“The Odyssey”: quando il cinema ignora l’occupazione ed i diritti del popolo saharawi
In questi giorni, la comunità internazionale ha assistito con crescente
indignazione a un nuovo episodio di violazione dei diritti del popolo saharawi
anche questa volta passata in silenzio. Il film The Odyssey, diretto da
Christopher Nolan e prodotto da Universal Pictures, è stato infatti girato per
alcune scene nella città di Dakhla, parte del Sahara Occidentale occupato dal
Marocco. Una scelta, come accadute in altre occasioni, che tende a normalizzare,
sul grande schermo, una situazione di occupazione illegale e oppressione
protrattasi per decenni.
In risposta, il FiSahara – Festival Internazionale del Cinema nel Sahara
Occidentale ha lanciato una forte iniziativa con un manifesto pubblico: un
appello rivolto a registi, produttori, artisti e attivisti perché prendano
posizione e denuncino questa complicità. Il manifesto, intitolato “The Odyssey:
Reverse Course”, ha già raccolto l’adesione di oltre cento personalità del mondo
culturale e dei diritti umani.
Girare un film in territori occupati, senza il consenso dei legittimi
rappresentanti del popolo colonizzato e, comunque, ignorando le risoluzioni
dell’ONU e la diatriba in atto, è una forma indiretta di complicità con
l’occupazione. Rendere “esotico” e attraente uno scenario di repressione, senza
raccontarne il contesto, contribuisce alla cancellazione di intere storie di
resistenza e sofferenza.
Per questo il manifesto chiede:
* Un riconoscimento pubblico dell’errore da parte di Nolan e Universal;
* L’impegno a rimuovere le scene girate nel territorio occupato o ad acquisire
il consenso delle autorità saharawi in esilio;
* Un dialogo aperto con registi, attivisti e studenti saharawi, attraverso la
partecipazione al FiSahara e ai progetti nei campi profughi.
Il manifesto non è solo una denuncia: è un invito alla presa di coscienza
collettiva. Tra i firmatari figurano nomi noti come Javier Bardem, Paul Laverty,
David Riker, oltre a decine di filmmaker saharawi, studenti, giornalisti e
associazioni. Tutti uniti dalla convinzione che l’arte non può essere neutrale
di fronte all’ingiustizia.
Il popolo saharawi attende da oltre 50 anni di esercitare il proprio diritto
all’autodeterminazione, sancito dalle Nazioni Unite. Oggi vive in condizioni
durissime, tra esilio, repressione e sorveglianza costante. Dare voce a questo
popolo significa resistere alla narrativa imposta dal potere e dal silenzio.
A questo link è possibile leggere il testo completo e firmare a nome personale,
di associazione, ente o gruppo: l’occupazione non è un allestimento
scenografico, non lasciamo che anche il cinema contribuisca a renderla
invisibile.
Paolo Mazzinghi