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VERONA: CHIUSA L’OCCUPAZIONE DEL GHIBELLIN, MA “LA LOTTA È ANCORA APERTA”. TRASMISSIONE SPECIALE CON LE VOCI PROTAGONISTE
Si è chiusa l’esperienza di occupazione abitativa del Ghibellin Fuggiasco. Attiviste e attivisti del Laboratorio Autogestito Paratod@s di Verona hanno comunicato alla stampa una decisione presa già da alcuni mesi e che a portato alla chiusura definitiva dello stabile di viale Venezia 51, lo scorso 10 maggio. Il tempo intercorso da allora è servito a Paratod@s per elaborare una posizione politica da rendere pubblica e anche per continuare a trovare una soluzione abitativa alle decine di migranti che senza il Ghibellin non hanno un posto dove abitare. L’idea di occupare lo stabile abbandonato da trent’anni, che si trova a lato dello spazio Paratod@s, era stata presa nel 2021. All’epoca decine di giovani originari principalmente da alcuni paesi dell’Africa occidentale, erano stati ospitati nei locali in affitto da compagni e compagne, dove da dieci anni si svolgono attività politiche e culturali. Era poi scaturita l’idea di occupare la struttura adiacente al Laboratorio. Non doveva essere un’occupazione di lungo periodo, precisano nel comunicato diffuso oggi il collettivo Paratod@s, “pensavamo si trattasse di una situazione temporanea e non immaginavamo l’inizio di un percorso”. I coinquilini che alloggiavano al Ghibellin erano perlopiù lavoratori in regola con il permesso di soggiorno, provenienti principalmente da Mali, Burkina Faso, Senegal, Gambia e Nigeria. Oltre 150 quelli ospitati negli anni: hanno alloggiato nei due piani dello stabile occupato, in alcuni periodi, anche da 60 persone contemporaneamente. Negli stessi spazi aveva trovato alloggio anche Moussa Diarra, ventiseienne maliano ucciso dalla Polizia il 20 ottobre scorso. “Le condizioni igienico/sanitarie e le problematiche strutturali dell’edificio non consentivano più di garantire il pieno rispetto della dignità umana. E se non abbiamo tenuto fede all’impegno di chiudere prima dell’inverno è stato solo per non aggiungere altro disagio alla già grave emergenza freddo, gestita con numeri e modalità che da sempre riteniamo insufficienti e non adeguate”, è scritto nel comunicato stampa. “Negli anni si è venuta a creare una comunità di lotta composta da attivisti e migranti“, aggiungono ai nostri microfoni da Paratod@s, ripercorrendo l’esperienza. “Speravamo che l’enormità del problema sollevato e la nostra spinta dal basso avrebbero portato a risposte concrete e ad un cambio radicale di visione sul tema casa, accoglienza e dormitori”. Negli anni qualche risposta è arrivata, lo riportano i numeri diffusi oggi da Paratod@s: “15 persone sono stabilmente ospitate in strutture Caritas, attraverso l’intervento del vescovo Pompili, tra dicembre 2023 e gennaio 2024; 22 persone hanno una casa AGEC (tra quelle non comprese nel piano di riatto/assegnazione dell’ente) attraverso la collaborazione con la cooperativa La Casa degli Immigrati; 5 persone hanno ottenuto posti letto attraverso la collaborazione con la cooperativa La Milonga; 1 persona ha avuto posto letto attraverso i servizi sociali del Comune di Verona; circa 30 persone hanno ottenuto la residenza fittizia, attraverso il dialogo con l’ufficio anagrafe del comune di Verona e la collaborazione con la rete sportelli; 6 persone sono state escluse da qualunque tipo di percorso e soluzione da parte delle istituzioni, nonostante la pressione esercitata nei mesi successivi, affinché si trovasse una sistemazione”. Compagni e compagne di Paratod@s rivendicano un’esperienza che “ha mostrato come l’azione dal basso di autorecupero di un edificio abbandonato sia pratica possibile, realizzabile e necessaria. In una città come Verona, con centinaia di edifici pubblici vuoti, con un mercato immobiliare intossicato dal profitto, in cui a student3 universitari3 vengono chiesti 500 euro per un posto letto, i progetti di Hotel/cohousing sociale dovrebbero essere pubblici e accessibili”. Radio Onda d’Urto ha incontrato la comunità del Ghibellin presso il Laboratorio Autogestito Paratod@s e ha realizzato una trasmissione speciale con i protagonisti dell’esperienza dell’occupazione abitativa. La prima parte della trasmissione (37 minuti). Ascolta o scarica La seconda parte della trasmissione (42 minuti). Ascolta o scarica Con le voci di Rachele Tomezzoli, Giuseppe Capitano, Osasuyi, Alessia Toffalini, Bakari Traoré, Sekou.
Soluzioni semplici: costruire più case per abbassare gli affitti?
(disegno di valentina galluccio) Scrive un deputato della repubblica italiana, economista, segretario di un partito, in un post di lunedì 21 luglio: “Facciamola semplice: se in una qualsiasi città i prezzi delle abitazioni sono troppo alti, c’è un solo modo per farli scendere: costruire più abitazioni”. Il contesto, inutile dirlo, è il continuo e sfacciato tentativo di tenere in piedi il “modello Sala”, crollato rovinosamente a Milano. Ma il deputato Marattin si inerpica su un terreno spinoso. Secondo lui la speculazione immobiliare, la costruzione estensiva di abitazioni, sarebbe un modo non solo per far guadagnare i costruttori, com’era sicuramente l’obiettivo del modello Milano, ma anche per abbassare i canoni d’affitto. Al di là delle vicende giudiziarie, insomma, fomentare la costruzione fa bene a tutti. Il deputato va oltre, e scrive, excusatio non petita: “I tentativi di abbassare gli affitti controllandoli per legge sono stati un fallimento in tutto il mondo e in ogni tempo”. Gli inquilini e le inquiline, insomma, avrebbero bisogno di più cemento, non di leggi che li tutelino. È curioso come un’affermazione così controintuitiva ancora riesca a trovare spazio nel dibattito pubblico. Perché? Da una parte si continua ad alimentare l’illusione che gli imprenditori lavorino per la società e non per il proprio tornaconto, il che permette d’ignorare l’evidenza, per esempio, che l’enorme aumento di costruzioni degli ultimi anni sia orientato a favore delle classi medio-alte e al turismo, non certo a risolvere i problemi abitativi dei ceti impoveriti. Dall’altra, perché persiste il mito della mano invisibile del “mercato”, che presenta come autoregolato, spontaneo e in qualche modo magico, il rapporto tra chi compra e chi vende – anche quando è così evidente, come dimostra proprio il modello Sala, che chi vende o affitta le case ha il potere, gli appoggi politici, la possibilità di “inventare” e diffondere una intera retorica, mentre chi le affitta, o prova a comprarle, non ha strumenti di questo tipo a disposizione. Queste “soluzioni semplici”, che nascondono potere e diseguaglianze, fanno venire voglia di mettere mano alla sciabola. Per sublimare questo desiderio vale la pena fare una piccola carrellata sui “tentativi di abbassare gli affitti controllandoli per legge” – le leggi per il rent control – che sono invece proprio le misure di cui abbiamo bisogno ora. DUEMILA ANNI DI CONTROLLO DEGLI AFFITTI L’umanità dev’essere proprio impermeabile agli errori, se lo stesso fallimento continua a riproporsi anche a distanza di millenni. La prima legge per controllare gli affitti che conosciamo risale alla Roma repubblicana, cinquant’anni prima della nascita di Cristo: fu sperimentata all’inizio nella piccola “colonia interna” del porto di Ostia, come cancellazione dei debiti e blocco dei pagamenti per un anno. Misure simili furono usate da Cesare e da Ottaviano, più avanti dagli imperatori Valeriano e Gallieno. Altri esempi importanti furono le misure straordinarie introdotte dalla dinastia Song in Cina, intorno all’anno 1000; nel 1513, nello Stato Pontificio, un Decretum Camerae Apostolicae in fauorem inquilinorum sancì il controllo pubblico sugli affitti; a metà Settecento un editto del Regno di Sardegna affidò al vicario di Torino il compito di “conoscere e provvedere circa le differenze per eccessivo aumento di fìtto tra li padroni di case poste in detta Città ed i loro affittavoli, e di procedere ove d’uopo alla tassa de’ luoghi appigionati”; nel 1815 il Ducato di Modena pubblicò una legge che fissava l’affitto al 6% del valore della proprietà. Si possono citare un’infinità di altri esempi, particolarmente concentrati nell’Europa meridionale – da Parigi a Malta, dal Portogallo alla Madrid del 1600: in alcuni casi le leggi funzionarono, in altri casi no (come quelle dell’imperatore Gallieno: i proprietari le aggirarono stipulando contratti brevi, non regolati). Ma quello che più interessa sono le forme di regolazione moderne, che si diffusero in varie parti d’Europa e in Nordamerica all’inizio del Novecento. Le lotte del movimento operaio di metà-fine Ottocento in molti casi reclamarono il diritto alla casa per chi viveva in affitto, cioè la totalità della classe lavoratrice: i padroni delle fabbriche erano spesso anche i padroni delle case. In Scozia, Inghilterra, Irlanda, Svezia e Spagna, a cavallo del secolo, ci furono grandi “scioperi dell’affitto” che si conclusero spesso con l’approvazione di leggi per il controllo dei canoni: 1915 in Scozia, Inghilterra e Irlanda, 1917 in Svezia, 1919 in alcune parti della Germania, 1920 in Spagna e a New York. Erano leggi pensate per essere temporanee, ma furono rinnovate per reggere l’emergenza della Grande Guerra. La storica Jo Guildi spiega che il primo movimento inquilino moderno per l’abbassamento dei canoni era in primo luogo un movimento anticoloniale: furono i contadini irlandesi vessati dai proprietari inglesi a reclamare l’abbassamento per legge degli affitti delle terre e delle masserie, con il primo sciopero degli affitti della storia. Il parlamento irlandese approvò un Land Act che impose che i contratti tra inquilini e proprietari considerassero il diritto all’uso delle terre, non solo quello alla proprietà, e regolati da un tribunale speciale. Dei valutatori professionisti analizzavano i canoni caso per caso. I movimenti inquilini di altre regioni britanniche presero l’esempio e iniziarono altri scioperi dell’affitto: il più grande fu quello del 1915 a Glasgow, dove c’è ancora la statua di una delle leader della protesta inquilina, Mary Barbour (gli inquilini e le inquiline che trattenevano l’affitto furono chiamati “l’esercito di Mrs. Barbour”). Anche in Spagna le donne erano molto attive nelle organizzazioni inquiline di inizio secolo: i sindacati inquilini di Bilbao, Valencia e Barcellona furono fondati nel 1904, e nel 1920 riuscirono a far approvare la prima legge per ridurre i canoni, estendere la durata dei contratti e limitare gli sfratti. Le proteste non si fermarono, e nell’aprile 1931 a Barcellona iniziò un enorme sciopero dell’affitto (la huelga de alquileres), chiamato dal sindacato anarchico della CNT, a cui parteciparono oltre centomila unità abitative. Queste leggi ottennero l’abbassamento dei canoni, anche se spesso il risultato fu inferiore alle aspettative: l’obiettivo della CNT era che gli affitti scendessero del quaranta per cento e fossero azzerati per chi non aveva reddito (perché la casa è un diritto!). Il governo repubblicano spagnolo non arrivò a tanto, ma certamente molte famiglie operaie o disoccupate videro migliorare le proprie condizioni prima che Francisco Franco iniziasse a intaccare il controllo pubblico sugli affitti. Anche in Italia fu Mussolini, nel 1923, a eliminare il blocco degli affitti in vigore sin dalla Grande Guerra: fu la prima legge del fascismo, fatta per compiacere proprietari immobiliari e investitori. Gli affitti aumentarono vertiginosamente, soprattutto a Roma e Milano, e nel 1930 il regime dovette reintrodurre la regolamentazione. Anche i governi più conservatori ricorrono al controllo degli affitti in tempi di guerra e di crisi, e gli effetti sono evidenti: gli affitti scendono e gli inquilini più vulnerabili hanno meno difficoltà a rimanere nelle loro case. Lo dimostra anche l’esempio dell’Argentina, dove il rent control permise a migliaia di famiglie di sopravvivere dopo la prima e la seconda guerra mondiale, con regolamentazioni molto stringenti. INEFFICACIA DEL RENT CONTROL, UN MITO DEL MACCARTISMO L’attacco più duro al controllo degli affitti fu negli anni Cinquanta, quando forme di rent control erano attive in molti stati e città sia d’Europa che d’America. Il mantra degli economisti liberisti statunitensi, orientati dal maccartismo, dall’anticomunismo e dalla retorica del laissez-faire, divenne proprio “l’inefficacia” del rent control , argomentazione ripresa oggi dal deputato Marattin. Per non dire che il controllo degli affitti fa male ai proprietari, si iniziò a dire che faceva male agli inquilini. Negli anni Settanta, importanti economisti come Milton Friedman e Friedrich Hayek furono i campioni di questa nuova ondata di retorica liberista, che si scatenò ovunque si fossero ottenute conquiste sociali nei decenni precedenti. La retorica contro il rent control raggiunse picchi epici, come quando l’economista svedese Assar Lindbeck scrisse che il controllo degli affitti “sembra essere la tecnica più efficace per distruggere una città, oltre a bombardarla”.  Ora sappiamo che queste sparate erano parte di un vero e proprio progetto politico, quello identificato da Marco D’Eramo in Dominio, e cioè l’assalto dei think tank conservatori alle conquiste del movimento operaio e delle battaglie degli afroamericani per i diritti civili. Think tank finanziati dalla lobby immobiliare come il Fraser Institute ebbero un ruolo determinante nel modellare il discorso pubblico. Mentre Lindbeck e gli altri pontificavano sull’inefficacia del rent control, l’associazione dei proprietari immobiliari californiani spendeva quattordici milioni di dollari per far ritirare le regolamentazioni, allora attive in tredici comuni dello stato – oltre che in cinque città del Massachusetts, centoventi del New Jersey, e a New York. Anche in Europa il controllo degli affitti cadde, prima in Irlanda, nel 1966, poi in Inghilterra, nel 1982, poi in Spagna, nel 1986, infine in Italia, con la liberalizzazione dei fitti del 1998. Mentre la prima stagione di liberalizzazioni fu guidata dalla destra (Reagan e Thatcher), la seconda è interamente opera della cosiddetta sinistra (il Psoe di Felipe González in Spagna, il governo D’Alema in Italia). L’opera iniziata da Franco e Mussolini fu conclusa dagli ex comunisti. Tom Slater e Hamish Kallin, geografi marxisti scozzesi, oggi i principali esperti di rent control, descrivono questo assalto come una “pseudoscienza”, promozione organizzata dell’ignoranza. L’assalto degli economisti al rent control si basa sempre su tre miti. Il rent control spingerebbe i proprietari a ridurre l’offerta di case (supply myth), non incentiverebbe i proprietari a migliorarne la qualità (quality myth), e in generale sarebbe inefficiente (efficiency myth) perché gli inquilini finirebbero per abitare case migliori di quelle che si possono permettere. In un libro che uscirà a fine anno con Armando Editore, scritto insieme a Chiara Davoli, entreremo più nel dettaglio sulle fallacie fattuali e logiche di questi tre miti, il cui debunking comunque si trova negli articoli e nelle interviste di Slater e Kallin (come questa, questo, e questo, purtroppo protetti da paywall accademici). Per riassumere, basti vedere che trent’anni di liberismo non hanno certo prodotto maggiore offerta di case, né maggiore qualità; qualità e offerta sono molto migliori in paesi dove ci sono regolamentazioni, come i Paesi Bassi, rispetto che a dove non ci sono, come il Regno Unito. Si pensi alla tragedia della Grenfell Tower a Londra, dove morirono settanta persone a causa della pessima qualità delle abitazioni, in un sistema ultraliberista: la mano invisibile del mercato non aveva dato neanche una passata di vernice. Anzi, è proprio il libero mercato a produrre effetti simili a un bombardamento: un esempio per tutti, Detroit. Meglio non commentare il mito dell’efficienza, che dà per scontato che i poveri debbano vivere sempre al minimo della sussistenza, e che le case grandi e belle devono essere per forza abitate dai ricchi. RENT CONTROL OGGI Nonostante questo assalto neoliberale, nonostante i Marattin, nonostante i think tank nostrani (il presidente di Confedilizia Calabria, Sandro Scoppa, ha curato un recente volume dal titolo Controllare gli affitti, distruggere l’economia), nuove forme di controllo pubblico sugli affitti stanno tornando in auge in tanti paesi del mondo. L’evidenza del fallimento del libero mercato, soprattutto di fronte alla catastrofe abitativa dopo il 2008 e dopo il 2020, è così evidente che i vecchi miti economicisti non reggono più. Le stesse amministrazioni pubbliche che per decenni hanno ignorato ogni studio non finanziato dalle lobby dei costruttori oggi hanno iniziato ad ascoltare altre posizioni, in particolare quelle dei sindacati inquilini e dei loro esperti indipendenti. Oggi ci sono ben sedici paesi dell’Unione Europea in cui sono attive forme di controllo degli affitti: le regolamentazioni più dure sono presenti in Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca, e quelle più leggere sono in Spagna, Germania, Svizzera, Belgio, Lussemburgo, Croazia, Polonia, Cipro, Scozia, Norvegia. L’Italia è uno dei diciassette paesi dell’Unione che non ha più nessuna forma di controllo degli affitti, insieme a Portogallo, Grecia, Inghilterra, Islanda, Finlandia, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Serbia, Bulgaria e i tre paesi baltici. Gran parte delle leggi sul rent control sono state introdotte negli ultimi cinque o sei anni, per cui è presto per dire quale è stato il loro effetto (primi studi si trovano qui e qui). Ma è interessante sapere che oggi il paese dove ci sono più forme di controllo degli affitti sono proprio gli Usa: New York ha un controllo sugli affitti che si applica solo a un numero limitato di abitazioni, e la Rent Stabilization Ordinance di Los Angeles stabilisce un tetto massimo agli aumenti degli affitti, che fino al Covid era del tre per cento. Negli Stati Uniti il rent control è l’unica politica pubblica che si possa ancora usare per limitare i danni del neoliberalismo, perché le leggi federali impediscono la costruzione di nuove case popolari (se non per sostituire quelle da abbattere).  La domanda chiave, ovviamente, è: il controllo pubblico sugli affitti riesce davvero a far calare i prezzi dei canoni? Oggi che le case sono completamente costruite da privati, e che è possibile produrne una grande quantità, che effetto ha l’intervento pubblico? Intanto, niente panico, sappiamo bene che lo Stato interviene in un enorme quantità di settori economici, e che di fatto non c’è niente di simile a un vero “mercato”: lo stato regola, interviene, sussidia, promuove, detassa, finanzia, aiuta. Non sarebbe un’eresia se invece di intervenire solo sul tabacco e sul sale, o su pasta, latte e uova come durante la pandemia, si intervenisse anche sulle case. Gli studi esistenti dicono chiaramente che i miti sulle presunte catastrofi del rent control sono falsi: in nessuno dei paesi in cui sono attive politiche di questo tipo c’è stato niente di simile a un bombardamento, né drastiche riduzioni della qualità e dell’offerta. Anche le regolamentazioni attivate sono piuttosto blande: si congelano i canoni, permettendo solo aumenti legati all’inflazione, o a miglioramenti sostanziali nella qualità degli alloggi (rent freeze) oppure si fissa un tetto massimo sopra il quale non si può aumentare (rent cap, in tedesco Mietendekel).  Il progetto del Sindacato inquilini della Catalogna di abbassare gli affitti del cinquanta per cento, sostenuto da una grande manifestazione a Barcellona a novembre, non si è ancora realizzato, e la nuova legge spagnola è piena di “buchi” che permettono ai proprietari di aggirarla, proprio come avevano fatto i loro omologhi al tempo dell’imperatore Gallieno: stipulando contratti brevi non regolati. Anche quando non ottiene i risultati sperati, tuttavia, il rent control non fa di certo male, almeno non agli inquilini. Fa anche bene? Le prime analisi sembrerebbero confermarlo: uno studio condotto dalla municipalità di Parigi sui primi sei anni di controllo degli affitti mostra che i canoni sono scesi del quattro per cento rispetto a quanto avrebbero fatto senza regolamentazione: del due per cento nel primo triennio (che però è anche quello della pandemia), e poi addirittura del sei per cento. Sono sessantaquattro euro di media al mese risparmiati dagli inquilini. Intanto sono stati segnalati milleseicento casi di infrazione, con i relativi procedimenti contro i proprietari: quasi la metà degli annunci indicano prezzi più alti di quelli consentiti per legge. Se tutti i proprietari avessero rispettato la legge, la diminuzione degli affitti sarebbe stata superiore agli otto punti percentuali. Conclusioni simili risultano dalla Catalogna, dove il controllo degli affitti è stato in vigore per un anno e mezzo, prima di essere annullato dal Tribunale costituzionale (e sostituito dalla timida Ley de Vivienda del governo Sánchez). I prezzi sono scesi del cinque per cento già dai primi tre mesi di regolamentazione, secondo i dati dell’Istituto Catalano del Suolo. Naturalmente, i proprietari hanno reagito riducendo i contratti indefiniti e stipulando molti più contratti temporanei, che il governo aveva iniziato a regolare quando è stato bloccato dal partito catalanista Junts, oltre che dai fascisti del Pp e di Vox. Altre situazioni sono ancora più complesse. A Vienna, per esempio, dove il settantotto per cento degli abitanti vive in affitto, e appena un terzo di questi è in affitto da privati, ci sono forme molto estese di regolamentazione dei prezzi: solo il sette per cento non è regolato. Eppure, negli ultimi anni i prezzi sono comunque saliti, portando il governo ad approvare un nuovo congelamento dei prezzi. In Olanda invece il sistema sembra funzionare bene, con un meccanismo centralizzato che calcola i prezzi, e che tiene fuori dalle regolamentazioni solo le case di lusso. Ci sono tribunali che sanzionano le violazioni, e tutti i contratti d’affitto sono diventati contratti permanenti.  Insomma, far scendere gli affitti è una priorità assoluta, ma non si può credere che si possa fare con “soluzioni semplici” alla Marattin: serve un’azione combinata, in cui si colpisce in primo luogo il mercato libero, poi gli affitti brevi, poi altre forme di speculazione, come i grandi proprietari che tengono centinaia di case vuote, e che devono essere tassati. Dire “basta fare x per abbassare gli affitti” è la tipica soluzione “semplice, elegante e sbagliata” che permette di continuare a produrre i danni che si vuole contenere, magari anche a peggiorarli: stampare moneta per risolvere la crisi del debito, tagliare le politiche sociali per affrontare la recessione (in Grecia), imporre dazi per salvare posti di lavoro (in Usa), congelare i conti bancari per impedire la fuga di capitali (in Argentina), o immettere enorme quantità di moneta per far funzionare il sistema bancario malato dopo il 2008 (ovunque). Il sistema delle abitazioni è complesso, perché nessuno può rimanerne fuori, e perché si basa su un bene già distribuito in maniera diseguale, cioè la terra. Non si può applicare astrattamente la legge della domanda e dell’offerta, perché non è un mercato competitivo, dove se aumenta l’offerta i prezzi scendono. La stessa metafora del “mercato” è fuorviante: si potrebbe paragonare più a un centro commerciale, dove i negozi dipendono tutti dallo stesso franchising, e un singolo operatore è in grado di influenzare tutti. L’offerta di case è un oligopolio, regolato da cartelli e da lobby, che sono sostenute dai governi, e che mantengono i prezzi alti mettendo sul mercato poche case alla volta e tenendone chiuse migliaia di altre per usarle come deposito di investimenti e garanzie per ottenere nuovo credito. Pensate a quanto ci siamo scandalizzati durante la pandemia, quando alcuni commercianti mettevano sul mercato piccole quantità di mascherine e amuchina per far alzare i prezzi, e vendere a otto euro quello che sarebbe dovuto costare pochi centesimi. Ma come! Sono beni di prima necessità, presidi indispensabili per la salute! Lo stato deve impedirlo! Bene, lo stesso ragionamento si applica alle case, che sono un bene di prima necessità, presidio di salute fondamentale, e che pochi speculatori mettono sul mercato in piccole quantità per tenere prezzi assolutamente insostenibili. Il controllo degli affitti è sicuramente un modo per iniziare a scalfire il dumping commerciale delle grandi lobby della proprietà, e deve diventare assolutamente una delle richieste prioritarie del movimento per la casa (come già annunciato dal sindacato Asia-Usb in un convegno a Roma). Mentre facciamo crescere le campagne per il rent control, però, dobbiamo studiarne in dettaglio l’applicazione, gli effetti, le varianti, prendendo in considerazione tutti i fattori che possono far aumentare o diminuire gli affitti. Ci vuole un pensiero olistico, che rifiuta a priori gli “è semplice” alla Marattin, e che sia in grado di combinare un’azione politica decisa con un ragionamento scientifico complesso, capace di mettere in discussione anche quello che consideriamo ovvio. Come scrivono due economisti svedesi nello studio su cui si basa la nuova politica di rent control del governo svedese: “Il rent control ci riporta alla macroeconomia: se lo studi e non ti senti un po’ confuso, probabilmente non stai pensando lucidamente”. (stefano portelli)
ROMA: PERQUISITI ATTIVISTI E ATTIVISTE DEL MOVIMENTO PER IL DIRITTO ALL’ABITARE, “VOGLIONO CRIMINALIZZARE L’EMERGENZA CASA”
Nella giornata di martedi 29 luglio tre attiviste e attivisti del Movimento per il Diritto all’Abitare di Roma hanno subito la perquisizione della propria abitazione e del proprio luogo di lavoro con il sequestro dei cellulari, dei computer e di materiale cartaceo di varia natura. “Un’operazione con uno spropositato dispiegamento di personale dei Carabinieri e della Digos”, scrive il movimento romano “sovradimensionata rispetto ai capi d’accusa contestati dalla PM” e che tenta di rendere illegale il sistema della solidarietà messa in campo dalla realtà di lotta per la casa nella Capitale con il solito schema di criminalizzazione attraverso la teoria secondo cui le occupazioni a scopo abitativo abbiano come obiettivo un sistema di racket, come titolano oggi i giornali di destra romani. “Si introduce un clima di sospetto e di criminalizzazione in grado di creare un’oggettiva accusa sia nei confronti del Movimento e di chi tratta con esso le vicende legate all’emergenza abitativa romana”. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto Margherita, del Movimento per il Diritto all’Abitare di Roma. Ascolta o scarica.
Roma: operazione dei Carabinieri contro il Movimento per il Diritto all’Abitare
Nella giornata di martedi 29 luglio tre attiviste e attivisti del Movimento per il Diritto all’Abitare di Roma hanno subito la perquisizione dell’abitazione e del posto di lavoro con il sequestro dei cellulari, dei computer e di materiale cartaceo di varia natura. Un’operazione con uno spropositato dispiegamento di personale dei Carabinieri e della Digos, sovradimensionata […]
Casa a Empoli. Se anche la provincia si ammala di speculazione
Se anche la provincia si ammala di speculazione? Viene da chiederselo guardando ai dati relativi a Empoli di idealista.it, uno dei principali portali di intermediazioni immobiliari in Italia. Certo, dati parziali e da prendere con le molle, che tuttavia … Leggi tutto L'articolo Casa a Empoli. Se anche la provincia si ammala di speculazione sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Milano: manifestazione per il diritto alla casa
Giovedì 3 luglio più di mille persone sono confluite in piazzale Lodi a manifestare per il diritto alla casa e alla città e, nonostante caldo e umidità facessero pensare di essere a Bangkok più che a Milano, hanno sfilato per tre ore fino ad arrivare nel cuore del quartiere di case popolari Corvetto. La scelta del luogo non è stata casuale, così come il percorso: la partenza era a ridosso dello scalo di Porta Romana, un’area pubblica venduta tramite gara al Fondo Porta Romana, gestito da Coima e partecipato da Covivio e Prada Holding , in cui stanno edificando il villaggio degli atleti per le Olimpiadi di Milano Cortina 2026, che verrà poi riconvertito in uno studentato di lusso. Se ci fosse ancora un’anima bella sedotta dalla favola che non ci sono né alternative né risorse economiche da spendere per le politiche di welfare e a sostegno della città pubblica, è bene ricordare come il Comune di Milano abbia deliberato lo scorso maggio lo stanziamento di 7, 3 milioni di euro per realizzare strade temporanee che serviranno solo per i giochi nell’area olimpica di Santa Giulia, definendo l’intervento un “infrastruttura indispensabile”. Non è invece “indispensabile”, ad esempio, ristrutturare le migliaia di alloggi pubblici sfitti, che potrebbero subito essere assegnati a famiglie senza casa. Stop caro affitti, sfratti, sgomberi e speculazione immobiliare. Per un tetto agli affitti e più case popolari; soluzioni all’emergenza abitativa; la difesa dei quartieri e della città pubblica. Uniamo le lotte: dalle periferie ai centri città, da quartieri popolari di Milano ai comuni dell’Hinterland, costruiamo insieme un movimento per il diritto alla casa e alla città. Vogliamo che la pianificazione urbanistica e le risorse pubbliche diano risposte ai bisogni reali delle persone e non siano al servizio degli appetiti di fondi d’investimento, banche e operatori immobiliari, questi gli slogan. La mobilitazione è partita da un input di Sicet1 e Unione Inquilini, i due sindacati più rappresentativi e attivi della città metropolitana a cui hanno subito aderito oltre 40 realtà: comitati dei quartieri popolari, associazioni, partiti, sindacati, centri sociali, il centro di ascolto delle Parrocchie Luigi Gonzaga e Ognisanti, gruppi studenteschi, collettivi che vivono in spazi occupati, comitati di cittadini che vivono in affitto, comitati di difesa della città pubblica. Giovedì in piazza c’era Rabia, felice per il suo 94 alla maturità, che da due anni vive con la mamma e i tre fratelli più piccoli in una comunità gestita da una cooperativa sociale, divisa dal padre che continua a dormire nel centro di accoglienza di viale Ortles, dopo aver subito uno sfratto dalla casa in cui vivevano. C’erano Manola e i suoi 3 bambini, accampati in una baracca alle porte della città, sgomberati dalla casa popolare in cui vivevano senza un contratto. C’era Mattia, 2 mesi di neonato, che insieme con la mamma, il papà e la sorellina hanno percorso tutto il corteo per fare poi ritorno nella casa popolare assegnata da poco meno di due anni e già rovinata dalle continue infiltrazioni e il proliferare della muffa. C’erano Fernando e la sua famiglia, sfrattati da una settimana e collocati in albergo dal Comune, angosciati e terrorizzati da quello che succederà quando scadranno i 20 giorni di accoglienza. C’era Miriam, da più di un anno assegnataria solo sulla carta di un alloggio in emergenza Sat (sono 250 le famiglie in attesa) e ancora senza un posto stabile dove dormire. C’erano le inquiline dei comitati delle torri del quartiere Gratosoglio, quotidianamente impegnate a lottare per ottenere i necessari piani di manutenzione straordinaria e ordinaria da Aler e politiche di coesione sociale per una periferia sempre più in crisi. C’era Lilia che vive in affitto privato in un monolocale di 25 mq insieme al marito e ai tre figli e c’erano tante altre persone, che versano ai proprietari di casa o alla banca anche il 50% di ciò che guadagnano rinunciando a vacanze, istruzione e in molti casi ormai anche cure mediche. C’erano gli studenti universitari e i giovani lavoratori, la cui voglia di emanciparsi dalle famiglie di origine e di costruirsi il proprio futuro, è forse uno tra i più redditizi business della rendita immobiliare milanese, che approfitta del sistema liberalizzato degli affitti e dell’assenza di controllo da parte delle istituzioni pubbliche. C’erano infine tanti attivisti e solidali, impegnati a Milano a costruire spazi e momenti collettivi liberati dalle logiche del solo profitto. Puntualissimo, il corteo è partito alle 18.30 e si è fermato per la prima tappa all’inizio di via Brenta, dove da un mese circa quaranta giovani lavoratori immigrati e alcune famiglie con figli hanno occupato uno stabile del Comune chiuso da anni, un tempo un centro vaccinale2. Abbiamo così ascoltato il racconto di una madre, che pur lavorando, non riesce ad affittare una casa e subito dopo risuonare il coro “più case popolari, meno spese militari”. Il corteo ha poi proseguito spedito fino a Casa Jannacci, dormitorio pubblico di Milano, che avrebbe dovuto essere il simbolo dell’anima solidale e inclusiva della città e che ora è invece diventato il suo opposto: un luogo dove vengono malamente stipati senza tetto, minori stranieri non accompagnati, richiedenti asilo, famiglie sfrattate o sgomberate, tutti coloro che incrinano il racconto della nuova Milano vincente e a cui l’Amministrazione Comunale non intende dare risposte né garantire diritti. Il corteo è quindi sfilato in via Gardone, dove decine di famiglie sono sotto sfratto pur pagando l’affitto: la proprietà, un fondo immobiliare, intende riconvertire il palazzo in struttura turistica, attività evidentemente molto più remunerativa. Una pausa alla fontanella per rinfrescarsi un po’ e poi spediti verso via Sile 8, nuovissimo palazzo del Comune, dove si trovano anche gli Assessorati al Welfare e alla Rigenerazione Urbana. Qui sono intervenuti i partiti Rifondazione Comunista e Potere al Popolo , ricordando le responsabilità politiche dell’attuale giunta nel promuovere un modello di città escludente, a favore della rendita e dei più ricchi. Verso le 21 il corteo si è concluso in piazzale Gabri Rosa, attirando ancora qualche inquilino residente incuriosito.  Ultimi interventi e conclusioni e la promessa di continuare la mobilitazione a settembre, cercando di coinvolgere ancora più famiglie, giovani, immigrati, lavoratori fino a portare in piazza e rendere visibile l’altra Milano, la maggioranza, che oggi rischia di essere espulsa, ma che non se ne vuole andare. Veronica Pujia 1 https://www.facebook.com/sicetmi/ 2 https://www.pressenza.com/it/2025/05/milano-venite-a-trovarci-in-via-brenta-alla-nuova-occupazione/ Redazione Milano
L’Italia senza casa
Sa bene chi cerca una casa che non è affatto semplice trovarla, il mercato degli affitti con contratti a lungo termine mette a disposizione poche centinaia di alloggi a prezzi esorbitanti, un numero davvero esiguo se si confronta con quello di case offerte per soggiorni temporanei. Succede nelle grandi aree metropolitane come nelle città di provincia. Si parla di emergenza abitativa senza ammettere che si tratta di una crisi strutturale determinata dall’assenza di politiche pubbliche che siano in grado di affrontare il problema. La casa è diventata un investimento che produce profitti sempre più alti, un asset finanziario sottoposto alle esigenze di profitto della rendita e alle fluttuazioni del mercato. > L’Italia senza casa di Sarah Gainsforth (2025 Editori Laterza, collana Tempi > Nuovi) ricostruisce dettagliatamente come si è arrivati a questo punto. > Partendo dal problema della casa l’autrice racconta in questo prezioso libro > la trasformazione del modo di abitare, di lavorare e di vivere in Italia dal > dopoguerra a oggi. Come illustra il Rapporto ISTAT 2025, l’Italia è preda di incertezza economica, divario tecnologico, costo sempre maggiore della vita e lavoro precario per i giovani, con il calo demografico crescente e l’invecchiamento progressivo della popolazione. Oltre due terzi dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori. La povertà assoluta riguarda quasi 6 milioni di persone. «Ma se è vero che la povertà incide sulla possibilità di accesso alla casa, è anche vero che i costi abitativi incidono sull’aumento della povertà», scrive Sarah Gainsforth (p. 8). L’autrice attraverso un’attenta ricostruzione delle scelte politiche, economiche e sociali delinea un paese in cui si è voluto estendere l’accesso di massa alla proprietà della casa, come obiettivo politico «promosso come elemento di stabilizzazione e trasformazione culturale della società; è stato il volano di avanzamento delle classi medie». (p. 12) Lo si è fatto con l’intervento diretto dello Stato che, anche se ha realizzato edilizia pubblica, ha finanziato cooperative, concesso incentivi per l’acquisto della casa e regolato il mercato con apposita legislazione. > Questo succede fino all’inizio degli anni ’90 quando cambia completamente il > ruolo delle politiche pubbliche,  inizia la dismissione del patrimonio > pubblico e sparisce un’offerta abitativa che non sia quella del libero > mercato. Il libro ricostruisce il progressivo slittamento della funzione della > casa da bene d’uso a bene di scambio e d’investimento, che ha portato alla > situazione attuale di crisi abitativa. Lo fa analizzando il ruolo che ha avuto nello sviluppo urbano il valore dei suoli e la loro destinazione urbanistica e ricorda il tentativo del ministro Fiorentino Sullo di riformare la legge urbanistica nel 1962, introducendo l’esproprio delle aree per poi, una volta destinate a edilizia residenziale, assegnarle in diritto di superficie. La proposta fu affossata tanto era la sua forza rivoluzionaria e la carriera del ministro stroncata. Le città continuarono a crescere sotto la spinta  della speculazione fondiaria e quella dell’abusivismo, garantendo rendite altissime ai proprietari dei suoli. «Il territorio italiano viene lottizzato senza sosta con la suddivisione, la vendita e la trasformazione di terreni agricoli in lotti edificabili».(p. 46). Fondamentale è il capitolo dove si analizza il ciclo di valorizzazione immobiliare con il protagonismo dei fondi e l’estrazione di valore dalla città. Nasce «un modello finanziario fatto di Sgr e fondi immobiliari disconnesso dalla città fisica, in cui i prezzi delle abitazioni non sono più guidati dalla relazione fra domanda e offerta di case, ma dal rapporto fra domanda e offerta di prodotti finanziari» (p. 104). > Le città sono diventate risorse da sfruttare e si sono trasformate in un > immenso meccanismo di accumulazione e produzione di valore. Intanto le persone > che le abitano sono costrette a vivere sotto l’incubo della rata del mutuo o > del canone di locazione. Mentre c’è chi vive della rendita prodotta appunto su > investimenti immobiliari. Un’attenta analisi definisce  il ruolo che riveste quella che viene universalmente chiamata “rigenerazione” e la trasformazione di intere parti di città, senza che alla rigenerazione edilizia si aggiunga il miglioramento di vita degli e delle abitanti, che al contrario vedono il peggioramento della loro condizione sociale ed economica. Il turismo ha contribuito in maniera determinante al processo di valorizzazione immobiliare. «Con gli affitti brevi il differenziale di redditività è dato si dalla localizzazione dell’alloggio nello spazio urbano, ma in misura uguale dalla temporaneità dell’uso; esiste infatti un enorme differenziale di redditività (un rent-gap) fra un affitto breve e uno di lungo periodo, ordinario, residenziale». (pag.123) Eppure, ci racconta l’autrice, c’è chi non si arrende e sono molti i tentativi in  tutto il mondo per regolare il mercato degli affitti e difendere l’abitare dei quartieri. L’estrazione di valore non si ferma neanche davanti alla necessità di trovare una casa per poter studiare da fuorisede. I posti letto negli studentati non sono più gestiti da enti pubblici, ma sono diventati aperti al mercato e a operatori privati, ai quali sono andati i fondi del PNRR. > «Ma il privato non ha interesse a creare un’offerta di alloggi a prezzi > accessibili; funziona benissimo, ovviamente, quando si rivolge a un target > minoritario con un’offerta di lusso» (p. 150). Nel libro c’è molto altro, a iniziare da una panoramica di quello che succede in altri paesi, che si trovano ad affrontare situazioni simili. Ad Amsterdam, Barcellona e Parigi sono stati adottati regolamenti che  regolano le locazioni turistiche. E poi c’è la questione fiscale, utilizzata per creare consenso politico. «Sulla casa di proprietà l’Italia ha uno dei regimi fiscali più generosi dei paesi Ocse, con la più alta iniquità di trattamento fiscale tra le abitazioni occupate dai proprietari e quelle affittate» (p.168). Intorno al tema della casa si sono sviluppate molte ricerche e studi, abbiamo a disposizione pubblicazioni che ci forniscono i dati e i numeri della drammaticità del fenomeno, articoli e trasmissioni televisive se ne sono occupati , ma il libro di Sarah Gainsforth ha il grande valore di legare la casa all’intera trasformazione sociale e politica della società, ai salari, alla concentrazione della ricchezza, alla questione ecologica, allo strapotere della finanza e soprattutto alla vita delle persone. > Ha anche il grande pregio di indicare l’alternativa al modello capitalistico > estrattivo che distrugge il nostro abitare, insieme alle nostre vite. «Se ne esce –  scrive l’autrice – con il ritorno di politiche pubbliche per l’abitare declinate in una varietà di misure possibili, con un forte protagonismo del pubblico nella creazione di una nuova offerta abitativa in affitto, dunque con una dotazione finanziaria adeguata» (p. 199). Senza volontà politica e senza finanziamenti pubblici per realizzare case in affitto a canoni rapportati ai salari non si potrà riportare la casa al suo valore d’uso e la città al suo senso originario. Il testo di Sarah Gainsforth dimostra come la questione della casa sia la raffigurazione dell’ingiustizia sociale all’interno del fenomeno urbano. Immagine di copertina dalla pagina FB Blocchi Precari Metropolitani SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo L’Italia senza casa proviene da DINAMOpress.
Carcere di Ferrara: Detenuta trans violentata.
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Le case dei sogni. Inchiesta sul turismo nel centro di Napoli
Sabato 28 giugno alle 15.00 all’interno della tre giorni del Cecco Rivolta verrà presentato il libro Le case dei sogni. Il turismo e la sua industria stanno trasformando radicalmente le nostre città riconfigurando le forme di fruizione dello spazio pubblico: … Leggi tutto L'articolo Le case dei sogni. Inchiesta sul turismo nel centro di Napoli sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
BRESCIA: INQUILINI DELLE CASE POPOLARI SOTTO ALLA SEDE DELL’ALER, “MANUTENZIONI ASSENTI E SPESE CONDOMINIALI ALLE STELLE”
Presidio, sabato pomeriggio, sotto alla sede del’Aler di Brescia. Gli inquilini delle case popolari, insieme all’Associazione diritti per tutti e diverse realtà solidali, si sono dati appuntamento sabato 24 maggio in viale Europa a Brescia per contestare la gestione (assente) degli appartamenti in mano all’Aler, l’azienda lombarda dell’edilizia residenziale pubblica. Manutenzione assente, riscaldamento spento d’inverno, ascensori che non funzionano in palazzi dove sono presenti persone con disabilità, muffa dai muri, acqua dai tetti. Spese condominiali, però, alle stelle. Sono solo alcune delle criticità sollevate dagli abitanti presenti in presidio dalle ore 15 di questo sabato. L’Associazione diritti per tutti ‘sfida’ l’Aler: “se non prenderà provvedimenti immediati, chiederemo al Comune il ritiro della concessione delle case popolari all’Aler”. Presenti, alla protesta, diversi esponenti del consiglio comunale bresciano e attivisti e attiviste del Collettivo Onda Studentesca, Magazzino 47, Collettivo Gardesano Autonomo. Le voci di inquilini e inquiline delle case popolari in protesta, insieme agli interventi dal presidio, raccolti dalla redazione di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica.