Roberto Saporito / Un topo in piscina
Sono anni che seguo le peregrinazioni di Roberto Saporito nei desolati territori
dell’editoria italiana. Ogni romanzo che pubblica esce per i tipi di un editore
diverso; non so se sia una scelta dello schivo scrittore piemontese oppure se
sia una necessità. Quel che noto è che la bibliografia del nostro è sempre più
lunga, e spunta sempre un altro editore disposto a pubblicarlo, e questo attesta
l’esistenza di una piccola ma affezionata comunità di lettori che lo seguono.
Credo che il motivo di tale affetto sia che per un verso Saporito ha una
notevole coerenza di riferimenti letterari, musicali, geografici – potrei
addirittura tirare fuori la formuletta e descriverlo come un superstite degli
anni Ottanta che non si rassegna ad abbandonare il versante americano di quel
decennio. Però va anche detto che ogni volta il nostro imprime una torsione
inattesa alla sua trama preferita (quasi sempre avente per protagonista un uomo
solitario e disincantato un po’ alla deriva, un po’ prigioniero delle sue
fissazioni), e alla fine ci spiazza.
Polimeri riesce a fare questo con l’ultimissima riga, per cui vi sconsiglio di
andare a spiare l’ultima pagina. Anche perché stavolta abbiamo a che fare
decisamente con un thriller: la vicenda di un attore italo-americano di successo
che viene chiamato da un regista italiano di successo a girare un film d’autore
a New York, il remake a stelle e strisce de La grande bellezza. Se permettete
già questa è un’idea geniale, tenuto conto che a sua volta La grande bellezza è
una sorta di rifacimento scaltro di Roma di Fellini. Ma l’attore e io narrante
(di parte del romanzo) deve anche girare una serie TV dove – invece
dell’intellettuale disincantato stile Gep Gambardella – veste i panni “del
poliziotto della omicidi italo-americano, un po’ sgarrupato e decadente”.
L’interpretazione gli viene benissimo perché il protagonista di Polimeri è in
effetti tendenzialmente sgarrupato e decadente, annoiato da quel che fa, con
alle spalle un matrimonio fallito e una figlia con la quale non riesce a entrare
in relazione, e forse neanche lo vuole più di tanto.
Ma quando s’insedia nel villone hollywoodiano che gli ha trovato l’agente,
l’attore scopre che qualcuno gli vuole decisamente male, tanto da fargli trovare
un topo morto in piscina e un cartello con esplicite minacce che troveranno la
loro attuazione con una serie di episodi sempre più inquietanti. Attenzione
però: a parte la costruzione del meccanismo di suspense, dal momento del
ritrovamento del roditore defunto Saporito comincia a inanellare una serie di
citazioni cinematografiche più o meno evidenti, come se immaginando una storia a
Hollywood fosse inevitabile proiettarla sullo schermo della nostra memoria
filmica.
Anni fa Saporito pubblicò un romanzo intitolato Come in un film francese, e
capisco che non volesse pubblicare la sua ultima fatica sotto il titolo Come in
un film americano, ma alla radice è questo che ci propone, in capitoli brevi
montati come sequenze di un film, con improvvisi cambi di inquadratura (e punti
di vista), con la solita fotografia nitida e accurata che ben conosciamo. E con
qualche colpo di scena ben piazzato. E non dimenticate: gli attori recitano.
Sempre.
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