi, ordini religiosi, reti protestanti e istituti finanziari ecclesiali hanno fatto un passo semplice e radicale: tagliare i legami economici con il petrolio, il gas e il carbone. È uno dei più grandi annunci collettivi di disinvestimento mai realizzati dalle comunità di fede.
Ci sono diocesi cattoliche italiane (Siena, Montepulciano, Lucca, Cremona…), istituzioni canadesi, ordini religiosi europei, reti protestanti come l’Arbeitskreis Kirchlicher Investoren (AKI) che riunisce 42 investitori istituzionali della Chiesa tedesca.
Un mosaico che dimostra come la conversione ecologica evocata da anni non sia solo un richiamo spirituale, ma si giochi nel concreto della finanza, della gestione delle risorse, dei progetti comunitari.
L’Italia che brucia e che si allaga: la scelta delle diocesi
In un paese dove ogni giorno si misurano i danni prodotti dalla crisi climatica , città sommerse e colline franate , il disinvestimento non suona come gesto ideologico, ma come atto di sopravvivenza comunitaria.
Il cardinale Augusto Paolo Lojudice, tra Siena e Montepulciano, lega con chiarezza combustibili fossili e conflitti globali, ricordando che la crisi climatica non è una distrazione ecologica ma una questione di pace:
“La decarbonizzazione è un atto di giustizia… esprime solidarietà con coloro che subiscono le conseguenze di conflitti alimentati dalla dipendenza dal fossile.”
Il Vescovo di Lucca, Paolo Giulietti, mette insieme finanza etica e comunità energetiche rinnovabili (CER), mostrando una strada forse più politica che religiosa:
“La sostenibilità è rispetto per il creato e amore per il Creatore. Alle CER si aggiunge il nostro impegno negli investimenti fossil-free.”
Ancora più esplicita la Diocesi di Cremona, dove il disinvestimento cammina di pari passo con la costruzione di sei – presto sette – Comunità Energetiche Rinnovabili in 27 Comuni: un lavoro nascosto e tenace, fatto di incontri tra parrocchie, amministrazioni, enti del terzo settore, fondazioni e cittadini.
Cremona ricorda che la transizione non si fa nei convegni, ma negli oratori, nei tetti delle scuole, nelle assemblee di quartiere.
Foto Rosa JijonQuando la crisi climatica si chiama “migrazione”
Tra le voci che compongono questa scelta collettiva c’è anche quella di chi conosce ogni giorno le ferite della mobilità forzata. Emanuele Selleri, dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo, non usa mezzi termini:
“Il cambiamento climatico è una delle cause più tragiche delle migrazioni forzate. Non possiamo voltarci dall’altra parte.”
Per chi vive a fianco di chi fugge, la connessione tra il fossile e il dolore ha nomi, volti, biografie. È un’eco che a Comune-info conosciamo bene: i luoghi in cui si soffre l’ingiustizia ambientale sono spesso gli stessi in cui si soffre l’ingiustizia sociale.
Dall’Europa al Sud del mondo: una pressione che sale
Non è solo l’Italia a parlare. Le comunità protestanti tedesche – tra le più avanzate nella finanza etica – ribadiscono criteri chiari: fuori tutte le aziende che fanno più del 5% del fatturato da carbone e petrolio/gas non convenzionali. I gesuiti dell’Europa centrale annunciano il disinvestimento totale, ricordando che a pagare il prezzo più alto sono le popolazioni povere del Sud globale.
E nei mesi scorsi i vescovi cattolici di Africa, Asia e America Latina hanno lanciato un appello netto: il fossile va abbandonato non solo per il clima, ma per riparare un debito ecologico e morale. Parole che spostano il discorso: non è più solo una questione di obiettivi climatici, ma di giustizia storica.
La contraddizione che nessuno può più ignorare
Fuori dai cammini comunitari, invece, il mondo del fossile accelera. La compagnia francese TotalEnergies è stata condannata per greenwashing mentre continua a spingere oleodotti devastanti come l’EACOP in Africa orientale e a riaprire progetti di GNL in Mozambico.
Un nuovo rapporto Urgewald mostra che l’industria globale pianifica un’espansione del 33% rispetto al 2021: altro che transizione, siamo davanti a un rilancio.
In questa contraddizione il disinvestimento delle istituzioni religiose diventa contro-narrazione e azione concreta. È un atto di verità: non si può dire “salviamo il creato” e finanziare chi lo distrugge.
Quando la politica non decide, decidono i popoli
Papa Leone XIV parla di “azione coordinata e coraggiosa per il clima”, ma soprattutto richiama le comunità a fare pressione sui governi.
E in un passaggio che vale come titolo di questo tempo:
“Non possiamo essere complici, nemmeno involontariamente, delle cause dell’emergenza climatica.”
Se gli Stati esitano sugli NDC (i Contributi Determinati a Livello Nazionale), i movimenti di fede rispondono con i PDC – People’s Determined Contributions: impegni concreti presi dai cittadini e dalle comunità. Un cambio di paradigma: la transizione non è delegabile.

La posta in gioco: denaro, democrazia, vita
Le istituzioni religiose muovono complessivamente 3.000 miliardi di dollari di investimenti e oltre 600 di esse hanno già scelto di disinvestire. Non è un gesto simbolico: è un segnale che può condizionare banche, governi, istituzioni.
Ma c’è dell’altro. Qui si parla di comunità che rimettono le mani sulla propria autonomia energetica, sulla capacità di decidere come usare il denaro, sulla possibilità di costruire alternative reali.
È la dimensione che raccontiamo da anni: la transizione non è una questione tecnica, ma un processo di riappropriazione del futuro.
Una speranza ostinata
La climatologa cristiana Katharine Hayhoe ricorda che il grande masso dell’azione climatica non è ai piedi di una montagna impossibile: è già in movimento, e milioni di mani lo spingono nella direzione giusta. Disinvestire dal fossile è una di quelle mani. Non l’unica, certo. Non sufficiente, forse. Ma necessaria.
Perché le comunità che dicono no al fossile e sì alla cura della terra mostrano una verità elementare: il cambiamento non arriva dai vertici, ma da chi abita i territori, da chi si prende cura, da chi decide di non essere più complice.
E questa, sì, è una buona notizia. Anche mentre la COP30 fatica a decidere.
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