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Un Paese di foresta viva: la scommessa storica di Claudia Sheinbaum
Tra i progressi più significativi promossi dalla presidente messicana Claudia Sheinbaum, la creazione del Corridoio Bioculturale della Grande Foresta Maya supera i confini del Messico, del Guatemala e del Belize. Con la firma dell’accordo, il 15 agosto 2025, viene protetto un territorio di 5,7 milioni di ettari di foresta tropicale. Non è un numero freddo: è la superficie che corrisponde a un intero Paese come la Croazia, è più di 110 volte Città del Messico, è la potenza vitale di 28 parchi Yellowstone concentrati in un unico polmone verde. La portata di questa iniziativa non risiede solo nelle cifre, ma nella sua visione. È un atto politico che ricorda l’essenziale: avere ossigeno, acqua, vita e biodiversità è infinitamente più prezioso che avere petrolio. In un mondo segnato dalla voracità estrattiva e dalla crisi climatica, questa decisione a lungo termine pone la regione su un percorso diverso: quello della cooperazione ambientale, della difesa del pianeta come bene comune, di una visione olistica che comprende che l’uomo e la natura sono inseparabili. La Foresta Maya non è solo l’habitat di migliaia di specie e la dimora ancestrale delle comunità maya, ma è anche un serbatoio di acqua dolce e un produttore di ossigeno a beneficio di tutta l’umanità. Proteggerla significa ridurre i gas serra, mantenere vivi i corridoi biologici e offrire garanzie per il futuro alle prossime generazioni. Non è un’azione locale: è un’iniziativa generosa che ha un impatto sull’intero pianeta. Questo patto trinazionale segna anche un precedente regionale. L’America Latina è stata storicamente trascinata nella disputa per le materie prime: rame, litio, idrocarburi. Il messaggio che questo corridoio trasmette è rivoluzionario e profondamente politico: la vera ricchezza non è sotto terra, ma sopra di essa, nella capacità di preservare l’aria, l’acqua e la vita che sostengono il mondo. In un’epoca in cui le potenze globali giustificano le guerre per l’energia fossile, Messico, Guatemala e Belize osano affermare che la ricchezza del XXI secolo è verde, comunitaria e condivisa. Il corridoio della Foresta Maya è, in definitiva, un trionfo della civiltà. Assicura che, per una volta, la politica sia scritta con l’inchiostro della speranza e non con quello della spoliazione. E ci ricorda che quando i governi pensano in grande, non solo vincono i loro popoli: vince l’umanità intera. E forse tra cento anni, quando i bambini del mondo respireranno l’ossigeno di questa foresta ancora viva, qualcuno dirà che un giorno tre Paesi del sud del mondo hanno deciso di proteggere l’eternità. E che quel giorno, in mezzo alla crisi e alla mancanza di speranza, l’America Latina ha insegnato al pianeta che seminare il futuro è l’atto più rivoluzionario di tutti. Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Claudia Aranda
L’autocritica zapatista
-------------------------------------------------------------------------------- Foto di Red de Apoyo Iztapalapa Sexta -------------------------------------------------------------------------------- Abbiamo osservato in diverse occasioni che l’autocritica sta scomparendo dalla sinistra mondiale, persino da coloro che si definiscono rivoluzionari o radicali. L’assenza di una pratica politica centrale tra coloro che vogliono cambiare il mondo è parte del collasso della sinistra e dei movimenti antisistemici. Durante la prima settimana di agosto, abbiamo assistito a uno sviluppo completamente nuovo tra i movimenti che lottano per cambiare il mondo. È accaduto al Semenzaio di Morelia, durante l’incontro “Algunas partes del todo“. Per diversi giorni, hanno messo in scena spettacoli che spaziavano da un’assemblea di morti (coloro che sono caduti nella lotta), insegnando agli zapatisti a non ripetere i vecchi errori, a un dialogo tra persone ancora da nascere (interpretato da cento spermatozoi e ovuli), a cui hanno trasmesso le loro riflessioni. Migliaia di persone hanno potuto vedere e ascoltare gli spettacoli, dai partecipanti nazionali e internazionali alle basi di supporto e ai membri delle milizie. L’aspetto più impressionante è stato il modo in cui sono stati messi in scena gli errori commessi dalle Giunte di Buon Governo e dai comuni autonomi, le varie forme di corruzione, come il furto di fondi collettivi, e gli abusi e le negligenze da parte delle autorità. Un primo punto degno di nota è che centinaia di zapatisti hanno messo in scena gli spettacoli, tutti molto giovani, con un numero uguale di ragazzi e ragazze. Il modo nel quale hanno spiegato e si sono comportati sull’enorme palcoscenico al centro dell’asilo nido (delle dimensioni di un campo da calcio) rivela mesi di prove tra basi di diverse comunità e caracoles, dimostrando un enorme coordinamento tra regioni, scrittura di sceneggiature e prove per un lungo periodo di tempo. Ciò che non si vede mi sembra importante quanto ciò che sentiamo. Ma la domanda che mi sembra quasi incredibile, perché non era mai successo prima e non avevo mai potuto assistervi in oltre 55 anni di attivismo, è come, dove e per chi. L’autocritica è stata resa pubblica, davanti alle basi di sostegno e ai partecipanti messicani e internazionali, così come a coloro che hanno partecipato tramite i social media. È stata condotta da gente comune, giovani zapatisti che hanno messo in discussione i metodi delle proprie autorità. L’hanno drammatizzata con una buona dose di umorismo, il che non significa che non fossero critiche rigorose e profonde, rivelando uno stato d’animo sereno e riflessivo. Nella cultura politica in cui ci siamo formati durante la rivoluzione mondiale del 1968 (come la chiamava Wallerstein), l’autocritica era importante, ma col tempo è diventata quasi inesistente e tutti i mali hanno iniziato a essere attribuiti al nemico. Forse è per questo che il Subcomandante Moisés, che ha parlato più volte durante l’incontro, ha sottolineato che “non tutti i problemi derivano dal capitalismo” (cito a memoria). In genere, se c’è autocritica, questa proviene dalla leadership, mai (ma mai) dalla base. Erano i leader a decidere cosa fosse giusto o sbagliato, e il resto dell’organizzazione seguiva la loro guida. “Ogni base di sostegno dovrebbe essere in grado di criticare il proprio governo”, si diceva in una delle performance. Nello zapatismo, si assiste a una clamorosa inversione di questa pratica gerarchica. L’autocritica non è solo pubblica e aperta, ma anche condotta dal basso. Sarebbe stato molto diverso se fosse stata riassunta in un comunicato. Il fatto che siano stati gli zapatisti di base a farlo dimostra due aspetti chiave: la loro fermezza e coerenza etica, implacabili e ostinate; e la decisione politica che le comunità organizzate debbano stabilire la direzione del movimento. Ciò non significa che il Capitano Marcos, il Subcomandante Moisés o il CCRI (Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno) non abbiano alcun ruolo, ma piuttosto che abbiano preso la decisione etico-politica di comandare obbedendo, non come slogan ma come pratica concreta e reale, come guida per le loro azioni. Da lì al rovesciamento della piramide c’è stato solo un passo, compiuto anch’esso collettivamente, dal basso verso l’alto. In precedenza hanno ricordato gli aspetti positivi delle Giunte di Buon governo e dei comuni autonomi, perché non sono stati tutti dei problemi, ma sono stati anche una scuola di autonomia. A questo punto, come i partecipanti con cui ho avuto modo di condividere, credo che dobbiamo inchinarci all’EZLN e alle sue basi di appoggio, per la loro coerenza, per essere ciò che sono e per averci mostrato percorsi mai seguiti prima da nessun movimento, in nessuna parte del mondo, nel corso della storia. Il movimento zapatista è una vera rivoluzione, che non gioca con le parole, ma dimostra pratiche di profondo cambiamento, non capitaliste, non patriarcali. Mi sono formato durante gli anni della Rivoluzione Culturale Cinese, a cui ho aderito con entusiasmo perché credevo che fosse la continuazione delle lotte dopo la conquista del potere, a differenza di quanto era accaduto in Unione Sovietica, dove ogni critica dal basso veniva schiacciata. In seguito abbiamo appreso che la mobilitazione di massa era guidata dai leader del partito per risolvere le controversie tra élite, usando le masse, come sempre. Questo è orribile perché il sangue è stato versato dal basso per rafforzare la piramide. In questi tempi di oscurità globale, di genocidio e massacri dall’alto, lo zapatismo è l’unica speranza. Intatto, immacolato, con errori ma senza orrori. È l’eccezione nel piccolo mondo globale antisistemico, e dobbiamo riconoscerlo come tale. Ci sono riusciti senza arrendersi, senza svendersi, senza cedere… e senza deporre le armi. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato anche su Desinformemonos: La autocrítica zapatista -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo L’autocritica zapatista proviene da Comune-info.
Ascoltare i morti
LA CULTURA POLITICA ZAPATISTA IMPLICA CRITICA E AUTOCRITICA E COMPORTA UN NUOVO MODO DI PENSARE E DI FARE Foto di Red de Apoyo Iztapalapa Sexta, che ringraziamo -------------------------------------------------------------------------------- L’assemblea dei morti, caduti nella lotta, dialoga con gli zapatisti vivi. Questo scambio è stato rappresentato nel primo spettacolo dell’Incontro di Ribellioni e Resistenze, “Algunas partes del todo“, al Semenzaio di Morelia dal 2 al 16 agosto. I morti spiegano ai combattenti attuali che nella storia delle rivoluzioni e delle lotte la piramide si riproduce sempre; ci sono sempre alcuni in cima. E chiedono loro di non ripetere i loro errori perché, se lo facessero, la piramide permarrebbe, e con essa le stesse oppressioni contro cui si sono ribellati. Ecco quanto è semplice la storia del XX secolo, vista dal basso. La cultura politica zapatista comporta cambiamenti fondamentali rispetto a ciò che generazioni di ribelli hanno appreso e riprodotto fino ad oggi. Non si tratta di piccoli cambiamenti di stile o di parole, ma di una trasformazione radicale e profonda che implica critica e autocritica, portando a un nuovo modo di vedere e di fare. Se consideriamo ogni singolo aspetto della lotta rivoluzionaria, possiamo comprendere la profondità dei contrasti tra lo zapatismo e la vecchia cultura politica di sinistra. Negli anni Settanta, uno degli slogan che ci guidava era: “Siate come il Che”. Da un lato, faceva appello a un’etica di impegno militante, di mettere a repentaglio il proprio corpo e dare la vita se necessario, che trovo ancora valida. Dall’altro, ci invitava a seguire le sue orme, il che trovo problematico perché propone un percorso senza aver fatto una valutazione autocritica. Dal 1994, l’EZLN ha intrapreso un cammino proprio, tracciato dai popoli organizzati e non dall’avanguardia, che è stata presto rovesciata, forse mettendo al timone il CCRI (Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno). Il motto “comandare obbedendo” implica una rottura completa con i modelli d’avanguardia che obbediscono solo a ciò che viene deciso dalla leadership dell’avanguardia, ovvero maschi, bianchi o meticci, con istruzione universitaria, ben parlanti e poca o nessuna disponibilità ad ascoltare la gente. Una rivoluzione in lotta. Ma così diversa, così distinta, che molti militanti non hanno la capacità o la volontà di comprendere, di accettare che le cose non debbano essere come prima. Per quanto l’EZLN cerchi di spiegare di essere un movimento diverso, non è facile per chi rimane fedele alla vecchia cultura politica comprendere in cosa consistano la proposta e i modi di fare zapatisti. Una prima questione si riferisce a quel dialogo tra morti e vivi, che si riassume nella piramide e nella necessità di distruggerla o abbatterla, non di capovolgerla, come ha sottolineato il Capitano Marcos in uno dei suoi recenti comunicati. Una seconda questione riguarda i concetti di trionfo e sconfitta, per fare solo un esempio. Per la vecchia cultura, il trionfo è la presa del potere o, nella versione elettorale, l’accesso al Palazzo del Governo. Si tratta di riunire molte persone, che chiamano “masse”, che sono quindi inerti, attratte dall’attuale capo o leader, che devono semplicemente seguire. Per avere successo, non è solo necessario essere numerosi, ma anche unirsi e unificare i propri ranghi in modo da poter essere guidati dall’alto della piramide. In questa cultura, la piramide non solo è necessaria, ma diventa il centro, e questo dipende da chi sta in cima, sotto questo o quel nome. Potrebbe essere Evo Morales o chiunque altro, e quando se ne va, tutto crolla perché ha prosciugato l’energia collettiva, disorganizzando le persone, che ripongono tutto al di fuori di sé, nell’attuale capo o leader. Per il popolo, trionfare, guadagnare, significa rimanere persone. Qualcosa che non implica entrare nel palazzo, prendere il potere dagli altri, cosa che non serve a nulla e indebolisce il popolo. Si tratta di costruire il nostro: salute, istruzione, potere, o come vogliamo chiamare quel modo di prendere decisioni e di farle rispettare. In terzo luogo, il dialogo con i morti richiede una valutazione delle rivoluzioni passate. Tutte sono cominciate con la crisi degli stati nazionali, e tutte li hanno resi più forti, più potenti, mentre le loro società sono diventate più fragili e dipendenti. In breve, più piramidi, più alte, più imponenti. Questa è la triste realtà di tutte le rivoluzioni, sebbene abbiano portato anche cose positive al popolo. C’è molto di più che si riassume nei sette principi zapatisti. La cultura dell’avanguardia è molto simile a quella della sinistra elettorale: consiste nel prendere il potere. Ecco perché sono passati così facilmente dalla guerriglia alle elezioni. Lo zapatismo rappresenta qualcosa di diverso. Rifiuta l’omogeneità come tentativo di dominio fascista; rifiuta l’unità perché si realizza sotto la guida di qualcuno, individuale o collettivo. Niente di più, niente di meno. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Ascoltare i morti proviene da Comune-info.
CHIAPAS, MESSICO: AL VIA “ALGUNAS PARTES DEL TODO”, UN MIGLIAIO DI COMPAGNE-I DA TUTTO IL MONDO A CONFRONTO CON IL MOVIMENTO ZAPATISTA
Al via il 2 agosto 2025 in Chiapas, Sud Est del Messico, l’incontro “Algunas partes del todo”, ossia “Alcune parti del tutto”; per due settimane, un migliaio di compagne-i, in arrivo da 38 Paesi del mondo (Italia compresa), parteciperanno alla “convocatoria” de La Morelia, un incontro internazionale di resistenze e ribellioni: “Questo – scrivono le realtà organizzatrici, ossia “le comunità zapatiste di origine Maya, attraverso il loro Governo Locale Autonomo, il Collettivo dei Governi Autonomi, Assemblee dei Collettivi di Governo Autonomo, INTERZONA e l’EZLN” – non vuole essere “un incontro di analisi o di approcci teorici, ma piuttosto un incontro di esperienze pratiche di resistenza. Chi di noi sarà presente sa già cos’è questo maledetto sistema e cosa fa contro tutti, così come contro la natura, la conoscenza, le arti, l’informazione, la dignità umana e l’intero pianeta. Non si tratta di esporre teoricamente i mali del sistema capitalista, ma piuttosto di ciò che si sta facendo per resistere e ribellarsi, ovvero per combatterlo. Non vi invitiamo a insegnare. Non siamo i vostri studenti o i vostri apprendisti; né siamo insegnanti o tutor. Siamo, insieme a voi, parti di un tutto che si oppone a un sistema. Dare e dare. Voi ci raccontate le vostre esperienze e noi, il popolo zapatista, raccontiamo le nostre”. Su Radio Onda d’Urto dal Messico l’intervista, effettuata poche ore prima del via di “Alcune parti del tutto” (clicca qui per il video della cerimonia inaugurale) Andrea Cegna, nostro collaboratore, di 20zln.org e curatore de “Il Finestrino”, newsletter dedicata in particolare al SudAmerica. Ascolta o scarica
CHIAPAS: SOLDATI ISRAELIANI NELLE SCUOLE ELEMENTARI PER PROPAGANDA SIONISTA. LA DENUNCIA DEI COLLETTIVI LOCALI
Militari israeliani fanno attività di volontariato nelle scuole elementari del Chiapas: è quanto emerge del reportage del giornalista Temoris Greco e che ha portato alla luce la presenza di veterani di guerra israeliani all’interno di alcune scuole elementari a San Cristóbal de las Casas. A segnalare l’accaduto è stato il Comité Acción Palestina Chiapas, attivo nella regione per sensibilizzare sulla situazione in Palestina e sul ruolo dello Stato israeliano nel genocidio a Gaza. Secondo la denuncia, i genitori di alcuni alunni hanno notato la presenza di adulti, stranieri, uscire dalle scuole indossando maglietti con simboli israeliani. Le verifiche successive hanno collegato queste persone all‘organizzazione Heroes for Life, e più esplicitamente in ebraico “Combattenti senza frontiere” un’associazione israeliana che invia ex militari in missioni di volontariato all’estero subito dopo il servizio militare obbligatorio, con il fine dichiarato di “dare un’altra immagine al mondo delle IDF”. La mobilitazione del Comitato Acción Palestina Chiapas, insieme all’intervento del sindacato dei maestri (CNTE), ha portato alla sospensione del progetto nella zona. Ma il caso apre uno squarcio su un fenomeno più ampio: l’uso di missioni pseudo-umanitarie da parte di stati coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani per ridefinire la propria immagine internazionale, spesso nei territori del Sud globale. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, la corrispondenza dal Chiapas con Giovanni del Nodo Solidale. Ascolta o scarica.
Messico: L’ONU-DU si pronuncia contro le riforme della legge della Guardia Nazionale
Redazione Desinformémonos Città del Messico / L’Ufficio dell’ONU in Messico per i Diritti Umani (ONU-DU) ha manifestato la propria preoccupazione di fronte alle proposte della presidente Claudia Sheinbaum su una nuova Legge della Guardia Nazionale e sulle riforme alla Legge Generale del Sistema Nazionale di Sicurezza Pubblica e la Legge del Sistema Nazionale di Investigazione […]
Messico: I popoli dell’Oaxaca convocano un Incontro Nazionale contro la Gentrificazione
Redazione Desinformémonos I popoli e le comunità dell’Oaxaca hanno convocato l’Incontro Nazionale contro la Gentrificazione, davanti alla necessità di organizzazione “per far fronte al saccheggio” territoriale e culturale provocati dalla gentrificazione e turistificazione nel paese. “La gentrificazione e la turistificazione non sono mode passeggere né fenomeni isolati: sono espressioni di una logica globale che cerca […]
Che ci fanno i soldati israeliani nelle scuole del Chiapas?
-------------------------------------------------------------------------------- Pubblichiamo in italiano un reportage del giornalista indipendente Témoris Grecko realizzato a partire da una denuncia del Comité Acción Palestina Chiapas di San Cristóbal de Las Casas riguardo la presenza di veterani di guerra israeliani nelle scuole elementari del Chiapas. Questi giovani (tutti ex soldati) entrano nelle scuole pubbliche locali attraverso una associazione di “volontari” chiamata in inglese “Heroes for life” e più esplicitamente in ebraico “Combattenti senza frontiere” con il fine dichiarato di “dare un’altra immagine al mondo delle IDF”. La loro presenza, intercettata, denunciata e respinta dai collettivi e dal sindacato dei maestri (CNTE) di San Cristóbal, è inquietante e apre a molte altre domande: “In quanti posti sono andati questi finti volontari a fare propaganda sionista prima di essere scoperti e denunciati in Chiapas?”; “Che ci fanno realmente in Messico (e in altre parti del mondo) questi soldati vincolati alle forze speciali?”; “Il governo messicano è informato e quindi complice delle infiltrazioni di quest’associazione?” La traduzione di questo reportage di Témoris Grecko (con la collaborazione di Leonardo Toledo) è un contributo al lavoro di contro-inchiesta dei compagni e delle compagne dei collettivi locali in appoggio alla resistenza palestinese e una denuncia dei lunghi tentacoli del sionismo in tutto il mondo. [Nodo solidale] -------------------------------------------------------------------------------- Veterani di guerra israeliani, in Messico e in paesi dell’America, Asia e Africa, usano bambini in situazione di vulnerabilità per fare propaganda sionista Leggi l’articolo originale in spagnolo – artículo original en español La storia è molto bella, dal punto di vista dei loro simpatizzanti. Dopo aver abbandonato la vita militare e fatto ritorno a quella civile, Gili Cohen, Yair Attias e Boaz Malkieli, tre amici poco più che ventenni, si rendono conto che i “poveri del Terzo Mondo” affrontano problemi molto gravi, e che migliaia di loro connazionali stanno viaggiando in quei paesi e potrebbero darsi da fare per aiutarli. Per questo motivo, nel 2013 decidono di creare un’associazione umanitaria, che chiamano in inglese “Heroes for Life” (“Eroi per la Vita”), la quale canalizza i vacanzieri come volontari verso scuole in una ventina di paesi, dalla Thailandia al Guatemala, per insegnare ai bambini a parlare inglese e istruirli in materie come scienze, musica, igiene personale e tecniche di combattimento Krav Magá. In Messico, ad esempio, iniziano ad operare nel 2017, con il sostegno finanziario e logistico dell’impresa di sicurezza Maguén Group (il cui direttore esecutivo, Zvi Michaeli, è membro del consiglio di “Heroes for Life”) e del governo israeliano, in collaborazione con il municipio Miguel Hidalgo della capitale nazionale (il consigliere del PAN, Raúl Paredes, li ha descritti, in una delle loro attività del 2023, come “giovani molto entusiasti, con un grande cuore e un profondo desiderio di aiutare bambine e bambini nei quartieri vulnerabili”). Ora, nel maggio 2025, oltre che a Città del Messico, operano anche nelle scuole elementari della colonia 31 de Marzo, nella città di San Cristóbal de las Casas, nello stato meridionale del Chiapas (la prima denuncia è stata lanciata da Acción Palestina Chiapas). «Questo è un progetto con il potenziale di trasformare Israele in un impero dell’aiuto umanitario, senza spendere neanche uno shekel (la moneta israeliana)», ha detto a Esti Pelet, del portale messicano Enlace Judío, il leader dei fondatori, il capitano (della riserva) Gili Cohen, il quale ha espresso il proprio fastidio per il fatto che Israele compaia, insieme a Iran e Pakistan, nella lista dei paesi con l’impatto più negativo al mondo, secondo la BBC. «Lottiamo per una buona reputazione del nostro paese», ha continuato. «Io ho servito nell’esercito israeliano per otto anni e ho visto che i nostri soldati sono i più morali del mondo. Voglio che questi giovani mostrino al mondo il loro vero volto. Quei ragazzi che lavorano come volontari in un orfanotrofio in India sono gli stessi combattenti che vengono condannati nel mondo». Guerrieri Senza Confini L’altra storia è quella che non viene raccontata. È probabile che buona parte di chi sta leggendo questo reportage abbia visto una o più stagioni della serie Fauda, che tratta di un’unità militare mista’arvim (in ebraico: מסתערבים, “arabizzati”) specializzata nell’infiltrarsi in aree urbane palestinesi, mascherando i propri soldati da civili palestinesi. Utilizzano veicoli civili modificati e padroneggiano la lingua araba per confondersi con la popolazione locale mentre svolgono missioni ad alto rischio in Cisgiordania, come sequestri e omicidi. La crudele strage di presunti “colpevoli” e di innocenti, come danni collaterali, è la costante sullo schermo. I creatori di Fauda, Lior Raz e Avi Issacharoff, sono esperti in materia perché hanno fatto parte essi stessi della più famosa unità mista’arvim, la brigata Duvdevan. Anche i tre amici poco più che ventenni che vogliono aiutare i bambini poveri del Terzo Mondo hanno fatto parte di questa esperienza. Lì sono diventati commilitoni. Non solo per svolgere il servizio militare: il capitano Gili Cohen ha dedicato otto anni della sua giovinezza a travestirsi da palestinese per ucciderli. Convinti che Israele stia facendo le cose nel modo migliore, perché il proprio esercito è, come dice il primo ministro Netanyahu, “l’esercito più morale del mondo”, arrivano al punto che le “delegazioni” dei loro “Eroi per la Vita” vengono battezzate con i nomi di soldati morti in combattimento mentre distruggevano Gaza, in diverse guerre. Prima nell’operazione Margine Protettivo del 2014, in cui sono state uccise 2.251 persone, tra cui 551 bambini e 299 donne; e più di 11.000 feriti (dal lato israeliano, sono morti 66 soldati e cinque civili, incluso un bambino). E ora, nell’operazione Spade di Ferro, che è in corso con un genocidio: la missione in Chiapas si chiama Yotam Ben Best, che ha fatto parte anch’egli della brigata Duvdevan e, quando è morto in combattimento con miliziani palestinesi il 7 ottobre 2023, era comandante dell’“unità fantasma” delle operazioni speciali. Per questo hanno nominato presidente del consiglio della loro organizzazione il generale Elyezer Shkedi, noto per l’abbattimento di due aerei durante l’invasione israeliana del Libano. Da qui deriva anche il vero nome del gruppo, in ebraico, לוחמים ללא גבולות, che significa “Guerrieri senza Confini”. Quando si sono resi conto che in alcuni paesi non era ben visto l’arrivo di soldati israeliani che avevano ucciso palestinesi, presentandosi come guerrieri senza confini, hanno iniziato a cambiare nome nelle altre lingue. Nel 2016, Enlace Judío spiega che in inglese preferivano chiamarsi “Lottatori per la Vita”. Ma poiché nemmeno questo ha funzionato, hanno adottato il nome attuale, sempre in inglese: “Heroes for Life” ovvero eroi per la vita. Un programma di hasbarà “molto redditizio” A 18 anni, i giovani israeliani iniziano il servizio militare obbligatorio, durante il quale l’esercito prende il controllo delle loro vite per 36 mesi gli uomini, o 24 le donne. Questo include, in molti casi, operazioni di combattimento in cui maltrattano, feriscono o uccidono palestinesi, inclusi bambini e donne. Durante questo periodo, ricevono uno stipendio mensile di circa 200 dollari e benefici come sconti sui trasporti pubblici, spettacoli e altri servizi. Al termine, ricevono un’indennità economica nota come “sussidio di liberazione”, il cui ammontare varia in base alla durata del servizio, al tipo di ruolo svolto (per esempio, i combattenti ricevono un po’ di più) e ad altri fattori, ma solitamente è di diverse migliaia di shekel (equivalente a centinaia o migliaia di dollari). Con questa somma, più i risparmi accumulati, possono intraprendere il tradizionale tiyul shelach (viaggio dopo il servizio militare). Ogni anno, circa 40.000 veterani di guerra israeliani partono per viaggiare in America Latina, Africa e Asia. Questa è la dimensione potenziale della forza di hasbarà (propaganda pro-Israele) individuata dal capitano Gili Cohen. «L’idea era di utilizzare i backpackers come infrastruttura necessaria per svolgere lavoro umanitario “blu e bianco” mostrando al mondo il vero Israele», ha detto a Enlace Judío. «Volevamo creare un dibattito diverso su Israele. Volevamo fare una buona opera ebraica, e allo stesso tempo fare hasbarà per il paese, ma in modo diverso». Attraverso i social media, annunciano i loro progetti, che possono svolgersi in popolazioni di Etiopia, India o Argentina, per formare un “gruppo che si offre come volontario in uno dei quartieri più degradati della città, generalmente nelle scuole dove insegnano di tutto”. “Uno degli aspetti unici del programma è che è così redditizio”, sottolinea Enlace Judío. “Dato che fa parte del viaggio dei giovani all’estero, in nessun caso è necessario acquistare loro i biglietti aerei”. L’organizzazione “deve solo fornire loro alloggio e cibo per due settimane e mezza. Di conseguenza, con appena 11.000 dollari possono inviare una delegazione di circa 35 giovani israeliani altamente motivati a lavorare nei quartieri poveri di Mumbai”. “La direzione della scuola, gli insegnanti, i genitori e i bambini sono molto consapevoli che i volontari sono israeliani, perché portano una bandiera israeliana sulla manica della camicia e, sulla schiena, il nome di un soldato caduto nell’operazione Margine Protettivo, che dà il nome alla loro delegazione”. Tra le motivazioni dei volontari — ha aggiunto il portale di notizie — c’è il fatto che sono “soldati appena congedati che hanno visto la natura etica delle FDI (l’esercito israeliano), a differenza di quanto spesso viene presentato dai media internazionali, e vogliono mostrare al mondo un altro volto dei soldati delle FDI”. Con questo modello così redditizio sia dal punto di vista economico che politico, aspirano a crescere: attualmente inviano 16 delegazioni all’anno, ma “entro la fine del 2030 l’organizzazione invierà 30 missioni umanitarie a 30 paesi in via di sviluppo ogni anno”, perciò, dicono sul loro sito web, “sarà conosciuta da tutti i veterani delle Forze di Difesa Israeliane (FDI) e posizionerà Israele come leader mondiale nell’aiuto umanitario. Come parte dell’organizzazione degli ex membri dell’associazione, migliaia di laureati saranno reclutati”. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Che ci fanno i soldati israeliani nelle scuole del Chiapas? proviene da Comune-info.
Messico: Media e organizzazioni documenteranno con una Missione di Osservazione la persecuzione politica a Eloxochitlán
Redazione Desiformémonos Città del Messico / Una Missione di Osservazione comincerà il 10 giugno nella comunità mazateca di Eloxochitlán di Flores Magón, Oaxaca, “di fronte alla recrudescenza della repressione statale e dei notabili” che per più di dieci anni ha provocato minacce, prigione politica, sfollamento forzato e distruzione ambientale nel territorio. Si tratta della prima […]
Messico: Alunni dello Zio Sam, Trattato di Libera Controrivoluzione
Gilberto López y Rivas Il libro di Darrin Wood, Alumnos del Tío Sam: Tratado de Libre Contrainsurgencia. “Campus México” de la Escuela de Asesinos (https://vocesenlucha.com/libro-alumnos-del-tio-sam-darrin-wood) [Alunni dello Zio Sam: Trattato di Libera Controrivoluzione. “Campus Messico” della Scuola di Assassini] costituisce un ottimo strumento analitico-informativo per indagare una realtà considerata tabù da buona parte dell’accademia, dei […]