
L’autocritica zapatista
Comune-info - Sunday, August 31, 2025
Abbiamo osservato in diverse occasioni che l’autocritica sta scomparendo dalla sinistra mondiale, persino da coloro che si definiscono rivoluzionari o radicali. L’assenza di una pratica politica centrale tra coloro che vogliono cambiare il mondo è parte del collasso della sinistra e dei movimenti antisistemici.
Durante la prima settimana di agosto, abbiamo assistito a uno sviluppo completamente nuovo tra i movimenti che lottano per cambiare il mondo. È accaduto al Semenzaio di Morelia, durante l’incontro “Algunas partes del todo“. Per diversi giorni, hanno messo in scena spettacoli che spaziavano da un’assemblea di morti (coloro che sono caduti nella lotta), insegnando agli zapatisti a non ripetere i vecchi errori, a un dialogo tra persone ancora da nascere (interpretato da cento spermatozoi e ovuli), a cui hanno trasmesso le loro riflessioni. Migliaia di persone hanno potuto vedere e ascoltare gli spettacoli, dai partecipanti nazionali e internazionali alle basi di supporto e ai membri delle milizie. L’aspetto più impressionante è stato il modo in cui sono stati messi in scena gli errori commessi dalle Giunte di Buon Governo e dai comuni autonomi, le varie forme di corruzione, come il furto di fondi collettivi, e gli abusi e le negligenze da parte delle autorità.
Un primo punto degno di nota è che centinaia di zapatisti hanno messo in scena gli spettacoli, tutti molto giovani, con un numero uguale di ragazzi e ragazze. Il modo nel quale hanno spiegato e si sono comportati sull’enorme palcoscenico al centro dell’asilo nido (delle dimensioni di un campo da calcio) rivela mesi di prove tra basi di diverse comunità e caracoles, dimostrando un enorme coordinamento tra regioni, scrittura di sceneggiature e prove per un lungo periodo di tempo. Ciò che non si vede mi sembra importante quanto ciò che sentiamo.
Ma la domanda che mi sembra quasi incredibile, perché non era mai successo prima e non avevo mai potuto assistervi in oltre 55 anni di attivismo, è come, dove e per chi. L’autocritica è stata resa pubblica, davanti alle basi di sostegno e ai partecipanti messicani e internazionali, così come a coloro che hanno partecipato tramite i social media. È stata condotta da gente comune, giovani zapatisti che hanno messo in discussione i metodi delle proprie autorità. L’hanno drammatizzata con una buona dose di umorismo, il che non significa che non fossero critiche rigorose e profonde, rivelando uno stato d’animo sereno e riflessivo.
Nella cultura politica in cui ci siamo formati durante la rivoluzione mondiale del 1968 (come la chiamava Wallerstein), l’autocritica era importante, ma col tempo è diventata quasi inesistente e tutti i mali hanno iniziato a essere attribuiti al nemico. Forse è per questo che il Subcomandante Moisés, che ha parlato più volte durante l’incontro, ha sottolineato che “non tutti i problemi derivano dal capitalismo” (cito a memoria). In genere, se c’è autocritica, questa proviene dalla leadership, mai (ma mai) dalla base. Erano i leader a decidere cosa fosse giusto o sbagliato, e il resto dell’organizzazione seguiva la loro guida. “Ogni base di sostegno dovrebbe essere in grado di criticare il proprio governo”, si diceva in una delle performance.
Nello zapatismo, si assiste a una clamorosa inversione di questa pratica gerarchica. L’autocritica non è solo pubblica e aperta, ma anche condotta dal basso. Sarebbe stato molto diverso se fosse stata riassunta in un comunicato. Il fatto che siano stati gli zapatisti di base a farlo dimostra due aspetti chiave: la loro fermezza e coerenza etica, implacabili e ostinate; e la decisione politica che le comunità organizzate debbano stabilire la direzione del movimento. Ciò non significa che il Capitano Marcos, il Subcomandante Moisés o il CCRI (Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno) non abbiano alcun ruolo, ma piuttosto che abbiano preso la decisione etico-politica di comandare obbedendo, non come slogan ma come pratica concreta e reale, come guida per le loro azioni.
Da lì al rovesciamento della piramide c’è stato solo un passo, compiuto anch’esso collettivamente, dal basso verso l’alto. In precedenza hanno ricordato gli aspetti positivi delle Giunte di Buon governo e dei comuni autonomi, perché non sono stati tutti dei problemi, ma sono stati anche una scuola di autonomia.
A questo punto, come i partecipanti con cui ho avuto modo di condividere, credo che dobbiamo inchinarci all’EZLN e alle sue basi di appoggio, per la loro coerenza, per essere ciò che sono e per averci mostrato percorsi mai seguiti prima da nessun movimento, in nessuna parte del mondo, nel corso della storia. Il movimento zapatista è una vera rivoluzione, che non gioca con le parole, ma dimostra pratiche di profondo cambiamento, non capitaliste, non patriarcali.
Mi sono formato durante gli anni della Rivoluzione Culturale Cinese, a cui ho aderito con entusiasmo perché credevo che fosse la continuazione delle lotte dopo la conquista del potere, a differenza di quanto era accaduto in Unione Sovietica, dove ogni critica dal basso veniva schiacciata. In seguito abbiamo appreso che la mobilitazione di massa era guidata dai leader del partito per risolvere le controversie tra élite, usando le masse, come sempre. Questo è orribile perché il sangue è stato versato dal basso per rafforzare la piramide.
In questi tempi di oscurità globale, di genocidio e massacri dall’alto, lo zapatismo è l’unica speranza. Intatto, immacolato, con errori ma senza orrori. È l’eccezione nel piccolo mondo globale antisistemico, e dobbiamo riconoscerlo come tale. Ci sono riusciti senza arrendersi, senza svendersi, senza cedere… e senza deporre le armi.
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