La tregua armata tra Xi e Trump
Articolo di Daniel Cheng
I due uomini più potenti del mondo, Donald Trump e Xi Jinping, hanno appena
concluso il loro primo incontro di persona dal 2019. Una breve tregua tra Stati
uniti e Cina dopo mesi di intenso conflitto geoeconomico. In cambio dell’aiuto
cinese nella repressione del fentanyl, Trump ha accettato di ridurre i dazi
sulle esportazioni cinesi al 10%. Gli Stati uniti hanno anche accettato una
sospensione di un anno su una prevista espansione delle sanzioni, e la Cina ha
ricambiato con una sospensione analoga sui controlli sulle esportazioni di
minerali di terre rare, recentemente annunciati. Entrambe le parti hanno anche
concordato una proroga di un anno delle reciproche tasse portuali per le navi
cinesi e statunitensi. La Cina riprenderà gli acquisti di soia americana e si
impegnerà a trovare una soluzione alle preoccupazioni americane sulla proprietà
di TikTok.
È positivo che Stati uniti e Cina siano finalmente riusciti a trovare un terreno
comune. Ma uno sguardo più attento alla più ampia traiettoria delle relazioni
tra Usa e Cina mostra che c’è poco di cui essere ottimisti. Dopo decenni di
«Chimerica» – il sogno liberale di legami economici sempre più stretti tra le
due maggiori economie mondiali – Stati uniti e Cina sono entrambi impegnati in
un processo di scorporo delle rispettive catene di approvvigionamento e di
rafforzamento dei rispettivi mercati per eliminare le reciproche dipendenze.
TARIFFE E COMMERCIO
Trump ha lanciato la guerra commerciale durante il suo primo mandato con troppa
enfasi, conquistando i titoli dei giornali mentre lui e il suo team annunciavano
la morte della globalizzazione. Ma rispetto all’attuale guerra commerciale, il
precedente conflitto commerciale di Trump somigliava appena a una scaramuccia.
Durante il primo mandato del presidente, i dazi si collocavano in media intorno
al 20% e sono stati applicati solo nel secondo anno del suo mandato, dopo mesi
di indagini sulle Sezioni 232 e 301 [rispettivamente del Trade Expansion Act e
del Trade Act, ndt].
Contrariamente alla sua precedente, relativa, moderazione, Trump ha iniziato il
secondo mandato con decisione e ha dimostrato molto meno rispetto per il
proceduralismo legale. I dazi imposti nel «Liberation day» di aprile hanno
invocato l’International Emergency Economic Powers Act per evitare un’indagine
prolungata, nonostante la legge fosse riservata alle emergenze nazionali. I dazi
iniziali sulla Cina ammontavano al 54%, ma l’immediata rappresaglia scatenatasi
li ha aumentati fino a un picco del 145%, a cui Xi Jinping ha risposto imponendo
dazi del 125% sulle merci americane. Mentre entrambi i paesi si sono rapidamente
allontanati dal baratro di un embargo commerciale di fatto, i dazi statunitensi,
in media intorno al 57%, sono rimasti in vigore dopo il tira e molla del
Liberation day.
Quest’incontro ha portato a una riduzione dei dazi del 10%, abbassando la media
al 47%. È improbabile che questa lieve de-escalation annulli i grandi
cambiamenti nei flussi commerciali globali causati dalla seconda fase della
guerra commerciale. Tra aprile e giugno, il commercio bilaterale tra Stati uniti
e Cina è diminuito di 41 miliardi di dollari, con un calo del 23% su base annua.
Ritirandosi dagli Stati uniti, gli esportatori cinesi hanno trovato mercati
sostitutivi in Europa e Asia, un cambiamento che non sembra rappresentare un
semplice trasbordo verso gli Usa attraverso paesi terzi.
Ci sono buone ragioni per pensare che questi paesi non saranno in grado di
sostituire gli Stati Uniti a lungo termine, dato il loro basso potere d’acquisto
e la riluttanza ad assorbire gli enormi surplus commerciali della Cina. E
nonostante la flessione degli scambi commerciali, Stati uniti e Cina continuano
a costituire la più grande relazione commerciale bilaterale al mondo.
Ciononostante, la riduzione del 10% lascia ancora un’enorme tariffa del 47% e
l’uso sconsiderato di questa sanzione economica da parte di Trump significa che
questo numero può salire alle stelle in qualsiasi momento. Dovremmo aspettarci
un ulteriore sganciamento del commercio bilaterale in futuro.
SANZIONI ECONOMICHE ATTRAVERSO L’ENTITY LIST
Sebbene i dazi abbiano attirato molta più attenzione, la «Entity List» si è
rivelata un’arma ancora più incisiva nella guerra economica americana. La Entity
List è stata pubblicata dal Dipartimento del Commercio e include individui,
istituzioni e aziende straniere soggette a rigorosi requisiti commerciali e
sanzionatori. Tutte le aziende, comprese quelle non americane, sono tenute a
ottenere licenze dal governo degli Stati uniti per esportare verso i paesi
presenti nella Entity List e rischiano multe salate o pene detentive per la
violazione di tali restrizioni.
La Entity List è entrata al centro del conflitto tra Stati uniti e Cina nel
maggio 2019, quando Trump ha aggiunto il colosso tecnologico cinese Huawei,
escludendolo da ampie fasce di componenti hardware, software e proprietà
intellettuale statunitensi. L’amministrazione Trump ha prontamente ampliato la
lista a ottobre, giustificandola con le violazioni dei diritti umani commesse
dalla Cina contro gli uiguri nello Xinjiang.
Gli Stati uniti hanno lanciato un altro attacco a Huawei nell’agosto 2020 con
l’estensione della Foreign-Produced Direct Product Rule (Fdpr). Queste norme
conferiscono agli Stati uniti il controllo extraterritoriale sul commercio di
beni prodotti all’estero se utilizzano tecnologia americana, indipendentemente
dal fatto che tocchino o meno i confini americani. Dato che quasi tutti i
semiconduttori avanzati richiedono a un certo punto la tecnologia statunitense,
la Fdpr ha rappresentato un’affermazione del controllo americano sull’intera
filiera dei semiconduttori.
L’amministrazione Biden ha proseguito la tendenza di Trump a imporre sanzioni
economiche alla Cina, ma in modo più mirato. Aziende specifiche ritenute
complici dell’invasione russa dell’Ucraina sono state aggiunte alla Entity List.
Ancora più importante, Biden ha avviato un’offensiva a tutto campo contro
l’industria cinese dei semiconduttori nel 2022, annunciando una serie
progressiva di nuove restrizioni all’esportazione di chip fino alla sua ultima
settimana di mandato.
Settembre ha segnato l’ultima escalation dei controlli sulle esportazioni
statunitensi con l’annuncio della «Affiliate Rule», che avrebbe aggiunto decine
di migliaia di organizzazioni in più alla Entity List. Mentre i funzionari del
governo statunitense potrebbero aver interpretato questa come un semplice modo
per evitare le scappatoie, la nuova norma ha fatto infuriare la Cina e
probabilmente ha provocato i più recenti controlli sulle esportazioni di
minerali di terre rare da parte della Repubblica Popolare. Fortunatamente,
questo incontro ha visto una tregua in cui entrambe le parti hanno concordato di
rinviare i rispettivi controlli sulle esportazioni di un anno. Sebbene evitare
una grave escalation sia motivo di festa, questa tregua è solo temporanea e non
annulla nessuna delle sanzioni già draconiane implementate in precedenza.
La continua espansione delle sanzioni americane ha danneggiato le aziende
cinesi, ma ha anche spinto la Repubblica Popolare Cinese a procedere verso
l’autarchia tecnologica. Il nuovo piano quinquennale del governo cinese
raddoppia il suo impegno per l’autosufficienza tecnologica. La necessità è madre
dell’innovazione e Huawei è stata costretta a creare alternative nazionali ora
che è stata tagliata fuori dalla tecnologia americana. La perdita dell’accesso
al sistema operativo Android ha spinto Huawei ad accelerare lo sviluppo della
sua alternativa, HarmonyOS, che ora detiene una quota di mercato maggiore di
AppleOS in Cina.
Sebbene i controlli sulle esportazioni di chip di Joe Biden avessero lo scopo di
frenare il progresso della Cina nel settore dei semiconduttori avanzati,
potrebbero aver avuto l’effetto opposto. Lo Stato cinese desiderava da tempo
promuovere una filiera di fornitura di chip cinese verticalmente integrata, ma
si è scontrato con la resistenza delle aziende tecnologiche nazionali che
volevano approvvigionarsi dai migliori fornitori occidentali. Gli Stati uniti
hanno essenzialmente aiutato il Partito comunista cinese a ottenere ciò che non
poteva fare da solo: costringere le aziende tecnologiche cinesi ad
approvvigionarsi dai propri fornitori nazionali. Senza accesso ai fornitori di
chip occidentali, l’ecosistema cinese dei semiconduttori si è sviluppato
rapidamente negli ultimi anni. Le aziende nazionali, inizialmente scavalcate dai
loro concorrenti occidentali di livello superiore, hanno improvvisamente
ottenuto un’enorme domanda da parte dei giganti della tecnologia cinese.
L’ecosistema cinese dei semiconduttori è ancora lontano dall’essere
all’avanguardia, ma le sanzioni americane lo hanno reso molto più resiliente e
autosufficiente.
TERRE RARE
Dai veicoli elettrici ai jet da combattimento, le terre rare (Ree) sono input
essenziali per quasi tutti i beni tecnologici moderni. Sebbene siano in realtà
geologicamente abbondanti, la Cina detiene un quasi monopolio sui processi di
raffinazione che rendono il minerale grezzo di terre rare utilizzabile nella
produzione industriale. Con l’obiettivo di contrastare il potente regime di
sanzioni economiche di Washington, Pechino ha cercato di costruirne uno proprio
sfruttando questo cruciale collo di bottiglia della catena di
approvvigionamento.
Il primo utilizzo da parte di Pechino delle sanzioni sulle terre rare è stato
contro il Giappone nel 2010. Ma la potenza di quest’arma economica ha raggiunto
un’importanza globale negli ultimi anni. In risposta ai dazi imposti da Trump ai
sensi della Sezione 232 all’inizio di aprile, la Cina ha imposto requisiti di
licenza per l’esportazione su diverse terre rare, costringendo le aziende a
sottoporsi a un oneroso processo di richiesta. Questi controlli hanno
rapidamente creato numerosi shock nella catena di approvvigionamento che hanno
portato alla chiusura delle fabbriche. Il conflitto è stato risolto con il
ritiro di Trump di alcuni dei suoi dazi e la concessione da parte della Cina di
licenze di esportazione di terre rare ad aziende americane non militari.
Tuttavia, queste licenze durano solo sei mesi e sono destinate a scadere a
breve.
Le sanzioni sulle terre rare sono tornate a farsi sentire all’inizio di ottobre,
poche settimane prima dell’incontro Trump-Xi. In risposta all’espansione dei
controlli sulle esportazioni statunitensi, la Cina ha introdotto nuovi controlli
sulle esportazioni di terre rare, molto più aggressivi di qualsiasi altro
precedente. Queste nuove sanzioni di vasta portata potrebbero richiedere
l’approvazione cinese per il commercio di qualsiasi merce contenente anche solo
tracce di terre rare cinesi, anche se tale commercio non coinvolge aziende
cinesi o non attraversa i confini cinesi.
Nell’interpretazione più massimalista, ciò potrebbe conferire alla Cina un
potere di veto su tutto il commercio globale di beni tecnologici. Questi recenti
controlli sulle esportazioni hanno rappresentato il ricorso più esteso della
Cina alle sanzioni economiche fino a oggi. Non solo potrebbero applicarsi a
un’ampia gamma di beni, ma si ispirano anche al modello americano, consentendo a
Xi di regolamentare il commercio tra paesi oltre i confini cinesi.
L’incontro ha portato a una pausa di un anno su questi nuovi controlli sulle
terre rare. Data la loro ampiezza, non sorprende che la Cina abbia fatto marcia
indietro. L’ampiezza delle sanzioni ha fatto sì che molti altri paesi si
trovassero nel mirino. In alcuni casi, questa vulnerabilità ha rafforzato la
determinazione a ridurre la dipendenza dalla Cina. Questa reazione non era
chiaramente prevista dalla Repubblica Popolare, che ha risposto con molteplici
dichiarazioni che ne hanno attenuato i toni. Inoltre, è improbabile che Pechino
possa effettivamente applicare questi controlli sulle esportazioni, data la loro
natura di vasta portata e la relativa mancanza di esperienza della Cina nell’uso
di questo tipo di arma economica.
Ma nonostante questo cessate il fuoco temporaneo, l’Occidente si è mosso
rapidamente per coprire questa evidente vulnerabilità della catena di
approvvigionamento. All’inizio del secondo mandato di Trump, il Dipartimento
della Difesa ha acquisito una partecipazione azionaria in MP Materials,
un’azienda americana produttrice di terre rare, nel tentativo di rilanciare la
capacità produttiva degli Stati uniti. Anche l’australiana Lynas sta
contribuendo a ridurre la dipendenza dalle terre rare cinesi. Inoltre, alcune
aziende stanno cercando soluzioni ingegneristiche per ridurre del tutto la
necessità di terre rare. Non è chiaro quanto successo avranno questi sforzi,
data la lunga atrofia delle capacità produttive occidentali di terre rare e la
scarsità geologica di alcune terre rare specifiche. Allo stesso modo in cui le
sanzioni americane sui semiconduttori hanno motivato la Cina a consolidare una
catena di approvvigionamento autosufficiente, i controlli sulle esportazioni
cinesi potrebbero rivitalizzare l’industria occidentale delle terre rare.
Nonostante le ostilità in corso tra Stati uniti e Cina, l’attuale tregua è
benvenuta, sebbene rappresenti solo un piccolo allentamento delle crescenti
tensioni che si sono sviluppate tra le due nazioni negli ultimi anni. Nonostante
Trump abbia valutato l’incontro «da 12 su 10», le poche concessioni che ha
strappato a Xi – piccole modifiche alle tasse portuali e ai dazi sulla soia,
richieste dalle pressioni degli agricoltori americani – sono relativamente
irrilevanti.
Cina e Stati uniti hanno sospeso i piani per imporre le sanzioni economiche più
ingenti, ma si tratta solo di una ritirata temporanea. Non è chiaro se anche
questa breve tregua di un anno reggerà davvero. La natura capricciosa di Trump
implica che l’accordo potrebbe essere fatto saltare per qualsiasi presunta
mancanza di rispetto. Nulla nelle discussioni ha toccato le tensioni
fondamentali create dal tentativo americano di mantenere il primato globale, le
politiche industriali e commerciali della Cina e i conflitti su Taiwan e il Mar
Cinese Meridionale.
Le relazioni tra Stati uniti e Cina rimangono su un sentiero pericoloso, con
entrambe le parti che cercano di isolarsi l’una dall’altra. Non c’è nulla nel
vertice Trump-Xi che indichi che questa traiettoria discendente cambierà. Nella
migliore delle ipotesi, possiamo sperare che la guerra economica non si
trasformi in una vera e propria guerra.
*Daniel Cheng ha un dottorato in Sociologia ed è ricercatore indipendente di
economia politica e tecnologia cinese. Questo articolo è uscito su Jacobin Mag,
la traduzione è a cura della redazione.
L'articolo La tregua armata tra Xi e Trump proviene da Jacobin Italia.