Il vittimismo criminale di Israele

Pressenza - Saturday, September 20, 2025

Per chi da anni si batte per una Palestina libera vedere Gaza totalmente distrutta, con un popolo in fuga che si lascia dietro i cadaveri dei propri bambini, è un colpo al cuore che si accompagna ad un grande senso di impotenza. Cosa sarebbe necessario fare? 

Sarebbe necessario che lo sdegno fosse universale e che tutti gli Stati rompessero qualunque tipo di rapporto politico, diplomatico e commerciale con gli assassini sionisti. Sarebbe necessario che l’ONU inviasse truppe di interposizione. Ma purtroppo gli interessi della geopolitica, a partire dalle scelte imperiali degli USA fino alla insignificanza servile dell’Europa, vanno da un’altra parte. Noi, militanti e gente comune, possiamo solo riempire le piazze e insistere nella nostra denuncia.

A proposito di denuncia e di esigenza di fare chiarezza, uno degli aspetti più sorprendenti dell’attuale genocidio è il fatto che per la prima volta nella storia, il carnefice, per giustificarsi, costruisce la sua narrazione ingannevole spacciandosi per la vittima.

Si è detto spesso del senso di colpa che annebbia la vista dell’Occidente e soprattutto di noi europei. La cosa merita però una riflessione più approfondita.

Era appena finita la guerra e il mostro nazifascista era stato sconfitto. L’enormità dei crimini commessi era sotto gli occhi di tutti e tutto contribuiva a farli diventare memoria condivisa del comune sentire della gente. “I cattivi” erano ridotti al silenzio senza potersi inventare contronarrazioni ingannevoli e giustificative. I vincitori, al contrario, avevano tutto l’interesse a pubblicizzare gli orrori commessi dal nemico sconfitto per indossare gli abiti dei “liberatori”, quando in realtà, durante il conflitto, del destino degli Ebrei non fregava niente a nessuno di loro. 

Il clima generale, inoltre, era favorevole: il vecchio Stato legislativo fondato sulla sola “legalità” era sostituito dal moderno Stato costituzionale che proclamava la centralità dei “diritti”. Lo stesso mondo bipolare si annunciava pieno di positive aspettative. Da una parte c’era “il sogno americano” che prometteva ricchezza e democrazia per tutti, dall’altra parte “il mito sovietico” che alimentava la speranza del riscatto degli sfruttati e della conquista della uguaglianza sociale (sappiamo poi come è andata a finire, ma questo ora non ci interessa). 

È in queste condizioni che secondo alcuni analisti si determina un ribaltamento nel modo di concepire il passato, che non riguarda soltanto il mondo accademico ma che diviene comune nella cultura di massa. La figura di riferimento che emblematicamente viene considerata il soggetto che fa la storia, cessa di essere “l’Eroe” per divenire “la Vittima”.

Naturalmente, nel gioco delle interpretazioni e delle contro-interpretazioni, così come nel mondo degli eroi albergano i “finti eroi” allo stesso modo accanto alle vittime si producono le “finte vittime”. È questo il gioco fatto da Israele a partire da quando nel 1972 il suo ministro degli esteri Abba Eban dichiarò che dietro l’antisionismo si celava sempre l’antisemitismo. Da allora Israele ha teso a identificarsi come unica e indiscutibile erede delle vittime dell’Olocausto e di tutte le persecuzioni subite nel corso dei tempi dalle comunità ebraiche. 

Il fatto che, in questo modo, “l’Ebreo” sia diventata la figura emblematica che rappresenta la vittima per eccellenza, una sorta di “vittima assoluta” della storia, può anche apparire plausibile vista l’incommensurabile nefandezza dell’Olocausto, anche se in questo modo sembra determinarsi una paradossale forma di etnocentrismo nel definire i martiri della storia, in considerazione del fatto che le comunità ebraiche sono principalmente parte dell’Occidente, e dimenticando, per esempio, gli Armeni massacrati per mano dei Giovani Turchi, o peggio ancora i milioni di morti (forse dieci, forse venti) che segnarono nel Congo la dittatura personale del grande macellaio Leopoldo II del Belgio. Ma sorvoliamo su questo. Il punto che ci preme sottolineare è un altro.

Ciò che ci appare inammissibile è che Israele si arroghi il diritto di essere l’erede testamentario delle vittime dell’Olocausto, delle vittime per antonomasia, e con esse simbolicamente di tutte le vittime della storia,  proponendo il sionista di oggi come il modello dell’uomo giusto a cui tutto è concesso per vendicare il passato che chiede giustizia. 

La storia reale del sionismo ci racconta altre cose. Ci racconta, per esempio, delle strane relazioni col regime nazista  (Accordo di Haavara), quando l’interesse del regime tedesco di liberarsi degli ebrei coincideva con quello sionista di popolare le colonie in terra di Palestina considerata come res nullius, vale a dire come terra disabitata e di nessuno.

Ci racconta inoltre di altri episodi oscuri di quel periodo, raccontati da Faris Yahia nel libro Relazioni pericolose, oggi “stranamente” introvabile.

Ci racconta dell’uso sistematico del terrorismo contro i civili, che data da prima della nascita dello Stato sionista, a colpire non solo i palestinesi ma allora anche gli inglesi, colpevoli di non lasciare campo libero ai nuovi padroni che prendevano possesso di terre che non gli appartenevano. Il resto è la cronaca di un genocidio che non si è mai arrestato giungendo fino al triste presente.

Non ci vorrebbe certo molto a smascherare la ridicola narrazione vittimistica del sionismo. Ma per i nostri governanti non è così. D’altra parte si sa che non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.

 

         

Antonio Minaldi