Il vittimismo criminale di Israele
Per chi da anni si batte per una Palestina libera vedere Gaza totalmente
distrutta, con un popolo in fuga che si lascia dietro i cadaveri dei propri
bambini, è un colpo al cuore che si accompagna ad un grande senso di impotenza.
Cosa sarebbe necessario fare?
Sarebbe necessario che lo sdegno fosse universale e che tutti gli Stati
rompessero qualunque tipo di rapporto politico, diplomatico e commerciale con
gli assassini sionisti. Sarebbe necessario che l’ONU inviasse truppe di
interposizione. Ma purtroppo gli interessi della geopolitica, a partire dalle
scelte imperiali degli USA fino alla insignificanza servile dell’Europa, vanno
da un’altra parte. Noi, militanti e gente comune, possiamo solo riempire le
piazze e insistere nella nostra denuncia.
A proposito di denuncia e di esigenza di fare chiarezza, uno degli aspetti più
sorprendenti dell’attuale genocidio è il fatto che per la prima volta nella
storia, il carnefice, per giustificarsi, costruisce la sua narrazione
ingannevole spacciandosi per la vittima.
Si è detto spesso del senso di colpa che annebbia la vista dell’Occidente e
soprattutto di noi europei. La cosa merita però una riflessione più
approfondita.
Era appena finita la guerra e il mostro nazifascista era stato sconfitto.
L’enormità dei crimini commessi era sotto gli occhi di tutti e tutto contribuiva
a farli diventare memoria condivisa del comune sentire della gente. “I cattivi”
erano ridotti al silenzio senza potersi inventare contronarrazioni ingannevoli e
giustificative. I vincitori, al contrario, avevano tutto l’interesse a
pubblicizzare gli orrori commessi dal nemico sconfitto per indossare gli abiti
dei “liberatori”, quando in realtà, durante il conflitto, del destino degli
Ebrei non fregava niente a nessuno di loro.
Il clima generale, inoltre, era favorevole: il vecchio Stato legislativo fondato
sulla sola “legalità” era sostituito dal moderno Stato costituzionale che
proclamava la centralità dei “diritti”. Lo stesso mondo bipolare si annunciava
pieno di positive aspettative. Da una parte c’era “il sogno americano” che
prometteva ricchezza e democrazia per tutti, dall’altra parte “il mito
sovietico” che alimentava la speranza del riscatto degli sfruttati e della
conquista della uguaglianza sociale (sappiamo poi come è andata a finire, ma
questo ora non ci interessa).
È in queste condizioni che secondo alcuni analisti si determina un ribaltamento
nel modo di concepire il passato, che non riguarda soltanto il mondo accademico
ma che diviene comune nella cultura di massa. La figura di riferimento che
emblematicamente viene considerata il soggetto che fa la storia, cessa di essere
“l’Eroe” per divenire “la Vittima”.
Naturalmente, nel gioco delle interpretazioni e delle contro-interpretazioni,
così come nel mondo degli eroi albergano i “finti eroi” allo stesso modo accanto
alle vittime si producono le “finte vittime”. È questo il gioco fatto da Israele
a partire da quando nel 1972 il suo ministro degli esteri Abba Eban dichiarò che
dietro l’antisionismo si celava sempre l’antisemitismo. Da allora Israele ha
teso a identificarsi come unica e indiscutibile erede delle vittime
dell’Olocausto e di tutte le persecuzioni subite nel corso dei tempi dalle
comunità ebraiche.
Il fatto che, in questo modo, “l’Ebreo” sia diventata la figura emblematica che
rappresenta la vittima per eccellenza, una sorta di “vittima assoluta” della
storia, può anche apparire plausibile vista l’incommensurabile nefandezza
dell’Olocausto, anche se in questo modo sembra determinarsi una paradossale
forma di etnocentrismo nel definire i martiri della storia, in considerazione
del fatto che le comunità ebraiche sono principalmente parte dell’Occidente, e
dimenticando, per esempio, gli Armeni massacrati per mano dei Giovani Turchi, o
peggio ancora i milioni di morti (forse dieci, forse venti) che segnarono nel
Congo la dittatura personale del grande macellaio Leopoldo II del Belgio. Ma
sorvoliamo su questo. Il punto che ci preme sottolineare è un altro.
Ciò che ci appare inammissibile è che Israele si arroghi il diritto di essere
l’erede testamentario delle vittime dell’Olocausto, delle vittime per
antonomasia, e con esse simbolicamente di tutte le vittime della storia,
proponendo il sionista di oggi come il modello dell’uomo giusto a cui tutto è
concesso per vendicare il passato che chiede giustizia.
La storia reale del sionismo ci racconta altre cose. Ci racconta, per esempio,
delle strane relazioni col regime nazista (Accordo di Haavara), quando
l’interesse del regime tedesco di liberarsi degli ebrei coincideva con quello
sionista di popolare le colonie in terra di Palestina considerata come res
nullius, vale a dire come terra disabitata e di nessuno.
Ci racconta inoltre di altri episodi oscuri di quel periodo, raccontati da Faris
Yahia nel libro Relazioni pericolose, oggi “stranamente” introvabile.
Ci racconta dell’uso sistematico del terrorismo contro i civili, che data da
prima della nascita dello Stato sionista, a colpire non solo i palestinesi ma
allora anche gli inglesi, colpevoli di non lasciare campo libero ai nuovi
padroni che prendevano possesso di terre che non gli appartenevano. Il resto è
la cronaca di un genocidio che non si è mai arrestato giungendo fino al triste
presente.
Non ci vorrebbe certo molto a smascherare la ridicola narrazione vittimistica
del sionismo. Ma per i nostri governanti non è così. D’altra parte si sa che non
c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.
Antonio Minaldi