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Femministe a Belém
Con un a compagna appena tornata da Belem parliamo della Cupola dos Povos, il contro vertice tenuto in occasione della COP30 in Brasile. Alla Cupola hanno partecipato 1099 organizzazioni, 70000 persone che compongono movimenti locali, nazionali, e internazionali di popoli nativi e tradizionali, contadini , indigeni, comunità quilombolas, sindacalisti, donne, comunità LGBTQIAPN+, giovani, afrodiscendenti. In particolare abbiamo approfondito le tematiche del Tavolo 6 "Femminismo popolare e resistenza delle donne nei territori". Il vertice dei popoli dimostra che si può e si deve fare politica dal basso, partendo dai territori e dalle comunità organizzate.
La Cop30 si chiude senza una tabella di marcia precisa per superare i fossili
La Cop30 di Belém, in Brasile, la prima a svolgersi dopo che il pianeta ha registrato una temperatura media globale più alta di 1,5 gradi rispetto all’epoca pre-industriale (nel 2024), la Cop che è stata definita da più parti come il momento della verità, si è infine conclusa ieri, 22 […] L'articolo La Cop30 si chiude senza una tabella di marcia precisa per superare i fossili su Contropiano.
Brasile: la COP brucia e le periferie resistono
Oggi, 20 novembre, è bastato un incendio nei padiglioni sfarzosi della zona blu della COP30 per far scattare l’allarme generale; eppure, mentre ci si affanna tra incontri, badge e diplomazie pochi sembrano preoccuparsi davvero delle foreste che bruciano, delle città alluvionate o dei quartieri popolari che subiscono per primi la crisi climatica. L’attenzione globale si concentra sulle vetrine istituzionali, ma resta quasi del tutto cieca davanti ai territori dove l’emergenza ambientale non è un tema da conferenza: è la vita quotidiana. A partire da qui nasce la CicloLog, progetto che intreccia comunicazione comunitaria, educazione ambientale e resistenza dal basso, dimostrando che le risposte alla crisi spesso arrivano prima dai territori che dalle conferenze internazionali. Everton della CicloLog e attivo nella zona est di San Paolo, racconta un lavoro quotidiano che unisce psicologia sociale, informazione indipendente e iniziative ambientali nelle periferie. La CicloLog combatte il “deserto di notizie”, distribuisce libri, gestisce orti comunitari e porta prodotti freschi nelle scuole. Ha creato anche una radio itinerante e un gioco da tavolo che insegna, in modo collaborativo, come affrontare problemi ambientali reali che colpiscono i territori marginalizzati. Nel racconto emerge la tragedia di Samuel Elder, un bambino morto dopo aver avuto contatto con l’acqua contaminata delle alluvioni del 2025 — un caso emblematico di razzismo ambientale aggravato dalla mancata prevenzione dello Stato. Everton denuncia la manipolazione del referto medico e l’ingiustizia vissuta dalla famiglia. Ancora una volta vediamo una periferia che non aspetta soluzioni dall’alto: crea reti, risponde collettivamente ai disastri, denuncia la presenza opportunista di istituzioni, e rivendica il diritto di definire le proprie politiche ambientali. Il messaggio è chiaro e familiare: la periferia non è solo la prima a subire la crisi, ma è anche il luogo dove nascono le risposte più concrete e radicali.    
La Contro COP Anarchica a Belém
I movimenti anarchici dell’Amazzonia organizzano una Contro-COP autonoma e senza figure istituzionali, a differenza della Cúpula dos Povos, conclusasi domenica, giudicata troppo vicina al governo Lula. Abbiamo intervistato due compagni del CCLA (Centro de Cultura Libertária da Amazônia) per i quali la COP30 si configura come un grande palcoscenico per lo Stato borghese e le multinazionali, marcata dalla forte presenza di lobbisti del petrolio e del settore minerario. Riflette una disputa interna alla borghesia globale: da un lato chi vuole mantenere l’economia dei combustibili fossili, dall’altro chi promuove la transizione energetica basata sull’estrazione di terre rare e sulla finanziarizzazione della natura, come il mercato del carbonio. Entrambi i fronti mirano a trasformare l’Amazzonia in laboratorio del capitalismo verde. Inoltre, la presenza di ministri come Marina Silva (Ministra dell'Ambiente) e Sônia Guajajara (Ministra dei Popoli Indigeni), di Guilherme Boulos (Ministro della Segreteria Generale) e di André Corrêa do Lago (Presidente della Cop30) durante la Cúpula dos Povos avrebbe neutralizzato le spinte più radicali.  La Contro-COP anarchica propone dibattiti, assemblee e iniziative internazionaliste ispirate all’ecologia sociale di Murray Bookchin, sostenendo che non esiste sostenibilità senza rompere con capitalismo, patriarcato e razzismo strutturale. Parallelamente, evidenziano altre lotte territoriali, come la Marcha da Periferia, che denuncia genocidio del popolo nero, avanzata delle milizie fasciste e gentrificazione accelerata dai lavori per la COP. Nella regione del Baixo Tapajós collaborano inoltre ai processi di autodermarcazione delle terre indigene, considerati strumenti essenziali di autodifesa comunitaria. Per i militanti, l’anarchismo resta una tradizione viva nella lotta sociale contemporanea e rappresenta una proposta concreta per un futuro basato su autonomia, mutualismo e buen vivir.   Per maggiori info:  https://cclamazonia.noblogs.org/
Quando la fede taglia i ponti con il fossile
MENTRE A BELÉM, IN BRASILE, LA COP30 INCIAMPA NEI SOLITI VETI INCROCIATI SUL PHASE-OUT DEI COMBUSTIBILI FOSSILI, LONTANO DAI RIFLETTORI POLITICI ARRIVA UN SEGNALE FORTE DALLE CHIESE CATTOLICHE E PROTESTANTI : 62 ISTITUZIONI RELIGIOSE – SCELGONO DI DISINVESTIRE DAL FOSSILE. UN GESTO DI DISOBBEDIENZA MORALE CHE NASCE NEI TERRITORI DOVE CRISI CLIMATICA E FRAGILITÀ SOCIALE CAMMINANO ORMAI INSIEME Il 18 novembre, mentre governi e grandi compagnie trattano il futuro come fosse merce di scambio, parrocchie, diocesi, ordini religiosi, reti protestanti e istituti finanziari ecclesiali hanno fatto un passo semplice e radicale: tagliare i legami economici con il petrolio, il gas e il carbone. È uno dei più grandi annunci collettivi di disinvestimento mai realizzati dalle comunità di fede. Ci sono diocesi cattoliche italiane (Siena, Montepulciano, Lucca, Cremona…), istituzioni canadesi, ordini religiosi europei, reti protestanti come l’Arbeitskreis Kirchlicher Investoren (AKI) che riunisce 42 investitori istituzionali della Chiesa tedesca. Un mosaico che dimostra come la conversione ecologica evocata da anni non sia solo un richiamo spirituale, ma si giochi nel concreto della finanza, della gestione delle risorse, dei progetti comunitari. L’Italia che brucia e che si allaga: la scelta delle diocesi In un paese dove ogni giorno si misurano i danni prodotti dalla crisi climatica , città sommerse e colline franate , il disinvestimento non suona come gesto ideologico, ma come atto di sopravvivenza comunitaria. Il cardinale Augusto Paolo Lojudice, tra Siena e Montepulciano, lega con chiarezza combustibili fossili e conflitti globali, ricordando che la crisi climatica non è una distrazione ecologica ma una questione di pace: “La decarbonizzazione è un atto di giustizia… esprime solidarietà con coloro che subiscono le conseguenze di conflitti alimentati dalla dipendenza dal fossile.” > Il Vescovo di Lucca, Paolo Giulietti, mette insieme finanza etica e comunità > energetiche rinnovabili (CER), mostrando una strada forse più politica che > religiosa: > “La sostenibilità è rispetto per il creato e amore per il Creatore. Alle CER > si aggiunge il nostro impegno negli investimenti fossil-free.” Ancora più esplicita la Diocesi di Cremona, dove il disinvestimento cammina di pari passo con la costruzione di sei – presto sette – Comunità Energetiche Rinnovabili in 27 Comuni: un lavoro nascosto e tenace, fatto di incontri tra parrocchie, amministrazioni, enti del terzo settore, fondazioni e cittadini. Cremona ricorda che la transizione non si fa nei convegni, ma negli oratori, nei tetti delle scuole, nelle assemblee di quartiere. Foto Rosa Jijon Quando la crisi climatica si chiama “migrazione” Tra le voci che compongono questa scelta collettiva c’è anche quella di chi conosce ogni giorno le ferite della mobilità forzata. Emanuele Selleri, dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo, non usa mezzi termini: > “Il cambiamento climatico è una delle cause più tragiche delle migrazioni > forzate. Non possiamo voltarci dall’altra parte.” Per chi vive a fianco di chi fugge, la connessione tra il fossile e il dolore ha nomi, volti, biografie. È un’eco che a Comune-info conosciamo bene: i luoghi in cui si soffre l’ingiustizia ambientale sono spesso gli stessi in cui si soffre l’ingiustizia sociale. Dall’Europa al Sud del mondo: una pressione che sale Non è solo l’Italia a parlare. Le comunità protestanti tedesche – tra le più avanzate nella finanza etica – ribadiscono criteri chiari: fuori tutte le aziende che fanno più del 5% del fatturato da carbone e petrolio/gas non convenzionali. I gesuiti dell’Europa centrale annunciano il disinvestimento totale, ricordando che a pagare il prezzo più alto sono le popolazioni povere del Sud globale. E nei mesi scorsi i vescovi cattolici di Africa, Asia e America Latina hanno lanciato un appello netto: il fossile va abbandonato non solo per il clima, ma per riparare un debito ecologico e morale. Parole che spostano il discorso: non è più solo una questione di obiettivi climatici, ma di giustizia storica. La contraddizione che nessuno può più ignorare Fuori dai cammini comunitari, invece, il mondo del fossile accelera. La compagnia francese TotalEnergies è stata condannata per greenwashing mentre continua a spingere oleodotti devastanti come l’EACOP in Africa orientale e a riaprire progetti di GNL in Mozambico. Un nuovo rapporto Urgewald mostra che l’industria globale pianifica un’espansione del 33% rispetto al 2021: altro che transizione, siamo davanti a un rilancio. In questa contraddizione il disinvestimento delle istituzioni religiose diventa contro-narrazione e azione concreta. È un atto di verità: non si può dire “salviamo il creato” e finanziare chi lo distrugge. Quando la politica non decide, decidono i popoli Papa Leone XIV parla di “azione coordinata e coraggiosa per il clima”, ma soprattutto richiama le comunità a fare pressione sui governi. E in un passaggio che vale come titolo di questo tempo: > “Non possiamo essere complici, nemmeno involontariamente, delle cause > dell’emergenza climatica.” Se gli Stati esitano sugli NDC (i Contributi Determinati a Livello Nazionale), i movimenti di fede rispondono con i PDC – People’s Determined Contributions: impegni concreti presi dai cittadini e dalle comunità. Un cambio di paradigma: la transizione non è delegabile. La posta in gioco: denaro, democrazia, vita Le istituzioni religiose muovono complessivamente 3.000 miliardi di dollari di investimenti e oltre 600 di esse hanno già scelto di disinvestire. Non è un gesto simbolico: è un segnale che può condizionare banche, governi, istituzioni. Ma c’è dell’altro. Qui si parla di comunità che rimettono le mani sulla propria autonomia energetica, sulla capacità di decidere come usare il denaro, sulla possibilità di costruire alternative reali. È la dimensione che raccontiamo da anni: la transizione non è una questione tecnica, ma un processo di riappropriazione del futuro. Una speranza ostinata La climatologa cristiana Katharine Hayhoe ricorda che il grande masso dell’azione climatica non è ai piedi di una montagna impossibile: è già in movimento, e milioni di mani lo spingono nella direzione giusta. Disinvestire dal fossile è una di quelle mani. Non l’unica, certo. Non sufficiente, forse. Ma necessaria. Perché le comunità che dicono no al fossile e sì alla cura della terra mostrano una verità elementare: il cambiamento non arriva dai vertici, ma da chi abita i territori, da chi si prende cura, da chi decide di non essere più complice. E questa, sì, è una buona notizia. Anche mentre la COP30 fatica a decidere. L'articolo Quando la fede taglia i ponti con il fossile proviene da Comune-info.
La COP30 espelle la delegazione di Israele
La delegazione israeliana è stata espulsa dall’assemblea della COP30. Le proteste di fronte alla sede di Belem in Brasile e il boicottaggio espresso dalla maggioranza delle delegazioni hanno cacciato i rappresentanti del genocidio a Gaza. La notizia è stata censurata dalla stampa scorta mediatica di Netanyahu. La Commissione Onu per […] L'articolo La COP30 espelle la delegazione di Israele su Contropiano.
Cop30, tra le proteste indigene
Martedì, contestualmente alla conferenza COP30 (30ª Conferenza delle Parti sulla Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che sta avendo luogo in questi giorni a Belém in Brasile, è scoppiata una nutrita protesta da parte di comunità indigene e attivisti per il clima, che ha visto dozzine di manifestanti – […] L'articolo Cop30, tra le proteste indigene su Contropiano.
Primo giorno della Vertice dei Popoli e Occupazione dell'area blu da parte dei movimenti indigeni e sociali
Da Belém, sulle acque della Baía do Guajará, prende il via la Cúpula dos Povos, il controvertice internazionale dei movimenti popolari, contadini, indigeni e ambientalisti che si oppongono alla COP30 ufficiale. Oltre 200 imbarcazioni e 5.000 persone provenienti da 62 paesi hanno inaugurato l’evento con una flottiglia simbolica, portando un messaggio chiaro: la risposta alla crisi climatica non viene dai palazzi del potere, ma dai popoli dell’acqua, delle foreste e delle periferie. Mentre i leader mondiali si incontrano con le multinazionali del clima e dell’agrobusiness, fuori, la resistenza si organizza: il MST ha occupato l’AgriZone di Embrapa — sponsorizzata da Nestlé e Bayer — e le proteste si moltiplicano contro il progetto Ferrogrão e la trivellazione alla foce del Rio delle Amazzoni. Sabato 15 novembre è prevista la Marcia Unificata, grande manifestazione di convergenza dei movimenti. Un’altra Amazzonia, un altro mondo sono già in marcia. Nel podcast trovate anche l'intervista a un militante dell'organizzazione giovanile Juntos che ieri sera, insieme al movimento indigeno del basso Tapajós, ha occupato la zona blu della Cop30. Racconta la visione del movimento “Juntos”: la critica a una COP30 dominata da grandi imprese responsabili di gravi crimini ambientali; la solidarietà con le comunità indigene che subiscono violazioni dei propri territori; e la necessità di unire le lotte locali a quelle globali, dalla difesa dell’Amazzonia alla solidarietà con il popolo palestinese. Per lui, l’Amazzonia non è solo un tema ambientale, ma un campo di battaglia politico e sociale, dove si scontrano modelli di sviluppo, logiche coloniali e il diritto dei popoli a decidere del proprio futuro.
Ultimo giorno dell'Incontro Internazionale delle Comunità Danneggiate dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici
Oggi, 11 novembre 2025, dopo cinque giorni di un Incontro Internazionalista che ha riunito delegati da 45 paesi e da tutti e cinque i continenti, è nato il Movimento delle Comunità Colpite dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici. Durante l’assemblea conclusiva, sono stati condivisi i punti centrali della congiuntura internazionale e intercontinentale, frutto del confronto tra i partecipanti. In sintesi, il documento evidenzia che il mondo vive una crisi profonda del sistema capitalista, che si manifesta sul piano economico, politico, sociale, culturale e ambientale. In questo contesto, cresce la disputa per l’egemonia mondiale tra il blocco imperialista del G7, guidato dagli Stati Uniti, e il blocco emergente dei BRICS, guidato dalla Cina. Le grandi corporazioni e le élite economiche, per mantenere il proprio potere, sostengono l’ascesa di forze di estrema destra con tratti autoritari e fascisti, che attaccano i diritti sociali e criminalizzano i movimenti popolari. Il testo sottolinea inoltre che il modo di produzione capitalista è la causa principale della crisi climatica, responsabile della distruzione ambientale, della privatizzazione dei beni comuni e dell’aumento degli eventi estremi. Le cosiddette “soluzioni verdi” promosse da imprese e governi — come la transizione energetica del capitale, i mercati del carbonio o la compensazione della biodiversità — sono considerate false soluzioni, che servono solo a perpetuare il sistema economico dominante. La conseguenza è l’aumento costante di territori e comunità colpite da dighe, disastri ambientali e violazioni dei diritti umani, soprattutto in Asia, Africa e America Latina. Tuttavia, proprio queste comunità sono oggi protagoniste della resistenza e indicano vie concrete per la trasformazione. Il documento si conclude con un appello all’unità internazionale dei popoli colpiti, invitando a costruire una rete globale di organizzazione, formazione e lotta per difendere i territori, i diritti e Madre Terra, superando capitalismo, imperialismo, fascismo, maschilismo e razzismo. Danneggiate e danneggiati di tutto il mondo: unitevi! Oggi ascolteremo anche alcuni estratti dalla mistica conclusiva, una mamma NoPFAS che ci farà un resoconto della giornata condividendo anche le sue impressioni personali, e infine la voce di Monica Dioro, attivista Chamorro proveniente dalle Isole Marianne, in Micronesia. Madre, educatrice e difensora dei diritti del suo popolo e della Terra, Monica racconta la lotta delle comunità insulari contro la militarizzazione, l’inquinamento e la crisi climatica, portando al tempo stesso un messaggio di resilienza, pace e amore per Madre Terra. Domani inizerà la Cupula dos Povos (Vertice dei Popoli) e saremo anche lì insieme agli altri movimenti sociali da tutto il mondo. Di seguito il programma: https://cupuladospovoscop30.org/programacao/  
III e IV giorno dell'Incontro Internazionale delle Comunità Danneggiate dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici
Sotto il sole amazzonico, un gruppo composto da militanti di 45 paesi ha intrapreso questa domenica (9/11) una traversata simbolica attraverso le acque della Baía do Guajará, a Belém (PA). L’escursione, che ha riunito rappresentanti di diversi movimenti sociali, faceva parte del III giorno del IV Incontro Internazionale delle Persone Colpite da Dighe e dalla Crisi Climatica. L'evento sta riunendo 350 persone provenienti da tutti i continenti per discutere di sovranità energetica, giustizia climatica e costruire soluzioni collettive. L’obiettivo dell’esperienza amazzonica era offrire ai partecipanti un contatto diretto con il territorio e con la cultura del paese ospitante, affinché potessero percepire e comprendere l’Amazzonia non solo come paesaggio, ma come territorio politico e di resistenza. Per questo motivo, l’immersione è stata concepita come uno spazio di apprendimento e scambio, con la città come sfondo. Nella prima parte della giornata, i partecipanti hanno compiuto una passeggiata nel centro storico di Belém, guidata dal professore e storico Michel Pinho, ricercatore della storia sociale della città. L’escursione ha avuto la forma di una lezione pubblica, con riflessioni sul ruolo delle popolazioni nere, indigene e fluviali nella formazione del Pará e sulle lotte di resistenza che hanno segnato la regione, come la Cabanagem, rivolta popolare avvenuta tra il 1835 e il 1840 contro lo sfruttamento e l’autoritarismo delle élite coloniali. “La proposta è guardare Belém da altre prospettive. La città non è solo ciò che appare nelle narrazioni ufficiali, ma il risultato di molti conflitti e resistenze. Questa storia deve essere raccontata da chi l’ha costruita”, ha affermato Pinho. Durante il percorso, l’educatore ha presentato anche l’architettura e i monumenti della città come elementi di una storia politica, oltre a espressioni idiomatiche locali che traducono lo stile di vita del popolo del Pará. “Immagino la città come se fosse un’aula. Così, invece di una lavagna, abbiamo un edificio; invece di una proiezione, abbiamo una strada; invece di una narrazione, abbiamo le persone. Fare questo significa rivendicare un diritto: il diritto alla città”, ha spiegato. Durante il tour/lezione, ha anche utilizzato la musica per mostrare le affinità tra il Pará e l’Africa, con un carro sonoro e canzoni che esprimono la potenza culturale dello stato e le radici nere della nostra identità. Il gruppo ha concluso la passeggiata al Mercado Ver-o-Peso, considerato il più grande mercato all’aperto dell’America Latina, dove i visitatori hanno potuto conoscere la dinamica popolare che muove l’economia locale e osservare come la vita fluviale sostiene la cultura e l’alimentazione di Belém. In seguito: la traversata in battello nella Baía do Guajará, a Belém (PA). Le partecipanti provenienti da cinque continenti hanno navigato insieme in un atto di unione, solidarietà e connessione culturale. Davanti all’imbarcazione, un planisfero gonfiabile galleggiava sulle acque, simbolo della casa comune – la Terra – a ricordare che il pianeta in cui viviamo è uno solo per tutti. Oltre al paesaggio amazzonico di proporzioni imponenti, uno dei momenti più significativi dell’esperienza è stata l’esibizione musicale dal vivo di carimbó. Questo ritmo è una manifestazione culturale di origine indigena e africana, con una forte influenza caraibica, particolarmente visibile nei movimenti di gonne e fianchi. Nato nello stato del Pará, è riconosciuto come Patrimonio Culturale Immateriale del Brasile e rappresenta la fusione tra tradizioni indigene, africane e portoghesi: una celebrazione viva della diversità amazzonica. Il momento è stato segnato dalla mescolanza di lingue e storie, ma anche da un sentimento comune: quello di appartenere a una lotta globale contro l’ingiustizia climatica e il potere delle grandi corporazioni. Oggi - IV giorno dell'incontro - le delegate si sono suddivise in cinque gruppi di lavoro, ciascuno dedicato a un tema specifico: organizzazione, formazione, donne e giovani, comunicazione e forme di lotta. Le discussioni sono state intense e hanno permesso di condividere esperienze e strategie comuni tra le comunità colpite in diversi paesi.Domani, dopo la plenaria di restituzione dei gruppi, forniremo un resoconto più dettagliato delle discussioni e delle proposte emerse. In questa giornata è intervenuto anche Pedro Arrojo, storico attivista spagnolo per la difesa dell’acqua e, dal 2020 – ancora per un anno – Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, presente all’incontro per portare il suo contributo e la sua esperienza sulle lotte globali legate al diritto all’acqua. Trovate l'intervista all'interno del podcast.