La Procura contesta l’assoluzione di Maysoon Majidi

Progetto Melting Pot Europa - Friday, August 22, 2025

L’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Crotone del 5 febbraio 2025 sembrava aver posto fine alla vicenda giudiziaria che aveva visto coinvolta l’attivista curdo-iraniana Maisoon Majidi, imputata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a seguito dell’arresto dopo lo sbarco sulle coste italiane.

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Il caso Maysoon Majidi e la criminalizzazione dei migranti

L'attivista curda iraniana è stata assolta da tutte le accuse

Chiara Lo Bianco 10 Febbraio 2025

La donna era stata fermata mentre tentava di allontanarsi attraverso la boscaglia insieme pochi altri migranti, tra cui il capitano dell’imbarcazione, ed era stata accusata di aver coadiuvato la navigazione di un natante con a bordo circa settanta persone partite dalla Turchia.

Tuttavia, la giovane donna non ha fatto in tempo a riprendere la sua vita in mano, dopo la lunga detenzione preventiva subita lo scorso anno nelle more del processo di primo grado, che si trova nuovamente a dover difendere la propria innocenza stante l’appello proposto dalla Procura per asserite irregolarità procedurali e contraddizioni nelle prove raccolte.

Segnatamente, i motivi a sostegno della richiesta di riesame risiedono nella convinzione da parte dell’Ufficio della Procura, che il Tribunale abbia male interpretato i fatti esposti nel corso del processo, trascurando alcuni elementi probatori, quali video e contatti telefonici, pervenendo così ad una motivazione insufficiente e incoerente.

Appare dunque utile richiamare, sia pur sinteticamente, i passaggi salienti della motivazione della sentenza del Tribunale di Crotone.

Primariamente, il Collegio ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni accusatorie tanto per ragioni procedurali quanto per ragioni contenutistiche.

Le accuse mosse a Maysoon Majidi si fondavano principalmente sulle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da due migranti irregolari che viaggiavano sul medesimo barcone e che avevano descritto la giovane donna come libera di muoversi durante la traversata e in possesso del proprio telefono cellulare, a differenza degli altri passeggeri, cui era stato sottratto per l’intera durata del viaggio secondo le regole imposte dai trafficanti responsabili.

Tali affermazioni, tuttavia, costituivano l’unico elemento a carico, per altro integralmente smentite sia dalle risultanze probatorie – in particolare dalle dichiarazioni del comandante dell’imbarcazione, del fratello e della stessa imputata – sia da elementi oggettivi, quali l’analisi dei messaggi scambiati da Majidi con la propria famiglia.

Dall’esame incrociato dei dati estratti dal cellulare e delle immagini in esso contenute emerge chiaramente che l’utilizzo del dispositivo è avvenuto soltanto nei momenti in cui ciò era consentito a tutti i migranti; analoga conclusione vale per quanto riguarda gli spostamenti sull’imbarcazione. Ne consegue che le dichiarazioni accusatorie non superano la soglia della prova oltre ogni ragionevole dubbio e, pertanto, il Tribunale ne ha attestato l’inattendibilità.

Giova ricordare che, in ossequio al principio dell’onere della prova, cardine del processo italiano, spetta all’accusa dimostrare i fatti attribuiti all’imputato, mentre alla difesa compete un’attività di mera confutazione, volta, in termini processuali, a far sorgere il ragionevole dubbio.

Sotto il profilo procedurale, inoltre, a tali dichiarazioni non poteva comunque essere attribuita natura di piena prova, trattandosi di affermazioni rese da soggetti indagati per reato connesso (ingresso irregolare ex art. 10-bis T.U. imm.), successivamente acquisite al fascicolo dibattimentale ai sensi dell’art. 512 c.p.p. per sopravvenuta irreperibilità dei dichiaranti, circostanza che ha impedito la loro escussione diretta in dibattimento.

Dall’analisi dei dati di traffico telefonico emerge ancora un’ulteriore lacuna nella ricostruzione proposta dall’Accusa.

Secondo quest’ultima, Majid sarebbe giunta a bordo dell’imbarcazione in automobile, diversamente dalle consuete modalità con cui si svolgono tali viaggi; tuttavia, le indicazioni di orario e di luogo ricavate dall’esame del cellulare dell’imputata, e segnatamente una fotografia ritraente il fratello che viaggiava con Maysoon, hanno dimostrato che non vi è stata alcuna discrepanza rispetto al trattamento riservato agli altri passeggeri.

Il Collegio ha altresì escluso che Maysoon Majid potesse avere un pregresso rapporto o potesse aver instaurato un legame amicale con il comandante dell’imbarcazione, considerata la barriera linguistica tra i due e l’assenza di evidenze idonee a corroborare tale ipotesi.

Infine, il Tribunale ha riaffermato la consolidata giurisprudenza in materia di onere della prova, rilevando che l’Accusa non ha dimostrato la veridicità della propria ricostruzione in ordine al presunto mancato pagamento della traversata.

Secondo i giudici, non vi è alcuna prova che l’asserita – e già di per sé non comprovata – attività coadiuvante possa aver costituito controprestazione per il compimento del viaggio.

Del resto, dalle conversazioni telefoniche frammentarie intercettate tra la famiglia Majid e la giovane, nonché quelle tra quest’ultima e l’organizzatore del viaggio, risulta sempre chiaro il riferimento al già avvenuto pagamento totale della traversata.

In ultimo, il Tribunale si è pronunciato sulla circostanza per cui l’imputata, abbandonata l’imbarcazione prima dell’approdo lungo la costa calabra, si era data alla fuga, insieme ad altri quattro soggetti, tra cui il comandante del natante, nel tentativo di far disperdere le proprie tracce.

La Procura riteneva che la fuga fosse motivata dalla necessità di evitare l’accusa di favoreggiamento di immigrazione clandestina; eppure, dalle conversazioni rilevate dal telefono di Maysoon emerge ripetutamente l’intento di evitare i controlli di frontiera in quanto avrebbero precluso la possibilità di avanzare richiesta di asilo in Germania, Paese in cui risiede la famiglia con cui Maysoon e il fratello tentavano di ricongiungersi.

In forza del regolamento di Dublino, è possibile richiedere asilo nel Paese Europeo di primo approdo: ne consegue che se i fratelli Majidi fossero stati bloccati alla frontiera italiana non avrebbero potuto regolarizzare il loro status e dunque permanere legalmente in Germania.

Per le ragioni anzidette il Tribunale di Crotone si è pronunciato assolvendo Maysoon Majid “per non aver compiuto il fatto”, dunque, riscontrando la mancanza di sufficienti elementi probatori tali da corroborare, al di là del ragionevole dubbio, l’incriminazione originariamente ascrittale ex art. 12 T.U. imm.

Si ritiene tuttavia doveroso sottolineare che anche qualora Maysoon Majid avesse compiuto atti di aiuto nella gestione della traversata – resa particolarmente complessa dalle caratteristiche del mezzo impiegato, dall’elevato numero di persone a bordo, dalle condizioni meteorologiche talvolta avverse e dalle precarie condizioni igienico-sanitarie – al solo fine umanitario e senza alcun coinvolgimento nell’organizzazione criminale, sarebbe comunque incorsa in una condanna.

L’attuale formulazione dell’art. 12 T.U. Imm. determina, infatti, una sostanziale equiparazione tra i soggetti che organizzano e traggono profitto dal viaggio e coloro che, mossi dallo stato di necessità in cui versano i migranti durante la traversata, intervengono unicamente per garantire che il viaggio si concluda nelle migliori condizioni possibili.

Si tratta, dunque, di un problema normativo: l’ampiezza della fattispecie incriminatrice e la rigidità sanzionatoria previste dall’attuale sistema penale – specie in considerazione delle circostanze aggravanti previste dalla norma di legge – continuano a colpire indiscriminatamente sia i trafficanti sia chi presta un ausilio occasionale, senza distinguere il diverso grado di responsabilità e il reale disvalore della condotta.

Una criticità che, peraltro, non può dirsi esclusivamente italiana, che, al contrario, prende vita dai principi di matrice comunitaria e, in particolare, del cosiddetto Facilitators package 1, che, a sua volta, suggerisce obblighi di criminalizzazione.

In conclusione, la vicenda giudiziaria di Maysoon Majidi mette in luce le profonde distorsioni prodotte dall’attuale disciplina sul favoreggiamento dell’immigrazione irregolare.

La sentenza di primo grado si pone come correttivo di alcune delle storture che caratterizzano processi di questo tipo e nell’analisi della sua motivazione propone l’interpretazione più favorevole all’imputata nel rispetto di un’altra regola base del processo penale italiano: il favor rei; principio per il quale, in caso di conflitto o incertezza interpretativa, deve prevalere sempre la soluzione più favorevole all’imputato; per altro, fornendo una interpretazione compiuta, logica e coerente con le prove del processo.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello proposto dalla Procura risulta privo di fondamento e non offre elementi idonei a giustificare un ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado. Il caso Majidi conferma, tuttavia, la necessità urgente di un intervento legislativo, a livello sia nazionale che europeo, volto a circoscrivere l’ambito di applicazione dell’art. 12 T.U. imm. ai soli casi di effettivo sfruttamento dei migranti, evitando di criminalizzare atti di necessità o di solidarietà.

Fino a quando ciò non avverrà, vicende come quella di Maysoon Majidi continueranno a ripetersi, esponendo a sofferenze ingiuste decine di migliaia di persone coinvolte in contesti di estrema vulnerabilità.

  1. Formato dalla direttiva 2002/90 volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali nel territorio dell’Unione e dalla decisione quadro 2002/946 relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione delle condotte in questione ↩︎