
Costruire relazioni con la resistenza palestinese
Jacobin Italia - Monday, November 17, 2025
Articolo di Gianni De Giglio, Lucilla Fiorentino, Rami MassadNell’estate del 2023, il Popular Art Centre (Pac) ha rafforzato una serie di iniziative collettive di agricoltura, permacultura, agroecologia e trasformazione alimentare. Nell’ambito di quest’esperienza ha invitato l’associazione Solidaria Bari, che da anni produce la salsa Sfrutta Zero e fa parte dell’Associazione Fuorimercato, a partecipare a una conferenza internazionale sui movimenti sociali in Palestina, che però è stata cancellata dopo il 7 ottobre e l’inizio dell’attacco israeliano a Gaza. Da quel momento è iniziato però un rapporto tra Pac e Fuorimercato andato avanti negli ultimi due anni, nel mezzo del genocidio e dell’ecocidio a Gaza.
Un rapporto che si è concentrato sulla discussione di ciò che sta accadendo in Palestina e nel comunicare la realtà della situazione in Cisgiordania e a Gaza, nonché sul ruolo di Popular Art Centre nel mezzo di questo genocidio e sui servizi che fornisce alla popolazione in condizioni così difficili. Ciò è avvenuto attraverso numerose sessioni online con gruppi all’interno di Fuorimercato, nelle università e durante vari eventi culturali e artistici, tra cui l’ultima Scuola Giacobina. Durante questi scambi, abbiamo anche condiviso esperienze e conoscenze in diversi campi, tra cui l’agroecologia e altre questioni comuni.
Tuttavia, per rivelare veramente la realtà sul campo, e non solo attraverso gli schermi, ci hanno invitato in Palestina, per testimoniare in prima persona le sofferenze quotidiane che i e le palestinesi subiscono ai posti di blocco militari e nel corso degli assalti dei coloni e delle forze di occupazione. La nostra visita è durata due settimana, dal 28 ottobre al 10 novembre, ed è stata fondamentale anche per vedere l’impatto del sostegno fornito alle cooperative giovanili e femminili e come questa assistenza aiuti gli agricoltori a coltivare, proteggere e liberare le loro terre dall’espansione degli insediamenti e dall’ingiustizia. Inoltre, è stata un’opportunità per noi di riflettere insieme, sul campo e tra la gente, su come sviluppare ulteriormente la nostra partnership sulla base di esperienze e realtà concrete.
Abbiamo visto da vicino la forza del popolo palestinese, la sua profonda fede nel proprio diritto alla terra e la sua lotta continua nonostante i continui tentativi dell’occupazione di cancellare e spegnere la speranza durante lunghi anni di oppressione. E abbiamo visto lo spirito unico di solidarietà che contraddistingue le persone palestinesi, il modo in cui si sostengono a vicenda, aiutandosi l’un l’altro in condizioni tragiche e complesse, in una vivente espressione di resilienza e fermezza sulla propria terra di fronte allo sfollamento e al genocidio.
Durante le nostre due settimane in Palestina, abbiamo visitato campi profughi, cooperative agricole, centri culturali giovanili, il Centro di Sostegno alle donne a Nablus e la sede del Pac a Ramallah, da nord a sud della Cisgiordania, sia in campagna che in città. Un programma fitto e intenso che ha coinvolto persone, luoghi, storie, radici e resistenza, durante il quale sono emersi i pilastri che definiscono la vostra visione e le vostre strategie. Potete spiegare cosa intendete con questi pilastri?
Il Popular Art Centre è stato fondato nel 1987 come istituzione culturale comunitaria con l’obiettivo di preservare e promuovere la tradizione palestinese. Il Centro ha contribuito a documentare il patrimonio culturale, organizzare festival e insegnare le arti dello spettacolo a diverse generazioni, programmi che sono diventati aspetti permanenti e continuativi del suo lavoro fino a oggi.
Nel 2000, il Centro ha ampliato il suo raggio d’azione e la sua portata geografica per includere città e villaggi in varie province palestinesi, attraverso la creazione di partnership e alleanze con istituzioni locali. Attingendo alla sua esperienza e alle relazioni in continua evoluzione con le organizzazioni locali di base, e attraverso l’apprendimento reciproco, il Centro ha ampliato il suo lavoro culturale in un impegno comunitario più ampio. Quest’espansione è stata guidata dalla necessità di creare un cambiamento globale e trasformativo nelle comunità locali in cui opera.
Di conseguenza, il Centro ha svolto un ruolo fondamentale nel sostenere iniziative di solidarietà culturale, sociale ed economica, in particolare tra i giovani e le donne, al fine di garantirne la sostenibilità e l’impatto sociale. Sulla base di questo processo, il Centro si è ridefinito come istituzione culturale comunitaria, operando lungo due percorsi principali: quello culturale-artistico e quello di comunità, interconnessi e guidati da una visione condivisa per una società palestinese libera e democratica, con un ricco tessuto culturale e sociale, che goda di pieni diritti sociali, culturali ed economici, in conformità con i principi di giustizia e uguaglianza.
Tra le innumerevoli esperienze vissute e ascoltate, puoi spiegarci come funziona la scuola di danza, a partire da Ramallah? La sua composizione, i festival che la caratterizzano. Attraverso quali forme e organizzazione la scuola sostiene, finanziariamente e non solo, le altre scuole di danza e i centri culturali con cui collaborate in tutta la Palestina, dalla Cisgiordania a Gaza?
La scuola di danza è il programma principale di Pac. È stata fondata nel 1991 con risorse limitate e un numero ridotto di studenti, ma si è gradualmente sviluppata nel tempo. Il Centro ha ampliato le sue strutture di formazione e ha investito nello sviluppo delle competenze e delle conoscenze dei suoi istruttori, rendendo la scuola oggi la colonna portante dei programmi del Centro.
Più di 400 bambine e adolescenti, dai 5 ai 16 anni, frequentano la scuola, allenandosi durante tutto l’anno in gruppi organizzati in base all’età e al livello artistico. Questi gruppi prendono il nome dalle danze tradizionali palestinesi e i bambini imparano la Dabke al ritmo di canzoni nazionali e popolari, molte delle quali sono state raccolte e documentate dal Centro dagli allievi più adulti nel corso di molti anni.
Gli studenti pagano una quota annuale simbolica, che contribuisce a coprire le spese operative e programmatiche del Centro, sostenendone così la sostenibilità finanziaria e l’indipendenza. L’impatto della scuola va oltre la formazione dei bambini nelle sale del Centro di Al-Bireh-Ramallah: si è ampliato fino a includere la creazione di compagnie di danza e Dabke in varie province della Cisgiordania e di Gaza con lo slogan «Arte per tutti». Il Centro ha fondato decine di gruppi, molti dei quali sono ancora attivi oggi, e ha sostenuto la creazione di scuole di Dabke a Jenin e Betlemme.
Il programma della scuola di danza è accompagnato da una serie di festival artistici e culturali organizzati dal Centro, tra cui: il Palestine International Festival, che si tiene ogni anno in estate in Cisgiordania e Gaza; l’Heritage Festival, che si tiene ogni anno a ottobre; il Nawar Nisan Children’s Festival, organizzato in collaborazione con istituzioni partner ogni aprile.
Durante questi giorni di discussione, avete ripetutamente fatto riferimento ai diversi livelli di occupazione e oppressione che voi palestinesi subite: da parte di Israele, ma anche, ad esempio, da parte dei donatori internazionali. Potete approfondire questo argomento? E potete poi spiegare cosa significa per voi palestinesi oggi subire l’apartheid israeliana? Come si manifesta nella vostra vita quotidiana?
L’occupazione israeliana continua a consolidare il suo controllo sul territorio palestinese, cercando sistematicamente di annettere ulteriori territori e minando qualsiasi possibilità di un futuro Stato palestinese. Purtroppo, una parte significativa del sostegno internazionale, diretto o indiretto, si allinea a questo approccio, poiché non mira a porre fine all’occupazione, ma piuttosto a migliorare le condizioni di vita dei palestinesi che ne sono vittime. Ad esempio, quando l’occupazione impone il suo controllo sull’Area C, molte organizzazioni internazionali pongono condizioni che impediscono l’attuazione di progetti in quella zona, citando il rischio di demolizione da parte dell’occupazione. In questo modo però tali politiche attuano efficacemente il programma dell’occupazione, rafforzando la frammentazione e il controllo invece di opporvisi.
Per quanto riguarda l’apartheid in Palestina, forse l’esperienza più difficile è quella di trovarsi sulla propria terra e nella propria casa ed essere circondati e sottoposti quotidianamente a un’oppressione razziale senza precedenti.
Immaginate che l’occupante installi un cancello di ferro all’ingresso del vostro villaggio, chiudendolo a suo piacimento e lasciandovi intrappolati nella vostra stessa comunità, come animali in gabbia. Oppure immaginate di essere rinchiusi per molti anni in una prigione costruita sulla vostra terra natale, mentre i coloni si muovono liberamente sullo stesso territorio. Oppressione significa anche vedere i propri figli e figlie private dei diritti più elementari, come quello di muoversi in sicurezza, giocare e visitare altre città, mentre i coloni nuotano nelle sorgenti naturali che si trovano sulla vostra terra, sorgenti di cui siete legalmente proprietari ma a cui vi è vietato l’accesso. Non si tratta di episodi eccezionali, ma di una realtà quotidiana che assume molte forme e manifestazioni. Eppure, tutte riflettono la natura fondamentale del sistema di apartheid israeliano, che cerca di soffocare i palestinesi e di negare loro il diritto alla libertà e a una vita dignitosa
Un’ultima riflessione: cosa pensi delle mobilitazioni internazionali di solidarietà per la Palestina dal 7 ottobre e cosa significano per te? Per quanto riguarda le relazioni che state costruendo con le reti e le organizzazioni internazionali, quale visione e strategia state utilizzando come Pac per rafforzarle?
Il movimento internazionale di solidarietà popolare con la Palestina ha registrato una significativa espansione e sviluppo dallo scoppio della guerra genocida. Sebbene inizialmente il movimento fosse titubante e poco chiaro sulla realtà sul campo, è diventato rapidamente evidente al mondo che ciò che stava accadendo costituiva un genocidio e una pulizia etnica perpetrati da un governo israeliano di estrema destra, con l’obiettivo di sfollare le popolazioni e distruggere tutti gli aspetti della vita in Palestina, in particolare a Gaza, attraverso l’uccisione di massa di bambini, donne e civili.
La mobilitazione di milioni di persone in tutto il mondo, scese in piazza per protestare contro questo genocidio, è stata un momento di grande significato e un faro di speranza per i palestinesi, riaffermando il vero significato della solidarietà umana. Nel corso del tempo, le forme di questa solidarietà si sono evolute da cortei e manifestazioni pubbliche a campagne di boicottaggio, scioperi e pressioni sulle fabbriche di armi e sulle aziende complici dell’occupazione. Queste azioni sono diventate una vera fonte di disagio internazionale per l’occupazione israeliana, spingendo alcuni governi complici almeno a riconsiderare le loro posizioni o a iniziare ad affrontare la questione dei diritti del popolo palestinese e la necessità di porre fine all’aggressione. Questo movimento internazionale ha svolto un ruolo significativo nell’esercitare pressioni per un cessate il fuoco e ha messo in evidenza il crescente isolamento internazionale di Israele, iniziando a sfidare la narrativa israeliana, in particolare tra le giovani generazioni occidentali, che sono sempre più in grado di vedere la realtà sul campo.
Dal nostro punto di vista, il movimento internazionale di solidarietà popolare oggi deve passare da una risposta reattiva ai massacri a una forza organizzata e influente in grado di plasmare il processo decisionale nei paesi occidentali. Deve sviluppare una visione e una strategia a lungo termine volte a porre fine all’occupazione e a garantire il diritto del popolo palestinese alla libertà e all’autodeterminazione.
Questa visione si basa su diversi principi fondamentali: ricostruire la narrativa globale sulla Palestina in modo che rifletta la verità, allontanandosi dalla narrativa israeliana dominante promossa in Occidente attraverso anni di complicità politica e mediatica. Correggere i comuni malintesi, in particolare il fatto che il popolo palestinese che vive sotto occupazione sta lottando per la libertà e la decolonizzazione, e la sua resistenza non può essere etichettata come «terrorismo», mentre allo Stato occupante viene concesso il «diritto all’autodifesa». E che ciò che sta accadendo in Palestina non è un conflitto tra due parti uguali, ma un’occupazione coloniale che dura da oltre un secolo, che impone oppressione e sfollamento a una popolazione disarmata. Infine, la critica alle pratiche di occupazione israeliane non può essere considerata «antisemitismo». La solidarietà con il popolo palestinese è solidarietà con la giustizia e i diritti umani, non contro gli ebrei come religione, ma contro il regime di occupazione sionista e le sue pratiche razziste.
Il movimento internazionale deve basarsi sul riconoscimento della causa palestinese come lotta politica per la liberazione, non solo come questione umanitaria o di soccorso. Affrontare la situazione esclusivamente come una questione umanitaria serve solo a perpetuare e rafforzare l’occupazione.
*Gianni De Giglio, promotore di SfruttaZero e del Bread&Roses a Bari, lavora nell’ambito delle politiche attive del lavoro ed è associato ai percorsi sindacali delle Clap e di FuoriMercato. Lucilla Fiorentino. Laureata in lingue e letterature straniere all’Università di Bari, fa parte del Bread&Roses Bari ed è promotrice di Assemblea Bari per la Palestina. Rami Massad è il Coordinatore del programma sociale di Pac, ha conseguito la laurea in Scienze sociali e Scienze politiche presso l’università di Birzeit in Palestina.
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