
Il disfacimento del mondo e il diritto di trattenere la bellezza
Comune-info - Thursday, August 21, 2025
«Nelle limpide giornate di ottobre, venendo da Radetzystrasse si può vedere (…) un gruppo di alberi nel sole. Il primo albero, che si erge davanti a quei ciliegi rosso cupo che non danno frutti, è così fiammeggiante di colori autunnali, è una macchia d’oro così smisurata da sembrare una fiaccola lasciata cadere da un angelo. E ora che arde, né il vento di autunni, né il gelo riusciranno a spegnerlo. Chi mai vorrà parlarmi di foglie che cadono e di morte bianca di fronte a quest’albero, chi impedirmi di conservare l’immagine negli occhi e di credere che per me continuerà a risplendere per sempre come quest’ora e che su di esso non grava la legge del mondo?»
Il frammento tratto da Giovinezza in una città austriaca di Ingeborg Bachmann ci offre un esempio straordinario di come la letteratura possa trasfigurare l’esperienza quotidiana in visione poetica (il racconto è incluso nella raccolta Il trentesimo anno, edito da Adelphi).
L’albero che incontra non è più semplicemente un albero: diventa “una fiaccola lasciata cadere da un angelo”, un simbolo di bellezza eterna che sfida le leggi del tempo e della morte. In quel momento, l’autrice non sta più guardando la natura con occhi ordinari, ma sta vedendo attraverso di essa qualcosa di più grande, una verità sulla possibilità della bellezza di resistere alla distruzione. L’immagine fonde il terreno con il celeste, il naturale con il soprannaturale, rivelando la capacità della scrittrice di vedere oltre la superficie delle cose.
Il cuore del brano risiede nella tensione tra accettazione e ribellione. L’autrice non nega la realtà del disfacimento – riconosce l’esistenza delle “foglie che cadono” e della “morte bianca” – ma rivendica il diritto di trattenere la bellezza oltre il tempo. Quella domanda retorica finale (“chi impedirmi di conservare l’immagine negli occhi?”) è un atto di sfida poetica contro la “legge del mondo”, quella legge inesorabile che vuole che tutto passi e muoia.
Dietro questa ricerca di bellezza e di eternità si nasconde però un’esperienza più profonda e dolorosa. Bachmann, cresciuta durante l’Anschluss e testimone della brutalità nazista, porta sempre con sé la ferita della guerra. Il suo sguardo è reso più sensibile dal dolore: sa riconoscere la bellezza proprio perché ha visto l’orrore, sa quanto sia fragile e preziosa.
In questo senso, quella “legge del mondo” contro cui si ribella non è solo la naturale caducità delle cose, ma anche la legge della violenza, della distruzione sistematica di tutto ciò che è bello e innocente. La sua ricerca diventa quindi “tormentata”, non può essere ingenua contemplazione, ma deve sempre fare i conti con la consapevolezza del male.
L’intensità con cui Bachmann si aggrappa all’immagine dell’albero fiammeggiante acquista una dimensione quasi disperata se letta in questa luce. È il tentativo di salvare almeno un frammento di mondo dall’oblio e dalla distruzione, di opporre alla logica della guerra una logica della preservazione attraverso la memoria e l’arte. La sua diventa così una poetica della sopravvivenza – non solo personale, ma di tutto ciò che merita di essere salvato dall’orrore della storia. In questo albero che “continuerà a risplendere per sempre” vive la speranza che la bellezza possa resistere alla brutalità, che la parola poetica possa fermare, almeno per un attimo, la corsa verso la distruzione.
Dietro la bellezza di quell’albero dorato si nasconde tutta la complessità di un’esistenza segnata dalla storia, ma anche la forza di chi non rinuncia a cercare e a preservare ciò che di luminoso può ancora brillare nel buio del mondo.
Forse è quello che dovremmo fare tutti noi. Continuare a guardare in mezzo all’orrore la bellezza che comunque persiste e si manifesta quando meno la cerchiamo, in modo improvviso in tutta la sua grandezza. Ma è il nostro sguardo che non deve smettere di vedere. La bellezza può durare dentro di noi per sempre, un “per sempre” fragile eppure vero.
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