
Ricchezze che bruciano
Comune-info - Monday, November 10, 2025Dopo le ultime Conferenze Onu sul clima ospitate dai paesi petroliferi, il Brasile accoglie dal 10 al 21 novembre la COP numero 30 a dieci anni dall’Accordo di Parigi e dopo il 2024, l’anno più caldo di sempre. L’unica cosa certa in questo scenario tremendo è che non è possibile combattere i cambiamenti climatici se non vengono messe in discussione le disuguaglianze economiche: il 10% più ricco della popolazione mondiale, infatti, è responsabile del 50% delle emissioni totali, ma a pagarne le conseguenze sono i più poveri, in particolare in Asia per eccesso di piogge e in Africa per la loro assenza
L’agricoltura di sussistenza è una delle principali vittime dei cambiamenti climatici ma, insieme ai principi e alle pratiche dell’agrecologia, è al tempo stesso una delle soluzioni più importanti. Foto MST – Movimento dos Trabalhadores Sem TerraLo aveva già detto Oxfam, ma ora lo ha sottolineato anche Joseph Stiglitz per conto del G20: non è possibile combattere i cambiamenti climatici se non combattiamo le disuguaglianze economiche perché è dimostrato che i maggiori emettitori di anidride carbonica sono i ricchi, ma a pagarne le conseguenze sono i più poveri. Un disaccoppiamento che vale non solo a livello geografico, ma anche sociale inteso come rapporto trasversale fra classi.
Da un punto di vista geografico i metereologi hanno appurato che le conseguenze più gravi dei cambiamenti climatici le stanno subendo le regioni più povere, in particolare l’Asia meridionale e l’Africa Subsahariana. Con meccanismi opposti. In Asia per eccesso di piogge, in Africa per la loro assenza. Nel 2022 il Pakistan venne colpito da una vasta inondazione che provocò quasi 2mila morti e perdite per oltre 15 miliardi di dollari, di cui cinque attribuibili al settore agricolo. In Africa, invece, nella regione del Sahel il problema è la siccità. Paesi come Mali, Niger, Sudan, Somalia, negli ultimi anni hanno registrato cali di produttività agricola fino al 40% a causa della mancanza d’acqua. La riduzione dei raccolti agricoli ha come effetto immediato la fame, perché in Africa, come in molti altri paesi del Sud del mondo, una percentuale importante di famiglie pratica ancora l’agricoltura di sussistenza, ossia vive direttamente di ciò che produce. E quando non c’è più da mangiare e da bere, non rimane che andarsene. Il dramma degli sfollati per cause naturali destinato a peggiorare negli anni a venire. La Banca Mondiale calcola che da qui al 2050, oltre 216 milioni di persone potrebbero trovarsi costrette a migrare verso le città o i paesi limitrofi per sfuggire ai disastri provocati dai cambiamenti climatici. E non solo nei paesi del Sud, ma anche in quelli del Nord come testimonia l’Istituto norvegese Internal Displacement Monitoring Centre. Dei 22 milioni di sfollati per incendi, tifoni e allagamenti registrati nel 2024, ben sei appartengono agli Stati Uniti a causa dell’uragano Milton. Ma c’è da stare certi che pur trattandosi del paese più ricco del mondo, a essere colpite sono state le fasce più povere. Intanto perché i ricchi cercano di evitare le località più rischiose e quand’anche dovessero subire dei danni avrebbero i mezzi per risollevarsi rapidamente.
Purtroppo per noi, i ricchi hanno anche i mezzi per condurre vite così lussuose, da emettere quantità stratosferiche di anidride carbonica. Quanto è successo a Venezia nel giugno 2025 ne è un esempio. Per tre giorni la città venne stravolta dalla presenza di Jeff Bezos, patron di Amazon e terzo individuo più ricco del mondo, che aveva invitato oltre duecento magnati per celebrare il suo matrimonio. Molti ritennero l’evento scandaloso per la montagna di soldi spesi, all’incirca 50 milioni di dollari, ma altri si sono concentrati sul tasso di inquinamento prodotto. Gli invitati più facoltosi avevano usato i propri aerei privati per unirsi ai festeggiamenti, tant’è che l’aeroporto di Venezia registrò l’atterraggio di ben 90 jet provenienti da ogni parte del mondo. Aerei che mediamente producono due tonnellate di anidride carbonica per ogni ora di volo, una quantità che rapportata al basso numero di passeggeri trasportati li rende da cinque a quattordici volte più inquinanti dei normali aerei di linea. L’organizzazione statunitense International Council on Clean Transportation ha appurato che nel 2023 sono stati effettuati tre milioni e mezzo di voli da parte di jet privati che complessivamente hanno bruciato oltre sei milioni di tonnellate di carburante per un totale di anidride carbonica prodotta pari a 19,5 milioni di tonnellate. Considerato che nell’Unione Europea le emissioni procapite annuali corrispondono a 10,7 tonnellate, nel 2023 i jet privati hanno emesso la stessa quantità di anidride carbonica prodotta in dodici mesi da 1,8 milioni di europei.
Uno studio pubblicato nel 2023 da Oxfam ci informa che la responsabilità per l’inquinamento prodotto dalla CO2 è profondamente differenziata non solo per aree geografiche, ma soprattutto per livello di ricchezza. Il 10% più ricco della popolazione mondiale, è responsabile del 50% delle emissioni totali, con l’1% di cima che ne emette, da solo, il 16%. Il 50% più povero è responsabile appena dell’8%, mentre il 40% intermedio si intesta il rimanente 42%. Considerato che per impedire alla temperatura terrestre di crescere oltre 1,5 gradi centigradi, nessuno di noi dovrebbe emettere più di 2,8 tonnellate di CO2 all’anno, si scopre che mentre il 50% più povero non ne emette neanche una tonnellata, il 40% intermedio ne emette il doppio del consentito, mentre il 10% più ricco ne emette nove volte di più e l’1% di cima addirittura ventisette volte di più. Per non parlare dei top 20 miliardari che con 8.000 tonnellate a testa sono sopra al consentito di oltre 2.800 volte. Quote che diventano ancora più scandalose se prendiamo in considerazione anche le emissioni derivanti dai loro investimenti in settori altamente inquinanti come gas, petrolio, acciaio, cemento.
Il paradosso della situazione è che mentre contribuiscono così pesantemente al degrado del pianeta, i superricchi pensano di mettersi a posto con l’umanità donando qualche milione di dollari per attività filantropiche destinate al miglioramento ambientale. Bezos, ad esempio, dopo aver fondato il Bezos Earth Fund per la difesa del clima e della natura, si è impegnato a finanziarlo con 10 miliardi di dollari entro il 2030.
Ma la vera strada da intraprendere per arrestare i cambiamenti climatici è quello di adottare stili di vita meno inquinanti. Un passo che i ricchi faranno solo quando avranno meno soldi da sperperare. Per questo tutti coloro che si battono per la difesa del pianeta sostengono che per vincere la battaglia climatica è indispensabile applicare serie politiche di redistribuzione della ricchezza. Che tradotto significa tasse più alte sui redditi e i patrimoni delle classi agiate con contemporaneo utilizzo dei fondi raccolti in due direzioni. Il primo, la cooperazione internazionale per aiutare le popolazioni più povere a superare le loro difficoltà. Il secondo, intervenire internamente per garantire maggiori servizi in campo sociale, sanitario e dei trasporti, necessari per permettere anche alle fasce più deboli di affrontare la transizione ecologica senza eccessivi scossoni. Questo, in fondo, era il sogno di Alex Langer quando diceva che la conversione ecologica avverrà solo se sarà socialmente desiderabile.
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