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Venerdì 5 Dicembre – Speed Test + Bajak / Benefit Desert2Desert
SERATA BENEFIT DESERT2DESERT UNA CAROVANA IN SOSTEGNO DEL POPOLO SAHARAWI ore 20 cena benefit dalle 22 live: SPEED TEST (Take death / Napalm that – Roma) BAJAK (Trance noise & crudité – Firenze) Bajak è un progetto di Simone Vassallo / Lampreda (batteria, percussioni, cassa armonica fai-da-te) e Nanang / Pala Wuni (cordofoni fai-da-te, flauto, cassa armonica, steel drum, vox). Il cuore di questo lavoro collaborativo nasce dalla sperimentazione su uno strumento autocostruito. Bajak significa pirati e aratro. Bajak passa dalla cerimonia trance degli outsider indonesiani alla scena noise rock. È lofi, economico, crudo, selvaggio ma allo stesso tempo introspettivo. https://bajak1.bandcamp.com +ameno dj-set ——————— D2D (DESERT2DESERT) è un ponte tra il nostro “deserto” occidentale, fatto di cemento e consumismo, e il deserto di sabbia e resistenza del popolo Saharawi. Un incontro tra mondi che si riconoscono nella stessa idea di libertà e solidarietà. A febbraio 2026 una piccola carovana partirà da Firenze per raggiungere i campi profughi Saharawi di Tindouf, nel sud-ovest dell’Algeria. Con una jeep e un camper carichi di materiali e strumenti — ma soprattutto di storie, energie e desiderio di scambio — attraverseremo il Mediterraneo e il Sahara per incontrare chi da cinquant’anni vive e resiste all’interno di una delle ultime colonie del mondo. Non si tratta di un viaggio “umanitario” né di assistenza, ma di solidarietà attiva e orizzontale. La consegna di una jeep e del materiale raccolto diventa un pretesto per stabilire relazioni dirette, costruire spazi di confronto e immaginare percorsi comuni tra realtà diverse ma connesse dalla stessa tensione verso l’autodeterminazione e la giustizia. Durante le settimane nei campi, in coincidenza con il cinquantesimo anniversario della nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (27 febbraio 1976), ci dedicheremo a momenti di incontro, scambio e ascolto reciproco. Organizzeremo laboratori artistici per bambin3, allenamenti di boxe, attività artigianali e sessioni di informatica condivisa. Racconteremo e documenteremo ciò che vivremo — attraverso fotografie, registrazioni e scritture — per riportare in Italia voci e immagini che spesso vengono soffocate dal silenzio mediatico. Il viaggio nasce dall’intreccio di reti già attive, come Città Visibili e la Rete Saharawi Italia, ma vuole anche aprire un nuovo spazio di relazione autonoma, diretta, internazionalista. Non per “aiutare”, ma per incontrarsi, riconoscersi e costruire un linguaggio comune tra esperienze di resistenza. L’obiettivo è che D2D non resti un episodio isolato, ma diventi il primo passo di uno scambio continuativo, fatto di ritorni, racconti e collaborazioni future. Per sostenere le spese del viaggio — traghetti, visti, carburante, assicurazioni, vitto e alloggio — è attiva una campagna di crowdfunding e una serie di iniziative benefit in diversi spazi sociali. Tutti i fondi raccolti serviranno a coprire i costi vivi della spedizione e a garantire che questa esperienza resti indipendente, condivisa e collettiva. D2D vuole essere un esperienza di attraversamento e di alleanza, un incontro politico e umano che parte con una jeep, ma arriva — speriamo — molto più lontano: verso una solidarietà che non si esaurisce nel gesto, ma si costruisce nel tempo, nel racconto e nella relazione.
Bastioni di Orione a Belem, in Africa Occidentale e nel Saharawi
Questa settimana ci siamo dedicati dapprima alle proteste degli abitanti dell’Africa occidentale esasperati dalla perpetuazione di regimi autoritari, rintuzzate da un potere ancora postcoloniale che fa da perno al residuo controllo francese sui paesi della Françafrique, scatenate dalla rielezione truffaldina di dinosauri ultranovantenni in Africa occidentale, ponendole a confronto insieme a Roberto Valussi con la contrapposizione della unione dei paesi del Sahel, anch’essi messi in crisi dall’avanzata del jihadismo. Ci siamo poi spostati di poco verso nord, raggiungendo il Maghreb, in particolare la situazione nella regione dei Saharawi, da più di mezzo secolo alle prese di un’altra forma di colonialismo: la monarchia assoluta marocchina si è sostituita ai francesi, permettendo ancora lo sfruttamento dei fosfati e della pesca nel territorio del Sahara occidentale, dopo aver colonizzato la regione da cui ha cacciato il popolo saharawi. Ora all’Onu si è consumato un nuovo passaggio verso l’annessione marocchina della zona al confine mauritano, ne abbiamo parlato con il nostro consueto interlocutore in materia, Karim Metref. Abbiamo infine iniziato a occuparci della Cop30 in corso a Belem con Alfredo Somoza, che ha tracciato con chiarezza le modalità, gli intenti e i parziali risultati di una conferenza delel parti svolta per una volta su un campo che avrebbe dovuto essere sensibile alle istanze della difesa dell’ambiente e che la diplomazia internazionale costringe a barcamenarsi cercando di conseguire il risultato condiviso richiesto; parallelamente si è quindi svolto un Controvertice e le popolazioni native si sono prese il palcoscenico a più riprese. Elezioni africane, presidenti dinosauri e retaggio della Françafrique Partendo dalle elezioni in Costa d’Avorio che hanno riconfermato il modello autocratico del terzo mandato con l’elezione di Ouattara, legato mani e piedi agli interessi economici e strategici di una Francia in ritirata dallo scenario saheliano, proviamo con Roberto Valussi che scrive per la rivista Nigrizia a decrittare il risultato dei queste elezioni allargando lo sguardo ad altre aree del continente africano. La serie di colpi di stato che ha cambiato gli equilibri in Mali, Burkina Faso e Niger e la creazione dell’ Alleanza del Sahel (AES) ha spostato il baricentro degli interessi francesi verso la Costa D’Avorio che si consolida come pivot del residuo sistema di potere della Francia in Africa, pur aprendosi anche ad altri interlocutori come gli Stati Uniti e la Cina. Ouattara dopo aver impedito ai potenziali contendenti, Thiam e Gbabo, di presentarsi alle elezioni con artifici legali poco attendibili, ha vinto nonostante le proteste contro il suo ennesimo mandato sulla falsariga di un altro dinosauro africano, Paul Biya, che in Camerun alla tenera età di 92 anni continua a governare dal 1982 . Si definiscono in questa fase di mutamenti e fratture sociali tre modelli, quello dei colpi di stato militari che con tutti i loro limiti, interpretano il sentimento antifrancese che alberga nella maggioranza demografica dei giovani insofferenti, la continuità delle finte democrazie autocratiche che con la repressione e i brogli danno continuità ad un sistema di potere in agonia e la soluzione elettorale alla senegalese forse non esportabile per le caratteristiche proprie della storia senegalese che incanala il dissenso e la protesta verso un progetto di cambiamento. L’Onu ha scippato l’indipendenza saharawi Dopo anni di stallo alle Nazioni Unite, la Risoluzione 2797 del Consiglio di Sicurezza ha ridisegnato il panorama della questione del Sahara Occidentale. Adottata il 31 ottobre senza veto, segna un importante cambiamento strategico: il piano di autonomia marocchino è diventato la base del processo ONU, il Consiglio di sicurezza ha chiaramente sancito l’iniziativa marocchina dell’autonomia come base esclusiva per i negoziati per l’arrivo di una soluzione definitiva al conflitto regionale che ha afflitto la regione per mezzo secolo . Per l’Algeria, la battuta d’arresto diplomatica è tanto più grave in quanto questa risoluzione è stata adottata mentre il paese era già membro del Consiglio di Sicurezza. Per il Marocco, la sfida è cambiata: non si tratta più di convincere gli altri della credibilità del suo piano, ma di dettagliarlo e attuarlo . Il termine “referendum” non compare più nella nuova risoluzione. l mandato della MINURSO, la missione ONU sul campo, sarà rivisto alla luce dei progressi politici, ponendo così fine al ciclo di proroghe tecniche automatiche. Le Nazioni Unite continuano a menzionare il principio di autodeterminazione, ma non lo collegano più a un referendum . l Polisario ha reagito timidamente alla risoluzione, semplicemente prendendo nota di alcuni elementi del testo, che costituiscono una deviazione molto pericolosa e senza precedenti dalla base su cui il Consiglio di Sicurezza affronta la questione “come questione di decolonizzazione”. Tuttavia, quattro giorni prima dell’adozione della risoluzione, il Polisario aveva “categoricamente respinto qualsiasi iniziativa come la bozza di risoluzione promossa dagli Stati Uniti “mirava a imporre il piano di autonomia marocchino o a limitare il diritto inalienabile del popolo saharawi di decidere liberamente il proprio futuro”. La soluzione proposta dall’ONU sulla spinta degli Stati Uniti e la Francia elimina qualsisiai riferimento all’autodeterminazione del popolo saharawi prospettando un’autonomia sotto il controllo del Marocco. Di questo e della denuncia dell’accordo franco algerino del 1968 ,passata all’Assemblea nazionale su proposta dei lepenisti parliamo con Karim Metref  giornalista algerino Cop30. Mitigare il clima, almeno nel suo cambiamento In un mondo sempre più attraversato da conflitti, dove le nazioni sono sempre più  bellicose, sembra reggere a parole l’impegno di ciascuno sulle grandi linee della tutela dell’ambiente. Anche perché dietro al carrozzone mediatico si nascondono anche molte occasioni di business (riconversione, sostenibilità…). Nel commento di Alfredo Somoza si riscontrano note di parziale ottimismo per l’impostazione della Cop30 e per i primi risultati che Lula può dichiarare conseguiti come i 5 miliardi versati per la creazione di un fondo mondiale per la tutela delle foreste tropicali e dunque Alfredo, che ha partecipato ad alcune edizioni precedenti, ritiene si possa considerare non fallimentare questa edizione improntata al pragmatismo fin dal discorso inaugurale del presidente brasiliano, per quanto sia possibile in simili consessi istituzionali che devono regolare con il bilancino diplomatico i rapporti e le risoluzioni finali, sempre sottoposte a veti contrapposti delle molteplici lobbies presenti, pronte a mettere in stallo obiettivi e finanziamenti – in particolare per il superamento del fossile e l’abbattimento del CO2.  Infatti il fulcro di questa edizione, a dieci anni dalle promesse disattese della Cop20 parigina, della conferenza climatica è il capitolo dell’istituzione di uno stanziamento di 1300 miliardi per l’incremento dei flussi finanziari verso i paesi vulnerabili (metà della spesa bellica annuale) per mettere sotto controllo gli aspetti più drammatici del cambiamento climatico. Un terreno che vede la Cina protagonista – non presente con i vertici politici ma con i tecnici – è quello inerente all’aspetto tecnologico che prevederebbe secondo precedenti accordi internazionali la neutralità climatica per il 2050, mentre Pechino ci può arrivare già nel 2047; mentre invece l’India non ha né capacità tecnologica, né l’intenzione di rispettare i termini, spostando il traguardo al 2070.  L’Unfcc che organizza l’evento ha fatto uscire proprio in questi giorni il rapporto sull’impatto economico e climatico della climatizzazione domestica  Intanto si è svolto parallelamente il “Controvertice” Cúpula dos Povos, che ha dato luogo nell’assemblea conclusiva al Movimento delle Comunità Colpite dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici, polemico con un vertice ufficiale contaminato dalla presenza di molte imprese responsabili di crimini ambientali e persino emissari di crimini petroliferi. Molti nativi sono giunti da ogni paese amazzonico e non solo per rivendicare i diritti delle popolazioni indigene, che peraltro si trovano a casa loro e un migliaio sono anche accreditate all’ingresso, nonostante la Conferenza delle Parti sia riservata dall’Onu a discussioni di carattere tecnico (i leader politici partecipano al vertice preliminare che dovrebbe demarcare i limiti entro i quali negoziare gli accordi finali) ed è il momento in cui gli stati devono essere inchiodati alle loro responsabilità. E stanno facendo sentire la voce e il fiato di chi vive più vicino alla Natura. --------------------------------------------------------------------------------
“Terre promesse, terre rubate. Popoli senza pace”: arriva il XVII Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli
Due settimane di cinema, incontri e riflessioni sugli scenari internazionali. Dalla Peace School Mario Paciolla alle giornate dedicate a saharawi, curdi e palestinesi, fino all’anteprima nazionale del film “Sniper Alley – To My Brother” per non dimenticare i conflitti balcanici. Terre che erano promesse e oggi sono rubate. Terre che portano con sé la memoria di popoli che vedono negata la loro identità, eppure resistono per mostrare che il futuro del pianeta è di chi saprà resistere all’annientamento e accettare l’altro, pur difendendo la propria memoria. È intorno a questa idea che prende forma il XVII Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, in programma dall’11 al 21 novembre 2025, con una serata conclusiva speciale il 29 novembre a Piazza Forcella dedicata all’anteprima nazionale del film “Sniper Alley – To My Brother”, coprodotto dal Festival e firmato da Cristiana Lucia Grilli e Francesco Toscani, con cui saranno celebrati i 20 anni dell’Associazione Cinema e Diritti. Il tema scelto per l’edizione 2025, “Terre promesse, terre rubate. Popoli senza pace”, attraversa le grandi contraddizioni del presente e mette a confronto le storie di tre popoli perseguitati (saharawi, curdi e palestinesi) che “resistono ai loro oppressori e dimostrano di saper vivere in promiscuità e in condizioni anche estreme”. «I racconti dei popoli senza pace – spiega Maurizio Del Bufalo, coordinatore del Festival – illustrano la condizione dell’umanità di domani, in cui la condivisione degli spazi e delle risorse fondamentali, ovvero la convivenza pacifica tra i popoli, sarà sempre più urgente. La loro capacità di adattamento è la risorsa più preziosa con cui si preparano a un futuro in cui i nuovi equilibri sociopolitici metteranno alla prova tutto il genere umano. Per questo, la Peace School Mario Paciolla, anteprima della XVII edizione del nostro Festival, è un esempio concreto di come si possa educare alla pace i nostri giovani, formandoli all’ascolto di queste nuove esperienze e alla collaborazione tra le comunità del mondo, al rispetto dei diritti universali, preparandosi a un lavoro altamente professionale e orientandoli verso i centri di formazione più qualificati». Come ogni anno, il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, organizzato dall’Associazione Cinema e Diritti, propone una serie di eventi internazionali, dibattiti e anteprime che affiancano il concorso cinematografico. Partner primario, insieme alla Regione Campania e al Comune di Napoli è, da tre anni, l’Università L’Orientale di Napoli, antico e prestigioso ateneo di fama internazionale. Dal 11 al 21 novembre, lo Spazio Comunale Piazza Forcella, il Palazzo Corigliano sede dell’Università L’Orientale e il Cinema Vittoria accoglieranno testimoni, studiosi, giornalisti, attivisti e studenti in un percorso che attraversa i racconti del Cinema dei Diritti Umani e i luoghi simbolo dei conflitti contemporanei. Da diciassette anni il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli è un punto di riferimento per il cinema civile e per la promozione dei diritti umani nel Mezzogiorno. Promosso dall’Associazione Cinema e Diritti, con il contributo di Regione Campania, Film Commission Regione Campania, Comune di Napoli, Università L’Orientale, e il patrocinio della Confederazione Elvetica e dell’Ambasciata di Svizzera in Italia, il Festival aderisce alla Human Rights Film Network patrocinata da Amnesty International ed è sostenuto da Banca Etica, Un Ponte Per, FICC e Assopace Palestina. «Napoli è una città di frontiera – conclude Del Bufalo – e noi l’abbiamo eletta, sin dal 2005, Capitale dei Diritti Umani per la sua vocazione di città di mare e di scambi. Qui si incontrano popoli, lingue e storie che il nostro cinema riesce a descrivere bene. In un tempo in cui la guerra sembra essere la via d’uscita obbligata di ogni controversia, noi ribadiamo il valore della nostra Costituzione e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, indicando la strada della Pace, dei Diritti e dell’Eguaglianza. Perché il nostro Cinema è da sempre la voce dei popoli oppressi in cerca di liberazione, popoli a cui offriamo la nostra solidarietà e di cui ammiriamo la tenace resistenza». Il programma completo Martedì 11 novembre è prevista la serata di apertura.  La cerimonia di apertura, in programma alle 18.00 nell’Aula delle Mura Greche di palazzo Corigliano, una delle sedi dell’Università L’Orientale, sarà dedicata al bilancio della Peace School Mario Paciolla, progetto formativo nato in seno al Festival e realizzato in collaborazione con numerose organizzazioni che si occupano di formare i futuri operatori di Pace. La prima edizione della Peace School, tenuta tra l’8 e l’11 ottobre scorsi a Napoli, ha coinvolto decine di giovani universitari in un percorso multidisciplinare sui temi della cooperazione, del disarmo e dei diritti umani. A seguire, la proiezione del trailer di animazione che introduce l’edizione del Festival di quest’anno e la presentazione ufficiale del programma 2025, con la partecipazione di rappresentanti istituzionali, delle associazioni promotrici e dei corsisti della Peace School. Ospite d’onore Ivan Grozny Compasso, reporter e documentarista che ha seguito diversi conflitti in varie regioni del mondo e componente della Global Sumud Flotilla che ha sfidato pochi mesi fa il blocco navale israeliano che circonda Gaza. Ivan è anche componente della Giuria Esperti del XVII Festival. Alle 20.30 cominceranno, nella stessa sala, le prime proiezioni del concorso cinematografico che si ripeteranno qui per tutte le sere del Festival, fino al 20 novembre.  Mercoledì 12 novembre alle 19.00, presso Palazzo Corigliano (Università L’Orientale), continueranno le proiezioni del concorso cinematografico. Giovedì 13 novembre è la giornata del Premio per la Pace. Alle 19.00, a Palazzo Corigliano, la serata sarà dedicata all’Assegnazione del Premio per la Pace, conferito dall’Ambasciata della Svizzera in Italia, che, per l’occasione, sarà rappresentata da una delegazione guidata dalla Vice Ambasciatrice Anna Russo Mattei. L’evento, oltre ad essere un’occasione per consolidare l’amicizia del Festival con uno dei Paesi simbolicamente più vicini ai diritti umani, offrirà anche un momento di riflessione sul ruolo della diplomazia culturale e del cinema nella difesa dei diritti umani. Venerdì 14 novembre sarà dedicato al Premio Human Rights Youth. La mattina (ore 9.30–12.30, Piazza Forcella) sarà dedicata alla proiezione dei film che concorrono all’assegnazione del Premio Human Rights Youth, che valorizza i lavori audiovisivi prodotti da studenti e giovani registi italiani e stranieri. La platea sarà composta da numerosi studenti napoletani provenienti da istituti superiori cittadini e da organizzazioni specializzate nell’accoglienza. Il premio rappresenta da anni uno spazio aperto alle esigenze delle scuole, delle associazioni di accoglienza di ragazzi stranieri e delle università del territorio e incoraggia le nuove generazioni a utilizzare il linguaggio del cinema come strumento di educazione civile. Alle 19.00, presso Palazzo Corigliano (Università L’Orientale), continueranno le proiezioni del concorso cinematografico. Sabato 15 novembre è la giornata “Cinema e Memoria”. Dalle 19.00 alle 23.00, le proiezioni del concorso a Palazzo Corigliano offriranno una panoramica sulle lotte per la giustizia ambientale e sociale: film provenienti da Asia, America Latina e Medio Oriente metteranno a confronto esperienze di resilienza e comunità in ricostruzione. Gli studenti tirocinanti de L’Orientale introdurranno i lavori, in dialogo con i registi presenti o collegati da remoto.  Lunedì 17 novembre è la Giornata dedicata al popolo saharawi. Alle 10.00, al Cinema Vittoria sito nel quartiere Arenella, si terrà l’incontro “Un popolo in esilio”, con Fatima Mahfud, rappresentante del Fronte Polisario in Italia, Mohammed Dihani, ex prigioniero politico, il fotografo Patrizio Esposito e il regista Mario Fusco Martone. Sarà proiettato il film Una storia Saharawi di Mario Martone, girato nel 1996 nei campi profughi del Tindouf. Nel pomeriggio (ore 18.00, Piazza Forcella), l’incontro “Saharawi, vedere l’occupazione” proporrà un confronto sulla situazione del Sahara Occidentale, ancora sotto controllo coloniale marocchino, con interventi di artisti e attivisti impegnati nei territori occupati.  Martedì 18 novembre è la prima delle due giornate dedicate al popolo curdo. La mattina (ore 10.00, Cinema Vittoria) è previsto il panel “Il popolo delle montagne”, con il regista Veysi Altay, l’attivista Alfonso Di Vito e il ricercatore Alessandro Tinti. Proiezione de “La memoria di Sur” di Azad Altay (TUR, 2025, 36 minuti). Alle 18.00, a Piazza Forcella, l’incontro “Il genocidio curdo” ripercorrerà gli esiti del processo aperto dal Tribunale Permanente dei Popoli che ha riconosciuto il genocidio culturale e politico subito dal popolo curdo. A guidare la serata, Gianni Tognoni, Segretario generale del Tribunale Permanente, accompagnato da Alfio Nicotra e Angelica Romano di Un Ponte Per, la giornalista Emanuela Irace e Yilmaz Orkan, coordinatore del Kurdistan National Congress in Italia. Proiezione di “La memoria di Sur” di Azad Altay (TUR, 2025, 36 min). Mercoledì 19 novembre si bissa con la seconda giornata dedicata al popolo curdo. Alle 10.00–12.30, a Palazzo Mediterraneo (sede de L’Orientale), la tavola rotonda “Oltre il conflitto: le sfide della pace curda” approfondirà, coordinata dalla prof.ssa Lea Nocera, il tema dell’autogoverno democratico nel Rojava e delle esperienze di confederalismo comunitario. Partecipano Gianni Tognoni, Ylmaz Orkan, Alfio Nicotra, il ricercatore Alessandro Tinti e Veysi Altay. Proiezione de “La memoria di Sur” di Azad Altay (TUR, 2025, 36 min). Nel pomeriggio, alle 18.00, “Rojava, il Confederalismo Democratico è qui”, incontro a Piazza Forcella. Sarà proiettato “Naharina – Resistenza comunitaria nel Kurdistan siriano” di F.D. Tona (51 minuti), seguito da un confronto con Zilan Diyar, attivista femminile curda, Tiziano Saccucci dell’Ufficio UIKI di Roma, Alessandro Tinti e Yilmaz Orkan sulla realtà curda del Rojava, dove il Confederalismo Democratico è orami una realtà. Giovedì 20 novembre è dedicato alla questione palestinese. L’appuntamento delle 18.00 a Piazza Forcella vedrà la partecipazione di Luisa Morgantini, Francesca Albanese (Relatrice ONU per i diritti umani nei Territori Palestinesi, in collegamento), Luigi de Magistris (già Sindaco di Napoli) e Luigi Daniele, giurista dell’(Università del Molise). L’incontro, dal titolo “La crisi dell’ordine mondiale e il futuro della Palestina”, offrirà una riflessione ampia sul nuovo assetto geopolitico del Medio Oriente e sulle conseguenze umanitarie delle guerre a Gaza e in Cisgiordania. Il monologo di Nino Racco, cantastorie calabrese, “Una Storia palestinese” chiuderà la serata proponendo una storia di amicizia israelo-palestinese tra due giovani. Venerdì 21 novembre c’è l’evento conclusivo. Alle 18.00, nello Spazio Comunale Piazza Forcella, si terrà la cerimonia di chiusura con la presentazione delle giurie, la proiezione dei trailer dei film vincitori e le interviste ai registi premiati. Seguirà la consegna dei riconoscimenti e delle menzioni speciali. La serata si concluderà alle 20.30 con il concerto “…nostro mare è il mondo intero” di Alessio Lega, cantautore che unisce poesia e impegno civile, accompagnato da Federico Marchi al basso e alle percussioni. Sabato 29 novembre serata speciale di chiusura. A Piazza Forcella, dalle 18.00 alle 21.00, sarà presentato in anteprima nazionale “Sniper Alley – To My Brother”, coprodotto dal Festival in occasione dei vent’anni dell’Associazione Cinema e Diritti. Il film, diretto da Cristiana Lucia Grilli e Francesco Toscani, racconta la storia di un ragazzo sopravvissuto al massacro dei bambini di Sarajevo e oggi fondatore di un museo della memoria. Interverranno gli autori, il protagonista e il fotografo Mario Boccia, che documentò la guerra nei Balcani. In apertura, una performance musicale di Max Fuschetto, autore della colonna sonora. Il concorso cinematografico Sono 38 i film in competizione, scelti tra oltre 320 candidature provenienti da più di 50 Paesi. Le proiezioni si terranno dall’11 al 20 novembre, ogni sera dalle 19.00 alle 23.00, presso la Sala delle Mura Greche dell’Università L’Orientale – Palazzo Corigliano, e saranno introdotte dagli studenti tirocinanti del corso di Mediazione Linguistica e Culturale. Le sezioni del concorso: * Human Rights Doc – lungometraggi documentari dedicati a diritti, migrazioni e conflitti; * Human Rights Short – cortometraggi che raccontano la resistenza civile nel mondo; * Human Rights Youth – opere di giovani autori e scuole; * Premio per la Pace dell’Ambasciata Svizzera in Italia; * Premio Mario Paciolla per la Pace, istituito in memoria del cooperante napoletano, assegnato all’opera che meglio rappresenta i valori della solidarietà internazionale. Calendario delle proiezioni Tutte le proiezioni si terranno a Palazzo Corigliano, sede dell’Università Orientale. 11 Novembre – ore 20:30 CARPENTER di Xelîl Sehragerd – Iran, 13’ REFUGIUM di Valerio Vittorio Garaffa – Italia, 20’ EKSI BIR di Ömer Ferhat Özmen – Turchia, 15’ 12 Novembre – ore 19:00 CODE RED di Minoo Taheri, Majid Azizi – Iran, 5’ MARTYRION, STORIA DI ISABELLE di Luca Ciriello, Teresa Antignani – Italia, Malta, 20’ HOME GAME di Lidija Zelovic – Olanda, 98’ 14 Novembre – ore 19:00 THE UNSEEN di Milou Rientjes, Niek Pennings – Olanda, 74’ HATCH di Alireza Kazemipour, Panta Mosleh – Canada, 10’ GAZA: A STOLEN CHILDHOOD di Moamen Ghonem – Qatar, 50’ 15 Novembre – ore 19:00 LOST SONGS OF SUNDARI di Sudarshan Sarjerao Sawant – India, 9’ MARIEM di Javier Corcuera – Spagna, 16’ FAREWELL PARIS di Mohammad Ebrahim Shahbazi – Iran, 19’ YALLA PARKOUR di Areeb Zuaiter – Palestina, Qatar, Arabia Saudita, Svezia, 89’ 17 Novembre – ore 19:00 ADAS FALASTEEN di Hamdi Khalil Elhusseini, Samar Taher Lulu – Palestina, 8’ ’48 | RESISTING THE BIG SETTLEMENT di 218 Film Team – Grecia, 77’ BEYOND THE SKIN di Alessandra Usai – Italia, 52’  18 Novembre – ore 19:00 TRACE OF EARTH di Gülben Eşberk, Mert Eşberk – Turchia, 15’ CHOICE di Marko Crnogorski – Macedonia, 17’ THE ANGEL OF BUENOS AIRES di Enrico Blatti – Italia, 100’ 19 Novembre – ore 19:00 NO WAY OUT di Shekh AL Mamun – Corea del Sud, 62’ SHOT THE VOICE OF FREEDOM di Zainab Entezar – Afghanistan, 70’ 20 Novembre – ore 19:00 WITH GRACE di Dina Mwende, Julia Dahr – Kenya, Norvegia, 30’ ELEA – LA RINASCITA di Luigi Marmo – Italia, 19’ THE FIRST FILM di Piyush Thakur – India, 20’ MY SEXTORTION DIARY di Patricia Franquesa – Spagna, 64’ Redazione Napoli
Autonomia de iure, occupazione di fatto
Su iniziativa degli Stati Uniti, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha votato a favore del piano marocchino di autonomia del Sahara occidentale, sostenendo che si tratti della soluzione "più realizzabile" per il territorio conteso, nonostante l'opposizione dell'Algeria. La risoluzione è stata adottata con 11 voti a favore, nessuno contrario e 3 astensioni mentre l'Algeria ha rifiutato di partecipare al voto. Nel testo si ritiene che il piano di Rabat del 2007, che prevede l'autonomia sotto la sovranità marocchina, "potrebbe rappresentare la soluzione più realizzabile" e quindi costituire "la base" per futuri negoziati volti a risolvere questo conflitto che dura da 50 anni. In comunicazione telefonica con Umberto, giornalista di stampa internazionale, abbiamo cercato di analizzare gli interessi economici dietro questa resoluzione e cosa potrebbe veramente significare per il popolo saharawi.
XVII Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli: Terre promesse, Terre rubate, Popoli senza Pace
MARTEDÌ 11 NOVEMBRE INIZIA IL XVII FESTIVAL – CURDI, SAHARAWI E PALESTINESI, POPOLI PERSEGUITATI, CI INDICANO LA STRADA DELLA PACE. Vent’anni dopo Quest’anno compie 20 anni l’idea che ponemmo alla base del nostro Festival, ma nonostante gli sconvolgimenti a cui abbiamo assistito in tutto questo tempo, la nostra filosofia esistenziale non cambia ed è riconducibile ad una breve affermazione: guardando agli ultimi della terra, impareremo a riconoscere gli errori di cui è capace l’umanità e a sopravvivere ad essi. Proveremo a dirlo con altre parole. La speranza che le future generazioni potranno vivere in un mondo pacificato non è un’utopia, ma qualcosa che la realtà già ci mostra e che ci ostiniamo a non vedere. Per questo è necessario trovare spazi e tempi in cui si possa riflettere, insieme, sul mondo che ci circonda e sugli orizzonti verso cui procediamo e, se possibile, correggere la rotta finché si è in tempo. Questa, in sintesi, è la “missione” del nostro Festival: offrire strumenti di conoscenza, dialogo e cambiamento per apprendere a convivere pacificamente, salvare il pianeta e adottare le regole di uno sviluppo che sia umano e non solo economico e produttivo. “Terre promesse, Terre rubate, Popoli senza Pace” La XVII edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli cade nell’anno 2025, caratterizzato da guerre e massacri programmati da molto tempo e dalla crisi profonda del Diritto Internazionale, del Multilateralismo, del sogno di Pace universale e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che fu costituita nel 1948 per dire basta all’orrore della guerra, alle armi nucleari, agli stermini di massa e ai genocidi. Come si può constatare, nel breve volgere di 3 anni è stata quasi cancellata la lezione del Novecento e del Secondo Conflitto Mondiale, facendo rivivere nuovi nazionalismi, suprematismi, colonialismi e “soluzioni definitive” che dovrebbero assicurare il trionfo di alcuni governi (armati) a spese di altri popoli meno attrezzati militarmente e politicamente. Tutto questo è avvenuto apparentemente in un baleno, ma a guardar bene ogni mossa è stata programmata con dovizia di particolari e lungimiranza da chi non ha mai smesso di fare la guerra per assicurarsi il potere globale. Riproporre a distanza di 80 anni un progetto egemonico può sembrare assurdo, ma non per questo meno foriero di pericoli imminenti e futuri. La comunità mondiale è ancora scossa dal rilancio del progetto di Grande America (Make American Great Again), stavolta a spese delle economie europee e cinese, per far fronte allo sfondamento senza precedenti del debito pubblico del gigante americano e alla crisi del dollaro, a cui tutto il mondo ha sempre guardato come ad una nuova base aurea. Per sostenere questa idea, gli USA minacciano di intervenire militarmente in alcuni degli scenari più critici del pianeta, immaginando persino un controllo interstellare, realizzato con migliaia di satelliti che ronzano attorno alla terra come stelle di un firmamento privato, ma tutti questi roboanti annunci hanno qualcosa di paradossale e sembrano sancire, implacabilmente, la fine del ruolo guida dell’Occidente capitalista. A tali strategie, ispirate dal collasso di un modello di sviluppo ormai non più sostenibile, si accompagnano dolorosi colpi di coda, come il genocidio degli israeliani nei confronti del popolo palestinese, eternamente accusato di terrorismo, i rigurgiti nazionalisti dei russi in Ucraina, sapientemente stimolati dalle manovre Nato, e i paradossi di violenza istituzionale, dall’Argentina all’Iran, dall’Afghanistan alla Turchia, dall’Africa centrale alla subsahariana, dal Corno d’Africa al Congo e persino alcuni nella inerte Comunità Europea. Oltre 40 conflitti presenti in tutto il mondo sono il risultato di trenta anni di dominio incontrastato dell’economia liberista che oggi si ripiega su sé stessa. In questo scenario disegnato dalla crisi dell’Occidente, il nostro Festival prova a rallentare l’onda delle emozioni e a spostare l’attenzione verso il basso, ascoltando le voci dei popoli perseguitati, quelli a cui vengono negati e sottratti da decenni la terra, le risorse materiali, l’identità, la cultura e la memoria per dare spazio al nuovo colonialismo e al furto di materie prime, accampando motivazioni storiche, religiose, filosofiche che, ad essere sinceri, appaiono quantomeno miserabili. La nostra tesi è che la sofferenza di queste comunità, spesso costrette con la forza al nomadismo e alla diaspora, mostra quanta capacità di tolleranza e disponibilità alla pacifica convivenza ci sia in esse e che solo osservando il loro calvario si possa capire quanto assurde siano le strategie di espansione di cui sono vittime. Nel loro comportamento, nelle loro resistenze c’è già scritto il futuro del pianeta che non ha più le risorse naturali sufficienti alla sopravvivenza di tutto il genere umano e avrebbe bisogno di una filosofia di sviluppo meno consumistica e più aperta alla convivenza di culture diverse, per evitare il ripetersi di queste aggressioni. Per questo abbiamo scelto di guardare alla storia passata e recente di tre popoli, i curdi, i saharawi e i palestinesi,  per ritrovare le ragioni che potrebbero frenare gli spiriti irrazionali del capitalismo e del colonialismo, dell’espansionismo imperialista e della guerra continua, per indicare una strada di crescita più adatta ai tempi che viviamo e che dovrebbero auspicabilmente preparare una Pace durevole. Un Festival di speranza in un anno di guerra Cercheremo quindi, nelle giornate del XVII Festival, di segnalare esperienze in grado di dare risposte credibili ai bisogni del pianeta e dell’ambiente e al fabbisogno di cooperazione tra i popoli che potrebbe sostituirsi alla corsa cieca alla competizione, dettata dai principi più aggressivi del mercato e del monetarismo. È ormai chiaro a tutti, come evidenziato nelle precedenti edizioni del nostro Festival, che non sarà facile riformare l’Organizzazione delle Nazioni Unite, sabotata da molti decenni dalla politica di globalizzazione degli Stati Uniti e dall’espansione della Nato, politica perseguita anche dopo che l’imperialismo russo aveva ceduto le armi e si era reso disponibile, per manifesta inferiorità, a fermare la corsa nucleare agli armamenti. E per questo sosteniamo convinti il disegno di Costituzione della Terra, promosso dal giurista italiano Luigi Ferrajoli, che postula la Pace, ipotizzando le garanzie che la Dichiarazione Universale del 1948 non ha saputo assicurare. Siamo consci che il processo di revisione dell’ordine mondiale sarà lungo perché contrastato dalle strategie dei blocchi di potere che usano armi poderose per far valere le loro ragioni. Una nuova guerra fredda è in corso e la nascita dei BRICS, l’organizzazione dei Paesi non Usa-centrici, offre spazi alternativi all’emergere di Paesi come Cina e Russia ed anche India e Brasile. Il nuovo equilibrio mondiale è in corso di definizione, ma nessuno può sapere quanto tempo e sangue serviranno per affermarlo. I curdi e la proposta di disarmo di Abdullah Ocalan Nel frattempo, abbiamo deciso di narrare, col nostro Cinema e i nostri eventi internazionali, quali strade impervie hanno scelto i curdi che, vivendo da sempre in diaspora, stanno sperimentando il Confederalismo democratico nel Rojava, nel nord della Siria, dove hanno mostrato di saper resistere da soli all’avanzata dell’integralismo islamico, salvando, con le armi in pugno, anche l’Europa da un imminente conflitto. E proprio ad Abdullah Ocalan, indiscusso leader curdo, recluso da 26 anni nella prigione turca dell’isola di Imre, abbiamo voluto dedicare il Festival di quest’anno, perché la sua dichiarazione di disarmo e scioglimento del PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi, apre le porte ad una nuova era che potrebbe segnare la fine di una catena di violenze, persecuzioni e guerre nel vicino Oriente e avviare un delicato dialogo col mondo arabo, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non è mai stato tentato. E questo potrebbe essere il preludio a un nuovo periodo di pace. Partiremo dunque dall’esame dell’appello lanciato da Ocalan il 25 febbraio 2025 per cercare nel senso delle sue parole di pace la via d’uscita di molti conflitti che hanno insanguinato l’ultimo secolo. E lo faremo discutendone con gli studenti delle scuole medie superiori di Napoli, gli universitari de L’Orientale, i loro docenti e tutti coloro che in questi ultimi mesi sono scesi in piazza per rifiutare la guerra e difendere le conquiste del Diritto internazionale davanti agli orrori compiuti dal governo israeliano, fiancheggiato dalla Casa Bianca, e alla strage voluta dai gruppi filoislamici di Hamas. La proposta di Ocalan fa riferimento a un modello sociopolitico innovativo, il Confederalismo Democratico, che, consapevole dei limiti storici del socialismo, risponde alle più moderne sfide poste dal capitalismo occidentale, approda ai principi democratici europei: un approccio concretamente realizzato nel nord della Siria, in quella regione del Kurdistan che conosciamo con il nome di Rojava. E di questa rivoluzione silenziosa il nostro cinema darà alcuni esempi nelle giornate del 18 e 19 novembre. Nell’indicare la strada del domani, quindi, Ocalan offre a tutta la regione orientale una mediazione tra l’estremismo radicale arabo e il sionismo dilagante, proponendo innanzitutto il disarmo e poi rilanciando il modello democratico e partecipativo e l’organizzazione dal basso delle piccole comunità che le politiche europee hanno sempre sostenuto e mai realizzato. La fermezza del popolo del deserto, i saharawi Non poteva mancare, nella nostra analisi, l’esame del caso saharawi, un popolo che da decenni lotta contro il furto della propria terra e del proprio mare a opera del governo marocchino. Un popolo diviso, anche fisicamente, dal muro più lungo del mondo dopo la Muraglia cinese e da un campo minato che conta milioni di ordigni disseminati sotto la sabbia del Sahara. Anche per i saharawi, il popolo del Sahara occidentale, la filosofia di pace è il motore primo della richiesta del riconoscimento della loro terra e delle loro tradizioni. Un modo diverso di affrontare l’apartheid imposto e sostenuto da Paesi come la Spagna e il Marocco, ha fatto sì che anche le loro carceri e i loro sistemi istituzionali fossero orientati a un’umanità diversa da quella dei loro invasori. Ben lo sanno tutti i comitati italiani di sostegno che sono fioriti nelle nostre regioni e offrono periodicamente ospitalità ai bambini saharawi, agli studenti e alle famiglie. La loro sopravvivenza è segnata profondamente dalla civiltà e dalla cultura di popolo antico che ha resistito alle invasioni coloniali dell’Ottocento e Novecento senza farsi sconvolgere, che ha tentato la scelta della resistenza pacifica e ha saputo maturare una saggezza che merita il nostro rispetto e il riconoscimento di un’identità forte e maestra che attende giustizia dagli altri popoli della terra e dall’Onu, che annuncia da decenni un referendum di autodeterminazione che non arriverà mai. Palestina libera! Infine come dimenticare i palestinesi, lo scippo della loro terra, la Nakba, l’apartheid imposto dall’occupazione israeliana dal 1967, l’Intifada degli anni 80 e del Duemila, il genocidio di questi ultimi anni che ha trucidato quasi centomila persone in 24 mesi, lasciandole insepolte sotto le macerie di Gaza, umiliando vivi e morti con sadiche procedure diffuse mediaticamente, uccidendo migliaia di civili indifesi, bombardando ospedali, schernendo e torturando i prigionieri politici, occultando i cadaveri per impedire il riconoscimento delle crudeltà loro inferte e, ultima beffa, l’aggressione sistematica ai contadini della Cisgiordania. A loro va il riconoscimento di essere le vittime più recenti di nazionalismi resuscitati dalla follia suprematista e l’ammirazione per avere resistito a mani nude nell’affermare che quella “terra promessa” pretesa dagli israeliani è soltanto una terra rubata che non fu mai negata a nessuno, ma andava condivisa e non doveva essere espropriata in nome di un dio pagano che avrebbe chiesto centinaia di migliaia di sacrifici umani. Anche per i palestinesi vale quello che è stato detto per i curdi e i saharawi: la loro strenua resistenza ci indica che nessun popolo lascerà seppellire la propria cultura, la memoria della propria civiltà, ma resisterà a oltranza all’invasione, al massacro e alle deportazioni, persino al genocidio che è in corso mentre scriviamo. Epilogo A nostro avviso, è tempo di riconoscere in queste resistenze umane il seme del domani, il valore immortale della dignità espressa dai più deboli in decenni di lotte, per affermare davanti alla Storia la solidarietà e il diritto alla vita negato da chi impone il proprio potere con arroganza e forza. È questa la strada tracciata dal nome della XVII edizione “Terre promesse, terre rubate, Popoli senza Pace”, perché l’impegno di creare una nuova Cultura di Pace passa da qui, ovvero dal riconoscimento a tutti i costi dei Diritti dell’altro, amico o nemico che sia. P.S. Cogliamo l’occasione per dire grazie ad alcune persone che ci hanno aiutato nella preparazione delle giornate di eventi internazionali di questo XVII Festival che si profila più complesso delle precedenti edizioni. Grazie pertanto a Patrizio Esposito, fotografo e intellettuale napoletano, a Mario Martone jr, filmaker da sempre vicino alle lotte dei saharawi, ad Alfio Nicotra, già copresidente della ong Un Ponte per, a Gianni Tognoni, storico segretario del Tribunale Permanente dei Popoli e a Ylmaz Orkan, dirigente dell’Ufficio Informazioni del Kurdistan in Italia per averci aiutato pazientemente a costruire percorsi di memoria e di elaborazione politica a conforto della nostra tesi. E grazie all’instancabile relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Palestina e i territori occupati Francesca Albanese, che non ci lesina mai un consiglio e un suggerimento cinematografico, nonostante le terribili tensioni a cui è sottoposta dall’attacco di smisurata violenza, di cui è obiettivo da anni, ad opera del movimento sionista internazionale e del governo degli Stati Uniti. Il XVII Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli comincerà l’11 novembre e si concluderà il 21 dello stesso mese e avrà come sedi principali lo Spazio Comunale Piazza Forcella in via della Vicaria Vecchia, 23, Napoli e l’Aula delle Mura Greche di palazzo Corigliano, sede dell’Università L’Orientale, in piazza San Domenico Maggiore, Napoli. Il programma della manifestazione sarà disponibile, a partire dal 5 novembre 2025, sul sito ufficiale della manifestazione www.cinenapolidiritti.it e sulle pagine social dello stesso Festival. Tutti gli eventi del Festival sono a ingresso libero e gratuito.   Redazione Napoli
Lunedì 4/10 h 20.30 – Presentazione nuovo dossier di “Sanitari per Gaza”
“Sanitari Per Gaza” presentano il loro ultimo dossier: “La deliberata distruzione del sistema sanitario a Gaza”. Il nuovo dossier di Sanitari per Gaza, sarà sempre sulla distruzione del sistema sanitario ma con un focus sulla salute delle donne, sulle malattie croniche e l’uso della fame come arma di guerra. h 20.30 Cena benefit popolo Saharawi A seguire presentazione dossier
“The Odyssey”: quando il cinema ignora l’occupazione ed i diritti del popolo saharawi
In questi giorni, la comunità internazionale ha assistito con crescente indignazione a un nuovo episodio di  violazione dei diritti del popolo saharawi anche questa volta passata in silenzio. Il film The Odyssey, diretto da Christopher Nolan e prodotto da Universal Pictures, è stato infatti girato per alcune scene nella città di Dakhla, parte del Sahara Occidentale occupato dal Marocco. Una scelta, come accadute in altre occasioni, che tende a normalizzare, sul grande schermo, una situazione di occupazione illegale e oppressione protrattasi per decenni. In risposta, il FiSahara – Festival Internazionale del Cinema nel Sahara Occidentale ha lanciato una forte iniziativa con un manifesto pubblico: un appello rivolto a registi, produttori, artisti e attivisti perché prendano posizione e denuncino questa complicità. Il manifesto, intitolato “The Odyssey: Reverse Course”, ha già raccolto l’adesione di oltre cento personalità del mondo culturale e dei diritti umani. Girare un film in territori occupati, senza il consenso dei legittimi rappresentanti del popolo colonizzato e, comunque, ignorando le risoluzioni dell’ONU e la diatriba in atto, è una forma indiretta di complicità con l’occupazione. Rendere “esotico” e attraente uno scenario di repressione, senza raccontarne il contesto, contribuisce alla cancellazione di intere storie di resistenza e sofferenza. Per questo il manifesto chiede: * Un riconoscimento pubblico dell’errore da parte di Nolan e Universal; * L’impegno a rimuovere le scene girate nel territorio occupato o ad acquisire il consenso delle autorità saharawi in esilio; * Un dialogo aperto con registi, attivisti e studenti saharawi, attraverso la partecipazione al FiSahara e ai progetti nei campi profughi. Il manifesto non è solo una denuncia: è un invito alla presa di coscienza collettiva. Tra i firmatari figurano nomi noti come Javier Bardem, Paul Laverty, David Riker, oltre a decine di filmmaker saharawi, studenti, giornalisti e associazioni. Tutti uniti dalla convinzione che l’arte non può essere neutrale di fronte all’ingiustizia. Il popolo saharawi attende da oltre 50 anni di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, sancito dalle Nazioni Unite. Oggi vive in condizioni durissime, tra esilio, repressione e sorveglianza costante. Dare voce a questo popolo significa resistere alla narrativa imposta dal potere e dal silenzio. A questo link  è possibile leggere il testo completo e firmare a nome personale, di associazione, ente o gruppo: l’occupazione non è un allestimento scenografico, non lasciamo che anche il cinema contribuisca a renderla invisibile. Paolo Mazzinghi
Giov 12/06 Serata benefit Saharawi + live Andrea Santalusia
Giovedi’ 12 giugno 2025 h 20: mostra fotografica “I prigioni” di Andrea Sawyerr Lotta e libertà del Popolo Saharawi. Nata da una idea di Andrea Sawyerr, l’esposizione ripropone in chiave metaforica (partendo dalle sculture I Prigioni di Michelangelo) la prigionia dei saharawi, delle loro menti, della loro dignità, del loro corpo nella sabbia di un deserto che li ha accolti, consegnato rifugio, calore e sicurezza ma che non è – a causa della politica internazionale – la loro casa, nazione, radici, tradizione e territorio. h 21: cena benefit popolazione Saharawi Per prenotazioni cena: 3201514649 __________________________________________ h 22: live di Andea Santalucia jazz, flamenco, poesia e musica elettronica https://linktr.ee/andrea.santalusia