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Canada, campagna di Yves Engler a leader del New Democratic Party: luci e ombre
Il 10 novembre 2025 abbiamo tenuto la nostra consueta riunione generale del lunedì sera su Zoom per la campagna di Yves Engler. Si svolge subito dopo l’ora dedicata alla politica estera canadese, che è stata ridotta a mezz’ora a causa della campagna. All’inizio alcune persone si perdevano passando da una sala Zoom all’altra, ma ora il sistema funziona bene e riusciamo a entrare rapidamente nella sala Zoom giusta. Innanzitutto la buona notizia: il tour di Yves nel Canada orientale è andato bene. Ha apprezzato la preparazione e il sostegno a Toronto; e ha elogiato in particolare la pulizia dopo l’evento. Sì, il sostegno al tour non è solo fatto di pompon e macchine fotografiche! Ad Halifax ha trovato molto sostegno per “Case, non bombe”. Parallelamente al tour, sui social media sono comparsi vari. Ad esempio, la posizione di Yves sulla “pace fondata sulla giustizia” e sulla “riconciliazione con le nazioni indigene attraverso la restituzione delle terre” è stata riconosciuta da Jafrikayiti (Jean Saint-Vil). Si può anche leggere che “Yves Engler promette l’istruzione gratuita e la cancellazione dei prestiti studenteschi” e che in Canada “quasi due milioni di persone stanno ancora pagando i prestiti studenteschi” (la popolazione canadese è di circa 42 milioni di persone). Abbiamo ora raggiunto i 100.000 dollari canadesi necessari per la candidatura di Yves a leader del partito. Tuttavia, vi sono alcuni dubbi sul fatto che le donazioni possano essere accettate prima che un candidato entri formalmente in gara. Inoltre, tutti i contributi devono essere elaborati attraverso il partito. Yves ha presentato domanda di verifica il 10 novembre 2025 e i contributi sono stati accettati molto prima. Tuttavia, la campagna ha seguito le regole di Elections Canada. È interessante notare che la somma richiesta è passata da 30.000 dollari canadesi nel 2017 a 100.000 dollari canadesi oggi. Vale anche la pena notare che alcuni candidati stanno facendo fatica a raccogliere la somma richiesta e che per alcuni è difficile ottenere il numero di firme necessario: 500, più 50 in ciascuna delle 5 regioni del Paese. Purtroppo, poiché non è ancora stato sottoposto a verifica, Yves non ha potuto partecipare al dibattito sulla leadership che si è tenuto il 27 novembre in francese a Montreal. Peccato, visto che Yves è l’unico candidato in grado di discutere in francese. Il comitato di verifica della leadership è composto da tre membri. Yves afferma che la procedura di verifica del partito dovrebbe essere effettuata invece dai membri dell’NDP. In un articolo sulla verifica, Yves sottolinea che Zohran Mamdani non è mai stato sottoposto a verifica e osserva che Zohran sarebbe stato probabilmente bloccato dal comitato di verifica dell’NDP. Infatti, il questionario dell’NDP chiede ai candidati di elencare loro dichiarazioni “che sono state/potrebbero essere considerate politicamente ‘controverse’”. Sono certa che molte di queste dichiarazioni si possano trovare nei libri o negli articoli di Yves. Ad esempio, Yves dichiara che “la NATO non è solo un pericolo per la pace, ma anche una minaccia per le istituzioni democratiche”; mentre il primo ministro canadese, Mark Carney, afferma che “la NATO rimane una pietra miliare della sicurezza transatlantica”. Un’altra domanda posta nel documento di verifica è se il candidato sia mai stato arrestato. Mamdani è stato arrestato almeno tre volte. Yves è stato arrestato durante alcune proteste ed è stato incarcerato tre volte. Yves ha così proposto un esilarante modulo di verifica alternativo in cui le domande sono, ad esempio: 1. Sei mai stato accusato di preoccuparti troppo della giustizia sociale? – Sì – No 2. Sei stato incarcerato per esserti opposto alla complicità canadese nel genocidio? – Sì – No – Non partecipo nemmeno alle manifestazioni A volte, tutti questi problemi sono scoraggianti, ma quando penso alla Palestina, ai senzatetto e a tante altre questioni, quando vedo il livello di impegno ed entusiasmo dei volontari, quando vedo la nostra amata piattaforma , desidero davvero che Yves abbia successo e diventi leader del partito. Traduzione dall’inglese di Anna Polo   Evelyn Tischer
“Tax the rich”, il momento magico di New York
I tre bicchieri sono già vicini, pronti a toccarsi; ci fermiamo un istante, ci guardiamo negli occhi e insieme decidiamo di procedere nel brindisi, in barba a scaramantiche precauzioni e collaudati timori. Laura ricorda che se desideriamo il cambiamento dobbiamo crederci, concedere fiducia e fare la nostra parte; se in un futuro non ancora definito rimarremo delusi allora protesteremo. Dzafer aggiunge: “Che alternativa reale abbiamo? Nessuna”. Concordo: cedere al cinismo, cercare il pelo nell’uovo e lamentarsi in anticipo non è un’alternativa politica. Soddisfatti e sorridenti facciamo battere i calici. Si è da poco concluso un rally (comizio) dall’iconico nome Tax the Rich promosso dalla base newyorkese del movimento socialista americano; si tratta dello stesso network da cui proviene Zohran Mamdani, quello che lo ha sostenuto durante i mesi di campagna elettorale con l’impressionante numero di oltre centomila volontari e che oggi non intende farsi da parte. Sa bene che un uomo lasciato solo può poco di fronte allo strapotere dei ricchi e potenti, pertanto vuole essere la sua forza. L’iniziativa, benedetta da una splendida giornata di sole, si è svolta in Union Square, a Manhattan, dove un folto numero di attivisti, sindacalisti, membri del movimento socialista e simpatizzanti a vario titolo si sono ritrovati attorno a un improvvisato palchetto – i gradoni della piazza hanno fatto da pulpito. Come di consuetudine la maggioranza dei partecipanti era giovane, piena di entusiasmo e creatività; non mancavano però figure più attempate, come il signore accanto, seduto su una una sedia pieghevole portata da casa, e come Dzafer, tanto pacato quanto ancora sognatore proprio in virtù dei suoi primi sessant’anni trascorsi tra battaglie sociali di quartiere e lotte per un diritto civile universale, sempre in prima linea, sempre alla ricerca di verità e giustizia. In molti indossavano ancora le spillette e i cappellini gialli e blu con la scritta Zohran for mayor, così come erano parecchie le kefieh arrotolate al collo, ma più di tutto la piazza era punteggiata da cartelli arancioni con il motto della giornata: “Tax the Rich Fund Child Care”. Una giovane aveva persino avuto la simpatica idea di scriverlo in rosso e a caratteri cubitali sul vestito.  Al centro dello spiazzo un ragazzo teneva alta una bandiera socialista, in cui una mano bianca e una nera si stringevano, a simboleggiare un modello di società umana dove l’amicizia regna tra i popoli e dove l’accesso alla risorse economico-culturali non è un privilegio riservato a una casta, ma è condiviso da tutti. Sembra che uno dei principali ostacoli alla realizzazione di tale luminosa società sia costituito dalla ricchezza non distribuita. Il problema è annoso. Chissà se qualche storico si è mai preso la briga di contare le rivolte avvenute nei secoli, con protagonisti i lavoratori, talvolta come contadini sottopagati e talaltra come operai sfruttati: quel popolo cosiddetto minuto che non per questo può fare a meno di nutrirsi e di sognare una vita migliore per sé e per i propri figli. Tassare i miliardari (da un milione di dollari di reddito l’anno in su) permetterebbe di iniziare a invertire il processo. La cosa fondamentale è procedere con un piano che opera nel presente guardando al futuro, così argomentava un giovane relatore dal “palco”. Abbiamo un’agenda per riportare il costo della vita nella nostra città entro limiti di spesa affrontabili dalle famiglie della classe lavoratrice; il nostro progetto non è campato in aria perché abbiamo messo al centro l’essere umano e nello specifico il bambino. È lui il nostro futuro, il futuro dell’intera comunità. Un altro relatore racconta di sua moglie, che fa l’insegnante e da quest’anno ha alunni che non mangiano più in mensa con gli altri bambini perché non possono più permetterselo, perché il governo Trump ha tagliato loro i benefici sociali con cui pagavano il pasto. Un altro racconta che durante un porta a porta per Zohran una famiglia gli ha aperto la porta sommersa dagli scatoloni. Quasi in lacrime se stavano andando. Non è un caso isolato. Il fenomeno delle famiglie costrette a lasciare la città è in aumento e con loro se ne vanno anche i bambini, la gioia di ogni Paese. Lo spopolamento va fermato subito, altrimenti New York City morirà, non ci sarà alcun bene per nessuno, nemmeno per i miliardari, anche se loro ancora non lo comprendono. Laura, Dzafer e io parliamo di questo e molto altro: “Ma pensano che siamo stupidi? Che non desidereremmo anche noi comprarci una casa invece che pagare un affitto, che suona sempre un po’ come buttare soldi dalla finestra? Noi in questo momento non possiamo nemmeno permetterci di parlarne a tavola.”  “Dovevo scegliere se far studiare mio figlio o comprare casa; siamo rimasti in affitto.” “Perché alcuni esseri umani sono così avidi? Preferiscono spendere milioni di dollari per contrastare l’ascesa di qualche politico con visioni diverse dalle loro piuttosto che pagare le tasse.” “Non è questa una forma di stupidità?” “È la malattia del potere, che va a braccetto con l’avidità.” “Con Zohran però gli è andata male, hanno buttato via milioni di dollari.” “Hai sentito che abbiamo vinto anche a Seattle?” “Sì, certo, con Katie Wilson. Non è incredibile che proprio ora stiano emergendo nuove figure politiche che affermano di volere un cambiamento radicale nella società? Zohran ha aperto la strada, ma in tanti devono seguirlo. Solo così ce la faremo, se saremo tanti, determinati e uniti.” Così trascorriamo un’ora lieta, come vecchi amici al bar che condividono storie passate e speranze future; solo che noi ci siamo incontrati meno di due ore fa. O meglio Laura e Dzafer vivono nello stesso quartiere nel Bronx e si sono conosciuti a un porta a porta. Laura è siciliana naturalizzata americana; è un’artista, una cantante jazz e una frizzante guida turistica. A New York si è innamorata, si è sposata e ha deciso di investirvi il proprio futuro. Dzafer è musulmano e il newyorkese più newyorkese che abbia mai conosciuto. È arrivato nel Bronx a tre anni dal Montenegro, lì è cresciuto, in una strada piena di italiani, lì vive e lì desidera, quando arriverà il suo momento, morire; ridendo ci dice che a Brooklyn ha messo piede per la prima volta solo pochi anni fa perché gli hanno spostato l’ufficio. Ci salutiamo abbracciandoci. Mentre mi allontano rifletto che condividere l’ideale di un mondo migliore e più giusto avvicina le persone e permette loro una comunicazione nuova, più profonda e, direi, finalmente umana; naturalmente crea uno spazio in cui le differenze personali si annullano, o almeno vengono sospese, in nome di qualcosa di più grande e che sia di tutti. In questo tempo pazzo e magico a New York, dove sembra che si stiano rimescolando le carte del mazzo (l’ho sentito chiamare il momentum, lo slancio), a volte mi sento così leggera che basterebbe un alito di vento per farmi volare.           Marina Serina
Yves Engler sarà lo Zohran Mamdani canadese?
Dopo le elezioni federali del 2025 in Canada, l’allora leader del New Democratic Party (NDP), Jagmeet Singh, ha perso il suo seggio alla Camera dei Comuni, che fa parte del Parlamento canadese e conta 343 seggi. Allo stesso tempo, l’NDP è passato da 24 seggi a 7, perdendo il suo status ufficiale, che richiede una rappresentanza di 12 seggi. Di conseguenza, Singh si è dimesso e l’NDP ha bisogno di un nuovo leader che sarà eletto nel marzo 2026. Da alcuni anni seguo il programma settimanale “Canadian Foreign Policy Hour”, condotto su Zoom da Yves Engler, in cui Yves discute il ruolo del Canada all’estero e invita il pubblico a porre domande e fare commenti. Durante questa ora, nella chat si svolge una discussione parallela e molto vivace, poiché i partecipanti pongono domande e rispondono, scambiandosi commenti, battute e incoraggiamenti. Yves è autore di numerosi articoli e ha scritto o è co-autore di 13 libri. Nel luglio di quest’anno Yves ha annunciato che il New Democratic Party (NDP) Socialist Caucus gli aveva chiesto di candidarsi alla guida dell’NDP; all’inizio aveva rifiutato la proposta, ma in seguito l’aveva accettata. Candidatura significa campagna elettorale e campagna elettorale significa volontari. Quando è arrivate la richiesta di volontari, mi sono chiesta: dovrei farlo? Mi piacciono la compassione di Yves e il suo appello alla giustizia per Haiti, la Palestina e i Paesi in cui le persone sono sfruttate a causa delle industrie minerarie canadesi. D’altra parte, so che le campagne politiche significano lotta e spesso lotta sporca, e io non ho alcuna esperienza in questo campo. Alla fine mi sono detta che fare campagna per Yves potrebbe essere il modo migliore per aiutare questo povero mondo e in particolare la Palestina e mi sono unita alla campagna. Poi sono arrivate le richieste di sostenere la candidatura di Yves alla guida dell’NDP e di donare denaro. Per interagire con altri volontari in tutto il Canada, alcuni di noi si sono iscritti a Discord, dove scambiamo commenti, idee, consigli, video, articoli e naturalmente battute. Vengono formati comitati di volontari: comitato politico, comitato per la raccolta fondi, comitato per i social media e così via. Entro a far parte del comitato politico e partecipo alla prima riunione, su Zoom, preparandomi a insulti e litigi. Dietro al signore che ci dà il benvenuto ci sono scaffali pieni di libri e un mappamondo. Amo molto i libri e i mappamondi, quindi questo mi rassicura. Vengono raccolte idee per le politiche e suggerimenti e commenti sono ben accetti. Il tono è rispettoso. Dico che il Canada dovrebbe firmare il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPAN) e questo suggerimento viene accettato. È incredibile! Un piccolo gruppo – che in seguito è cresciuto fino a circa 45 persone – può decidere la politica del Canada. Se Yves diventa leader dell’NDP, e se… e se… ciò che ha deciso un piccolo gruppo potrebbe definire la politica del Canada! E io sogno… alloggi garantiti per tutti, il Canada fuori dalla NATO, lo scioglimento dell’Accordo di difesa nordamericano (NORAD). (Vedi la piattaforma) A settembre, Yves ha deciso di fare un tour in Canada e ci ha chiesto di dargli il benvenuto. Sentendomi audace, gli ho risposto via e-mail: “Fermati a Regina, ti daremo il benvenuto”. Lui ha risposto: “Sarò felice di venire”. La sua tappa a Regina è prevista per il 25 settembre. Il Regina Peace Council, anche se come gruppo non sostiene la candidatura di Yves, è sempre felice di ascoltare un discorso che rientra nei suoi interessi e contribuisce a organizzare l’accoglienza. Porteremo degli snack. Caffè? No, la sala è piccola e i tavoli devono essere rimossi per fare spazio a più sedie. Quindi “portatevi da bere”! “Uno dei motivi per cui mi candido è perché siamo nel secondo anno di un olocausto trasmesso in diretta streaming. Ogni singolo giorno ci sono 50, 100, 150 palestinesi che vengono massacrati a Gaza e quando si tratta di Israele il nostro governo, dopo due anni, non rispetta nemmeno la legge canadese” ha spiegato Yves. Dopo il discorso ho sentito alcuni commenti di apprezzamento e spero che Yves abbia guadagnato qualche sostenitore in più. Il numero dei volontari ormai supera i 1.000 e i comitati sono molto impegnati. Riconosco alcune persone della Canadian Foreign Policy Hour. Bianca, la moglie di Yves, sempre gentile ed entusiasta, è spesso presente per aiutare e organizzare, così come Yves. Di tanto in tanto si vedono i loro due bambini piccoli, che hanno bisogno di uno spuntino, di un orsacchiotto o di una mediazione. Una volta terminata la stesura del programma, è necessario tradurlo in francese. Si forma un gruppo di traduttori e si scambiano messaggi frenetici: “Come si scrive ‘é’?”. “Yves è un femminista, quindi femminilizziamo il più possibile!”. Finalmente, la piattaforma – Il capitalismo non può essere riparato – Avanti verso un futuro socialista – è terminata sia in inglese che in francese. È una festa! Questa proposta politica è il nostro bambino e il cuore della campagna. Se tutto questo diventerà realtà, sarà il paradiso. Anche se solo l’1% sarà attuato, sarà un grande miglioramento. È divertente scoprire che, mentre lavoriamo per Yves, su Pressenza appaiano articoli sulla campagna di Zohran Mamdani, candidato sindaco a New York City. È interessante fare dei confronti: entrambi vogliono la sicurezza alimentare. Zohran vuole supermercati popolari , Yves vuole che le grandi catene di negozi alimentari siano nazionalizzate secondo un modello cooperativo. Zohran vuole tassare i multimilionari, Yves vuole abolire i miliardari. Non credo che amiamo Yves allo stesso modo in cui i sostenitori di Zohran amano il nuovo sindaco di New York. Per noi Yves è come un membro della famiglia che sosteniamo, ammiriamo e rispettiamo. E speriamo che gli sia permesso di portare del bene in questo mondo. Traduzione dall’inglese di Anna Polo con l’ausilio di un traduttore automatico             Pressenza New York
La vittoria di Zohran Mamdani segna l’avvento di una nuova generazione politica a New York City
La vittoria di Zohran Mamdani rappresenta una tappa importante nella vita politica di New York City, ma questa volta il significato va ben oltre una singola campagna elettorale. Ciò che è emerso in queste elezioni è la forza visibile di una nuova generazione di attivisti: giovani organizzatori, inquilini, lavoratori e artisti che stanno trovando la loro voce collettiva e rimodellando la politica locale dal basso. Questo movimento di base, ispirato dai precedenti modelli organizzativi di figure come il senatore Bernie Sanders, sta iniziando a raggiungere il suo compimento. Esso riflette un rinnovamento del lavoro sul campo che privilegia la comunità rispetto ai consulenti e la visione condivisa rispetto ai messaggi aziendali. I Socialisti Democratici hanno continuato a spingere il panorama politico della città verso sinistra, riconnettendosi con coloro che sono stati a lungo ignorati dal Partito Democratico: immigrati, affittuari e comunità della classe operaia escluse dal boom economico della città. Queste elezioni hanno anche messo in luce un cambiamento nell’equilibrio di potere. Le macchine di marketing delle grandi imprese che un tempo dominavano le campagne elettorali di New York non sono riuscite a catturare l’attenzione del pubblico. Il loro messaggio, raffinato ma vuoto, sembra aver raggiunto il suo limite. Lo stesso vale per l’influenza dei media tradizionali e l’ombra persistente del fenomeno Trump: entrambi sono sempre meno in grado di mobilitare o manipolare l’opinione pubblica come in passato. Anche il tentativo di rilanciare il profilo di politici della vecchia guardia come Andrew Cuomo è fallito. Gli elettori della città, in particolare le generazioni più giovani, sembrano pronti ad andare oltre la politica della personalità e orientarsi verso una politica degli obiettivi. La vittoria di Mamdani, quindi, è più di un semplice risultato elettorale: segna l’ascesa di una nuova coscienza politica a New York City, fondata sulla solidarietà, l’immaginazione e la speranza.   Pressenza New York
A New Era: la storica vittoria di Zohran Mamdani
Quando le principali reti televisive hanno dichiarato la vittoria per Zohran Mamdani alle 21:30 di martedì sera, un’ondata di euforia ha travolto New York City. Da Brooklyn al Queens, fino a Manhattan, bar e watch parties gremiti di sostenitori sono scoppiati in festa. Zohran Mamdani, trentaquattrenne immigrato musulmano nato in Uganda, aveva appena compiuto quello che molti definiscono una delle più sorprendenti imprese elettorali della storia politica americana recente: da un misero 1% nei primi sondaggi, a sindaco della città più grande e influente degli Stati Uniti. > «La speranza è viva», ha dichiarato Mamdani dal palco del Paramount Theater di > Brooklyn. «Abbiamo votato individualmente, ma scelto insieme: la speranza > contro la tirannia, la speranza contro i grandi capitali e le piccole idee. > Abbiamo vinto perché i newyorkesi hanno osato credere che l’impossibile > potesse diventare possibile». I numeri raccontano una storia che sembrava impossibile solo pochi mesi prima. Con il 50,4% dei voti in una corsa a tre, Mamdani ha sconfitto l’ex-governatore Andrew Cuomo, candidato indipendente dopo la sconfitta alle primarie democratiche e fermatosi al 41,6%, e il repubblicano Curtis Sliwa, fermo a poco più del 7%. Ma la sua vittoria va ben oltre il trionfo personale: segna la fine di un’era politica e mostra cosa può ottenere una campagna radicata nei bisogni reali dei lavoratori. La strada verso questo risultato storico era iniziata subito dopo la rielezione di Donald Trump nel 2024. Immediatamente, Mamdani ha lanciato una campagna di ascolto in tutta la città, fermandosi agli incroci e nei mercati per discutere con i cittadini della crisi del costo della vita. Da quelle conversazioni, strada dopo strada, quartiere dopo quartiere, è nato un movimento di base imponente: oltre 90.000 volontari, perlopiù giovani, che per un anno hanno bussato porta a porta in tutti i five boroughs per spiegare come il programma avrebbe migliorato la vita dei newyorkesi. Inoltre, la campagna è stata finanziata attraverso fondi pubblici e decine di migliaia di piccole donazioni individuali, rifiutando deliberatamente i soldi dei grandi donatori e delle corporation. > Socialista democratico ispirato a Eugene Debs, Franklin D. Roosevelt, Fiorello > La Guardia e Bernie Sanders, Mamdani ha fissato obiettivi che l’establishment > considerava irrealizzabili, se non pericolosi. «Una vita dignitosa non dovrebbe essere un privilegio di pochi fortunati, ma una garanzia che il governo cittadino offre a ogni newyorkese», ha ripetuto instancabilmente durante la campagna. Il suo piano affronta la crisi del costo della vita attraverso l’intervento pubblico diretto: congelamento degli affitti per due milioni di inquilini, trasporti pubblici gratuiti e più rapidi, asili nidi gratis e creazione di supermercati municipali . A finanziare tutto ciò, una tassa fissa del 2% su chi guadagna oltre un milione di dollari annui, oltre ad aumentare le aliquote fiscali sulle corporation – misure che colpirebbero direttamente quei miliardari che, secondo Mamdani, Trump ha favorito e i democratici moderati hanno tollerato. Durante le primarie, la sfida con Cuomo, forte del sostegno di miliardari e grandi aziende, è stata durissima. L’establishment politico e mediatico, dal “New York Times” a Chuck Schumer, aveva ignorato Mamdani, incapace di cogliere che questo giovane deputato  aveva conquistato l’immaginazione di un elettorato multietnico, giovane e popolare. Ma i poteri economici, quando finalmente si sono accorti della minaccia, hanno reagito decisamente. Trump ha minacciato di tagliare i fondi federali alla città, inviare truppe e persino far arrestare Mamdani se avesse mantenuto la promessa di proteggere gli immigrati. Mentre Mamdani si finanziava con fondi pubblici e micro-donazioni, i political actions committees legati ai miliardari hanno riversato 19 milioni di dollari in una campagna diffamatoria. Figure come l’ex-sindaco Michael Bloomberg, il magnate degli hedge fund Bill Ackman e l’ereditiera di Walmart Alice Walton hanno donato milioni di dollari alla campagna Fix the City di Cuomo, nel tentativo di fermare quello che consideravano una minaccia esistenziale ai loro interessi. Il “New York Post” lo ha attaccato senza sosta dopo che aveva denunciato il genocidio a Gaza. Eppure non è bastato. Come ha scritto l’ex-segretario al Lavoro Robert Reich: «L’oligarchia ha dato battaglia a Zohran Mamdani e ha perso. La sua vittoria è la prova che il potere delle persone può ancora prevalere su quello del denaro». > Per Alexandra Rojas, direttrice di Justice Democrats, la vittoria rappresenta > «il punto di svolta verso cui il nostro movimento lavora da anni: eleggere > leader capaci di unire gli elettori per affrontare insieme autoritarismo, > corporativismo e la disuguaglianza». Anche Alexandria Ocasio-Cortez ha sottolineato su MSNBC come la campagna abbia dovuto combattere su due fronti: contro il trumpismo e contro l’establishment democratico «che ci ha portato ai pericoli di questo momento». Bernie Sanders, tra i suoi primi sostenitori, ha celebrato: «Partendo dall’1% nei sondaggi, Mamdani ha realizzato una delle più grandi inversioni di tendenza della politica americana moderna. È la prova che possiamo costruire un governo dei lavoratori, non dell’1%». Ora Mamdani eredita una città in difficoltà, proprio come La Guardia nel 1933, in mezzo a tensioni razziali, disuguaglianze economiche e ostilità verso gli immigrati. Il nuovo sindaco cita spesso proprio La Guardia: «Capì che la democrazia si costruisce rendendo le città più vivibili: più parchi, più luce, più dignità per i lavoratori». Gli attacchi da Washington e Wall Street continueranno. L’amministrazione Trump minaccia tagli ai fondi, nuove retate dell’ICE e il dispiegamento della Guardia Nazionale. Ma Mamdani promette che questa sarà un’era di coraggio politico, non di compromessi. «Non più la politica sarà qualcosa che si fa a noi. Ora è qualcosa che facciamo noi», ha dichiarato nel suo discorso della vittoria, mentre migliaia di persone scandivano il suo nome. Durante il discorso ha denunciato con forza la strategia di divisione messa in atto dagli oligarchi: «La classe dei miliardari ha cercato di convincere chi guadagna 30 dollari all’ora che i loro nemici sono quelli che ne guadagnano 20». E ha promesso: «Metteremo fine alla cultura della corruzione che ha permesso a miliardari come Trump di evadere le tasse e sfruttare le agevolazioni fiscali». Ha concluso con parole che risuonano come un manifesto: «Se abbracciamo questo nuovo corso, possiamo rispondere all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che temono di più: la speranza organizzata». La vittoria di Mamdani è un simbolo potente: un immigrato musulmano alla guida della città più diversificata del Paese, che dimostra come la democrazia possa ancora mantenere le sue promesse quando i leader si impegnano a migliorare concretamente la vita di chi li elegge. La copertina è di BingjiefuHe (Wikicommon) SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo A New Era: la storica vittoria di Zohran Mamdani proviene da DINAMOpress.
Zohran la tigre
Che cos’è un “watch party”? Così mi chiedono su WhatsApp le amiche dall’Italia. Che gli dico? Che sono in una mega discoteca di Brooklyn e che mentre ballo, facendo finta di avere anch’io venticinque anni, su uno schermo gigante due conduttori parlano, fanno smorfie e mostrano sketch comici che hanno animato l’ultima campagna elettorale per il sindaco di New York City. È la diretta di Hell Gate, un network locale indipendente, di proprietà dei lavoratori che prende il nome dal primo ponte ferroviario tra Queens e il Bronx. Che a sua volta deriva dal titolo affibbiato dai primi esploratori olandesi al tratto dell’East River che ci passa sotto, per via delle infide correnti che lo attraversano, dei pericolosi mulinelli e delle rocce aguzze. Un luoco iconico della città che deve aver ispirato la giovane redazione nel definirsi così: “Tagliente, giocosa, indignata, irriverente e utile ai nostri lettori; profondamente scettica nei confronti del potere ma ostinatamente idealista e mai pesante da leggere”. Assolutamente perfetti per essere gli ambasciatori di Zohran Mamdani, il nuovo sindaco della città. Alle 23.30 circa Zohran appare in diretta dal teatro Paramount di Downtown Brooklyn. La musica si ferma e dopo scroscianti applausi cala il silenzio. Nella mia vita non ricordo di aver assistito in tempo reale a un discorso di tale potenza. Dallo scorso settembre seguo Zohran Mamdani attraverso la stampa e sui social; per capire meglio ho partecipato a tre gruppi di canvassing (la campagna porta porta) e mi sono mezza congelata sugli spalti del Forest Hills Stadium per ascoltare dal vivo un suo discorso. Zohran è diventato una figura cara. Di lui pensavo: un uomo buono, rassicurante e progressista, ma anche con i piedi per terra. Zohran da stanotte è tutto questo e molto di più. Come ha detto Bernie Sanders al rally New York is not for sale: “Quest’uomo farà la storia”. In cielo brilla la luna piena, mentre sulla terra, tra gli audaci grattacieli di Manhattan e le compassate case di arenaria di Brooklyn, un gatto si è trasformato in tigre. E’ così che mi è apparso stanotte Zohran, come la mamma tigre vittoriosa e ancora furente perché ha appena sbaragliato un bracconiere che voleva rubarle i cuccioli. Stanotte Zohran non è più il politico accorto e coscienzioso che incassa sorridendo stolte minacce e sceglie di rispondere con benevolenza a volgari offese personali; stanotte è forte e deciso. È autorevole quando cita Eugene Debs, un socialista nato il 5 novembre del 1855, che denunciò la decisione del Paese di partecipare alla Prima Guerra Mondiale e che per questo fu incarcerato. Detto per inciso New York City ha un’importante e radicata tradizione di politica socialista, che a metà dello scorso secolo ne aveva fatto una tra le città più avanzate e progressiste del pianeta. Cito una delle tante buone cose dell’epoca: l’università era gratuita. Quarant’anni di neo-liberismo sfrenato non sono riusciti a distruggerne l’anima. Come dirà Zohran nel suo discorso, questa città è stata fatta dal lavoro degli immigrati e oggi ha un sindaco immigrato. Diventa affabile nel riconoscere la vittoria del popolo, dei cittadini che, stanchi di soffrire, con il potere del voto hanno rovesciato una dinastia politica avvezza alle menzogne. Non è vero che chi ha le mani rovinate dai calli e screpolate dal duro lavoro non può in quelle stesse mani tenere il potere politico. Certo che può, se tra le parti si è instaurata una relazione egualitaria e di fiducia. È ciò che Zohran dice ai suoi elettori: ai giovani che saggiamente hanno rifiutato di mettere il loro futuro nelle mani di un relitto della vecchia politica come Andrew Cuomo, ai lavoratori, in particolare immigrati, che invece di cedere alle minacce di chi è abituato a governare con arroganza hanno risposto con coraggio scegliendo lui come paladino contro l’ingiustizia e il pregiudizio. Si mostra riconoscente anche verso coloro che non lo hanno votato e che ancora lo temono e il suo discorso si fa amichevole. A tutti dice: “Ogni giorno il mio impegno sarà far sì che questa città sia migliore del precedente e che lo sia per tutti”. Nella nuova NYC non ci sarà spazio per manifestazioni d’odio e di esclusione. Ciò deve valere per ebrei, mussulmani, cristiani ecc, ma anche per gay, lesbiche e transgender, madri single e zie. Sì, anche le zie. E qui mi sento toccata personalmente essendo zia di quattro bellissime nipoti. Il riferimento in verità è alla zia del novello sindaco, che è diventata un simpatico aneddoto della campagna elettorale. Zohran la tirò fuori per spiegare quanto può ferire l’islamofobia. Da adolescente era molto affezionato a questa zia, una donna piuttosto indipendente, ma un giorno la vide tornare a casa turbata. Era stata insultata sulla metropolitana semplicemente perché indossava l’hijab. Da quel giorno si rifiutò categoricamente di prendere la metropolitana. Ma Zohran sa anche essere ferino e sa quando è il momento di esserlo: questa vittoria rappresenta il primo giorno di una nuova era. E allora si ferma, guarda calmo il pubblico, gli occhi si spalancano e avvampano: “Presidente Trump, lo so che mi stai guardando. Dunque, alza il volume. Queste prossime parole sono dirette a te e ai tuoi amici milionari. Non vi permetteremo più di giocare alla politica con le vostre regole truccate; dovrete giocare con le regole di tutti. Qui a NYC è finito il tempo in cui potevate evadere le tasse sfruttando le falle del sistema”. E dopo poco aggiunge: “Per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrai passare su tutti noi”. L’ironia è forse la sua arma preferita. Se la ride sotto i baffi ammettendo: “Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un democratico socialista. E, cosa più grave di tutte, mi rifiuto di scusarmi per tutto questo.” La lezione è importante: mai vergognarci di chi siamo. Voglio chiudere questo pezzo con una nota leggera. Non un pettegolezzo, ma qualcosa che da sotto tiene su tutto. Da stasera sulla scena politica non ci sarà solo un giovane uomo appassionato e vincente; al suo fianco c’è Rama, non il dio indiano, ma una bellissima giovane siriana, sua moglie.       Marina Serina
Zohran Mamdani è il nuovo sindaco di New York. Il discorso della vittoria
Riportiamo il discorso pronunciato da Zohran Mamdani nel quartier generale della sua campagna elettorale a Brooklyn, dopo aver ottenuto il 50,4% dei voti contro il 41,6% dell’ex governatore Andrew Cuomo, che sconfitto alle primarie democratiche si era presentato come indipendente e il 7,1% del repubblicano Curtis Sliwa. Hanno votato oltre due milioni di persone, un record che non si vedeva dal 1969. “Grazie, amici miei. Il sole potrebbe essere tramontato sulla nostra città questa sera, ma come disse una volta Eugene Debs, “Posso vedere l’alba di un giorno migliore per l’umanità.” Fin da quando abbiamo memoria, i ricchi e i benestanti hanno sempre detto ai lavoratori e alle lavoratrici di New York che il potere non appartiene a loro. Dita livide dal sollevare scatole sul pavimento di un magazzino, palmi callosi dai manubri delle bici da consegna, nocche segnate da ustioni di cucina: queste non sono mani a cui è stato permesso di detenere il potere. Eppure, negli ultimi 12 mesi, avete osato raggiungere qualcosa di più grande. Stasera, contro ogni previsione, l’abbiamo afferrato. Il futuro è nelle nostre mani. Amici miei, abbiamo rovesciato una dinastia politica. Auguro ad Andrew Cuomo solo il meglio nella vita privata. Ma che stasera sia l’ultima volta che pronuncio il suo nome, mentre voltiamo pagina su una politica che abbandona i molti e risponde solo a pochi. New York, stasera mi hai affidato un mandato per il cambiamento. Un mandato per un nuovo tipo di politica. Un mandato per una città che possiamo permetterci. E un mandato per un governo che realizzi esattamente questo. Il 1° gennaio presterò giuramento come sindaco di New York City. E questo grazie a voi. Quindi prima di dire qualsiasi altra cosa, devo dire questo: Grazie. Grazie alla prossima generazione di newyorkesi che si rifiutano di accettare che la promessa di un futuro migliore sia una reliquia del passato. Avete dimostrato che quando la politica vi parla senza condiscendenza, possiamo inaugurare una nuova era di leadership. Combatteremo per voi, perché siamo voi. O, come diciamo su Steinway, ana minkum wa alaikum. Grazie a coloro che così spesso sono dimenticati dalla politica della nostra città, che hanno fatto proprio questo movimento. Parlo di proprietari di bodega yemeniti e abuelas messicane. Di tassisti senegalesi e di infermiere uzbeke. Di cuochi di Trinidad e Tobago e di ie etiopi. Sì, zie. A ogni newyorkese di Kensington e Midwood e Hunts Point, sappiate questo: questa città è la vostra città, e questa democrazia è anche vostra. Questa campagna riguarda persone come Wesley, un organizzatore della sezione sindacale Seiu 1199 che ho incontrato fuori dall’Elmhurst Hospital giovedì sera. Un newyorkese che vive altrove, che fa il pendolare per due ore avanti e indietro dalla Pennsylvania perché l’affitto è troppo caro in questa città. Riguarda persone come la donna che ho incontrato sul Bx33 anni fa, che mi disse: “Una volta amavo New York, ma ora è solo il posto dove vivo.” E riguarda persone come Richard, il tassista con cui ho fatto uno sciopero della fame di 15 giorni fuori dal municipio, che deve ancora guidare il suo taxi sette giorni alla settimana. Fratello mio, ora siamo nel municipio. Questa vittoria è per tutti loro. Ed è per tutti voi, gli oltre 100.000 volontari che hanno reso questa campagna una forza inarrestabile. Grazie a voi, renderemo questa città un luogo in cui i lavoratori possono amare e vivere di nuovo. Con ogni porta bussata, ogni firma di petizione ottenuta, e ogni conversazione faticosamente conquistata, avete eroso il cinismo che è arrivato a definire la nostra politica. Ora, so di avervi chiesto molto nell’ultimo anno. Ancora e ancora, avete risposto alle mie chiamate — ma ho un’ultima richiesta. New York City, respira questo momento. Abbiamo trattenuto il respiro più a lungo di quanto immaginiamo. L’abbiamo trattenuto in attesa della sconfitta, l’abbiamo trattenuto perché ci hanno tolto il fiato troppe volte per contarle, l’abbiamo trattenuto perché non possiamo permetterci di espirare. Grazie a tutti coloro che hanno sacrificato così tanto. Stiamo respirando l’aria di una città che è rinata. Al team della mia campagna elettorale, che ha creduto quando nessun altro lo faceva e che ha preso un progetto elettorale e lo ha trasformato in molto di più: non sarò mai in grado di esprimere la profondità della mia gratitudine. Ora potete dormire. Ai miei genitori, mamma e papà: avete fatto di me l’uomo che sono oggi. Sono così orgoglioso di essere vostro figlio. E alla mia incredibile moglie, Rama, hayati: non c’è nessuno che vorrei avere al mio fianco in questo momento, e in ogni momento. A ogni newyorkese — che abbiate votato per me, per uno dei miei avversari, o vi siate sentiti troppo delusi dalla politica per votare — grazie per l’opportunità di dimostrarmi degno della vostra fiducia. Mi sveglierò ogni mattina con un unico scopo: rendere questa città migliore per voi rispetto al giorno prima. Molti pensavano che questo giorno non sarebbe mai arrivato, temevano che saremmo stati condannati solo a un futuro di mancanze, in cui ogni elezione ci avrebbe consegnato semplicemente un po’ di più della stessa cosa. E ci sono altri che considerano la politica oggi troppo crudele perché la fiamma della speranza possa ancora ardere. New York, abbiamo risposto a quelle paure. Stasera abbiamo parlato con voce chiara. La speranza è viva. La speranza è una decisione che decine di migliaia di newyorkesi hanno preso giorno dopo giorno, turno di volontariato dopo turno di volontariato, nonostante gli spot pubblicitari negativi. Più di un milione di noi si è presentato nelle nostre chiese, nelle palestre, nei centri comunitari, mentre compilavamo il libro mastro della democrazia. E mentre andavamo a votare da soli, abbiamo scelto la speranza insieme. Speranza contro la tirannia. Speranza contro i grandi soldi e le piccole idee. Speranza contro la disperazione. Abbiamo vinto perché i newyorkesi si sono permessi di sperare che l’impossibile potesse diventare possibile. E abbiamo vinto perché abbiamo insistito che la politica non sarebbe più stata qualcosa che ci veniva fatto. Ora, è qualcosa che facciamo noi. Stando davanti a voi, penso alle parole di Jawaharlal Nehru: “Arriva un momento, ma raramente nella storia, in cui passiamo dal vecchio al nuovo, quando un’epoca finisce e quando l’anima di una nazione, a lungo soppressa, trova espressione.” Stasera siamo passati dal vecchio al nuovo. Quindi parliamo ora, con chiarezza e convinzione che non può essere fraintesa, di ciò che questa nuova era porterà, e per chi. Questa sarà un’era in cui i newyorkesi si aspettano dai loro leader una visione audace di ciò che realizzeremo, piuttosto che una lista di scuse per ciò che siamo troppo timidi per tentare. Al centro di questa visione ci sarà il programma più ambizioso che questa città abbia mai visto dai tempi di Fiorello La Guardia per affrontare il costo della vita: un programma che congelerà gli affitti per oltre due milioni di inquilini con affitti calmierati, renderà gli autobus veloci e gratuiti e fornirà un’assistenza all’infanzia universale in tutta la nostra città. Tra qualche anno, il nostro unico rammarico sarà che questo giorno ci ha messo troppo tempo ad arrivare. Questa nuova era sarà di implacabile miglioramento. Assumeremo migliaia di nuovi insegnanti. Taglieremo gli sprechi da una burocrazia gonfiata. Lavoreremo instancabilmente per far brillare di nuovo le luci nei corridoi dei complessi residenziali della Nycha [l’Authority sulle abitazioni di Nyc] dove a lungo sono rimaste spente. Sicurezza e giustizia andranno di pari passo mentre lavoreremo con gli agenti di polizia per ridurre la criminalità e creare un Dipartimento di Sicurezza Comunitaria che affronti la crisi della salute mentale e le crisi dei senzatetto. L’eccellenza diventerà l’aspettativa in tutto il governo, non l’eccezione. In questa nuova era che creiamo per noi stessi, ci rifiuteremo di permettere a coloro che trafficano in divisione e odio di metterci l’uno contro l’altro. In questo momento di oscurità politica, New York sarà la luce. Qui crediamo nel difendere coloro che amiamo, che tu sia un immigrato, un membro della comunità trans, una delle tante donne nere che Donald Trump ha licenziato da un lavoro federale, una mamma single che ancora aspetta che il costo della spesa scenda, o chiunque altro con le spalle al muro. La tua lotta è anche la nostra. E costruiremo un municipio che stia saldamente al fianco dei newyorkesi ebrei e non vacilli nella lotta contro il flagello dell’antisemitismo. Dove il milione e più di musulmani sappia che appartiene non solo ai cinque distretti di questa città, ma anche alle stanze del potere. New York non sarà mai più una città dove si può trafficare con l’islamofobia e vincere le elezioni. Questa nuova era sarà caratterizzata da una competenza e una compassione che per troppo tempo sono state in conflitto tra loro. Dimostreremo che non esiste problema troppo grande per essere risolto dal governo, né preoccupazione troppo piccola per non meritare la sua attenzione. Per anni i consiglieri comunali hanno aiutato solo chi poteva aiutarli, ma il 1° gennaio inaugureremo un’amministrazione cittadina che aiuterà tutti e tutte. Ora, so che molti hanno sentito il nostro messaggio solo attraverso il prisma della disinformazione. Decine di milioni di dollari sono stati spesi per ridefinire la realtà e per convincere i nostri vicini che questa nuova era dovrebbe spaventarli. Come è accaduto così spesso, la classe dei miliardari ha cercato di convincere coloro che guadagnano 30 dollari all’ora che i loro nemici sono quelli che guadagnano 20 dollari all’ora. Vogliono che la gente si scontri al proprio interno, in modo da distrarci dal lavoro di ricostruzione di un sistema ormai in rovina. Ci rifiutiamo di lasciare che siano loro a dettare le regole del gioco.  Possono giocare secondo le stesse regole di tutti noi. Insieme, inaugureremo una generazione di cambiamento. E se abbracciamo questo coraggioso nuovo corso, piuttosto che rifuggirlo, possiamo rispondere all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che teme, non con l’acquiescenza che brama. Dopotutto, se qualcuno può mostrare a una nazione tradita da Donald Trump come sconfiggerlo, è la città che gli ha dato i natali. E se c’è un modo per terrorizzare un despota, è smantellando le condizioni che gli hanno permesso di accumulare potere. In questo modo non fermeremo solo Trump, ma anche il prossimo. Quindi, Donald Trump, dato che so che stai guardando, ho quattro parole per te: Turn up the volume (Alza il volume). Chiameremo a rispondere i cattivi proprietari di case perché i Donald Trump della nostra città si sono abituati fin troppo bene ad approfittare dei loro inquilini. Metteremo fine alla cultura della corruzione che ha permesso ai miliardari come Trump di evadere le tasse e sfruttare le agevolazioni fiscali. Staremo al fianco dei sindacati e amplieremo le tutele del lavoro perché sappiamo, proprio come Donald Trump, che quando i lavoratori hanno diritti ferrei, i datori di lavoro che cercano di estorcerli diventano davvero molto piccoli. New York rimarrà una città di immigrati: una città costruita da immigrati e da stasera guidata da un immigrato. Quindi ascoltami, Presidente Trump, quando dico questo: Per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrai passare su tutti noi. Quando entreremo nel municipio, tra 58 giorni, le aspettative saranno alte. Le soddisferemo. Un grande newyorkese disse una volta che mentre fai campagna elettorale in poesia, governi in prosa. Se questo deve essere vero, che la prosa che scriviamo faccia ancora rima, e costruiamo una città splendente per tutti. Dobbiamo tracciare un nuovo cammino, audace come quello che abbiamo già percorso. Dopotutto, la saggezza popolare vi direbbe che sono ben lungi dall’essere il candidato perfetto. Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un democratico socialista. E, cosa più grave di tutte, mi rifiuto di scusarmi per tutto questo. Eppure, se stasera ci insegna qualcosa, è che le convenzioni ci hanno frenato. Ci siamo inchinati all’altare della cautela e abbiamo pagato un prezzo altissimo. Troppi lavoratori non possono riconoscersi nel nostro partito e troppi tra noi si sono rivolti alla destra per avere risposte sul perché sono stati lasciati indietro. Lasceremo la mediocrità nel nostro passato. Non dovremo più aprire un libro di storia per avere la prova che i Democratici possono osare essere grandi. La nostra grandezza sarà tutt’altro che astratta. Sarà sentita da ogni inquilino con affitto calmierato che si sveglierà il primo di ogni mese sapendo che l’importo che pagherà non è salito alle stelle rispetto al mese precedente. Sarà sentita da ogni nonno che potrà permettersi di rimanere nella casa per cui ha lavorato, e i cui nipoti vivono nelle vicinanze perché il costo dell’asilo nido non li ha mandati a Long Island. La percepirà la madre single che si sentirà al sicuro durante il tragitto casa-lavoro e il cui autobus è abbastanza veloce da non dover correre a prendere i bambini a scuola per arrivare in orario al lavoro. E la percepiranno i newyorkesi quando apriranno i giornali al mattino e leggeranno titoli di successo, non di scandali. Ciò che più conta sarà la sensazione che proverà ogni newyorkese quando la città che ama finalmente ricambierà il suo amore. Insieme, New York, congeleremo… [ la folla urla: «gli affitti!» ] Insieme, New York, renderemo gli autobus veloci e… [ la folla urla: «gratuiti!» ] Insieme, New York, garantiremo universalmente… [ la folla urla: «l’assistenza all’infanzia!»] Lasciamo che le parole che abbiamo pronunciato insieme, i sogni che abbiamo sognato insieme, diventino il programma che realizzeremo insieme. New York, questo potere è tuo. Questa città ti appartiene. Grazie.       Redazione Italia
Zohran Mamdani, quali posizioni su Palestina, Israele e sionismo?
“Rispondiamo all’oligarchia e all’autoritarismo con la forza che temono. Se c’è un modo per terrorizzare un despota è smantellare le condizioni che gli hanno consentito di accumulare potere” –  con queste parole Zohran Mamdani ha festeggiato nella notte italiana la sua elezione a sindaco di New York. Il secondo più giovane della storia, il primo musulmano, e secondo alcuni persino “socialista”, ma è meglio stare cauti prima di dare etichette non veritiere. Vi era molto entusiasmo a sinistra, in Italia, anche su Obama (il “Premio Nobel per la Pace preventivo” che iniziò una serie di guerre imperialiste senza fine), per Joe Biden (che non ha fatto altro che proseguire le politiche neoliberiste e atlantiste di sempre) e per la sua vice-presidente Kamala Harris (che fu una grande operazione di marketing, volto a riqualificare la sua immagine di ex-procuratrice Iron Lady, e di comunicazione politica fine a se stessa che svanì subito dopo l’elezione). Tutti esempi pessimi che possono avere a che fare con la “sinistra neoliberale”, ma non con la sinistra di sempre: quella socialista e anti-sistema che parla di disuguaglianze sociale, giustizia sociale, diritto alla casa, ridistribuzione delle ricchezze e un’altra politica internazionale che “elevi ad interlocutore”, eviti i conflitti e parli il linguaggio del multipolarismo. Detto questo non si possono negare dei fattori importanti. La vittoria di Mamdani è stata netta con il 50% dei voti con un’affluenza record: hanno votato oltre 2 milioni di newyorkesi come non succedeva dal 1969. Scrive OttolinaTV: “Assiste invece incredula la coalizione di gruppi e interessi – dai repubblicani ai democratici più moderati, ai ricchi e potenti di New York – che hanno fatto di tutto per appoggiare il principale rivale, Andrew Cuomo, il politico della potentissima vecchia guardia democratica, che si è fermato al 41,6 per cento dei voti. Al palo sono rimaste anche diverse diverse lobby ebraiche che hanno fatto di tutto per ostacolare Mamdani date le sue posizioni pro-Palestina.” Ha creato molte divisioni, all’interno della popolazione ebraica di New York, la candidatura alla carica di sindaco di Zohran Mamdani, vincitore delle primarie democratiche e noto per le sue “posizioni filo-palestinesi” e “vicine alla sinistra radicale” (almeno così i media mainstream hanno detto). Verso la fine di giugno 2025, un gruppo di circa sei rabbini ortodossi statunitensi ha contattato il membro dell’Assemblea di New York City Micah Lasher per parlare dell’allora presunto candidato democratico alla carica di sindaco della città, Zohran Mamdani. L’appello del 27 giugno era incentrato sulle preoccupazioni che i rabbini e le loro comunità nutrivano nei confronti di un candidato che si era rifiutato di condannare lo slogan filo-palestinese “globalizzare l’intifada” e aveva anche sostenuto il movimento di boicottaggio di Israele. https://www.timesofisrael.com/new-york-reps-endorsement-of-zohran-mamdani-roils-orthodox-rabbis-on-upper-west-side/ “Se il candidato comunista Zohran Mamdani vincesse le elezioni a sindaco di New York è altamente improbabile che io contribuisca con fondi federali, se non per il minimo indispensabile, alla mia amata prima casa, perché, come comunista, questa città un tempo grande ha zero possibilità di successo, o addirittura di sopravvivenza!” – si legge in un vecchio post di Donald Trump, che addirittura definisce Mamdani “comunista” – “Qualsiasi ebreo che vota per Zohran Mamdani, un comprovato e autoproclamato odiatore di ebrei, è una persona stupida!” – ha ri-scritto sempre Trump su X a urne aperte. Un appello rivolto esplicitamente alla comunità ebraica newyorkese, preceduto da quello del console generale di Israele a New York ed ex Ministro del Likud, Ofir Akunis. https://www.today.it/mondo/mamdani-new-york-elezioni-sindaco-trump-ebreo-stupido.html   Il post di Trump su Truth Poche ore prima, infatti, anche il diplomatico israeliano aveva attaccato Mamdani, affermando che rappresenta un “chiaro e immediato pericolo per la comunità ebraica” di New York a causa del suo sostegno alle manifestazioni pro-palestinesi in città. Per Akunis, riporta il quotidiano israeliano Haaretz, l’elezione di Mamdani rappresenterebbe una “minaccia chiara e immediata per le istituzioni ebraiche” e le sinagoghe, la maggior parte delle quali sono sorvegliate dal Dipartimento di polizia di New York. Circa una settimana fa, circa 650 rabbini di tutti gli USA si sono opposti pubblicamente al candidato democratico Zohran Mamdani, esprimendo le loro preoccupazioni in una lettera, in cui hanno condiviso i loro punti di vista sul perché ritengono che il 34enne socialista non sia adatto a diventare il leader di New York City, che ospita la più grande popolazione ebraica al di fuori di Israele. La lettera afferma che la sua elezioni potrebbe portare alla “normalizzazione politica dell’antisionismo”, cosa impossibile in un Paese come gli USA. Firmata da oltre 1.100 rabbini, la lettera cita i rabbini di New York Ammiel Hirsch ed Elliot Cosgrove , che avevano ciascuno pubblicato i propri sermoni e video anti-Zohran, insistendo sul fatto che Mamdani rappresenta “un pericolo per la sicurezza degli ebrei della città” e che “il sionismo è parte integrante dell’identità ebraica”.  https://jewishcurrents.org/the-rabbinic-freak-out-about-zohran-mamdani Secondo un sondaggio di settembre della Quinnipiac University, il 75% degli elettori ebrei aveva un’opinione negativa di Mamdani, e solo il 19% ne aveva un’opinione positiva. Si tratta di una minoranza rumorosa, principalmente di giovani che lo sostengono o perché antisionisti, o perché essendo lui giovane si identificano con lui, o perché non sono particolarmente legati alla comunità. Tuttavia, durante tutta la campagna elettorale, Mamdani si è sempre fatto fotografare con importanti personalità del mondo ebraico americano nel tentativo di scoraggiare gli ebrei che gli si oppongono e indurli a rassegnarsi al fatto che verrà eletto: “Sono onorato di ricevere oggi l’appoggio del rabbino Moshe Indig e dei leader Ahronim a Williamsburg, dove si è unito a noi anche il mio amico Lincoln Restler. Insieme combatteremo la piaga dell’antisemitismo e costruiremo una città che sia adatta a ogni newyorkese” – scrisse Mamdani su Instagram. Non è un caso che durante Sukkot, Mamdani è andato a festeggiare con la comunità dei Satmar (ortodossi antisionisti, ndr). Le polemiche sembrano appartenere solamente all’ala ultraconservatrice del sionismo, dal momento che Jews for Racial and Economic Justice (Jfrej), gruppo progressista della comunità ebraica americana, ha da sempre sostenuto la candidatura di Mamdani: «Zohran è un amico. E’ venuto alla mia sinagoga l’anno scorso, è stato lì per tre o quattro ore, solo ad ascoltare le persone e a parlare con loro ho avuto conversazioni personali con lui. Ed è tutto fuorché un antisemita. Ha promesso di aumentare dell’800% il budget per combattere i crimini d’odio. E ha detto di voler lasciare al suo posto la commissaria di polizia di New York Jessica Tisch (che è ebrea, ndr) nonostante la sua famiglia abbia investito 1.2 milioni di dollari contro di lui». – ha dichiarato, in un breve discorso ai volontari di Jfrej, Abby Stein (1), rabbina figlia di immigrati ebrei da Israele, sottolineando come lei stessa abbia respirato l’antisionismo dei suoi genitori che affonda nelle convinzioni religiose hassidiche. Eppure, è errato definire l’elettorato ebraico di Mamdani come interamente “antisionista”. Secondo la stessa rabbina «Zohran sostiene la Palestina, ma naturalmente questo non fa parte della sua piattaforma politica, il motivo per cui se ne parla è che si continua a interrogarlo senza sosta su questo, come se il suo programma girasse intorno alla Palestina». La comunità ebraica non avrebbe motivo di avere paura in quanto Mamdani ha contato anche sul sostegno dei sionisti liberal-progressisti: «Dalle mie conversazioni con tante persone, direi che almeno metà degli ebrei che lo sostengono si definiscono sionisti progressisti o liberali. Per esempio Brad Lander (2). Molti di loro condividono la sua posizione su Israele: non ha mai detto che non ha diritto a esistere, ma che non può esistere in quanto stato suprematista ebraico». Oggi sappiamo che Israele esiste proprio in quanto “entità sionista”, ovvero un non-Stato senza Costituzione fondato sul teocon che nasce da un’ideologia politica nazionalista, etnocentrica e suprematista che è il sionismo. Israele non sarebbe mai nato senza il movimento sionista, quindi come può diventare oggi uno Stato non-suprematista se Israele, oltre a non essere uno Stato e a non avere confini, è nato su un’ideologia suprematista? Questa è l’ambiguità che si cela dietro tutta la questione del conflitto israelo-palestinese, che non è un semplice tifo calcistico, ma un questione complessa che richiede studio, conoscenza e soprattutto consapevolezza. Ci si chiede: Zohran Mamdani saprà chiarirsi, prendendo serie posizioni, lontane dal cerchiobottismo, o dovrà cedere – come molti prima di lui – alla realpolitik? E’ inutile farsi troppe illusioni. Come ha scritto molto bene OttolinaTV: “Non può essere certo un Mamdani qualunque a cambiare le strutture del capitalismo e dell’imperialismo americano. Da abitanti della periferia dell’Impero la domanda che dovrebbe veramente interessarci è quanto il successo di figure del genere rallentino o accelerino il declino dell’Impero stesso. Oppure, nel breve periodo, è giusto chiedersi se Mamdani diventerà come già successo in passato il volto friendly e Woke dell’ultraimperialista e capitalista Partito Democratico o potrà magari convincere il partito a virare su posizioni un po’ meno antipopolari e militariste di quelle passate (Clinton, Obama, Biden, Harris etc)”.   (1) A Williamsburg (Brooklyn), dove vive la più grande comunità hassidica al mondo, Abby Stein era stata ordinata rabbino, ma nel 2015 ha intrapreso la transizione di genere e ora è una rabbina. (2) Il revisore dei conti del municipio di New York arrestato dall’Ice per aver difeso dei concittadini immigrati.   Fonti ulteriori: https://ottolinatv.it/2025/11/05/mamdani-il-socialista-antisemita-che-ha-conquistato-new-york-cambiera-anche-imperialismo-usa/ https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-mamdani_e_listerismo_liberal/39602_ 63470/? https://www.today.it/mondo/mamdani-new-york-elezioni-sindaco-trump-ebreo-stupido.html https://www.nytimes.com/2025/09/22/nyregion/mamdani-rosh-hashana-jewish-holidays.html   Lorenzo Poli
Per una New York per tutt*
Il socialista democratico Zohran Mamdani ha vinto le elezioni a New York e sarà sindaco della città: il primo musulmano, e il più giovane da più di un secolo. Nel proprio discorso per celebrare la vittoria, Mamdani ha dichiarato che “il futuro” della città “è nelle nostre mani,” perché “abbiamo rovesciato una dinastia politica,” che da anni controllava la città. Come in campagna elettorale, Mamdani durante il proprio discorso è stato esplicito nella propria contrapposizione al razzismo, pietra angolare del supporto di Trump: “New York rimarrà una città di migranti: una città costruita da immigrati, fatta funzionare da immigrati, e, da stasera, governata da un immigrato.” Nato in Uganda, Mamdani ha sconfitto l’ex governatore Cuomo, che da democratico si era candidato da indipendente per raccogliere il consenso di molti repubblicani — al terzo posto si è fermato il politico caratterista Curtis Sliwa, candidato dai repubblicani. In un ultimo tentativo disperato di fermare Mamdani, l’altroieri Trump aveva dato il proprio endorsement a Cuomo, invece che a Sliwa. La corsa al successo di Mamdani, forte di una piattaforma popolare, in una città diventata troppo cara per i propri residenti, lo ha reso nel giro di pochi mesi uno dei politici più famosi e famigerati al mondo. Mentre scriviamo, con il 97% delle sezioni scrutinate, Mamdani ha il 50,39% delle preferenze. (NPR / Commissione elettorale della città di New York) È stata una buona giornata per i democratici anche fuori da New York città, e una forte sberla per Donald Trump, che esce seccamente sconfitto insieme al proprio partito alla prima prova elettorale dal suo ritorno alla Casa bianca. Oltre a Mamdani, sono state elette Mikie Sherrill, che sarà governatrice in New Jersey, e Abigail Spanberger, che sarà governatrice in Virginia, dove i democratici hanno conquistato anche 13 seggi, per formare la maggioranza più solida che abbiano avuto nello stato da quasi 40 anni. Quelle di Sherrill e Spanberger non erano candidature di rottura come quella di Mamdani, ma la loro vittoria ha più in comune con quella del candidato democratico socialista di quanto possa sembrare. I democratici hanno vinto non grazie a candidature di compromesso con le proposte razziste e libertariane dei repubblicani di Trump, ma su piattaforme più o meno progressiste — ma tutte calate nelle strette necessità degli elettori, concentrandosi in particolare sul costo della vita, diventato per tantissime persone statunitensi insostenibile. Parlare di cose vere — e di cose che i repubblicani non possono parlare, per ideologia — paga: secondo gli exit poll, Mamdani ha convertito un 9% dell’elettorato che nel 2024 aveva votato per Trump; Spanberger il 7%. Nel proprio discorso di vittoria, Mamdani ha riassunto la necessità di cambiamento: “Voltiamo pagina dalle politiche che hanno abbandonato i molti, e che rispondono solo ai pochi.” (the Guardian / POLITICO / Reuters / X) Trump sembra aver preso sconfitta come potete immaginare. Su Truth Social il presidente statunitense prima ha cercato di razionalizzare, scrivendo: ‘TRUMP NON ERA SULLA SCHEDA ELETTORALE E LO SHUTDOWN SONO STATI I DUE MOTIVI PER CUI I REPUBBLICANI HANNO PERSO LE ELEZIONI STASERA,’ secondo i sondaggisti.” E poi suggerendo che avrebbe dato seguito alle proprie minacce contro i cittadini newyorkesi, nel caso avessero eletto Mamdani, scrivendo solo: “...E COSÌ COMINCIAMO!” In realtà, già scrivere che lo shutdown sia stato uno dei motivi della sconfitta è una grossa ammissione: i repubblicani e in realtà l’amministrazione stessa, su tutti i canali ufficiali, hanno cercato di addossare le responsabilità dello shutdown ai democratici — il fatto che gli elettori abbiano votato per quel partito ammette implicitamente che una percentuale consistente dell’elettorato sappia che in questi settimane si è cercato di ingannarli. (Truth Social)