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Al Sud boom d’occupazione, ma cresce la povertà lavorativa e continua l’esodo dei giovani
Il nostro Mezzogiorno vive una stagione di forti contrasti: cresce come non mai l’occupazione, soprattutto tra i giovani, ma al contempo continua l’esodo che svuota il Sud di competenze e futuro. Tra il 2021 e il 2024, quasi mezzo milione di posti di lavoro è stato creato nel Mezzogiorno, spinto da PNRR e investimenti pubblici. Ma negli stessi anni 175 mila giovani lasciano il Sud in cerca di opportunità. La “trappola del capitale umano” si rinnova: la metà di chi parte è laureato; le migrazioni dei laureati comportano per il Mezzogiorno una perdita secca di quasi 8 miliardi di euro l’anno. I giovani che restano, troppo spesso, trovano lavori poco qualificati e mal retribuiti. Con i salari reali che calano aumentano i lavoratori poveri: un milione e duecentomila lavoratori meridionali, la metà dei lavoratori poveri italiani, è sotto la soglia della dignità. Si evidenzia, inoltre, una emergenza sociale nel diritto alla casa. É quanto si legge nel recente Rapporto SVIMEZ 2025. L’Italia rimane così in coda in Europa per quota di giovani laureati (30,6% contro 43% Ue). Gli atenei meridionali attraggono più studenti e si riduce la migrazione ante-lauream, ma dopo la laurea il quadro torna critico: oltre 40mila giovani meridionali si trasferiscono ogni anno al Centro-Nord, mentre 37mila laureati italiani emigrano all’estero. Con l’emigrazione di questi laureati, una parte del rendimento potenziale dell’investimento pubblico sostenuto per la loro formazione viene dispersa. Il bilancio economico di questo movimento è pesante: dal 2000 al 2024 il Mezzogiorno perde di investimenti 132 miliardi di euro di capitale umano, contro un saldo positivo di 80 miliardi per il Centro-Nord. Poli esteri, si legge nel Rapporto, che attraggono giovani italiani altamente formati, il Centro-Nord che perde verso l’estero ma recupera grazie alle migrazioni interne di laureati da Sud, il Mezzogiorno che li forma e continua a perderli. Nel Mezzogiorno, nel 2021-2024, sei nuovi occupati under 35 su dieci sono laureati, contro meno di cinque nel resto del Paese. Tuttavia, la prima porta d’ingresso al lavoro rimane il turismo: oltre un terzo dei nuovi addetti giovani si colloca nella ristorazione e nell’accoglienza, settori a bassa specializzazione e bassa remunerazione. Al tempo stesso, crescono i giovani laureati nei servizi ICT e nella pubblica amministrazione, grazie al PNRR e alla riforma degli organici pubblici. La qualità delle opportunità resta però insufficiente: il mercato del lavoro meridionale continua a offrire sbocchi concentrati nei comparti tradizionali, con scarsa domanda di competenze avanzate. “Per trattenere i giovani, propone la SVIMEZ, il Sud deve attivare filiere produttive ad alta intensità di conoscenza, rafforzare la base industriale innovativa e integrare formazione superiore, ricerca e politiche industriali. Senza un salto di qualità nella domanda di competenze, la mobilità giovanile continuerà a essere una scelta obbligata”. Il Rapporto evidenzia come i salari reali continuino ad essere in calo soprattutto al Sud e come la povertà lavorativa debba necessariamente tornare nell’agenda politica. Dal 2021 al 2025 i salari reali italiani hanno perso potere d’acquisto, con una caduta più forte nel Sud: -10,2% contro – 8,2% nel Centro-Nord. Inflazione più intensa e retribuzioni nominali più stagnanti accentuano il divario. L’in-work poverty, aumentata rispetto all’anno precedente, tocca nel 2024 il 19,4% nel Mezzogiorno, quasi tre volte il valore del Centro-Nord (6,9%). In Italia i lavoratori poveri sono 2,4 milioni, di cui 1,2 milioni al Sud. Tra il 2023 e il 2024 aumenta il numero dei lavoratori poveri: +120mila in Italia, +60mila al Sud. Non basta avere un’occupazione per uscire dalla povertà: bassi salari, contratti temporanei, part-time involontario e famiglie con pochi percettori ampliano la vulnerabilità. Nel 2024 le famiglie povere crescono nel Mezzogiorno dal 10,2% al 10,5%. Centomila persone in più scivolano nella povertà assoluta, per effetto di un aumento delle famiglie che risultano in povertà assoluta anche se con persona di riferimento occupata. La relazione tra lavoro e benessere è quindi sempre più debole, segnale di una crescita quantitativa dell’occupazione non accompagnata da qualità e stabilità. Il Rapporto, prendendo spunto dalle analisi Svimez-Ifel/Anci ritorna sulla forte correlazione tra affitto e vulnerabilità economica. Nel Centro-Nord la povertà assoluta colpisce il 21% delle famiglie in affitto, contro il 3,6% delle famiglie proprietarie; nel Mezzogiorno raggiunge il 24,8% tra gli inquilini e il 7% tra i proprietari. Le città metropolitane rivelano ulteriori squilibri: a Napoli le case di proprietà sono appena il 48%, molto meno che a Roma, Milano o Torino. Nel Sud è inoltre elevata la quota di abitazioni non utilizzate — oltre il 20% a Reggio Calabria, Messina e Palermo — segnale di abbandono, uso discontinuo o scarsa attrattività urbana, mentre le città del Centro-Nord mostrano mercati più dinamici. “Il rafforzamento dell’edilizia residenziale pubblica, si sottolinea nel Rapporto, è essenziale: oltre 650mila famiglie attendono un alloggio e ogni anno 40mila sfratti coinvolgono 120mila persone. L’offerta di edilizia residenziale pubblica resta limitata (2,6% dello stock nazionale), con concentrazioni più alte nelle aree metropolitane del Centro-Nord: Milano e Torino (3,4%), Roma (3,3%) e Genova (3,2%). Nel Sud i valori sono più bassi, con Napoli al 3% e Reggio Calabria appena all’1,3%. Questo quadro conferma la necessità di politiche strutturali e coordinate per garantire il diritto alla casa e la coesione sociale sul territorio nazionale”. Qui per scaricare il Rapporto: https://www.svimez.it/rapporto-svimez-2025/. Giovanni Caprio
MILANO: CORTEO PER IL DIRITTO ALL’ABITARE E PER LA PALESTINA. CORRISPONDENZE E INTERVISTE
Circa duemila persone sono scese in piazza nel pomeriggio di sabato 22 novembre 2025 a Milano per il diritto all’abitare e per la Palestina. Diverse realtà di lotta per la casa del capoluogo lombardo unite nella campagna “Chiediamo casa a Milano”, infatti, hanno organizzato il corteo insieme all’Associazione dei palestinesi in Italia e Giovani palestinesi d’Italia, che da oltre due anni a questa parte organizzano cortei ogni fine settimana contro il genocidio e l’occupazione coloniale israeliana in Palestina. “La guerra e il genocidio in Medio oriente e la negazione dei diritti sociali, del diritto alla casa, del welfare qui in Italia – affermano insieme le realtà promotrici – sono due facce della stessa medaglia”. Il corteo è partito da piazzale Loreto intorno alle 15 e si è diretto verso la zona di via Padova. La corrispondenza dal corteo di Andrea Cegna, collaboratore di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica. Le interviste, realizzate durante il corteo, ad Angelo Avelli, di Abitare in via Padova, Giovanni dell’Unione inquilini e Beatrice di Ugs. Ascolta o scarica.    
Mai più senza casa, mai più senza Gaza
Per causa di convergenza maggiore la giustizia sociale, rivendicata dalla vertenza del Collettivo di Fabbrica ex-GKN in primis in termini di riscatto del lavoro, incontra quella ecologica, per una riconversione produttiva eco-compatibile senza ulteriore consumo di suolo in una Piana … Leggi tutto L'articolo Mai più senza casa, mai più senza Gaza sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Aler vuole sfrattare una famiglia per lasciare l’appartamento vuoto
Il picchetto dle 6 Ottobre in via Catania a Sesto San Giovanni non è stato solo la difesa di un’inquilina delle case popolari, ma un significativo atto di solidarietà in una città nella quale l’Amministrazione comunale ha tagliato pesantemente gli interventi sociali. I FATTI Anni fa, dopo essere stata abbandonata dal marito poi deceduto, la signora sotto sfratto è caduta in depressione e non ha consegnato all’A.L.E.R. i documenti richiesti per la determinazione della fascia del reddito e quindi del canone di locazione da pagare. A causa di questa irregolarità amministrativa A.L.E.R. ha applicato un affitto mensile di oltre euro 900 per anni così maturandosi un debito rilevante. Successivamente alla convalida dello sfratto per morosità la signora si è rivolta al sindacato il quale ha chiesto e ottenuto dall’A.L.E.R., presentando la documentazione, la sua corretta collocazione in una fascia di reddito bassa essendo la signora un’operatrice di cooperativa negli asili comunali con esiguo reddito e ottenendo una riduzione del debito. Il servizio legale del sindacato ha poi richiesto ad A.L.E.R. di poter pagare il debito residuo con cambiali e con il versamento di un acconto come previsto dall’accordo sindacale sottoscritto nell’anno 2023 ma A.L.E.R. si sta rifiutando di applicare l’accordo sindacale NEGANDO DI FATTO alla signora il piano di rientro. Aler – pretendendo un acconto pari al 20% del debito in contrasto con l’Accordo Sindacale – vuole a tutti i costi mettere in strada la signora sessantenne e non se ne comprende il motivo visto che nei palazzi di via Catania dove abita ci sono numerose abitazioni vuote da anni inserite nel piano vendite che la proprietà non riesce a vendere. LA CONCLUSIONE Abbiamo ottenuto un rinvio dell’esecuzione fino al 18 dicembre. Ora abbiamo di fronte due scadenze: – Un’assemblea provinciale degli inquilini delle case Aler in cui approvare una piattaforma sulle questioni aperte con la proprietà (manutenzioni inesistenti, correzione consuntivi spese, mancanza di un piano di risparmio energetico, ecc.) – Un incontro con la Direzione di Aler per chiedere conto del mancato rispetto degli accordi sindacali. La scelta di Aler di arrivare all’escomio dell’inquilina va contro anche agli interessi dell’Azienda che con un accordo sulla morosità può recuperare il debito ed evitare di tenere un alloggio vuoto con i costi che comporta per i servizi che Aler dovrà pagare anche se manca l’inquilino. Redazione Milano
“Sfratto Italia”: la vera priorità sociale è l’emergenza abitativa
Il Ministero dell’interno nei giorni scorsi ha pubblicato – un po’ alla chetichella – il suo annuale report sugli sfratti relativi all’anno 2024, con dati a dir poco allarmanti: nel 2024 sono stati emesse dai tribunali 40.158 sentenze di sfratto in aumento del 1,99% rispetto al 2023, quando erano state 39.373. Gli sfratti per morosità sono stati 30.041, mentre quelli per finita locazione sono stati 7.845 e 2.272 le sentenze per necessità del locatore. Le richieste di esecuzione presentate dagli ufficiali giudiziari sono state nel 2024 81.054, in aumento del 9,82% rispetto al 2023, quando erano state 73.809. L’intervento della forza pubblica è stato messo in campo in 21.337 casi di sfratto, un dato da considerare per difetto in quanto sono sicuramente molti di più. Le sentenze di sfratto hanno visto un aumento in Valle d’Aosta (+26,87%), Umbria (+18,28%), Marche (+8,18%), Abruzzo (+12,29%), Puglia (+13,90%), Campania (+11,8£%), Lazio (+3,94%), mentre si segnalano diminuzioni nelle regioni: Basilicata (-33,61%), Trentino Alto Adige (-14,96%), Molise (65%) e Sardegna (-10,97%). I dati del Ministero dell’Interno certificano la gravissima situazione che si sta delineando in Lombardia e nella città di Milano, ove sono aumentati a dismisura sia le richieste di esecuzioni di sfratto presentate da ufficiali giudiziari e sia i ricorsi agli sfratti eseguiti con la forza pubblica: (https://ucs.interno.gov.it/ucs/allegati/Download:Provvedimenti_esecutivi_di_sfratto_e_richieste_di_esecuzione_dati_2024-23323050.htm). Come si legge in un rapporto di OXFAM dedicato alla crisi abitativa in Italia nell’esperienza dei neomaggiorenni all’uscita dal sistema di accoglienza, il mercato delle locazioni, secondo le ultime rilevazioni di luglio 2025 ha registrato un ulteriore aumento, del 5,5% rispetto all’anno precedente, arrivando al valore medio mensile di oltre 14,9 euro/m², il valore più alto mai registrato dal 2012. Prendere una casa in locazione per molti è diventato un lusso. “A fronte di una domanda in crescita l’offerta ha avuto invece una tendenza opposta, innescando un’aspra competizione tra i potenziali locatari e spingendo al rialzo i canoni che diventano quindi inaccessibili per molti, alimentando quella che è una vera e propria emergenza abitativa in Italia. Complici inflazione e carovita da una parte e perdurante stagnazione salariale dall’altra, tra il 2018 e il 2023, il peso medio del canone di locazione sui redditi da lavoro dipendente nei capoluoghi di provincia è passato dal 31,6% al 35,2%, superando il 40% in alcune città come Firenze (46,5%), Roma (41,5%), Bologna (40,2%”: https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2025/09/Rapporto-diritto-alla-casa-no-per-tutti-Oxfam_emergenza-abitativa.pdf. Siamo di fronte ad un disagio abitativo che aumenta sempre di più. Siamo ormai in una vera e propria emergenza nazionale. E gli ultimi dati ministeriali ne sono l’ennesima conferma. “Si tratta prevalentemente di sfratti per morosità, 30 mila sfratti, sottolinea la CGIL, a cui si aggiungono 2 mila sfratti per necessità del locatore e oltre 8 mila sfratti per finita locazione, che consentono ai proprietari di riottenere la disponibilità degli immobili, sempre più spesso destinati ad affitti brevi turistici, nettamente più redditizi delle locazioni residenziali e che stanno causando processi di espulsione delle famiglie a reddito più basso e propagarsi di lavoro povero”. Le poche e marginali misure messe in piedi in questi anni non hanno prodotto effetto alcuno, anzi l’azzeramento dei fondi a sostegno dell’affitto (oltre 1 milione di famiglie in povertà assoluta vive in affitto) ha contribuito non poco a far crescere la “povertà abitativa”. E la crisi abitativa va ad impattare gravemente anche sul diritto allo studio per migliaia di ragazze e ragazzi e per tanti lavoratori. Secondo l’ultima indagine dell’Unione degli Universitari (UDU), il 62% degli studenti fuori sede ha difficoltà a trovare un alloggio regolare, mentre il 28% segnala condizioni abitative degradate e il 18% denuncia la totale mancanza di contratto. Come ha ribadito il presidente dell’Anci e sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, all’ultima assemblea ANCE: “Oggi la vera priorità sociale è l’emergenza abitativa. Senza casa non si può formare una famiglia, attrarre lavoratori, trattenere studenti e giovani. Serve un piano nazionale casa strutturato e pluriennale, con investimenti pubblici e un uso innovativo del partenariato pubblico-privato. Dobbiamo intervenire sia sul recupero dell’edilizia esistente sia sulla costruzione di nuove abitazioni accessibili per le fasce fragili, il ceto medio e i giovani”. La questione abitativa fa però fatica ad assumere una nuova centralità nelle politiche nazionali e locali e il diritto alla casa per tanti resta negato. “La casa è un diritto e il servizio abitativo destinato a cittadini che si trovano in una situazione di disagio economico deve essere considerato come parte dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ha sottolineato la CGIL. Già dalla prossima Legge di Bilancio deve essere rifinanziato il Fondo di sostegno per l’affitto e il Fondo per la morosità incolpevole per un valore di almeno 900 milioni di euro; occorre incrementare l’offerta di edilizia residenziale pubblica, attraverso un programma pluriennale, per incrementare il patrimonio ERP di 600 mila unità, anche attraverso la riqualificazione del patrimonio non utilizzato, in processi rigenerativi in ambito urbano (aree dismesse, caserme, aree ferroviarie); rivedere il regime fiscale legato alle locazioni per incentivare al massimo il canone concordato e favorire le locazioni di lunga durata, che in molte città sono sfavorite dal fenomeno degli “affitti brevi” per il quale occorre una legge nazionale per dare facoltà ai Comuni di definire limiti e divieti. Occorre anche recuperare rapidamente i ritardi accumulati nell’attuazione delle progettualità del PNRR e procedere alla realizzazione dei progetti di rigenerazione urbana, i Piani Urbani Integrati, i piani per la qualità dell’abitare, i progetti per la realizzazione degli alloggi per studenti universitari. Serve una nuova politica dell’abitare con solidi interventi pubblici in termini economici, fiscali e normativi, una diversa politica degli affitti e una seria lotta al sommerso e alla speculazione, una politica di rigenerazione urbana per garantire sostenibilità sociale e ambientale per città più accoglienti, sostenibili e inclusive”. Sul fronte delle esigenze abitative degli studenti fuori sede, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e il Gruppo CDP hanno sottoscritto un protocollo finalizzato a promuovere interventi di riqualificazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare non strumentale delle diocesi italiane e degli enti religiosi in modo da offrire una risposta residenziale a supporto dell’emergenza abitativa nel nostro Paese, non riconducibile esclusivamente all’incremento delle situazioni di disagio socioeconomico, ma anche a soddisfare le esigenze di nuove categorie sociali: nello specifico degli studenti universitari fuori sede, un segmento di popolazione che nel nostro Paese è cresciuto costantemente negli ultimi anni e che esprime un fortissimo fabbisogno abitativo (https://www.chiesacattolica.it/accordo-cei-gruppo-cdp/). Qui la Guida agli affitti per studenti fuorisede di UDU-SUNIA-CGIL: https://unioneuniversitari.it/wp-content/uploads/2024/05/Guida-fuorisede-UDU-CGIL-SUNIA-al-17-MAGGIO-2024.pdf.   Giovanni Caprio
Il mercato immobiliare degli studenti USA e lo spopolamento del centro di Firenze
Il flusso dei giovani nordamericani che giungono a Firenze per un periodo di studio all’estero, è in costante aumento. Si crea così un mercato parallelo che risulta inarrivabile sia agli studenti “normali” sia ai residenti, e contribuisce a spopolare il … Leggi tutto L'articolo Il mercato immobiliare degli studenti USA e lo spopolamento del centro di Firenze sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Napoli, stop alle “zone rosse”: cittadini e giuristi vincono contro i provvedimenti repressivi
Il TAR annulla le ordinanze prefettizie che delimitavano aree a regime speciale di sicurezza. Il Coordinamento denuncia: “La sicurezza urbana non si costruisce con misure emergenziali, ma con politiche sociali e partecipazione”. -------------------------------------------------------------------------------- I FATTI A dicembre 2024, il Prefetto della Provincia di Napoli ha istituito, per un periodo di tre mesi, le cosiddette “zone rosse”: aree della città in cui vige un regime speciale di sicurezza, con divieto di stazionamento per coloro che siano stati segnalati per alcuni reati e che assumono atteggiamenti aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti, tali da determinare un pericolo concreto per la sicurezza pubblica e ostacolare la libera e piena fruibilità di quelle aree. L’ordinanza (n. 505525 del 31 dicembre 2024) viene poi prorogata per ben due volte, l’ultima il 30 giugno 2025. La misura è finalizzata a implementare la sicurezza della cittadinanza in alcune aree della città, sulla base dell’art. 2 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, che attribuisce all’Autorità di Pubblica Sicurezza il potere di adottare misure indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico. I reati indicati sono spaccio di stupefacenti, lesioni, reati predatori, detenzione abusiva di armi e altri; sono invece esclusi l’omicidio e le molestie a sfondo sessuale. Il provvedimento si presenta dunque come misura straordinaria, ma soprattutto istituisce confini all’interno della città. LA REAZIONE È questo aspetto, in particolare, a destare preoccupazione in alcuni componenti della società civile. Nasce così un coordinamento di giuristi, abitanti, associazioni e spazi politici che temono una cristallizzazione delle divisioni sociali attraverso l’uso spinto di provvedimenti speciali. Il 13 marzo si riuniscono in un’assemblea pubblica presso lo Zero81 – laboratorio di mutuo soccorso. I componenti del Coordinamento – si legge nel primo comunicato – affermano che tali atti sono lesivi delle libertà fondamentali sancite dall’ordinamento democratico, senza garantire una migliore vivibilità della città. Pur riconoscendo che la sicurezza è un tema concreto che incide sulla qualità della vita degli abitanti e di chi attraversa lo spazio urbano, osservano che i problemi sociali vanno affrontati con interventi preventivi su servizi, istruzione, sanità, lavoro e casa, e non risolti attraverso modalità repressive. Il timore principale è che il provvedimento colpisca categorie sociali ed economiche marginali, come i migranti. Per questo viene lanciata una campagna informativa nei quartieri interessati. Alla campagna aderiscono A Buon Diritto Onlus, attiva dal 2001 per la tutela dei diritti fondamentali e l’assistenza a persone private della libertà, e ASGI, associazione nata nel 1990 che riunisce avvocati e giuristi esperti di immigrazione, asilo e cittadinanza. Particolarmente critica è la posizione dei consiglieri della II Municipalità Chiara Capretti e Pino De Stasio, che evidenziano il mancato rispetto del principio di sussidiarietà. A loro si aggiunge la voce del professore Alberto Lucarelli che, in un articolo del Corriere del Mezzogiorno del 16 aprile 2025, si dichiara sostenitore della campagna, sottolineando che, in base al provvedimento, gli agenti possono ordinare l’allontanamento anche solo a persone destinatarie di una denuncia o di una segnalazione per reati minori. “Per la presunzione di pericolosità – scrive Lucarelli – non è richiesta neppure una sentenza di primo grado. Emergono caratteristiche da stato di polizia: la gestione ordinaria dell’ordine pubblico si trasforma in permanente gestione dell’emergenza, utilizzando con enorme discrezionalità provvedimenti repressivi che mirano soprattutto a garantire il decoro urbano. L’ordinanza del Prefetto e le sue proroghe si presentano come repressive e liberticide e, tra l’altro, non sono pensate come reale controllo del territorio contro reati riconducibili alla criminalità organizzata”. I PRIMI DATI Il 7 aprile il Ministero dell’Interno ha pubblicato i risultati dei controlli effettuati fino al 31 marzo in applicazione dell’ordinanza: a Napoli, su un totale di 81.235 persone controllate, risultano 120 ordini di allontanamento, di cui 10 a carico di stranieri; a San Giorgio a Cremano, su 4.976 persone controllate, un solo ordine di allontanamento. Secondo la Prefettura, “i dati evidenziano i positivi risultati raggiunti al fine della prevenzione e del contrasto alla criminalità e a ogni forma di illegalità. Infatti, alla scadenza dei provvedimenti adottati per Napoli, Castellammare di Stabia, Pompei, Pozzuoli e San Giorgio a Cremano, il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal Prefetto Michele di Bari, ne ha disposto la proroga per ulteriori tre mesi. Non si esclude l’adozione di analoghi misure per altre comuni dell’area metropolitana”. IL BRACCIO DI FERRO TRA ASSOCIAZIONI E PREFETTURA Le associazioni non concordano e si preparano alla battaglia giuridica. Il 4 giugno viene depositato ricorso al TAR di Napoli dagli avvocati Stella Arena (Foro di Nola) e Andrea Eugenio Chiappetta (dottorando in Diritto costituzionale presso l’Università Federico II). Ricorrenti: ASGI, A Buon Diritto, residenti, cittadini, associazioni e consiglieri della II Municipalità. Il 17 giugno il TAR rigetta il ricorso, poiché l’ordinanza era in scadenza, attestandone però la fondatezza, ravvisando un difetto nell’esercizio di potere. Le associazioni tornano alla carica e, con la seconda proroga, ripresentano ricorso per motivi aggiunti. Il 22 luglio il TAR emette una sentenza di annullamento, riconoscendo che “difettano i presupposti per l’esercizio di potere e risulta comunque violato il principio per cui i provvedimenti contingibili e urgenti devono avere durata limitata nel tempo”. Il Prefetto, in una dichiarazione alla stampa, afferma di rispettare la pronuncia ma annuncia che “la sentenza sarà appellata innanzi al Consiglio di Stato”. GLI SVILUPPI Il Coordinamento No Zone Rosse Napoli continua il suo lavoro. La decisione della Prefettura di adottare nuove misure straordinarie relative ad altre zone della città – come lungomare e Coroglio – viene definita dai giuristi una forzatura, che rischia di trasformare Napoli in una città a spazi controllati e libertà ridotti, con provvedimenti eccezionali reiterati che il Tribunale ha già dichiarato illegittimi. Il 5 settembre si è svolta una nuova assemblea a Zero81 (Largo Banchi Nuovi, Napoli) per denunciare – si legge nel comunicato diffuso sul profilo Instagram @nozonerosse.napoli – l’uso distorto dei poteri prefettizi, l’assenza di trasparenza nelle ordinanze e per riaffermare che la sicurezza urbana non si costruisce con zone rosse, ma con politiche sociali, partecipazione democratica e cura dei territori. Il Coordinamento rivolge anche un appello al sindaco Gaetano Manfredi: chiarire se intenda governare una città aperta, inclusiva e rispettosa della Costituzione o condividere logiche emergenziali che limitano lo spazio pubblico. Il team legale annuncia nuove impugnazioni: “La Costituzione non ammette scorciatoie sui diritti”. ALCUNE RIFLESSIONI Questa vicenda non è solo una questione giuridica per addetti ai lavori: sono in gioco principi fondamentali. Il primo riguarda il rapporto fra Stato e territorio: la sicurezza nello spazio pubblico va garantita, ma nel rispetto dei diritti costituzionali. L’attuazione di regole di convivenza civile non dovrebbe essere affidata alla discrezionalità di poteri straordinari, come accade quando problemi endemici di ordine pubblico vengono affrontati con strumenti emergenziali invece che con politiche sociali mirate. C’è poi il nostro rapporto con la città: come la viviamo? come vengono trattati i bisogni collettivi dalle istituzioni? E i disagi delle categorie più fragili, come le persone a marginalità economica e sociale, o la questione abitativa? Se sicurezza e decoro diventano le uniche priorità, la città rischia di essere trattata come un luogo da abbellire, dimenticando che – soprattutto a Napoli, come ricorda l’UNESCO – il vero patrimonio è rappresentato dalle persone che la abitano. -------------------------------------------------------------------------------- FONTI * Prefettura di Napoli – Esiti controlli zone rosse, 31/0 * Fanpage, 30 luglio 2025 * Corriere del Mezzogiorno , 16 aprile 2025 (articolo di Alberto Lucarelli) Redazione Napoli
Immobili in affitto sempre più piccoli e a prezzi sempre maggiori
I canoni di affitto crescono ancora del 6,6% annuo e la superficie media scende da 85 a 80 mq, mentre il canone medio è salito a 1.020 €/mese. Le differenze territoriali risultano marcate, nel Centro i canoni crescono più rapidamente e l’accessibilità è ai minimi storici per le famiglie bi-reddito. Per le famiglie mono-reddito l’accessibilità continua a peggiorare, mentre in alcuni grandi centri (Napoli e Bologna) si intravedono segnali di miglioramento. Sono gli ultimi dati resi disponibili da Immobiliare.it Insights. Dati che confermano che sempre meno persone possono permettersi gli immobili in offerta in affitto sul mercato, il che pone un freno all’aumento del canone che i proprietari possono richiedere. “Oggi, sottolinea Immobiliare.it, il costo medio di un affitto mensile in Italia è di 1.020€, con una superficie abitativa media di circa 80 mq. Confrontando i valori con l’inizio del 2024, il canone medio è aumentato del 6,4%, mentre la superficie media è diminuita in misura simile, passando da circa 85 mq agli attuali 80. Questo significa che le case in affitto sono mediamente più piccole e più costose rispetto all’anno scorso. Il quadro che ne emerge è quello di un mercato degli affitti che, pur mostrando alcuni segnali favorevoli per gli inquilini, continua a essere segnato da prezzi elevati e da una crescente difficoltà di accesso, soprattutto per le fasce di popolazione a reddito medio-basso. Trovare soluzioni abitative adeguate e sostenibili resta quindi ancora complesso”. L’aumento dei prezzi in tutte le aree del Paese ha comportato una riduzione dell’accessibilità agli affitti, sia per i singoli che per le coppie. L’area meno accessibile per le coppie risulta essere il Centro, dove una famiglia di due persone può permettersi meno della metà delle abitazioni disponibili in affitto. È proprio il Centro a registrare anche il peggioramento più marcato nell’ultimo anno, con un calo di 6,2 punti percentuali nella quota di abitazioni accessibili alle famiglie bi-reddito. Al contrario, le Isole rappresentano l’area con la maggiore accessibilità: qui, una coppia è in grado di sostenere agevolmente il canone del 68% delle soluzioni presenti sul mercato. In tutte le 12 grandi città italiane il canone unitario medio cresce comunque rispetto all’anno scorso, mentre Milano, in linea con il 1° trimestre 2025, continua a registrare leggere diminuzioni: -0,9%. Nelle città di Palermo, Catania, Torino, Roma, Genova, Bari e Venezia si sono registrare variazioni superiori alla media italiana, con le ultime 4 che hanno registrato variazioni superiori al 10%. Milano, Firenze e Roma restano in cima alla classifica per i canoni unitari più elevati, mentre Palermo, Catania e Genova chiudono la graduatoria, nonostante gli aumenti significativi registrati negli ultimi trimestri. Tra le tre città che Immobiliare.it mette sul podio, Roma è l’unica a mostrare un tasso di crescita ancora in aumento, anche se nell’ultimo periodo il tasso subisce una lieve flessione. A differenza della capitale, Milano ha iniziato a rallentare già dalla fine del 2023, fino a registrare variazioni negative dall’inizio del 2025. Firenze mostra una dinamica simile a quella milanese: i canoni continuano a crescere, ma con un ritmo sempre più contenuto a partire dal 2024. E secondo le previsioni di Immobiliare.it Insights, nel corso del prossimo anno il canone unitario medio in Italia continuerà a crescere a un ritmo sostenuto, con un aumento dell’8,4% rispetto ai valori attuali. Si tratta di una variazione percentuale superiore a quella attesa nei grandi comuni, dove i canoni continueranno sì ad aumentare, ma con tassi inferiori alla media nazionale. Tra le città, la crescita più marcata è prevista a Palermo, con un incremento dell’8,0%, che porterà il canone a 9,9 €/mq. Al contrario, Verona registrerà la crescita più contenuta: da 12,2 €/mq attuali a 12,6 €/mq nel secondo trimestre del 2026, pari a un aumento del 3,0%. L’Unione Degli Universitari – UDU commenta con amarezza e rabbia questi dati: “L’ultimo rapporto di Immobiliare.it Insights conferma ciò che l’UDU denuncia da anni: il caro affitti per gli studenti universitari è fuori controllo. Nel 2025, a fronte di una domanda stabile, i prezzi delle camere singole sono passati da una media di 461€ a 613€ in un anno: +152 euro al mese, frutto di pura speculazione resa possibile dall’assenza di politiche abitative. Il Governo ha sprecato i fondi del PNRR in studentati privati di lusso, inutili per la maggior parte degli studenti. Lo avevamo detto: è tutto sbagliato. Intanto il Ministro Salvini ignora l’emergenza e si concentra sul Ponte sullo Stretto, mentre le città universitarie affondano sotto il peso degli affitti.” Qui per approfondire i dati di Immobiliare.it Insights: https://www.immobiliare.it/news/osservatorio-immobiliare/report-immobiliari/lofferta-di-affitti-continua-ad-aumentare-i-canoni-crescono-66-annuo-ma-meno-degli-anni-precedenti-384477/. Giovanni Caprio
78° Festival del cinema di Locarno. Dal nucleare iraniano al diritto alla casa, tra finzione e realtà. Seconda parte
Come spiegato nell’articolo precedente, tra i film che mi hanno positivamente colpito nei giorni che ho trascorso al Festival, ho scelto di presentare qui due produzioni che affrontano problematiche attuali attraverso una storia di fantasia. Oggi scrivo di un film d’animazione. Olivia y el terratremol invisibile (Olivia e il terremoto invisibile), della regista spagnola Irene Borra, coproduzione Belgio, Cile, Spagna, Francia e Svizzera, è un film destinato ai bambini, ma assolutamente adatto anche agli adulti, perché affronta un tema attualissimo in tutte le grandi città europee e non solo: la casa, l’abitare. Quando la famiglia viene sfrattata, la vita di Olivia, 12 anni, crolla. Con la madre Ingrid e il fratellino Tim è costretta a occupare un appartamento. Decide così di convincere Tim che è tutto solo un film di cui loro sono gli interpreti principali; in un film tutto è permesso, anche quello che non dovrebbe verificarsi nella realtà. Quando la situazione diventa difficile Tim chiede alla sorella di uscire dal film e di tornare alla vita reale; gli viene spiegato che quello che sta vivendo è purtroppo tutto vero, ma il bambino non riesce ad accettare che la realtà possa superare la fantasia che già gli appariva insopportabile. Una storia dura, raccontata nella sua crudezza ma sempre con delicatezza e con gli occhi e le parole dei bambini, i cui comportamenti sono descritti in tutte le loro contraddizioni: accoglienza, discriminazione e solidarietà si susseguono nel tempo in un’evoluzione segnata dall’innocenza di un’età non ancora (almeno non ancora completamente) soggiogata dai valori del potere e del denaro. La solidarietà che si sviluppa tra le famiglie povere che abitano la casa occupata fa da contrasto all’indifferenza dell’ambiente nel quale viveva precedentemente la famiglia di Olivia. Anche in questo caso, il film mostra una realtà ma non colpevolizza, non giudica e in tal modo non allontana a priori una parte del potenziale pubblico, che comunque è condotto per mano a guardare con i suoi occhi l’ingiustizia che si realizza. Un’ingiustizia che man mano che la storia procede passa da una dimensione individuale a una collettiva. Buona l’idea di spiegare, brevemente e con immagini eloquenti, come vivono in Africa, il ruolo della famiglia allargata e della comunità come contenitore sociale anche in sostituzione di un welfare inesistente. Welfare che è invece rappresentato nella città di Olivia da un assistente sociale presente e disponibile, ma succube di regolamenti e prescrizioni incapaci di rispondere a una lettura complessiva dei bisogni. Bisogni qui rappresentati dalla storia di una famiglia autoctona e nella quale quindi molti possono riconoscersi, che incontra gli immigrati in una condivisione inaspettata della propria condizione catapultando adulti e bambini in realtà meticce, quartiere, casa, scuola, molto diverse da quella di provenienza. Un incontro probabilmente imprevisto e inaspettato. Ogni volta che la situazione precipita, che le difficoltà sembrano insormontabili Olivia ha la sensazione di un terremoto destinato a porre la parola fine, ma proprio da questa sensazione terrificante la bambina trova la forza per risalire la china e affrontare le difficoltà; la conclusione non potrà che essere frutto di un’azione corale. Un film attualissimo, pensiamo solo al recente scandalo milanese o alla lotta per la casa che da anni si svolge a Barcellona; non a caso è la città dove lavora la regista e che ha portato nel 2015 Ada Colau, attivista della campagna Stop desahucios (“Stop sfratti”) a diventare sindaca. Un film da vedere insieme a figli e nipoti.   Vittorio Agnoletto
Verona, chiuso il “Ghibellin Fuggiasco”, ma la lotta per il diritto alla casa non si ferma
Lo stabile che dopo oltre 30 anni di abbandono è stato recuperato dal Paratod@s per dare ospitalità e persone senza fissa dimora è stato chiuso dall’associazione stessa dopo quattro anni di occupazione. Nel settembre 2024 era stato annunciato dal Laboratorio Autogestito Paratod@s che lo stabile occupato durante l’inverno del 2021 sarebbe stato chiuso entro breve in quanto non persistevano più le condizioni di sicurezza e di dignità per le persone che ci vivevano. La struttura, nonostante l’auto-recupero e la manutenzione ordinaria eseguita dal Paratod@s in quattro anni di occupazione, era segnato dagli oltre 30 anni di abbandono da parte della proprietà. La storia del Ghibellin Fuggiasco Il Ghibellin Fuggiasco (il nome gli verrà affibiato dal Paratod@s stesso in un secondo momento) era uno stabile vuoto, in completo stato di abbandono da decenni, pieno di sporcizia e degrado. Il Paratod@s, per cercare di dare una risposta emergenziale a una decina di persone costrette a dormire in strada, decide di occuparlo. Era l’inizio del 2021, giorni di particolare freddo a Verona e dormire in strada poteva significare morire assiderati. Quell’occupazione fatta in sordina doveva rispondere a un’emergenza legata appunto al freddo invernale, nella speranza che le persone ospitate trovassero quanto prima una sistemazione più stabile e dignitosa, riuscendo a prendere in affitto una stanza, ad accedere ai dormitori o ad altri sistemi di accoglienza per le persone senza fissa dimora. Passano le settimane e i mesi, l’inverno svanisce, ma per queste persone non sembrava esserci una soluzione. La ricerca di una stanza in affitto era sbarrata per due motivi principali: Per motivi economici, perché, nonostante fossero tutti lavoratori, i loro contratti erano estremamente precari, con rinnovi mensili e con paghe misere che non davano la possibilità di prendere in affitto nemmeno un posto letto in una camera doppia, dati i prezzi sempre più in crescita in una città a forte vocazione turistica come quella di Verona. Ma c’era una altro fattore che impediva a queste persone di trovare una casa: il razzismo. Sono state numerose le volte che sia gli abitanti della casa occupata, sia le persone del Paratod@s che supportavano i ragazzi nella ricerca, si sono sentiti rispondere che i proprietari di casa non avevano intenzione di affittare a persone di colore, soprattutto se africane. Da qui nasce quella che può essere definita la lotta principale del collettivo del Laboratorio Autogestito Paratod@s: la lotta per il diritto alla casa. Il cortile del Ghibellin Fuggisco dopo la tinteggiatura È in quei mesi, nell’enorme difficoltà di trovare una casa, una stanza, un posto letto, che si prende atto e contezza che la casa, nonostante sia un bene primario che permette alle persone di viverci, dormire, ripararsi dal freddo o dal caldo al termine di una giornata di lavoro, sia diventata un bene di lusso. Un bene che, nel concetto di mercato liberale, stava escludendo le persone meno abbienti. Un fenomeno che con il passare del tempo non ha interessato solo persone prive di lavoro, ma anche lavoratori e lavoratrici, genitori divorziati, studenti e studentesse fuori sede che non potendosi permettersi un posto letto esoso si vedevano negato anche il diritto allo studio. È così che l’occupazione da nascosta diventa pubblica. Un lotta pubblica per cercare di sensibilizzare istituzioni, cittadini e cittadine sul fatto che il diritto alla casa stava venendo sempre meno e che le logiche di profitto associate ad un bene così vitale stavano annientando la dignità, e in alcuni casi, la vita, di quelle persone che questa società mette sempre più ai margini. Alla casa abbandonata viene dato quindi il nome Ghibellin Fuggiasco, rievocando il Dante rifugiato, vengono aperte le finestre fino a quel momento tappezzate e viene ridipinta di un celeste vivace che prende il posto del grigio, delle scrostature e dei segni di anni e anni di abbandono. Nei luoghi di lavoro, nei campi, nei cantieri, nei magazzino della logistica, la voce si sparge e chi è costretto a dormire in strada vede nel Ghibellin Fuggiasco una possibile casa in cui poter dormire alla fine di una dura giornata di lavoro. E così, la casa occupata che inizialmente ospitava una decina di persone inizia a ospitarne sempre di più. Il Ghibellin Fuggiasco diventa quindi una comunità che in oltre quattro anni di occupazione ha ospitato più di 150 persone, una comunità che ha dato da dormire a 52 persone in contemporanea, sintomo di un’emergenza abitativa allarmante. Una comunità che ha preso parola ed ha iniziato a lottare per il diritto alla casa, a intervenire nelle piazze, durante le manifestazioni, ma anche nei luoghi istituzionali, perché la lotta per la casa passa da tutti questi luoghi, mettendoci i corpi, i volti e parole. Azione dimostrativa fuori dal Comune di Verona per il diritto alla casa La lotta tramite il Ghibellin Fuggiasco non ha di certo portato a una vittoria universale del diritto alla casa, ma ha comunque il merito di aver messo il tema dell’emergenza abitativa al centro del dibattito politico cittadino, una cosa non da poco in una città ricca e ben pettinata, che ignora un problema che riguarda una fetta di popolazione sempre più ampia. Un problema che ora non si può più ignorare. Trascorsi quattro anni da quel freddo inverno del 2021, il 10 maggio scorso Il Ghibellin Fuggiasco viene chiuso per i motivi di cui abbiamo già parlato. Smette così di vivere un luogo pulsante, un luogo che è stato una casa per oltre 150 persone, un luogo di aggregazione anche per chi in quella casa non ci viveva ma che ci trovava uno spazio di socialità, di chiacchiere e un thè da prendere attorno ad una stufa accesa o nel cortile esterno, spazi umani che una società cinica vuole distruggere nell’indifferenza più totale. Anche questo è stato il Ghibellin Fuggiasco. I numeri della lotta Grazie alle molte battaglie, presidi, manifestazioni e interazione con le istituzioni, molti dei ragazzi che hanno popolato il Ghibellin Fuggiasco adesso hanno trovato un luogo più dignitoso in cui vivere: 15 persone sono stabilmente ospitate in strutture Caritas attraverso l’intervento del vescovo Pompili, tra dicembre 2023 e gennaio 2024. Altre 22 persone hanno avuto accesso a una casa AGEC grazie alla collaborazione con la cooperativa La Casa degli Immigrati. Su questo punto è doverosa una precisazione, anche in risposta alle illazioni di politici che le hanno accusate di aver scavalcato le liste di attesa per accedere alle case Agec. Nessuna lista è stata scavalcata in queste assegnazioni, in quanto gli appartamenti che oggi ospitano queste 22 persone non erano a norma, non avevano abitabilità e non rientravano nel piano di riatto di Agec. Dunque queste case, già vuote da anni, sarebbero rimaste vuote ancora per molti anni. Il regolamento Agec prevede la possibilità di affido ad associazioni del terzo settore che ne fanno richiesta, a patto che queste si accollino i costi di ristrutturazione per metterle poi in affitto a canone calmierato. Nel caso specifico La Casa degli Immigrati ha destinato questi appartamenti, previo pagamento di un canone di affitto, a persone migranti. Una soluzione questa, come le altre, che dovrebbe quindi rendere la società e, nello specifico gli abitanti della città di Verona, contenti che si sia trovato una soluzione per persone che altrimenti sarebbero state costrette a dormire in strada. Altre cinque persone che abitavano al Ghibellin Fuggiasco hanno trovato posti letto attraverso la collaborazione con la cooperativa La Milonga, anche questi tramite pagamenti di affitto, mentre una persona ha ottenuto un posto letto attraverso i servizi sociali del Comune di Verona. A queste persone che oggi hanno un posto sicuro dove poter vivere, ne vanno aggiunte una trentina che hanno ottenuto la residenza fittizia attraverso il dialogo con l’Ufficio Anagrafe del Comune di Verona e la collaborazione con la rete sportelli sociali. Purtroppo, sei persone sono state escluse da qualunque tipo di percorso e soluzione da parte delle istituzioni, nonostante la pressione esercitata nei mesi successivi, affinché si trovasse una sistemazione. Queste persone a oggi sono senza fissa dimora. Questi sono numeri, ma dietro questi numeri ci sono i nomi, i volti e le storie di quelle persone che, anche se parzialmente, grazie ad una lunga battaglia hanno visto riconoscere un proprio diritto, quella di avere un luogo dignitoso in cui vivere, il diritto alla casa, un diritto che molti danno per scontato e che altri addirittura non riconoscono come tale. Ma è necessario guardare oltre questi numeri, conoscere i nomi dei ragazzi, conoscere i loro volti e le loro tormentate storie di un passato fatto dalla fuga dalla guerra, da una dittatura, dalla fame o banalmente dall’impossibilità di avere un’alternativa. Storie di persone che hanno vissuto l’inferno del lager in Libia, dall’attraversamento di un deserto che è un cimitero a cielo aperto, proprio come il fondale del Mar Mediterraneo. Compagni e compagne di viaggio di molti dei ragazzi che hanno attraversato il Ghibellin Fuggiasco, persone che hanno visto in quella casa fatiscente un luogo a cui aggrapparsi per dare un senso ad una traversata disumana, un luogo da cui provare a ricostruire la propria vita. La denuncia La chiusura della casa rappresenta un’azione necessaria perché il valore della vita umana non è minimamente paragonabile al valore della proprietà privata abbandonata; occupare per necessità non può e non deve essere considerato un reato come lo è oggi. Reato per cui il Laboratorio Autogestito Paratod@s, e non chi abitava nella casa, ha subito una denuncia di cui dovrà rispondere legalmente. Una denuncia per aver recuperato un luogo abbandonato da oltre trent’anni, in completo disuso, pieno di sporcizia, topi e degrado, un luogo a cui è stata ridata una seconda vita, un’occupazione per necessità fatta senza togliere niente a nessuno, se non il rischio igienico sanitario che una struttura in quello stato rischiava di diffondere nell’intera zona. “Il Ghibellin Fuggiasco è forse la dimostrazione che l’azione dal basso di auto-recupero di un edificio abbandonato sia una pratica possibile, realizzabile e necessaria.” Una denuncia per aver dato la possibilità ad oltre 150 persone di avere un luogo in cui ripararsi, ed oggi, dopo lunghe battaglie, una casa in cui vivere con dignità e in completa sicurezza. Tra le persone che hanno vissuto e popolato il Ghibellin Fuggiasco c’era anche Moussa Diarra, il ragazzo maliano di soli 26 anni che è stato ucciso in stazione lo scorso 20 ottobre 2024 da un poliziotto della Polfer. Heraldo