Morte Riccardo Zappone: non basta dire “non è stato il taser”
Il 30enne è morto a Pescara cinque giorni fa
Riccardo Zappone è morto il 3 giugno a Pescara a soli trent’anni. In questi
giorni le cronache abruzzesi sono animate dalle indagini per ricostruire le
cause della morte e cosa è accaduto. Era un ragazzo con fragilità, seguito dal
centro di salute mentale di Chieti, con nessun precedente penale. Lo hanno
trovato riverso a terra, morto in una stanza della Questura, poco dopo un fermo
che è stato definito violento da alcune fonti, preceduto da un’aggressione che
dalla ricostruzione di quelle ore emersa finora appare ancora più violenta.
Le prime versioni parlavano di malore. Poi è emerso che Riccardo era stato
colpito da una scarica di taser, immobilizzato con la forza, e rinchiuso in una
stanza. Successivamente l’autopsia, affidata al medico legale Cristian D’Ovidio,
dice che è morto per “sommersione interna emorragica da trauma toracico chiuso”.
Secondo la Procura, “l’utilizzo del taser da parte del personale di polizia non
ha avuto alcun ruolo nel determinismo della morte”. Autopsia che è stata
contestata dal legale di uno dei tre indagati (nessuno di loro è un appartenente
alle forze dell’ordine) per “difetto di notifica”.
Se i risultati dell’autopsia venissero confermati, considerata valida nonostante
il difetto di notifica eccepito o venisse ripetuta (può accadere? In questo
momento non ci è dato saperlo) e si confermasse quanto già emerso davvero
possiamo fermarci qui?
UNA GIORNATA DI VIOLENZA
Riccardo sarebbe entrato in escandescenza in un’autofficina di strada comunale
Piana. A quel punto, tre uomini – due fratelli titolari dell’attività e un
conoscente – lo avrebbero picchiato. Uno dei tre ha parlato pubblicamente: “Era
fuori di sé, non l’ho colpito. L’ho solo spinto. È caduto da solo”. Intanto,
nella sua narrazione, Riccardo “era sporco di sangue sotto le narici”, “aveva
preso qualcosa”, “urlava che avrebbe ammazzato tutti”.
Nel racconto mediatico di quelle ore è emersa anche una “criminalizzazione
postuma” del disagio psichico e della povertà che troppe volte si è ripetuta per
vicende come la morte di Zappone.
Solo dopo l’aggressione, la polizia viene chiamata. Quando arrivano gli agenti,
Riccardo è agitato ma già malridotto. Per contenerlo – questa la versione
fornita ai media – usano il taser. Poi lo portano in Questura, dove crolla. I
sanitari del 118 provano a rianimarlo, ma il suo cuore si ferma.
I tre aggressori sono oggi indagati per lesioni volontarie aggravate dall’uso di
un’arma e dal numero di persone. Ma siamo davvero prontə a dire che la
responsabilità finisca lì?
IL CORPO DI RICCARDO COME CAMPO DI BATTAGLIA
La morte di Riccardo non è un incidente. È la conseguenza di un sistema che
criminalizza le persone in stato di fragilità, di salute mentale, di marginalità
sociale. Per quel che è emerso sarebbe l’effetto diretto di una catena di
violenza. Lo Stato non è estraneo a questa morte. Lo è in senso pieno. È
corresponsabile. Socialmente e in quel che viene definito “uso legittimo della
forza” che non dovrebbe esistere per persone già massacrate, fragili e sole.
Secondo l’autopsia l’uso del taser sarebbe estraneo ma crediamo che questa
vicenda dovrebbe essere l’occasione per tornare a parlarne, per riflettere
sull’uso di un’arma letale che paralizza – introdotta nel 2022 tra mille
polemiche – aggredisce, umilia, usata ancora una volta su una persona che andava
protetta e non sedata con la violenza.
TASER, POLIZIA E DISUMANIZZAZIONE
Non è la prima volta. Luglio 2024, Bolzano: un 42enne muore dopo una scarica di
taser dei carabinieri. Agosto 2023, San Giovanni Teatino (Chieti): un 35enne con
problemi psichiatrici muore dopo essere stato colpito con un taser dai militari.
Anche lì, i responsabili parlano di malori improvvisi. L’autopsia anche allora
assolse l’utilizzo dell’arma.
Ma l’archivio dei corpi continua a crescere. Ogni volta la stessa narrazione:
erano agitati, erano drogati, erano “fuori di sé”. Ma fuori di sé da cosa? Da un
mondo che li rifiuta, che li colpevolizza, che li abbandona.
L’UNICA RISPOSTA È POLITICA: GIUSTIZIA PER RICCARDO
Riccardo Zappone non doveva morire. Aveva bisogno di cura, non di una scarica
elettrica. Aveva bisogno di ascolto, non di un processo pubblico costruito su
voci e sospetti. Aveva diritto a una comunità che non lo lasciasse solo.
Ora la Procura indaga, la stampa insinua, la politica tace. Ma noi no. Noi
gridiamo giustizia per Riccardo. Non perché sia stato il taser o meno, ma perché
lo Stato e la società intera lo hanno lasciato morire. E perché nessunə – mai
più – debba finire così.
Chiediamo trasparenza. Chiediamo l’interdizione dell’uso del taser. Chiediamo
supporto vero per le persone con fragilità psichiche. Chiediamo che la violenza
istituzionale venga finalmente chiamata con il suo nome.
Riccardo non è stato un caso. Riccardo è un simbolo. Riccardo siamo tuttз.
Benedetta La Penna