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Più di un minore su quattro è a rischio esclusione sociale. E la povertà viene ereditata
Il 14 luglio l’Istat ha pubblicato l’aggiornamento sulle condizioni di vita dei minori di 16 anni, con dati riguardanti il 2024. Accanto a questi dati, sono stati diffusi anche quelli sulla trasmissione intergenerazionale degli svantaggi nei paesi dell’UE, che fanno riferimento all’anno 2023. I numeri attestati destano profonda preoccupazione rispetto […] L'articolo Più di un minore su quattro è a rischio esclusione sociale. E la povertà viene ereditata su Contropiano.
Catania, il dormitorio che (ancora) non c’è
Sappiamo che circa 150 persone vivono in strada nella nostra città. Condizione ovviamente più complicata durante i mesi invernali ed estivi. Sappiamo anche che esistono ‘unità di strada’ che parzialmente fanno fronte ai problemi, ma manca una programmazione coerente da parte delle istituzioni, a partire dal Comune. Da tempo varie associazioni cittadine (sociali, sindacali, di settore) si occupano dei senza tetto e hanno aperto una interlocuzione con l’assessore ai Servizi Sociali, Bruno Brucchieri, coinvolgendo – con diverse lettere e solleciti – il sindaco, il prefetto, e anche l’arcivescovo. Un esempio importante di lavoro comune tra associazioni con sensibilità diverse, e con differenti ambiti di impegno, come Lhive che si occupa prevalentemente di salute o il Sunia che si interessa di disagio abitativo. Tutte hanno messo da parte ogni tentazione di protagonismo per portare avanti un impegno condiviso. Hanno scelto una sigla sotto cui organizzarsi, “Rete in Strada”, e sotto questa sigla troviamo singole associazioni e cittadini ma anche raggruppamenti, come l’OULP, di cui fanno parte Centro Astalli, parrocchia Crocifisso della Buona Morte, Casa della Mercede e altre realtà associative. O come la Rete Restiamo Umani/Incontriamoci, che ha prodotto, tra l’altro, un documento che approfondisce il tema dei corposi finanziamenti ricevuti per i senza tetto dall’ente locale, che li ha gestiti senza alcuna trasparenza. E che, talora non li ha nemmeno spesi tutti, tanto da essere ‘bacchettato’ dall’assessorato regionale. L’Assessore Brucchieri, pur dichiarandosi disponibile al dialogo, non ha di fatto avviato il tavolo di lavoro richiesto dalle associazioni, né provveduto a consegnare la documentazione relativa ai progetti finanziati né a quelli in fase di attuazione. Ma la richiesta più urgente avanzata dalle Associazioni riguarda l’attivazione di un dormitorio pubblico “a bassa soglia”, una struttura che accolga le persone che non sanno dove andare a dormire, garantendo l’accesso a tutti, senza porre regole e condizioni che ne limitino l’ingresso. L’unico requisito richiesto per accedere a un servizio di bassa soglia deve essere, infatti, la maggiore età e l’effettiva necessità di fruirne. A Catania un servizio di questo genere attualmente non esiste, l’unico dormitorio pubblico esistente in città, peraltro inaugurato con un certo clamore neanche due anni addietro, è stato chiuso a fine gennaio, in piena emergenza freddo. Un nuovo centro, per lo più diurno ma anche notturno, è stato oggetto di un bando, concluso da mesi ma su cui mancano precise informazioni e di cui non è stato ancora firmato il contratto di appalto. Di bassa soglia, comunque, in questo bando non si parla proprio. E’ inevitabile temere, quindi, che l’accesso non verrà garantito a tutti e che verranno individuati criteri per selezionare coloro che potranno usufruire del servizio. Una scelta decisamente infelice se teniamo conto della estrema fragilità delle persone interessate. Un ulteriore motivo per ritenere inadeguato un bando che, per l’accoglienza notturna, prevede solo trenta posti letto, 12 per le donne e 18 per gli uomini. Un numero assolutamente inadeguato rispetto a quello delle persone che vivono in strada. Anche di questo ha parlato martedì 15 luglio la delegazione ricevuta dall’assessore mentre, sotto gli archi della marina, di fronte all’assessorato, una cinquantina di manifestanti davano vita a un flash mob, con materassi e cartoni poggiati per terra per simulare le condizioni di vita dei senza fissa dimora. Cartelloni esplicativi denunciavano, contestualmente, la drammaticità delle situazioni vissute dai senza tetto. L’assessore ha cercato di rassicurare sul fatto che, nonostante nel bando non se ne faccia parola, il nuovo centro sarà effettivamente a bassa soglia. In attesa della realizzazione della struttura, che dovrebbe essere collocata in via Stazzone, Brucchieri – “visto che l’emergenza è qui e ora” – ha accettato di dialogare con le associazioni (senza dar vita ad un tavolo di lavoro, ha precisato) per confrontarsi sui temi più urgenti e rilevanti e sulla praticabilità (sociale e finanziaria) degli interventi nel breve periodo. ‘Rete in Strada’ non molla. E’ in campo da mesi ed è decisa a far sì che su questi temi si cambi passo, in tempi brevi e in modo radicale. Leggi anche Senza tetto, una pioggia di soldi e nessuna trasparenza e Dormitori a Catania, aperto un confronto con il Comune. Ma la strada è in salita e il nuovo bando inadeguato Redazione Sicilia
Napoli: aggressione camorristica e diritto alla casa
A seguito dell’aggressione delinquenziale consumata nel quartiere popolare di Secondigliano a Napoli, pubblichiamo i comunicati di Potere al Popolo Napoli, dell’esecutivo confederale campano dell’USB e del Presidente della VIII Municipalità, Nicola Nardella. *** AL FIANCO DELLA FAMIGLIA LOPRESTO. PER AFFERMARE IL DIRITTO ALL’ABITARE NEI QUARTIERI POPOLARI E IN TUTTA LA […] L'articolo Napoli: aggressione camorristica e diritto alla casa su Contropiano.
Sgomberata a Milano l’ex ASL occupata di via Brenta 41
Stamattina alle ore 8.30 è avvenuto lo sgombero da parte delle forze dell’ordine della nostra occupazione in viale Brenta 41 a Milano. Decine di famiglie, bambini, lavoratori e lavoratrici immigrati/e vengono rigettati per strada in queste settimane di allerta meteo per caldo e temporali. Da anni la Rete Ci Siamo porta avanti una lotta che pone al centro dei suoi obiettivi la casa e i documenti per migliaia di lavoratori immigrati, sfruttati e marginalizzati da questa città. La colpevole indifferenza del Comune è stata forzatamente allentata solamente grazie alla prosecuzione della nostra lotta, ma la soluzione che ci viene proposta è ridicola:  soggiorno emergenziale nella “casa di accoglienza” Enzo Jannacci di viale Ortles, struttura con condizioni disagevoli e non emancipatorie, ma basata su disciplina, controllo costante e assenza di miglioramento della vita di chi la attraversa. L’occupazione di Brenta 41 nasce proprio dalla necessità di dare una risposta abitativa e di lotta di fronte a questo insulto di proposta, che avrebbe separato le famiglie, ignorato i bisogni materiali dei lavoratori e costretto decine di bambini a un ambiente non idoneo. Lo sgombero di questa mattina avviene, da quanto ci risulta, su richiesta e pressione del Comune di Milano, in un clima di totale militarizzazione del quartiere, chiudendo due fermate della metro, bloccando parzialmente il transito normale delle persone, gestendo il problema abitativo come una questione di ordine pubblico. Lo stesso Comune che propone alle persone presenti stamane nella struttura sgomberata un ingresso temporaneo di 10 giorni nella struttura emergenziale di viale Ortles, mentre tutti gli altri vengono direzionati, nuovamente, al centro Sammartini, dove non potranno fare altro che ricominciare le infinite procedure per (non) ottenere una casa. In questo momento, in cui il governo sta aumentando il clima autoritario dando un giro di vite alla repressione di tutte le lotte portate avanti nel nostro Paese, la giunta guidata da PD e AVS del Comune di Milano forza l’ennesimo sgombero abitativo in città, coerentemente con la posizione di tutela degli speculatori privati e dei loro interessi.  Ricordiamo infatti come questa giunta porti avanti decreti appositi come il SalvaMilano per mantenere la propria politica a favore di questi soggetti. È chiaro a tutti che di fronte alla gestione delle problematiche sociali e politiche, governo e opposizioni si muovano concordi nella difesa dello Stato borghese e dei suoi interessi. Vengono perciò, ancora una volta, lasciate per strada famiglie con bambini e lavoratori necessari all’economia milanese, mentre vengono difesi con la forza gli interessi privati e “pubblici” di chi aveva progetti sulla palazzina di Brenta, fermi da anni, ma che proprio oggi era necessario riavviare. Noi non ci fermeremo finché non verrà avanzata una proposta dignitosa. La nostra lotta per l’emancipazione prosegue. Oggi pomeriggio alle ore 18.30 in piazzale Gabrio Rosa rilanciamo un’assemblea pubblica rivolta a tutti e tutte. Rete Ci Siamo Redazione Milano
BRESCIA: GIORNATA DI MOBILITAZIONE STRAORDINARIA CONTRO GLI SFRATTI E PER IL DIRITTO ALLA CASA
Attiviste e attivisti dell’associazione Diritti per tutti, insieme a Centro Sociale Magazzino 47, Collettivo Onda Studentesca, Collettivo Gardesano Autonomo, hanno lanciato per giovedì 3 luglio 2025 una giornata di mobilitazione straordinaria contro gli sfratti e per il diritto alla casa. Sono infatti ben quattro gli appuntamenti per impedire lo sfratto di altrettanti nuclei nella città di Brescia e nello stesso giorno. Negli ultimi anni, pur essendo diminuto il numero degli sfratti in città e provincia, permane il problema di chi resta senza un’abitazione “e in certi casi diventa anche più difficile da risolvere”, ha detto nei nostri studi Umberto Gobbi dell’Associazione Diritti per tutti. Aumentano infatti gli sfratti per finita locazione. E’ il caso ad esempio di famiglie con reddito e in regola con il pagamento dell’affitto che vengono “cacciate di casa perché la proprietà intende sfruttare per finalità più redditizie il proprio alloggio e quindi magari sfratta una famiglia con una locazione normale per poi fare gli affitti brevi turistici”. Un fenomeno aumentato esponenzialmente non solo nelle “tradizionali” destinazioni turistiche come il lago di Garda, ma anche nella città di Brescia. Oggi il settore privato offre pochissimi appartamenti in affitto e tanti nuclei familiari, anche con contratto a tempo determinato e quindi con capacità reddituale, non trovano assolutamente un altro alloggio quando il contratto scade e non viene rinnovato. L’offerta pubblica invece è largamente insufficiente. Per esempio nella città di Brescia, l’ultimo bando per alloggi pubblici ha messo a disposizione 52 appartamenti a fronte di circa 1000 domande, “significa che un nucleo familiare su 20 potrà avere le chiavi della casa popolare”. Tra questi nuclei familiari, denuncia da tempo l’Associazione Diritti per tutti, “ci sono famiglie con disabili, anziani anche soli” e tantissime altri nuclei familiari senza particolari fragilità ma il cui reddito medio basso non permette di poter avere dei punteggi sufficienti per rientrare nelle graduatorie per le case gestite dal comune di Brescia o dall’Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale. Quattro gli accessi degli ufficiali giudiziari nella giornata di giovedì 3 luglio, per l’esattezza a San Polino in via Lucio Fiorentini, in via Albertano da Brescia, nel quartiere del Carmine in vicolo 3 Archi e in via Morosini. Particolarmente attenzionati da attiviste e attivisti per il diritto all’abitare sono lo sfratto previsto in via Albertano da Brescia e in via Morosini, dove “sarà probabilmente presente la polizia ed è quindi richiesta una mobilitazione robusta”. Ai nostri microfoni Umberto Gobbi, dell’Asssociazione Diritti per tutti. Ascolta o scarica    
Picchetto anti sfratto a Sesto San Giovanni
Mercoledì 18 giugno 2025 ore 8,30 in via Catania 40 L’Aler vuole sfrattare un’assegnataria in violazione dell’accordo morosità sottoscritto il 14 luglio 2023. Mercoledì 18 giugno 2025, su richiesta di Aler (Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale) Milano, l’ufficiale giudiziario potrebbe sfrattare una lavoratrice a basso reddito, madre di quattro figli, che da oltre un anno paga regolarmente i canoni di affitto. I fatti Anni fa, dopo essere stata abbandonata dal marito poi deceduto, la signora sotto sfratto è caduta in depressione e non ha consegnato all’Aler i documenti richiesti per la determinazione della fascia del reddito e quindi del canone di locazione da pagare. A causa di questa irregolarità amministrativa l’Aler ha applicato un affitto mensile di oltre 900 euro per anni, arrivando così a determinare un debito rilevante. Successivamente alla convalida dello sfratto per morosità la signora si è rivolta al sindacato, che ha chiesto e ottenuto dall’Aler, presentando la documentazione, la sua corretta collocazione in una fascia di reddito bassa, essendo la signora un’operatrice negli asili comunali con esiguo reddito e ottenendo una riduzione del debito. Il servizio legale del sindacato ha poi richiesto all’Aler di poter pagare il debito residuo con cambiali e con il versamento di un acconto come previsto dall’accordo sindacale sottoscritto nell’anno 2023,  ma l’Aler si sta rifiutando di applicare l’accordo sindacale, negando di fatto alla signora il piano di rientro. Dalle informazioni raccolte dal sindacato sembrerebbe che Aler voglia a tutti i costi mettere in strada la signora sessantenne; non se ne comprende il motivo, visto che nei palazzi di via Catania dove abita ci sono numerose abitazioni vuote da anni inserite nel piano vendite che la proprietà non riesce a vendere. Il sindacato ritiene inaccettabile e scandaloso che Aler Milano non rispetti l’accordo sindacale sottoscritto e voglia mettere in strada una lavoratrice che già con il pagamento delle tasse di una vita di lavoro avrebbe acquistato la sua abitazione realizzata come le altre con i fondi ex Gescal. Sfrattare una persona fragile che paga l’affitto da un’abitazione pubblica, lasciare decine di alloggi pubblici vuoti e vendere abitazioni popolare costruite con le tasse dei lavoratori sono crimini contro i poveri!!!. Per questi motivi siamo costretti a organizzare un nuovo picchetto. Invitiamo tutti gli antifascisti, i cittadini, i politici, i militanti e i giornalisti che ancora credono nel dovere democratico di informare a non rimanere indifferenti, a non lasciare sole migliaia di famiglie di lavoratori a basso reddito, partecipando al presidio di mercoledì 18 giugno. Dobbiamo esserci tutti. Comitato per l’UNIONE INQUILINI NORD MILANO DIRITTO ALLA CASA Sesto San Giovanni Redazione Milano
Milano, venite a trovarci in Via Brenta alle case occupate
Siamo andati a conoscere la recente occupazione nella città di Milano, zona Sud, via Brenta incrocio corso Lodi. Un’occupazione a scopo abitativo, fatta dalla rete “Ci Siamo” che da anni, nel capoluogo lombardo, si impegna nell’importante problematica del diritto all’abitare. Incontriamo uno degli attivisti, Rodolfo. Se gli attivisti e le attiviste sono in gran parte italiani, coloro che abitano nella nuova casa sono tutti immigrati. Rodolfo raccontaci da dove nasce quest’occupazione e come sta andando. Noi siamo della rete “Ci siamo”, da anni ci occupiamo della questione del diritto alla casa. Milano da questo punto di vista è sempre più invivibile, ne fanno le spese i disoccupati, ma da tempo anche gli occupati con redditi che non ti permettono di accedere al mercato delle case. Se guadagnano 1000 euro o poco più, spesso con contratti capestro o in nero, ricattati magari perché senza documenti, ne dovrebbero spendere altrettanti per un piccolo appartamento. Non si tratta solo di immigrati, anche se noi di fatto abbiamo a che fare con loro, sia singoli che famiglie. Sono in gran parte lavoratori, quindi indispensabili al funzionamento di questa città, che da una parte li attrae e allo stesso tempo li respinge. Alcuni di loro hanno dormito per strada, anche con i figli. In passato abbiamo fatto diverse occupazioni seguendo un gruppo di migranti che col tempo sono cambiati. L’ultima nostra occupazione era stata in via Fracastoro, poi siamo “passati” attraverso una serie di tende piazzate nei giardini di fronte al Politecnico; infine, in situazione di emergenza, abbiamo occupato la piscina Scarioni, dalla quale siamo stati sgomberati. Per un periodo alcuni di loro sono stati al dormitorio di Milano (casa Jannacci, in viale Ortles), ma vi sono regole molto strette soprattutto con gli orari, inoltre separano le famiglie; alcuni sono transitati per un’occupazione studentesca che ci ha aiutato, da questa esperienza fra l’altro sono nate nuove relazioni, con questi giovani. Ora, dopo tanto peregrinare e dividerci, da pochi giorni, siamo qua. Chi vive in questa nuova occupazione e che cosa era questo spazio? Era una vecchia Asl chiusa da anni, venne riaperta come centro vaccinale durante il Covid. Milano è piena di spazi vuoti, abbandonati, sia nel pubblico che nel privato. L’abbiamo occupata e attualmente ci sono circa 30 persone, famiglie con bambini comprese. La questura, la Digos, è venuta a vedere, ha preso atto di quello che sta succedendo, ma per ora non vi sono stati problemi. Ci sono fuori le nostre bandiere, comprese quelle palestinesi, visto che sosteniamo quella resistenza. Sono tutti immigrati, ma non vi sono italiani con questo problema? Certo e ce ne stiamo rendendo conto sempre di più. L’espulsione dal diritto all’abitazione è trasversale. In questa città ci sono settori anche inimmaginabili in questa situazione di grande difficoltà: insegnanti, forze dell’ordine, trasportatori, ma anche addirittura medici… Molti di loro trovano situazioni fuori Milano. Quando siete entrati cosa vi aspettavate e cosa avete trovato? Non sapevamo bene cosa aspettarci, ma la situazione qui è più che accettabile. Acqua e luce ci sono, i bagni funzionano, certo c’era molto da pulire, da fare qualche piccolo lavoro. Al momento cerchiamo mobili, letti, armadi, materassi, e anche una cucina, che sarà quella comunitaria. C’è anche un piccolo giardino molto grazioso. Minacce di sgombero? Per ora nulla, certo sappiamo che aria tira, come si muove questo governo con questo nuovo decreto-legge, soprattutto rispetto alle occupazioni, ai picchetti, con pene pesanti per chi lotta… vedremo. Sappiamo anche che fanno il possibile per non lasciar “radicare” un’occupazione. Se poi sono decisi a spostare soldi per la spesa militare, le risorse per la spesa sociale diminuiranno e le condizioni peggioreranno, questo è quello che ci aspetta. Il proprietario è il Comune? Sì e speriamo di avere un dialogo. Non ci aspettiamo molto, noi faremo presenti le nostre ragioni, cosa ci spinge, quali sono le contraddizioni, che non abbiamo certo inventato noi. Se ci sgomberassero, queste persone, queste famiglie, verrebbero rimesse per strada. Come sono le dinamiche tra loro? Alcuni sono vostre “vecchie conoscenze”, altri sono nuovi, immagino. Sì è proprio così, ma stanno avvenendo cose belle, si sta crescendo come collettivo, con attenzioni reciproche, a partire da quelle dei bambini.  Il quartiere come ha risposto? Qualcuno è già venuto a vedere, a capire, a conoscerci, hanno anche portato solidarietà. Pochissimi hanno dato risposta negativa, un paio di razzisti con le forme solite. Domenica pomeriggio avete fatto un’assemblea; come è andata, quanti eravate? Moltissimi, almeno un centinaio di persone, qui nel giardino. Pensate che questa vostra azione sia soprattutto “simbolica”, politica, o sia davvero replicabile e quindi capace di rispondere davvero ad un bisogno che è infinitamente più grande? Noi speriamo certo che sia replicabile, perché l’esigenza è forte e chiara, ma ci rendiamo conto che la nostra è soprattutto una denuncia politica di quali sono le condizioni di vita, le contraddizioni di questa città, di questa società. È comunque un’esperienza di resistenza, per questo ci sentiamo vicini a quelle esperienze di lotta e resistenza appunto, sparse nel mondo, a partire da quella palestinese. Sono lotte impari, ma che si portano avanti con coraggio e a testa alta. Tornando alla fine alle persone che vivono in queste occupazioni: loro si trovano a non avere alternative. Loro pagherebbero un affitto, non sono contente di essere in una situazione illegale. Loro vogliono avere un lavoro dignitoso, una vita e una casa dignitose, non hanno nulla di ideologico. Ma provate voi a cercare una casa in affitto a Milano. Un’ultima domanda: cosa chiedete alla città? Noi questo posto vogliamo farlo vivere, vogliamo che ci siano iniziative, che sia aperto al quartiere. Crediamo che in questo modo il posto si rafforza e si difende così. Dal punto di vista del mobilio abbiamo bisogno di un po’ di tutto, ma soprattutto vi diciamo: passate di qua, venite a conoscerci. Ogni domenica alle 14 e mercoledì alle 18 ci sono le nostre assemblee aperte, siete tutti invitati e invitate. Si arriva facilmente in metropolitana, linea gialla, Brenta, appena salite in superficie ci vedete subito. Andrea De Lotto
La casa è un diritto, non un prodotto finanziario: intervista a Jaime Palomera
«Bisogna aumentare le tasse affinché l’accumulazione di alloggi diventi insostenibile» Gemma García L’8 aprile, mentre il governo catalano raggiungeva un accordo con ERC, Comuns e CUP per regolare gli affitti brevi, Jaime Palomera presentava El segrest de l’habitatge – Il sequestro della casa (Pòrtic, 2025). Il libro non si limita a tracciare le cause che hanno portato a una società di inquilinə sempre più poverə e chi vive di rendita degli affitti sempre più ricchi, ma propone anche una via d’uscita. Ricercatore e cofondatore dell’Istituto di Ricerca Urbana di Barcellona (IDRA), Palomera sottolinea che, di fronte all’attuale panorama, perfino il padre del liberalismo economico, Adam Smith, si rivolterebbe nella tomba. Parliamo con lui delle cause che hanno trasformato l’abitazione in un prodotto finanziario e delle proposte per renderla un vero diritto. Cosa ha permesso la costruzione di un quadro culturale che normalizza il business dell’abitare? La società dei proprietari si basava inizialmente sull’idea che tutti potessero avere una proprietà. Si attribuisce a Franco la frase: «Un proprietario in più, un comunista in meno», perché si immaginava questa società anche come forma di controllo sociale, per rendere le persone meno ribelli. Ma non ha funzionato fino in fondo: molti proprietari hanno organizzato il più grande movimento operaio d’Europa negli anni ’70. La dittatura non diceva solo che saresti diventato proprietario, ma che ti saresti arricchito: «Assicurati una plusvalenza per il futuro». Si promosse una cultura della proprietà e dell’arricchimento col suolo. Molte famiglie operaie divennero proprietarie di alloggi popolari. Ma il modello aveva un problema intrinseco: se tutti possiedono un bene il cui prezzo sale sempre, arriverà il momento in cui chi non ha nulla non potrà più accedervi. Cosa rappresentava la casa di proprietà per la classe lavoratrice? Ancora oggi, la maggior parte della società è proprietaria perché ereditiamo quel modello iniziato negli anni ’50. Per la gente lavoratrice, la casa è spesso l’unica fonte di ricchezza per generazioni. A Ciutat Meridiana, il quartiere più povero di Barcellona, un vicino mi raccontò che, dopo aver vissuto in baracche, il padre comprò un piccolo appartamento. Entrando, disse: «Ora, figli miei, se volete fare i bisogni in mezzo al soggiorno, potete farlo, perché non verrà nessun signorotto a dirmi nulla». Venivano da un cortijo [una fattoria, ndt] del sud della Spagna e avere una proprietà era sinonimo di libertà. La proprietà può anche generare disuguaglianza, ma per chi non ha mai avuto nulla, è la sola fonte di ricchezza. Il punto è che oggi la situazione è come una partita a Monopoly: chi ha case ne compra altre, chi non ne ha paga affitti e non può risparmiare per acquistare. Foto di Victor Serri La disuguaglianza in questo “Monopoly” è aumentata con la crisi del 2008? Lo Stato ha agito deliberatamente, indebitandoci, affinché il prezzo delle case non scendesse. I fondi d’investimento hanno avuto un ruolo cruciale, potendo indebitarsi per investire. Lo Stato ha steso loro il tappeto rosso con incentivi fiscali. La crisi è stata una catastrofe sociale ma anche l’inizio di un nuovo paradigma: la società dei proprietari si sta rompendo sia in alto che in basso. Chi possedeva, ora possiede di più; la terza generazione potrà esserlo solo per eredità. Il problema abitativo ha ricevuto più attenzione perché ha iniziato a colpire anche la classe media? Viviamo in una società sempre più neofeudale: non conta più il merito, ma dove sei nato e cosa erediti. Inizialmente la crisi colpì lavoratorə con redditi bassi e senza cuscinetti. Oggi, moltə giovani crescono passando da un affitto all’altro. E i loro genitori o nonnə erano proprietarə o avevano affitti stabili. È il risultato delle politiche neoliberali implementate anche in Spagna da ministri come Boyer e Solchaga. E anche chi crea opinione pubblica (giornalistə, politicə, opinionistə) si percepisce come classe media. Economisti, lobby immobiliari e media ripetono che è un problema di offerta. Perché questa logica non vale per l’abitazione? Dire che i prezzi salgono per la domanda è come dire che un aereo cade per la gravità. Non si capisce il funzionamento del mercato immobiliare. Storicamente, i periodi di maggiore costruzione hanno coinciso con le maggiori impennate di prezzo. Il suolo è scarso e dove c’è attività economica, i prezzi salgono più dei salari. I proprietari del suolo hanno posizioni monopolistiche, diversamente da un mercato competitivo. Inoltre, la domanda non viene solo da chi cerca casa, ma anche dagli investitori internazionali. È la tempesta perfetta. Nel libro rivendichi il termine “redditiere”. Perché? Parlo del rentismo come sistema che genera disuguaglianza e prosciuga l’economia produttiva. Adam Smith già lo denunciava: i proprietari del suolo si arricchiscono mentre dormono. Una famiglia che eredita un paio di appartamenti e integra le entrate non è un redditiere, non vive di reddito degli affitti. Redditiere è chi vive principalmente di rendite degli affitti. Non si può equiparare chi affitta un appartamento e chi compra decine di immobili per trarne profitto. Il conflitto è con i ricchi, non tra vicini. Foto di Victor Serri Eppure con due appartamenti in affitto si può vivere come moltə lavoratorə… Questi influencer vendono fumo. Promettono rendite con piccoli investimenti in quartieri popolari, ma spesso hanno dietro genitori garanti. I dati fiscali lo dimostrano: meno del 10% ha rendite da affitto e chi realmente vive di rendite è una minoranza potente. Per chi guadagna oltre 600.000 euro all’anno, il 35% del reddito proviene dagli affitti. È un sistema a somma zero: ogni casa acquistata da un redditiere è una casa in meno per te e per me. Quindi, dopo anni di lotte per regolare i prezzi degli affitti, ora bisogna abbassarli? Abbiamo lottato per la regolazione dal 2017 al 2021, per fermare l’emorragia. Ma il vero problema è strutturale. Il prezzo dell’affitto è solo un sintomo. Esistono molti modi per trarre rendite da un immobile: tenerlo vuoto, affittarlo come turistico o a stagione, coliving, microappartamenti. Se chiudi una porta, l’investitore ne trova un’altra. Bisogna disincentivare l’acquisto speculativo. La via è aumentare la pressione fiscale? Sì. Bisogna aumentare le tasse sull’accaparramento di case. Al tempo stesso, si dovrebbero offrire incentivi fiscali a famiglie lavoratrici che comprano casa, ma vincolandoli a rivendite a prezzo controllato (valore d’acquisto + inflazione). La Generalitat lo sta già facendo per i giovani. È importante, perché immette case in un sistema regolato, come a Singapore. Chi possiede molte case, invece, deve essere tassato di più affinché smetta di accumularle. Finora però si è fatto il contrario, si è incentivato l’accaparramento Esatto. È uno dei mercati più manipolati dallo Stato, malgrado ci raccontino la favola del “libero mercato”. Esistono molti aiuti per chi già possiede immobili. La classe lavoratrice paga più tasse per comprare casa di quanto paghi un fondo per investire in affitti. Il sistema fiscale è disegnato per favorire chi fa salire i prezzi. Foto di Victor Serri In generale, si premiano i redditieri invece di penalizzarne gli abusi? Sì. Lo Stato continua a ragionare in ottica neoliberale: si premiano i comportamenti “buoni” con incentivi, ma si evita di penalizzare. È falso che dare benefici fiscali ai grandi proprietari aumenti l’offerta o abbassi i prezzi. Lo dice la scienza. E le politiche di aiuto gl3 inquilin3? Alla fine, sono aiuti che finiscono nelle tasche dei redditieri. Anche se con le migliori intenzioni, si tratta di trasferimenti verso chi vive di rendita. Meglio penalizzare fiscalmente gli usi speculativi del suolo. Aumentare le tasse su chi accaparra e aiutare chi non ha casa a comprarne una. Se non fermiamo l’accaparramento, la ricchezza continuerà a concentrarsi verso l’alto. Alcuni Paesi, come Singapore, lo stanno già facendo. I redditieri si oppongono ai contratti di affitto a tempo indeterminato. Ma fino al 1985 esistevano. Sono una misura fondamentale? Sì, è fondamentale. Chi vivrà in affitto per tutta la vita ha bisogno di stabilità. Servono contratti a tempo indeterminato, come già avviene in sette Paesi europei. Ma da soli non bastano per fermare l’accaparramento. I governi vantano la costruzione di edilizia pubblica, ma in Catalunya un quarto della popolazione perderà la protezione entro sette anni. Dovremmo preoccuparci anche della gestione? L’edilizia pubblica è ancora marginale e in gran parte è stata privatizzata. Dopo Thatcher, il consenso era che l’alloggio pubblico dovesse essere residuale. Ora la Generalitat propone 50.000 alloggi protetti, ma è come gettare secchiate d’acqua su un incendio. La lobby dice che la soluzione è costruire più edilizia pubblica. È vero? I ricchi lo dicono perché sanno che non disturberà il loro potere. Per cambiare la situazione, serve sì costruire edilizia pubblica, ma soprattutto cambiare le regole del gioco. Bisogna aumentare le tasse sull’accaparramento di immobili. Vienna iniziò nel 1917, Singapore nel 1960. È vero che Vienna ha costruito per un secolo, ma il primo passo fu tassare pesantemente i grandi proprietari, riducendo così i profitti e facilitando gli acquisti pubblici di suolo. Immagini di copertina e nell’articolo di Victor Serri, manifestazione per il diritto all’abitare, 5 aprile 2025, Barcellona Pubblicato su directa.cat, traduzione in italiano a cura dell’autore per DINAMOpress SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo La casa è un diritto, non un prodotto finanziario: intervista a Jaime Palomera proviene da DINAMOpress.