Sardegna: manifestazione contro l’RWM

Pressenza - Sunday, October 19, 2025

In un clima internazionale in cui le guerre in atto paventano l’allargamento delle parti in causa e perfino il rischio di una guerra nucleare, l’industria delle armi va a gonfie e insanguinate vele. E’ stata investita dall’Unione Europea come l’economia portante, assieme a quella di una dissennata occupazione del suolo per nuove costruzioni e per indegne speculazioni legate alla corsa per le energie rinnovabili. Il tutto a discapito soprattutto dell’ambiente, della salute e della cultura.

Come si fa allora a resistere alla tentazione di essere onnipotenti? Probabilmente hanno pensato così i vertici della RWM Italia, costola della multinazionale tedesca Rheinmetall, insediatesi nell’ex regione mineraria del Sulcis-Iglesiente nel 2010. Già nota dal 2014 per gli invii di bombe all’Arabia Saudita, usate in Yemen contro civili huthi, con tanto di denunce internazionali. Solo nel 2021 il governo Conte revoca le licenze di esportazione della RWM all’Arabia Saudita, applicando per la prima volta la legge 185 del 1990, che vieta il commercio e il transito di armamenti verso paesi in guerra, o che violino i diritti umani.

Proprio come se fosse onnipotente, la imperturbabile RWM, in barba alla legislazione urbanistica e ambientale, a partire dal 2018 e fino al 2021 procede ad ingenti lavori di ampliamento. Ma le nuove costruzioni non hanno avuto la valutazione di impatto ambientale (VIA). Così la società civile si mobilita. Ci sono denunce e ricorsi al TAR e l Consiglio di Stato, che dà ragione ai comitati ambientalisti e disarmisti.

Una multinazionale non si ferma e la RWM chiede alla Regione Sardegna una sanatoria sugli abusi edilizi e ambientali perpetrati, tra cui l’interramento di un torrente, in una zona denominata a rischio idrogeologico. La Regione, pressata dalla protesta popolare, decide di prendere tempo e studiare le carte presentate dai tecnici della società civile sarda. La RWM ricorre al TAR, di cui non è ancora nota la sentenza.

E’ noto che il governo regionale è però pesantemente condizionato dalle pressioni del governo nazionale, che preme per una sanatoria sugli abusi e un via libera all’aumento della produzione di artefatti mortiferi. Il governo Meloni, militarista e autoritario per vocazione, cercherà di avvallare le tesi dei fabbricanti d’armi.

Riparte e continua così la mobilitazione popolare in Sardegna contro la fabbrica d’armamenti del sud ovest sardo, che ora produce droni killer “Hero” con le tecnologie dell’azienda israeliana Uvision, collusa col genocidio a Gaza.

Oggi 19 ottobre, un corteo di alcune centinaia di persone ha marciato verso la fabbrica della morte, allo scopo di ricordare la gravità di una situazione che, attraverso il ricatto occupazionale, impone alla Sardegna il ruolo di avamposto nella preparazione delle guerre. Attualmente la fabbrica, in attesa di una sanatoria sul suo ampliamento abusivo, lavora a ritmi sostenuti, con turni estesi agli orari notturni e ai giorni festivi, per stare dietro alle sempre maggiori richieste di proiettili, bombe e droni killer dai teatri di guerra.

Il corteo ha di fatto intralciato, in modo creativo e nonviolento, il cambio turno nello stabilimento, costringendo la polizia a scortare le maestranze in un percorso a piedi lungo una stradina secondaria.

Non si è verificato alcun incidente, anche perché davanti allo schieramento in tenuta antisommossa, i manifestanti hanno mantenuto i nervi saldi, preferendo sempre il dialogo alla contrapposizione, persino inscenando “su ballu tundu”, frutto della tradizione popolare sarda, davanti ai poliziotti con scudi, caschi e manganelli.

Una nuova importante tappa di una lotta per il disarmo, che qui in Sardegna perdura da decenni e non intende fermarsi.

 

Carlo Bellisai – Redazione Sardigna

Carlo Bellisai