La geografia sa da che parte stare?

Jacobin Italia - Friday, September 19, 2025
Articolo di Gaia Florese Gambase

Di solito si pensa che lo studio della geografia sia limitato a memorizzare le capitali internazionali e a identificare le coltivazioni di barbabietole da zucchero. Nonostante, sin dai banchi di scuola, la disciplina venga presentata perlopiù in questo modo, a livello scientifico la geografia si occupa in realtà di temi diversi e complessi, come le relazioni fra i fenomeni sociali e i territori, l’educazione ambientale, le catene globali del valore, le disuguaglianze socio-spaziali, le riconfigurazioni urbane e rurali nei processi globali, o il ruolo delle dinamiche economiche e geopolitiche. Tuttavia, come disciplina moderna, la geografia è stata soprattutto uno strumento coloniale e militare per l’Occidente, sia attraverso la ragione cartografica, sia attraverso la costruzione di una visione egemonica del mondo, per il controllo e il dominio dei territori. Se da una parte esiste un’ampia produzione scientifica di geografie critiche e decoloniali, dall’altra, la relazione tra geografia, potere e disegno del mondo continua a godere di ottima salute – un esempio, tra altri, gli accordi fra il Politecnico di Torino e l’agenzia europea Frontex per la produzione di materiale cartografico utile per monitorare le rotte migratorie.

Questi approcci differenti alla disciplina sono entrati in conflitto tra loro durante il XXXIV Congresso Geografico Italiano, svoltosi a Torino tra il 3 e il 5 settembre. Se di solito questi eventi hanno carattere perlopiù istituzionale, questa edizione del Congresso è stata caratterizzata da una mobilitazione contro le scelte del comitato scientifico e organizzativo, che ha deciso di aprire il Congresso lasciando parola, tra altri, a Michael Storper, geografo esperto di disuguaglianze socio-spaziali che negli ultimi anni ha fatto parlare di sé per le sue posizioni in merito al genocidio a Gaza e alla solidarietà verso la Palestina. 

L’assemblea «No Complicity in Genocide» 

È il 2024, il campus dell’Ucla (University of California – Los Angeles), viene occupato dalle acampadas animate dalle mobilitazioni studentesche in solidarietà alla Palestina. Un gruppo di oltre 300 persone del corpo docente afferenti all’Università statunitense, incluso Storper, firma una lettera che esprime una ferma condanna delle occupazioni studentesche, definendole terroristiche e «pro-Hamas». La stessa lettera contiene attacchi espliciti anche alla componente del corpo docente solidale con il movimento studentesco, e una netta critica al movimento Bds (Boycott, Disinvestment, and Sanctions), presentato come intrinsecamente violento, antisemita e lesivo della libertà di parola e di pensiero. Lo stesso docente risultava già firmatario di un appello del 2023 in cui si chiedeva all’Ateneo di prendere misure contro le prime iniziative in supporto alla Palestina, con argomentazioni simili a quelle appena elencate. 

Agosto 2025. A poche settimane dal XXXIV Congresso Geografico Italiano, un gruppo di geografi e geografe – perlopiù persone precarie – venute a Torino per l’evento, vengono a conoscenza di queste informazioni. Il gruppo si riunisce sotto il nome di Assemblea Geografa per chiedere chiarimenti al comitato organizzatore del Congresso, sottolineando che affidare l’apertura dell’evento al professor Storper, durante il perpetuamento di un genocidio, rischia di trasmettere un messaggio politicamente e moralmente problematico. Lo stesso gruppo nota che, fra le Università di provenienza dei relatori e relatrici delle presentazioni, figura anche un’affiliazione alla Hebrew University of Jerusalem, nota per la sua complicità con il complesso militare-industriale israeliano. Come ampiamente documentato da numerose organizzazioni, l’Università ha infatti una storia profondamente intrecciata con l’occupazione militare israeliana. Il suo campus principale, sul Monte Scopus, si trova a Gerusalemme Est – territorio palestinese occupato illegalmente anche secondo il diritto internazionale – e parte del campus è stato ampliato dopo il 1967 su terre espropriate a famiglie palestinesi. Per questi motivi è stata indicata dalla Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (Pacbi) come una delle istituzioni attivamente complici del sistema di occupazione, colonizzazione e apartheid.

A questa richiesta di chiarimenti, il Comitato organizzatore risponde confermando l’invito al professor Storper e raddoppiando la sua presenza, con l’aggiunta della tavola rotonda Political activism and academic freedom in times of crisis, a cui invita una persona – preferibilmente precaria – in rappresentanza dell’Assemblea Geografa. Il processo collettivo, forte dell’adesione all’appello di oltre 100 persone partecipanti al Congresso, rifiuta la proposta di prendere parte alla tavola rotonda, ritenuta non orizzontale, squilibrata dal punto di vista delle relazioni di potere e fuori fuoco rispetto ai temi politici sollevati dal programma dell’evento. Ecco perché, in alternativa, si decide di disertare l’apertura del Congresso e la plenaria con la presenza di Storper convocando l’assemblea «No complicity in genocide». 

L’intento di questa assemblea, introdotta da un intervento sui rapporti profondi e sempre più chiari tra Università e militarizzazione e da contributi di rappresentanti della campagna Bds, è stilare una mozione, in linea con altre associazioni scientifiche, affinché l’A.Ge.I (Associazione dei Geografi Italiani) applichi le linee guida del boicottaggio accademico e si dissoci da ogni complicità con il genocidio. Nel corso dell’assemblea, partecipata da oltre 150 persone, alcune di queste decidono di andare ad ascoltare la plenaria in cui era presente Storper e riportano, indignate, alcuni contenuti. In quell’aula, interrotto da qualche fischio, Storper rilascia dichiarazioni gravi. Come testimoniano alcune registrazioni, l’accademico ribadisce la sua adesione al contenuto delle lettere sopracitate; critica l’ossessione da parte dell’Occidente per i crimini di Israele, menzionando un doppio standard; tenta di delegittimare la solidarietà alla causa palestinese con argomentazioni deliranti riguardo al trattamento riservato da parte di Hamas alle persone queer. Queste dichiarazioni scatenano l’indignazione dell’Assemblea Geografa che, in modo spontaneo, chiama un’azione di contestazione nelle fasi conclusive del suo intervento. Alcune persone con striscioni irrompono nell’aula: al grido di «Palestina Libera» e «Fuori i sionisti dall’Università» si pone fine a un momento vergognoso.

Geografie critiche e boicottaggio accademico

Ma perché l’Associazione dei Geografi Italiani e il comitato scientifico del Congresso più importante della disciplina in Italia non sono riusciti a prendere una chiara e netta posizione rispetto al genocidio? Perché è servito un gruppo di persone, in maggioranza vulnerabili dal punto di vista lavorativo, per avanzare la richiesta minima di riconoscere come un genocidio ciò che avviene in Palestina per mano di Israele?

Gli strumenti epistemologici non mancano. Tra questi, le numerosissime pubblicazioni e prese di posizioni scientifiche in merito, come quella dell’International Association of Genocide Scholars (Iags) che, con una risoluzione di agosto 2025, ha dichiarato che le politiche israeliane e le azioni a Gaza ricadono nella definizione legale di genocidio. Considerati i molteplici posizionamenti in merito, continuare a sostenere che la parola genocidio sia divisiva e possa generare opinioni contrastanti è grave e rimanda, in realtà, a nodi politici e di accumulo di potere all’interno dell’accademia contemporanea che si estendono ben oltre questo evento scientifico. In questo modo, la complicità accademica al genocidio non si esplica soltanto con il sostegno materiale, ma anche nella validazione epistemica di posizioni e figure come quella di Storper, cui si è deciso di affidare l’apertura di un congresso scientifico.

Nel panorama dell’accademia contemporanea, infatti, si nota una profonda reticenza a sostituire – o trasformare – i termini del potere scientifico con quelli del posizionamento politico. Se da una parte abbiamo assistito all’emergere di «saperi critici» e al loro affermarsi dentro i quadri di finanziamento del ministero nazionale e comunitario, dall’altra questa dimensione critica rimane estremamente vuota di contenuti quando si tratta di prendere un posizionamento politico, o di trasformare le modalità e i luoghi stessi attraverso i quali si costruisce conoscenza. Quindi, nonostante l’impianto accademico di stampo conservatore, positivista e neutrale sia stato superato a livello scientifico, l’impianto istituzionale che supporta la ricerca piega questi concetti a logiche di mercato, in linea con la crescente aziendalizzazione dell’Università neoliberale che delegittima i saperi critici, soprattutto fra le scienze sociali, seguendo l’agenda militare e industriale che co-finanzia tali progetti in linea con le agende internazionali sul riarmo. 

Ecco perché non è un caso che la maggior parte delle mobilitazioni sul boicottaggio accademico emerga da chi rifiuta un modello di università antico e «critico» soltanto quando questo non significa perdere privilegi, sodalizi e finanziamenti. Il genocidio diventa allora un’opinione di cui dibattere attorno a una tavola rotonda, e chi porta avanti forme di boicottaggio e prese di posizioni radicali un promotore della censura della «libertà accademica». 

Invece, in questo momento storico, il boicottaggio è uno degli  strumenti più potenti che, come accademiche, possiamo utilizzare per fare emergere i nodi di accumulo della militarizzazione progressiva della società, e per contestare la complicità del sapere accademico nel legittimare morte, guerra e colonialismi contemporanei. 

Ciò che è avvenuto a Torino è uno spartiacque importante, di certo all’interno della disciplina geografica. Ha fatto emergere le gerarchie di potere, gli strumenti collettivi possibili per prendere posizione, ma anche il tipo di saperi e di Università che vogliamo costruire, vivere e attraversare in questo momento storico. Di certo, l’Assemblea Geografa non è sola in questo processo. Mentre la Global Sumud Flottilla sta percorrendo lo spazio marittimo costruendo contro-geografie di solidarietà e attraversamento, il 13 settembre si è tenuta a Roma l’assemblea «La conoscenza non marcia» per contrastare la militarizzazione di Università e scuole, a cui hanno aderito moltissime associazioni e collettività scientifiche che non vogliono rendersi complici del genocidio in corso. 

Il duo di geografe Gibson-Graham si chiedeva: «In che modo il nostro lavoro può aprire nuove possibilità? Che tipo di mondo vogliamo contribuire a costruire? Quali possono essere gli effetti di un avanzare teorizzazione piuttosto che un’altra?» Di che tipo di Università vogliamo essere parte? Nel contesto del Congresso Geografico Italiano, chi ha preso parte alla mobilitazione ha deciso da che parte stare: quella del sapere critico e libero, ma soprattutto posizionato contro il genocidio.

*Gaia Florese Gambase è l’anagramma di Assemblea Geografa, una firma collettiva scelta da chi scrive, da una parte per incorporare le forme di distribuzione collettiva di co-autorialità, dall’altra per scorporare forme di individualizzazione nel contesto accademico, e dai testi, e dai processi.

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