Nancy Hamad: “La situazione a Gaza è catastrofica”
Si chiama Dahiya una delle dottrine dell’IDF che può spiegare con gli occhi di
chi sta dietro la canna del fucile il perché di tante distruzioni a Gaza
apparentemente inutili per la loro vastità: “La potenza di fuoco deve essere
usata in modo sproporzionato ed è per questo che il risultato è sempre lo
stesso: allontanare la sicurezza a lungo termine in favore di un senso di calma
sul breve”. Questa è anche l’interpretazione in chiave tattico-militare della
cosiddetta tregua durante la quale le esecuzioni sommarie continuano, le
deportazioni da un luogo all’altro pure e in Cisgiordania l’economia dell’olio è
messa in ginocchio dai coloni che sradicano ulivi centenari e incendiano i
terreni e le pecore vengono uccise fracassandone il cranio sotto gli occhi dei
loro allevatori.
Tutto sotto l’occhio discreto dell’esercito, sempre pronto a intervenire, ma per
arrestare i palestinesi. La definizione e descrizione della Dahiya apparsa su
Altraeconomia è di Nadav Weiman, senior director della Ong Breaking the silence,
che riunisce veterani delle forze militari israeliane che hanno prestato
servizio nell’esercito a partire dalla seconda Intifada: fondata nel 2004 per
denunciare le violazioni compiute dai soldati in Cisgiordania, raccoglie e
pubblica testimonianze anonime di militari.
Nancy Hamad si collega saltuariamente a Internet, ma è in balìa di una
connessione instabile, anch’essa controllata e utilizzata dall’IDF per i suoi
scopi di morte: questo messaggio è arrivato accavallandosi a quelli precedenti e
rende bene l’idea di cosa possa significare vivere a Gaza, un territorio raso al
suolo per circa l’80%, in una tenda accanto a delle macerie.
Ciao Stefano,
scusa per il ritardo nella risposta, ma la connessione internet a Gaza continua
a essere pessima. La sofferenza a Gaza è indescrivibile. Sto scrivendo queste
parole dal cuore della sofferenza, dalla Striscia di Gaza, precisamente nei
dintorni di Deir al-Balah, dove io e la mia famiglia viviamo da sfollati da più
di due anni. Anche se il mondo ha sentito recentemente parlare di un cessate il
fuoco, la mia città rimane sotto occupazione e non siamo riusciti a tornare a
casa nostra. I nostri sogni di tornare sono rinchiusi nella nostra
immaginazione, mentre la nostra realtà diventa ogni giorno più difficile. Ora
siamo alle porte dell’inverno e viviamo ancora in fragili tende che non possono
resistere alle intemperie. In questi giorni di metà novembre forti venti
accompagnati da piogge intense colpiscono incessantemente la zona dove siamo.
Facciamo tutto il possibile per stabilizzare le tende, ma non resistono a lungo.
Forse il mondo ha visto alcuni video che circolano online, ma questi colgono
solo una piccola parte della dura realtà che affrontiamo qui a Gaza ogni giorno.
Per quanto riguarda le medicine, queste rimangono estremamente scarse. Devo
comprare le medicine solamente pillola per pillola, al costo di un dollaro
l’una, ma anche così non basta perché molte tipologie di farmaci non sono mai
sufficienti. Stiamo cercando di riprenderci dalle conseguenze della fame e di
privazioni di ogni genere, ma oggi anche le cure più semplici sembrano
irraggiungibili. Cibo e acqua si trovano nei mercati, ma il problema più grande
è la mancanza di denaro. La maggior parte delle persone ha perso il lavoro o i
propri mezzi di sussistenza e procurarsi i beni di prima necessità è diventata
una lotta costante ed estenuante.
La situazione a Gaza è catastrofica in tutti i sensi. È difficile descrivere
appieno tutto ciò che stiamo vivendo, ma scrivo questa testimonianza affinché il
mondo possa vedere la nostra realtà così com’è: una vita che crolla sotto il
peso di continue sofferenze, che solo chi la vive può veramente comprendere.
Stefano Bertoldi