
La voce di Hind Rajab
Comune-info - Thursday, September 11, 2025
Gaza City viene rasa al suolo. Due grattacieli crollano sotto le bombe, uno spettacolo di forza devastante che trasforma la città in un deserto di polvere e detriti. Non sono solo edifici che cadono: sono simboli della vita civile che viene schiacciata, dei sogni, dei ricordi, delle famiglie che si trovano improvvisamente senza nulla. Ogni mattone che cade è un corpo di città, ogni maceria un segno della brutalità che avanza senza pietà.
Dentro Gaza il quadro è apocalittico, eppure qualcosa si è incrinato fuori: la coscienza civile non è del tutto assopita. Mentre i potenti cercano di silenziare ogni voce critica – da Francesca Albanese (leggi L’ipocrisia occidentale) a chiunque osi difendere i diritti dei palestinesi – la coscienza civile non è del tutto spenta. Nelle piazze, nei porti, per le strade del mondo ci sono donne e uomini che manifestano. E al cinema, in questi giorni, la voce di una bambina di sei anni ha squarciato il muro dell’indifferenza.
In mezzo alla devastazione della Striscia di Gaza, una voce tenta di farsi sentire. Hind Rajab, sei anni appena, intrappolata in un’auto crivellata dai colpi, chiama la Croce Rossa: «Venite a salvarci, vi prego». Accanto a lei, i corpi della sua famiglia, vittime come lei di questa forza devastante. Dall’altra parte, l’operatrice cerca di rassicurarla, di guidarla, di darle speranza. Ma ogni parola, ogni promessa, si perde tra le macerie, tra il tempo che scorre inesorabile. Quegli attimi diventano un crinale tra la vita e la morte. La conversazione continua, interminabile e straziante, mentre il mondo sembra trattenere il respiro insieme a Hind. Nessuno arriva in tempo. Quando finalmente raggiungono la bambina, è già morta. Quel tempo sospeso, quelle parole di speranza e paura, restano impresse: la vita e la morte si intrecciano in quegli attimi che nessuno potrà mai cancellare.
E mentre a Gaza i grattacieli crollano e le vite si spezzano, la maggior parte della popolazione israeliana sembra guardare altrove, anestetizzata dalla paura o dalla propaganda. L’indifferenza diventa complice del massacro. Secondo l’Unicef, ad agosto erano già 18.000 le vite dei bambini spezzate in meno di due anni.
E più lontano ancora, negli Stati Uniti, c’è chi sogna la propria Riviera, ignaro del sangue che scorre a poche migliaia di chilometri, mentre governi e leader chiudono gli occhi di fronte alle urla dei bambini.
La regista Kaouther Ben Hania ha raccolto quella voce e l’ha trasformata in memoria e appello universale. Il suo film The Voice of Hind Rajab non è un’opinione: è un grido radicato nella realtà.
«Non ne abbiamo abbastanza della de-umanizzazione, della distruzione, dell’occupazione di Gaza? Questo film non è un’opinione, ma affonda le sue radici nella realtà. La voce di Hind è solo una delle diecimila che appartengono ai bambini uccisi. Ed è la voce di ogni figlia, di ogni figlio, che aveva il diritto di vivere, di sognare, di esistere con dignità. Tutto questo è stato portato via di fronte ad occhi indifferenti. Hind grida “salvatemi”. E la domanda vera è: come è stato possibile lasciarla morire? Nessuno può vivere in pace quando i bambini ci chiedono di essere salvati. Dobbiamo chiedere giustizia per l’umanità intera, per il futuro di ogni bambino. Adesso basta».
The Voice of Hind Rajab non è solo un film. È un grido che attraversa le macerie dei grattacieli crollati, simbolo della città distrutta e della vita spezzata dei civili. È un grido che sfida l’indifferenza. È un grido che costringe il mondo a confrontarsi con la propria responsabilità.
Hind parla ancora.
Chi ascolta non può restare in silenzio.
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