Al Sud boom d’occupazione, ma cresce la povertà lavorativa e continua l’esodo dei giovani
Il nostro Mezzogiorno vive una stagione di forti contrasti: cresce come non mai
l’occupazione, soprattutto tra i giovani, ma al contempo continua l’esodo che
svuota il Sud di competenze e futuro. Tra il 2021 e il 2024, quasi mezzo milione
di posti di lavoro è stato creato nel Mezzogiorno, spinto da PNRR e investimenti
pubblici. Ma negli stessi anni 175 mila giovani lasciano il Sud in cerca di
opportunità. La “trappola del capitale umano” si rinnova: la metà di chi parte è
laureato; le migrazioni dei laureati comportano per il Mezzogiorno una perdita
secca di quasi 8 miliardi di euro l’anno. I giovani che restano, troppo spesso,
trovano lavori poco qualificati e mal retribuiti.
Con i salari reali che calano aumentano i lavoratori poveri: un milione e
duecentomila lavoratori meridionali, la metà dei lavoratori poveri italiani, è
sotto la soglia della dignità. Si evidenzia, inoltre, una emergenza sociale nel
diritto alla casa. É quanto si legge nel recente Rapporto SVIMEZ 2025. L’Italia
rimane così in coda in Europa per quota di giovani laureati (30,6% contro 43%
Ue). Gli atenei meridionali attraggono più studenti e si riduce la migrazione
ante-lauream, ma dopo la laurea il quadro torna critico: oltre 40mila giovani
meridionali si trasferiscono ogni anno al Centro-Nord, mentre 37mila laureati
italiani emigrano all’estero.
Con l’emigrazione di questi laureati, una parte del rendimento potenziale
dell’investimento pubblico sostenuto per la loro formazione viene dispersa. Il
bilancio economico di questo movimento è pesante: dal 2000 al 2024 il
Mezzogiorno perde di investimenti 132 miliardi di euro di capitale umano, contro
un saldo positivo di 80 miliardi per il Centro-Nord. Poli esteri, si legge nel
Rapporto, che attraggono giovani italiani altamente formati, il Centro-Nord che
perde verso l’estero ma recupera grazie alle migrazioni interne di laureati da
Sud, il Mezzogiorno che li forma e continua a perderli. Nel Mezzogiorno, nel
2021-2024, sei nuovi occupati under 35 su dieci sono laureati, contro meno di
cinque nel resto del Paese.
Tuttavia, la prima porta d’ingresso al lavoro rimane il turismo: oltre un terzo
dei nuovi addetti giovani si colloca nella ristorazione e nell’accoglienza,
settori a bassa specializzazione e bassa remunerazione. Al tempo stesso,
crescono i giovani laureati nei servizi ICT e nella pubblica amministrazione,
grazie al PNRR e alla riforma degli organici pubblici. La qualità delle
opportunità resta però insufficiente: il mercato del lavoro meridionale continua
a offrire sbocchi concentrati nei comparti tradizionali, con scarsa domanda di
competenze avanzate.
“Per trattenere i giovani, propone la SVIMEZ, il Sud deve attivare filiere
produttive ad alta intensità di conoscenza, rafforzare la base industriale
innovativa e integrare formazione superiore, ricerca e politiche industriali.
Senza un salto di qualità nella domanda di competenze, la mobilità giovanile
continuerà a essere una scelta obbligata”.
Il Rapporto evidenzia come i salari reali continuino ad essere in calo
soprattutto al Sud e come la povertà lavorativa debba necessariamente tornare
nell’agenda politica. Dal 2021 al 2025 i salari reali italiani hanno perso
potere d’acquisto, con una caduta più forte nel Sud: -10,2% contro – 8,2% nel
Centro-Nord. Inflazione più intensa e retribuzioni nominali più stagnanti
accentuano il divario. L’in-work poverty, aumentata rispetto all’anno
precedente, tocca nel 2024 il 19,4% nel Mezzogiorno, quasi tre volte il valore
del Centro-Nord (6,9%). In Italia i lavoratori poveri sono 2,4 milioni, di cui
1,2 milioni al Sud. Tra il 2023 e il 2024 aumenta il numero dei lavoratori
poveri: +120mila in Italia, +60mila al Sud.
Non basta avere un’occupazione per uscire dalla povertà: bassi salari, contratti
temporanei, part-time involontario e famiglie con pochi percettori ampliano la
vulnerabilità. Nel 2024 le famiglie povere crescono nel Mezzogiorno dal 10,2% al
10,5%. Centomila persone in più scivolano nella povertà assoluta, per effetto di
un aumento delle famiglie che risultano in povertà assoluta anche se con persona
di riferimento occupata. La relazione tra lavoro e benessere è quindi sempre più
debole, segnale di una crescita quantitativa dell’occupazione non accompagnata
da qualità e stabilità.
Il Rapporto, prendendo spunto dalle analisi Svimez-Ifel/Anci ritorna sulla forte
correlazione tra affitto e vulnerabilità economica. Nel Centro-Nord la povertà
assoluta colpisce il 21% delle famiglie in affitto, contro il 3,6% delle
famiglie proprietarie; nel Mezzogiorno raggiunge il 24,8% tra gli inquilini e il
7% tra i proprietari. Le città metropolitane rivelano ulteriori squilibri: a
Napoli le case di proprietà sono appena il 48%, molto meno che a Roma, Milano o
Torino. Nel Sud è inoltre elevata la quota di abitazioni non utilizzate — oltre
il 20% a Reggio Calabria, Messina e Palermo — segnale di abbandono, uso
discontinuo o scarsa attrattività urbana, mentre le città del Centro-Nord
mostrano mercati più dinamici.
“Il rafforzamento dell’edilizia residenziale pubblica, si sottolinea nel
Rapporto, è essenziale: oltre 650mila famiglie attendono un alloggio e ogni anno
40mila sfratti coinvolgono 120mila persone. L’offerta di edilizia residenziale
pubblica resta limitata (2,6% dello stock nazionale), con concentrazioni più
alte nelle aree metropolitane del Centro-Nord: Milano e Torino (3,4%), Roma
(3,3%) e Genova (3,2%). Nel Sud i valori sono più bassi, con Napoli al 3% e
Reggio Calabria appena all’1,3%. Questo quadro conferma la necessità di
politiche strutturali e coordinate per garantire il diritto alla casa e la
coesione sociale sul territorio nazionale”.
Qui per scaricare il Rapporto: https://www.svimez.it/rapporto-svimez-2025/.
Giovanni Caprio