Grecia: il tribunale assolve 11 richiedenti asilo accusati di traffico di esseri umaniUna sentenza destinata a segnare la giurisprudenza europea: il tribunale
dell’isola di Samos ha assolto 11 richiedenti asilo dalle accuse
di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sollevate contro di loro
esclusivamente per aver assunto il controllo dell’imbarcazione che li ha
condotti sulle coste greche. Si tratta di una decisione senza precedenti nel
contesto delle politiche migratorie europee, da anni caratterizzate da una
crescente criminalizzazione dei movimenti migratori autonomi.
Una sentenza storica
La Corte ha riconosciuto che il semplice atto di guidare una barca – in assenza
di scopo di lucro o collegamenti con reti di traffico – non costituisce reato. È
una pronuncia che conferma quanto denunciato da tempo da avvocati, attivisti e
organizzazioni internazionali: cercare asilo non è un crimine, e guidare
un’imbarcazione per salvare se stessi e altri dalla guerra o dalla persecuzione
non può essere equiparato al traffico di esseri umani.
L’organizzazione Human Rights Legal Project (HRLP), che ha rappresentato 9 degli
11 imputati, ha definito la sentenza “una pietra miliare” e “un passo necessario
verso un futuro più giusto”.
Gruppi come Aegean Migrant Solidarity e Community Peacemaker Teams che hanno
seguito il processo da vicino, fornendo supporto legale, mediatico e umano ai
richiedenti asilo coinvolti, hanno sottolineato come questa sentenza “è solo il
minimo sindacale”: secondo il diritto internazionale, le persone non devono mai
essere punite per essere state trafficate, che si tratti di richiedenti asilo o
meno. La criminalizzazione in questi casi non è solo illegittima, ma
profondamente immorale.
Il principio di protezione: la Convenzione di Ginevra
Fondamentale nella difesa è stato il richiamo all’articolo 31 della Convenzione
di Ginevra del 1951, che stabilisce che una persona che entra irregolarmente in
un paese per chiedere asilo non può essere penalizzata, a condizione che si
presenti tempestivamente alle autorità e giustifichi la sua condotta.
Nel contesto greco – e più in generale in Europa – questo principio è stato
spesso ignorato, con la conseguenza che centinaia di richiedenti asilo sono
stati accusati e incarcerati con pene durissime per il solo fatto di aver tenuto
il timone durante la traversata del Mar Egeo.
La pratica dei “boat drivers”: una strategia di sopravvivenza criminalizzata
Negli ultimi anni, migliaia di persone sono state arrestate in Grecia con
l’accusa di “traffico di migranti”, nonostante siano esse stesse persone in
cerca di protezione. I “boat drivers” sono spesso coloro che, per disperazione o
necessità, si offrono di guidare l’imbarcazione in cambio della gratuità del
passaggio, oppure lo fanno in condizioni di emergenza, quando il timoniere
designato non è in grado di continuare la traversata.
Secondo i dati raccolti da Borderline Europe, Watch the Med – Alarm Phone e
Refugee Support Aegean (RSA), la Grecia ha il più alto numero di detenuti per
reati legati al traffico di migranti in tutta l’UE, con condanne che possono
arrivare anche a 100 anni di carcere.
La portata della sentenza di Samos è doppia: giuridica e simbolica. Giuridica,
perché si tratta di 11 assoluzioni consecutive, un chiaro segnale di
discontinuità rispetto alla prassi corrente. Simbolica, perché rappresenta un
primo passo verso il riconoscimento ufficiale della non colpevolezza delle
persone in movimento, sfidando una narrazione securitaria che vede nella
migrazione irregolare un problema di ordine pubblico anziché una questione
umanitaria.
Ma la giustizia non è (ancora) uguale per tutti
Dei dodici imputati iniziali, uno è stato condannato: si tratta dell’unico che
non è riuscito a dimostrare la volontà o l’avvio di una procedura di richiesta
d’asilo. Questo conferma quanto fragile e soggettivo sia, in molti contesti, il
confine tra “migrante da proteggere” e “persona da punire”.
Inoltre, tutti gli assolti avevano già trascorso tra i sei e i dieci mesi in
detenzione preventiva, spesso in condizioni carcerarie difficili e con accesso
limitato a interpreti e difesa legale qualificata. La detenzione preventiva
viene spesso usata come forma di deterrenza e punizione anticipata, in
violazione del principio di presunzione di innocenza.
Verso un cambiamento sistemico?
La sentenza di Samos apre la porta a nuove strategie di difesa legale e potrebbe
essere usata come precedente giuridico in futuri casi simili. Tuttavia, serve un
cambiamento più profondo: un’armonizzazione europea che impedisca l’uso punitivo
del diritto penale nei confronti delle persone migranti.
Il caso solleva domande cruciali per l’Unione Europea, in particolare sul
rispetto dei diritti fondamentali, del principio di non discriminazione, e della
proporzionalità della pena nei confronti di chi attraversa le frontiere per
salvare la propria vita.
Il verdetto di Samos non chiude un capitolo, ma ne apre molti altri. È una
vittoria del diritto e della dignità, frutto della tenacia di avvocati,
attivisti, osservatori, e delle stesse persone accusate ingiustamente. Ma è
anche un promemoria amaro: la giustizia, spesso, va conquistata centimetro dopo
centimetro.
Guidare una barca per sopravvivere non è un crimine. La lotta per la libertà di
movimento continua.
Fonti:
@hrlpsamos
@aegean_migrant_solidarity
@cpt.ams
Melting Pot Europa