Tag - Gerusalemme

Peacewalk to Jerusalem – il cammino di pace più lungo del mondo
Partecipa per un giorno, una settimana, un mese, o per l’intera cammino dall’Europa a Al-Quds/Gerusalemme Connettiti al Peace Walk dall’Europa a Gerusalemme (2026-2027) e aiutaci a realizzarlo! La Peacewalk è un movimento che invita persone da tutto il mondo a camminare insieme in un comune appello alla pace e a scoprire cosa significhi la vera pace. Si tratta di un pellegrinaggio collettivo dai confini più remoti d’Europa ad Al-Quds/Gerusalemme, seguendo la famosa Via di Gerusalemme, il cammino di pace più lungo del mondo. Tutti possono partecipare per un’ora, un giorno o una settimana dell’intera camminata. Questo pellegrinaggio rappresenta un impegno per la pace attraverso esperienze e comprensioni condivise. Scopo e motivazione: l’iniziativa affronta il senso di impotenza di fronte alla terribile situazione in Palestina e Israele e alla divisione che essa causa in tutto il mondo. Le Peacewalk sono state nella storia la resistenza dei deboli. Questa Peacewalk mira a imparare dai costruttori di pace palestinesi e israeliani e a sostenere il loro lavoro allo stesso tempo. Inoltre, è un luogo in cui i cittadini di questo mondo si dedicano a imparare cosa significhi costruire la pace. Camminare insieme promuove il dialogo e la comprensione, consentendo ai partecipanti di riflettere, connettersi e apprendere l’essenziale lavoro di riconciliazione. Agli esperti verrà chiesto di condividere le lezioni apprese lungo il cammino. Se la guerra in Israele e Palestina può dividere il mondo, i costruttori di pace possono unirlo. Obiettivi 1. Promuovere la pace: dimostrare l’azione non violenta e il dialogo come strumenti di risoluzione dei conflitti. 2. Creare connessioni: unire costruttori di pace, leader della comunità e partecipanti. 3. Sensibilizzare: evidenziare la necessità di processi sostenibili di giustizia e pace. 4. Promuovere l’apprendimento: interagire con esperti, artisti e attivisti attraverso discussioni e conferenze. Caratteristiche principali ● Un festival della pace lungo un anno: musica, eventi, incontri lungo il percorso! ● Una scuola della pace lunga un anno: incontri con costruttori di pace e leader della riconciliazione. ● Una raccolta fondi lunga un anno: raccogliere fondi per gli sforzi di pace tra palestinesi e israeliani. ● Chiamata all’azione ● Investire nella pace: impegnarsi per la riconciliazione e la diplomazia. ● Riconoscere le voci locali: sostenere gli sforzi di pace dal basso. ● Praticare la Pace: la costruzione della pace è un’abilità che si può apprendere. Ispirazione e Visione Ispirata da sostenitori della pace come Maoz Inon e Aziz Abu Sarah, Hamze Awawde e Magen Inon, Women of the Sun e Women Wage Peace, e da iniziative come la Marcia Civile per Aleppo e le proteste silenziose francesi, nonché le Marce Civili di Martin Luther King. Logistica ● Percorso: vari punti di partenza in tutta Europa, tutti lungo la Via di Gerusalemme (jerusalemway.org), che culmina a Gerusalemme. ● Ritmo: 15-25 km al giorno per l’accessibilità. ● Auto-organizzazione: ogni camminatore è un pellegrino, responsabile del proprio percorso, supportato dai team nazionali e dagli altri camminatori. ● Collaborazioni: La Peacewalk è promossa da Stichting PopUpWerk (guidata da Rikko Voorberg), dal team JERUSALEMWAY (guidato da Johannes Aschauer) e dal team Glocalspirit. Abbiamo ricevuto questo appello, e pensato di inserire nel percorso anche Trieste. L’input è arrivato da oltre confine … Un primo Peace Walk è giunto in città da Fiume in Croazia nel 2024, da qui è giunto fino Lubiana da dove è ripartito per Fiume. Quindi è arrivata la proposta di Rikko un attivista olandese, ispirata alle coraggiose attività per la pace e la dignità attuate in Palestina, Israele e tutto il mondo: camminare di villaggio in villaggio per migliaia di chilometri fino ad Al-Quds (la città santa in arabo) o Yerushalayim (città della pace in ebraico). Ispirazione giunta sia prima che durante grandi iniziative nonviolente di opposizione al genocidio come la Freedom Sumud Flotilla, che ha creato una fervente ondata di opposizione alla guerra. Di qui è iniziata la messa in opera di un tratto del Peace Walk to Jerusalem nell’area di Alpe Adria; ipotizzando un percorso che da Lubiana, o fors’anche dall’Austria conduca a Trieste, a Koper-Capodistria e Fiume-Rijeka, proseguendo per Mrkopalj dove trent’anni fa nacque la Scuola di pace in tempo di guerra, per Bihač punto di passaggio dei migranti nella Rotta balcanica, fino alla multietnica Sarajevo, dove congiungersi coi camminanti del resto del continente. Nei Balcani alla ricerca della pace interiore, della riconciliazione nella comunità, della partecipazione agli sforzi politici per la pace camminando insieme, offrendo e ricevendo ospitalità e promuovendo iniziative sulla via di pellegrinaggio più lunga del mondo. Ricordando le migliaia di italiani attivatisi verso i Balcani trent’anni fa abbiamo pensato di proporre un tratto italiano del Peace Walk – che negli auspici potrebbe collegarsi a quello franco-spagnolo – iniziando dal coinvolgere il coordinamento della Marcia Mondiale per la pace e la nonviolenza le cui attività del 2026 sono contigue al Peace Walk to Jerusalem. Siamo coscienti che i territori da attraversare sono altamente problematici; basta pensare al Kosovo, parti della Turchia e soprattutto Siria. Sappiamo che Israele potrebbe impedire di raggiungere Gerusalemme. E confidiamo nella continuazione della mobilitazione popolare in corso per riuscire ad affrontare tutte queste situazioni. Qui il link al sito del Peace Walk to Jerusalem in lingua inglese per maggiori informazioni https://peacewalk.info Nell’immagine sopra la mappa con la scansione temporale delle partenze finora previste. Alessandro Capuzzo Redazione Friuli Venezia Giulia
Israele approva l’espansione illegale degli insediamenti coloniali a Gerusalemme Est
Gerusalemme/al-Quds – Al Mayadeen. Israele ha approvato la costruzione di 1.300 nuove unità abitative nel blocco di Gush Etzion, a sud di Gerusalemme/al-Quds Est, in quella che segna un’altra importante escalation nell’espansione illegale degli insediamenti in tutta la Cisgiordania occupata. Secondo l’agenzia israeliana Channel 14, la decisione è stata approvata all’unanimità all’inizio di questa settimana dal Comitato Speciale per la Pianificazione e l’Edilizia che sovrintende agli insediamenti di Gush Etzion, con particolare attenzione al quartiere di Har HaRusim, situato vicino all’insediamento di Alon Shvut, a sud-ovest di al-Quds/Gerusalemme Est. Il piano prevede non solo alloggi, ma anche la costruzione di scuole, strutture pubbliche, parchi e un importante centro commerciale destinato a servire gli insediamenti limitrofi. Il Consiglio Regionale di Gush Etzion ha accolto con favore la decisione come una risposta alla crescente domanda di insediamento da parte dei coloni nella zona. L’annuncio arriva pochi giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha respinto le preoccupazioni sulle azioni di “Israele” in Cisgiordania, affermando: “Non preoccupatevi per la Cisgiordania. Israele non farà nulla con la Cisgiordania”, durante una conferenza stampa del 24 ottobre. Le dichiarazioni di Trump sono arrivate mentre la Knesset israeliana approvava in via preliminare due progetti di legge volti ad annettere la Cisgiordania occupata e il blocco di insediamenti di Ma’ale Adumim. Tali misure isolerebbero al-Quds/Gerusalemme Est dai suoi dintorni palestinesi e dividerebbero la Cisgiordania in due regioni separate, minando la possibilità di uno stato palestinese contiguo. Spinta sugli insediamenti in vista delle elezioni. Martedì, Yedioth Ahronoth ha riferito che il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha accelerato la costruzione di insediamenti e l’esproprio di terreni in Cisgiordania, con l’obiettivo di stabilire “fatti sul campo” irreversibili prima delle elezioni della Knesset del prossimo anno. Dal ritorno del governo del primo ministro Benjamin Netanyahu, alla fine del 2022, “Israele” ha avanzato piani per circa 48.000 unità di insediamento, con una media di 17.000 unità all’anno, un ritmo mai visto nelle precedenti amministrazioni. Ad agosto, l’occupazione ha approvato il controverso piano di insediamento E1, che prevede la costruzione di 3.400 unità vicino a Ma’ale Adumim. I critici avvertono che l’E1 separerebbe la Cisgiordania settentrionale e meridionale, isolando ulteriormente al-Quds/Gerusalemme orientale e infliggendo quello che molti considerano il colpo di grazia alla già compromessa soluzione dei due stati. Le Nazioni Unite e un ampio consenso internazionale hanno ripetutamente affermato che gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati sono illegali ai sensi del diritto internazionale, in particolare della Quarta Convenzione di Ginevra. Inoltre, l’organizzazione per i diritti umani Peace Now ha descritto il piano E1 come un “colpo fatale” per lo Stato palestinese, osservando che la sua attuazione renderebbe quasi impossibile la creazione di uno Stato palestinese sostenibile. Inoltre, i palestinesi insistono sul fatto che al-Quds Est sia la capitale del loro futuro Stato, sulla base di risoluzioni internazionali che respingono la legittimità dell’occupazione israeliana del 1967 e della sua annessione della città nel 1980. Il piano E1 di “Israele” si riferisce a un progetto di sviluppo in Cisgiordania, dove il governo israeliano intende costruire migliaia di unità abitative e infrastrutture su un tratto di terreno di 12 chilometri quadrati noto come E1, adiacente all’insediamento di Ma’ale Adumim, appena a est di al-Quds occupata. La proposta, ripresa e avanzata nel 2025, mira a collegare più strettamente Ma’ale Adumim ad al-Quds/Gerusalemme occupata, circondando al contempo la Città con insediamenti residenziali, industriali e commerciali israeliani. Traduzione per InfoPal di F.F.
Israele si muove per sottrarre il quartiere di Sheikh Jarrah nella Gerusalemme Est occupata
Gerusalemme occupata – MEMO. Il governo israeliano ha adottato nuove misure per affermare il proprio controllo sul quartiere di Sheikh Jarrah, nella Gerusalemme Est occupata, e sfrattare i residenti palestinesi, ha dichiarato mercoledì un’organizzazione israeliana, secondo quanto riportato da Anadolu. In un rapporto intitolato “Strangolare Sheikh Jarrah: nuovi strumenti per il controllo israeliano e lo sfratto dei palestinesi”, l’organizzazione Ir Amim ha affermato che il governo israeliano è entrato in una “nuova e pericolosa fase” nei suoi tentativi di dominare uno dei quartieri più simbolici di Gerusalemme Est. “Israele sta ora utilizzando strumenti legali, urbanistici e amministrativi senza precedenti per raggiungere lo stesso obiettivo: sfrattare i residenti palestinesi e consolidare la presenza degli insediamenti nel cuore del quartiere”, ha affermato. Tra queste misure, il rapporto cita “progetti di riqualificazione urbana su larga scala, tra cui circa 2.000 unità abitative per coloni israeliani illegali, escludendo completamente i residenti palestinesi”. Ha inoltre rilevato “gli sforzi di registrazione dei terreni in alcuni appezzamenti, consentendo agli enti governativi e ai coloni di registrarli a loro nome, nonché la confisca e la riassegnazione di spazi pubblici a istituzioni religiose ebraiche e progetti nazional-religiosi”. Ir Amim ha definito questi meccanismi una “strategia coordinata per trasformare Sheikh Jarrah da un vivace quartiere palestinese in un’area frammentata dominata dagli insediamenti israeliani”. Sfollamento palestinese. Il ricercatore israeliano Aviv Tatarsky di Ir Amim ha affermato che le misure governative fanno parte degli sforzi di Tel Aviv per affermare il proprio controllo sul quartiere. “Ciò a cui stiamo assistendo a Sheikh Jarrah rappresenta una nuova fase negli sforzi di Israele per consolidare il controllo su Gerusalemme Est”, ha affermato. “Dopo anni di tentativi falliti da parte dei gruppi di coloni di sfrattare i residenti, Israele stesso ora guida gli sforzi utilizzando nuovi strumenti legali, amministrativi e di pianificazione per consolidare la presenza israeliana e spingere i palestinesi ad andarsene. “Ciò che sta accadendo a Sheikh Jarrah non si limita a un solo quartiere; riflette una politica governativa volta a rimodellare l’intera città”. Organizzazioni di coloni sostenute dal governo stanno cercando di sfrattare centinaia di palestinesi dalle case in cui hanno vissuto dagli anni ’50. I coloni sostengono che la terra appartenesse a ebrei prima del 1948, cosa che i residenti palestinesi negano. Negli ultimi anni, coloni illegali hanno sequestrato case nel quartiere di Sheikh Jarrah e continuano a cercare ulteriori proprietà per fondare insediamenti. Per i palestinesi, Gerusalemme Est è la capitale di un futuro stato palestinese, mentre Israele sostiene, illegalmente, che l’intera città sia la sua capitale. Le misure di Sheikh Jarrah fanno parte di una più ampia ondata di escalation israeliana nella Cisgiordania occupata, dove negli ultimi due anni sono stati uccisi 1.062 palestinesi, circa 10.000 sono stati feriti e oltre 20.000 arrestati, tra cui 1.600 bambini. In una storica sentenza dello scorso luglio, la Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato illegale l’occupazione israeliana del territorio palestinese e ha chiesto l’evacuazione di tutti gli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
Centinaia di coloni hanno profanato la Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme
Gerusalemme Occupata – PIC. Giovedì mattina, decine di coloni estremisti hanno profanato il complesso della Moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme Occupata, sotto la stretta sorveglianza della polizia. Fonti locali hanno riferito che 1.140 coloni ebrei estremisti hanno preso d’assalto la Moschea di Al-Aqsa, la mattina del terzo giorno della festività di Sukkot. Secondo fonti dei media gerosolimitani, decine di coloni si sono esibiti in danze e canti alle porte della Moschea di Al-Aqsa e nella zona orientale del luogo sacro. La polizia d’occupazione israeliana ha continuato anche oggi ad adottare ampie misure di sicurezza intorno al luogo sacro islamico e nella Città Vecchia di Gerusalemme, con un gran numero di forze a protezione delle violazioni dei coloni. Gli agenti israeliani hanno scortato i coloni mentre si muovevano nei cortili della Moschea, creando un’atmosfera di tensione in un luogo storicamente sensibile come Gerusalemme Est. Nel frattempo, ai fedeli musulmani è stato negato l’accesso al loro luogo sacro islamico durante i tour dei coloni, mentre molti altri non hanno potuto entrare nella città santa o muoversi per le sue strade. Mercoledì, oltre 1.300 coloni hanno invaso i cortili della moschea di al-Aqsa, la mattina del secondo giorno della festività di Sukkot.
Gruppi del Tempio invocano incursioni di massa alla Moschea di al-Aqsa durante la festa ebraica
Gerusalemme/al-Quds. Decine di coloni israeliani hanno preso d’assalto i cortili della Moschea di al-Aqsa, martedì, mentre i “gruppi del Tempio”, estremisti che operano sotto la cosiddetta Unione delle Organizzazioni del Tempio, hanno esortato i loro sostenitori a unirsi alle incursioni di massa di lunedì prossimo per celebrare la festa ebraica di Sukkot. Fonti locali hanno riferito che i coloni sono entrati nella Moschea di al-Aqsa dalla Porta al-Maghariba, sotto la stretta protezione delle forze di polizia di occupazione israeliane. Hanno compiuto visite provocatorie e celebrato riti all’interno del complesso. I gruppi hanno annunciato che le incursioni pianificate sarebbero continuate per un’intera settimana, a partire dal 6 ottobre. Per aumentare l’affluenza, hanno promesso il trasporto gratuito per bambini e coloni, con l’obiettivo di battere i precedenti record di partecipazione. Queste incursioni rientrano nei continui tentativi dei “gruppi del tempio” di giudaizzare la moschea di al-Aqsa sfruttando le occasioni religiose ebraiche. La portata di queste provocazioni aumenta tradizionalmente durante le festività ebraiche, con sforzi organizzati per imporre rituali e promuovere piani per la divisione temporale e spaziale del luogo sacro. I coloni continuano a prendere d’assalto la Moschea ogni giorno, tranne il venerdì e il sabato, attraverso la Porta al-Maghariba. Il numero di invasori aumenta in genere durante le festività, intensificando le violazioni della sacralità della Moschea. Allo stesso tempo, crescono le richieste palestinesi di mobilitazione di massa, presenza costante e protezione del luogo sacro islamico per contrastare i piani dei coloni. (Fonti: PIC, Quds News Telegram).
Coloni assaltano la moschea di al-Aqsa cantando e battendo le mani per il Capodanno ebraico
Gerusalemme Occupata – PIC. Decine di coloni israeliani hanno assaltato la moschea di al-Aqsa, martedì mattina, sotto la stretta protezione della polizia di occupazione israeliana, e hanno tenuto comportamenti provocatori, tra cui applausi e canti collettivi, mentre si aggiravano nei cortili del luogo sacro. Secondo fonti palestinesi nella Gerusalemme occupata, l’incursione ha coinciso con il primo giorno del cosiddetto Capodanno ebraico. Tra i partecipanti c’era l’ex membro di estrema destra della Knesset Yehuda Glick, che è entrato ad al-Aqsa vestito con i tradizionali abiti della Torah, scortato da agenti di polizia. I gruppi estremisti del Tempio sfruttano abitualmente le festività ebraiche e le occasioni religiose per intensificare le incursioni nel complesso della moschea di al-Aqsa. Questi gruppi mirano a imporre rituali talmudici all’interno del sito, mentre le autorità di occupazione israeliane intensificano le restrizioni di sicurezza per i palestinesi all’interno e nei dintorni della Città Vecchia, limitando severamente l’accesso dei fedeli. Negli ultimi anni, i movimenti dei coloni hanno mobilitato un gran numero di persone nel tentativo di stabilire dei “record” di incursioni nella Moschea, una tattica che i palestinesi avvertono essere parte di un tentativo sistematico di giudaizzare il complesso e di eroderne l’identità islamica. Questa spinta fa parte di una strategia più ampia per alterare il carattere storico e religioso di Gerusalemme, minare la sovranità islamica su al-Aqsa e aprire la strada a ulteriori violazioni del suo status sacro. La Moschea è teatro di incursioni quasi quotidiane da parte dei coloni, tranne il venerdì e il sabato. Queste incursioni avvengono in gruppo durante le ore del mattino e del pomeriggio, sempre sotto la protezione della polizia, in quello che i palestinesi definiscono un tentativo deliberato di imporre una divisione temporale e spaziale nel luogo sacro.
Donald Trump e l’egemonia culturale a Gerusalemme
La figura di Donald Trump è il simbolo dell’espansionismo israeliano a Gerusalemme, attraverso azioni culturali che rafforzano l’egemonia statunitense nella vita quotidiana della città. E’ il 26 febbraio 2025 quando sugli account del neoeletto presidente Donald Trump appare un video generato dall’intelligenza artificiale ritraente una versione distopica della Striscia di Gaza, con resort fronte mare in pieno stile statunitense, bambini divertiti dai palloncini a forma di Trump e statue dorate del presidente americano. Soprassedendo sul clamore che il video ha suscitato nel dibattito pubblico internazionale -al contrario delle migliaia di video di Gaza (reali!) che da mesi circolano sui social- vale la pena soffermarsi sul ruolo giocato dal capo della Casa Bianca nelle mire espansionistiche di Israele oltre i propri confini. A ben vedere, agli occhi della classe politica e della società civile dello Stato ebraico – anche quella meno irredentista  – Donald Trump gode di una sorta di status di “garante delle occupazioni” fin dal suo primo mandato, durante il quale gli sono state perfino intitolate delle colonie nelle alture del Golan. Oltre che nella Striscia di Gaza e nel sud-ovest della Siria, la figura di Trump è entrata di diritto anche nello storico contenzioso fra l’Autorità Nazionale Palestinese e Israele per il possesso di Gerusalemme, grazie ad azioni inedite come lo spostamento dell’ambasciata americana nella città santa e la designazione di Gerusalemme come capitale di Israele nel celebre “Peace for prosperity plan” del 2020. Nonostante ciò, l’importanza del leader repubblicano nel contesto di Gerusalemme non può essere ridotta alle sole azioni politiche e diplomatiche, che sono simultaneamente causa ed effetto dell’egemonia culturale che il tycoon statunitense impartisce sulla città. Stuart Hall definisce tale egemonia come lo sfruttamento delle pratiche culturali – film, sport, celebrazioni nazionali e musei – per costruire un consenso spontaneo nell’elettorato. Alcuni casi di egemonia culturale nella rappresentazione di Trump a Gerusalemme sono Piazza Donald Trump, la Stazione Donald Trump, il Beitar Jerusalem e il Mikdash Educational Center, attraverso i quali l’immagine del magnate newyorkese esce dai palazzi del potere e popola le strade e la quotidianità di Gerusalemme. Il primo caso è Piazza Donald Trump, creata il 3 luglio 2019nel quadrante sud-est di Gerusalemme, vicino alla “nuova” ambasciata americana. In quell’occasione, l’allora sindaco Nir Barkat rilasciò la seguente dichiarazione: “Il presidente Trump ha deciso di riconoscere Gerusalemme come capitale del popolo ebraico, di schierarsi dalla parte della verità e di fare la cosa giusta”. Nonostante non sia mai stato ufficialmente adottato, il nome della piazza viene informalmente utilizzato, richiamando l’analoga piazza di Tel Aviv. Il secondo caso è la Stazione Donald Trump, un progetto della città di Gerusalemme annunciato nel 2019 dal Ministro dei Trasporti Yisrael Katz come ringraziamento per “aver riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele”. La mitizzazione di Donald Trump però, non trova la propria raison d’etre solamente in progetti istituzionali, ma anche la stessa società civile israeliana dimostra da sempre una certa affezione per il presidente statunitense. Il caso più eclatante è la squadra di calcio del Beitar Gerusalemme, da sempre oggetto di controversie in tema di islamofobia (è l’unica squadra israeliana a non aver mai ingaggiato calciatori arabi). Eli Tabib, all’epoca proprietario del club, decise nel 2018 di cambiare il nome della squadra da Beitar Gerusalemme a “Beitar Trump Gerusalemme” per “onorare il presidente americano per il suo affetto e sostegno”, come dichiarato in un comunicato diffuso sulle pagine social ufficiali della squadra. Ancora oggi è facile imbattersi in articoli di merchandising online che accostano il nome di Donald Trump e quello de “la familia”, storico gruppo di supporter gerosolimitani vicini al sionismo revisionista e all’estrema destra israeliana. L’ultimo caso è il Mikdash Educational Center, un’organizzazione educativa e religiosa no-profit che nel 2018 ha coniato una moneta da collezione raffigurante il volto di Donald Trump e quello del re Ciro II di Persia (detto il Grande). Il paragone fra i due, già promosso da altre figure chiave dell’espansionismo israeliano come Benjamin Netanyahu, richiama la costruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, legittimando il controllo dello Stato ebraico sulla città attraverso la connessione biblica con la sedicente terra d’Israele. Da questi elementi appare dunque chiaro come le speculazioni geopolitiche non possano esaurire il discorso sulle occupazioni israeliane. L’espansionismo di Tel Aviv – iniziato all’indomani della Guerra dei sei giorni e mai affievolitosi, nemmeno durante la stagione di Oslo –  non è solo frutto delle scelte politiche della Knesset, ma rappresenta anche un sentimento radicato nel tessuto sociale israeliano ed espresso attraverso l’istruzione, lo sport e altre manifestazioni culturali. La presenza capillare della figura di Donald Trump nella quotidianità di Gerusalemme rappresenta un esempio interessante, elevando la portata coloniale delle politiche estere israeliane e statunitensi. Se l’intitolazione di piazze, stazioni, squadre sportive e monete da collezione può sembrare parte del progetto di Hasbara (diplomazia pubblica), promosso da Israele per presentarsi al mondo come partner statunitense, appare chiaro come la società israeliana stessa subisca il fascino di Washington in una sorta di “mimesi” bhabhiana, ovvero il fenomeno per cui i colonizzati tendono a replicare le pratiche dei colonizzatori. Per dare un senso al non plus ultra della violenza raggiunto negli ultimi mesi a Gaza e nei territori occupati della Cisgiordania (e Gerusalemme Est), bisogna confrontarsi anche con la forza egemonica che Donald Trump esercita sulla società israeliana: se è vero che nel video pubblicato dal presidente repubblicano a “Trump Gaza” sono presenti gadget, statue e palloncini a forma di Trump, vale la pena ricordare che a pochi chilometri da quel luogo martoriato esiste già una “Trump Jerusalem” le cui piazze e squadre sportive portano il nome del presidente degli Stati Uniti, quasi a riaffermare il fatto che l’americanizzazione della Striscia di Gaza deve prima passare per l’americanizzazione di Israele. Redazione Italia
Gerusalemme capitale di Israele e altre menzogne dei manuali scolastici
Tra pochi giorni le e gli studenti e le studentesse di tutta Italia torneranno sui banchi, mentre le/i docenti sono pronte/i a riprendere il loro posto in aula, ma mai come in questo momento è necessaria non solo una riflessione critica sui manuali (in particolare di storia) proposti nelle scuole, ma soprattutto un lavoro di costante monitoraggio sui contenuti spesso ambigui, quando non palesemente scorretti, circa la situazione in quell’area di mondo che in troppi continuano a definire Medio Oriente. Si potrebbe cominciare da qui, come suggerisce, sulla scorta di Edward Said, Michele Lucivero (in un articolo pubblicato su www.pressenza.it), a decolonizzare il linguaggio della manualistica o, quantomeno, a rendersi conto di quanto imbevuto di pensiero spesso inconsapevolmente colonialista sia il linguaggio mainstream. Sarebbe questo un primo passo doveroso, ma certamente insufficiente oggi, nel momento in cui, come lo stesso Lucivero sottolinea (in un articolo pubblicato su www.jacobinitalia.it), proprio il manuale più soddisfacente dal punto di vista di una narrazione storica non “marcatamente colonialista” è stato (non a caso!) oggetto di segnalazione da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito. Trame del tempo, il manuale di storia edito da Laterza di cui sono autori Ciccopiedi, Colombi, Greppi e Meotto, è stato infatti accusato di aver stabilito una indebita continuità storica tra fascismo e governo Meloni. Il caso non è che l’ultimo di una serie di interventi di carattere censorio che da parte di Governo e Ministero dell’Istruzione stanno sempre più frequentemente attentando alla libertà di ricerca e di insegnamento. Sulla base di questa lunga ma necessaria premessa è quindi importante leggere l’articolo uscito su “il Manifesto” del 29 agosto 2025 (https://ilmanifesto.it/loccupazione-israeliana-nei-libri-scolastici-italiani), in cui l’autrice Eliana Riva ricostruisce il lavoro della rete Docenti per Gaza, che grazie a uno scrupoloso monitoraggio dei manuali italiani ha messo il evidenza il fatto che «nelle nostre scuole Gerusalemme viene sempre indicata come capitale di Israele e che i territori palestinesi occupati sono a volte inseriti all’interno dello stato ebraico». La rete ha dato mandato all’avvocato Dario Rossi di chiedere rettifica alle case editrici, che spesso indicano la questione semplicemente come “controversa” o descrivono territori illegalmente occupati come “oggetto di contesa”. Il punto di vista prevalentemente adottato dalla manualistica è quello israeliano, implicitamente avallandone le gravissime violazioni del diritto internazionale e contribuendo, sotto traccia, a diffondere una versione non solo unilaterale, ma francamente criminale della questione palestinese, spesso con la scusa di “rendere comprensibile una materia complessa”. Le risposte delle case editrici hanno solo parzialmente soddisfatto le richieste di rettifica, a conferma di quanto sia necessario oggi più che mai un paziente ma capillare lavoro culturale che deve partire proprio dalla denuncia di quelli che solo a un occhio ingenuo possono apparire semplici errori o imprecisioni. Il diritto internazionale è chiaro a riguardo: Gerusalemme non è la capitale di Israele e gran parte della Palestina è illegalmente occupata da Israele. Fino a che non si chiariranno in modo inequivocabile almeno queste premesse, sarà necessario condurre un lavoro culturale e di formazione che infatti sempre più docenti sentono necessario: l’iniziativa della Scuola per la Pace di Torino e Piemonte “Nello specchio di Gaza” (clicca qui per il progetto) rappresenta a tale proposito un importante tassello per contribuire alla crescita di una cultura antirazzista e colonialista. Anche questo è politica, anche questo è militanza, anche questo è accompagnare la navigazione della Global Sumud Flotilla e affiancarne, da terra, da dietro la cattedra, facendo cultura, la missione. A questo proposito segnaliamo che la campagna continua e che Docenti per Gaza raccoglie segnalazioni: https://www.instagram.com/docenti.per.gaza/p/DFNSJxNOX7h/?img_index=4 Irene Carnazza, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Torino
Coloni israeliani illegali prendono d’assalto la Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme
Gerusalemme occupata. Decine di coloni israeliani illegali hanno fatto irruzione mercoledì mattina nel complesso della Moschea di Al-Aqsa, nella Gerusalemme Est occupata, hanno riferito i media locali. I coloni hanno visitato il complesso ed eseguito rituali talmudici sotto la protezione della polizia israeliana, ha riportato l’agenzia di stampa ufficiale Wafa. L’incursione dei coloni è avvenuta in mezzo a crescenti tensioni in tutta la Cisgiordania occupata a causa della brutale offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza, dove quasi 63.000 palestinesi sono stati uccisi dall’ottobre 2023. La Moschea di Al-Aqsa è il terzo luogo più sacro al mondo per i musulmani. Gli ebrei chiamano l’area Monte del Tempio, sostenendo che fosse il sito di due templi ebraici nell’antichità. Israele ha occupato Gerusalemme Est, dove si trova Al-Aqsa, durante la guerra arabo-israeliana del 1967. Ha annesso l’intera città nel 1980, in una mossa mai riconosciuta dalla comunità internazionale. (Fonti: MEMO, Anadolu, Wafa).
Notizie dal Medio Oriente
Gaza Gli occupanti israeliani hanno compiuto nella notte centinaia di demolizioni con la dinamite nei quartieri di Sabra e Zeitoun di Gaza città e a Jebalia. L’obiettivo è di svuotare il capoluogo della sua popolazione. I proclami che ordinano lo sfollamento vengono ripetuti con lanci di volantini e con altoparlanti sui droni. Artiglieria e aereonautica militare completano l’opera di sterminio dei civili. 51 sono stati uccisi stamattina fino al momento in cui scriviamo (08:15). Il capo di stato maggiore israeliano Zamir è favorevole ad uno scambio di prigionieri. La sua preoccupazione non è la morte dei civili palestinesi, ma la vita dei 50 ostaggi israeliani in mano a Hamas: “C’è la certezza che i miliziani che custodiscono gli ostaggi cercheranno di ucciderli e suicidarsi, nel momento del nostro avvicinamento ai loro nascondigli nei tunnel. Sarà possibile la ripresa delle operazioni militari dopo la conclusione della tregua temporanea”. Netanyahu è deciso ad andare avanti nella carneficina e nell’uso della fame come arma di guerra. “L’operazione militare per l’occupazione di Gaza va avanti e tratteremo alle nostre condizioni”. Infatti è passata una settimana dalla risposta affermativa di accettazione da parte di Hamas della proposta dei mediatori, ma il ricercato per crimini di guerra non si è pronunciato né per il sì, né per il no. E nessuna diplomazia lo ha incalzato. La stampa israeliana parla di opzioni diverse per i mediatori e cita emirati o una capitale europea. Un modo per scaricare il lavoro di Doha e Il Cairo, umiliate dalla mancata risposta di Tel Aviv. La linea imposta da Netanyahu, Smotrich e Bin Gvir per la fine delle operazioni militari è “il rilascio di tutti gli ostaggi, la resa dei Hamas e l’occupazione della Striscia”. Negli ospedali di Gaza sono arrivati ieri 64 civili uccisi e 278 feriti. Ieri sono morti 8 persone per fame, tra loro 2 bambini al di sotto dei 5 anni. Non hanno scosso le loro coscienze neanche i milioni di manifestanti che sono scesi in tutto il mondo, da Tokio a Seul, da Nouakchout a Istanbul, per dire no al genocidio. Immagini dall’Australia: Guarda. Cisgiordania Continuano le operazioni militari contro la popolazione civile in Cisgiordania da parte dell’esercito di occupazione. La linea di Tel Aviv è la cancellazione di tutti i campi profughi e la presenza dell’Onu a protezione dei profughi e del loro diritto al ritorno. Deportazione strisciante con la demolizione delle case. A Jenin sono oltre mille gli edifici rasi a terra in 7 mesi di aggressione, iniziata il 21 gennaio scorso. Il totale dei deportati fuori dai campi profughi di Jenin e Tulkarem supera i 50 mila civili. Sono ospitati “temporaneamente” in strutture collettive messe a disposizione dell’ANP in altre città della Cisgiordania o da parenti. L’altra linea di attacco del colonialismo israeliano in Palestina è l’appropriazione dei luoghi di culto. A Nablus, a el-Khalil, ma soprattutto a Gerusalemme est, esercito e coloni agiscono di concerto per l’occupazione delle moschee islamiche. Migliaia di coloni stanno affluendo in queste ore nella moschea di Al-Aqsa per le cerimonie del capodanno ebraico. La moschea viene rinominata con il nome di Monte del Tempio, col sogno di ricostruirlo dopo la distruzione della moschea, terzo luogo sacro per un miliardo e mezzo di musulmani. Jude Shalabi salvo dalla lapidazione Il papà Bassam ci ha mandato un vocale di Jude registrato durante la festa per i suoi 5 anni, ieri 24 agosto. “Sto festeggiando. Ci sono mia sorellina e tutti i cugini. Ho ricevuto tanti regali e la mamma ha fatto una bella torta, dolcissima. Grazie a Dio, ogni giorno”. Abbiamo pubblicato ieri un’intervista video realizzata da Anbamed con suo padre sull’aggressione dei coloni al posto di blocco dell’esercito di occupazione israeliano lungo la strada Nablus-Tulkarem e il lancio di pietre che ha distrutto l’auto, rotto il vetro e causato la frattura del cranio al bambino. Yemen 40 caccia israeliani hanno attaccato 18 obiettivi in Yemen, compreso il palazzo presidenziale a Sanaa. Netanyahu intende ripetere in Yemen ciò che ha compiuto in Libano, ma non sembra che stia ottenendo gli stessi risultati, malgrado la potenza di fuoco messa in campo. Nei giorni scorsi, gli Houthi avevano lanciato sul territorio israeliano un missile balistico a testate multiple che non è stato possibile intercettare e ha colpito diversi obiettivi nella zona di Tel Aviv causando la chiusura dell’aeroporto. Solidarietà di artisti con Gaza L’altra sera, davanti a 150.000 persone e in diretta su Rai3, è accaduto un fatto bellissimo, emozionante. Durante la Notte della Taranta, l’artista Alessandra Caiulo ha cantato “La furtuna”, un brano profondo, toccante, che parla di chi attraversa il mare in cerca di speranza, di un futuro migliore, ma che invece trova la morte. Poi Alessandra ha fatto una cosa ancora più potente: ha rotto il silenzio. Con una dedica che è un grido politico e umano: “Fortuna è avere un domani. A Gaza, i bambini un domani non ce l’hanno. Gaza è un pianto che non si asciuga, un campo senza mani, una scuola senza bambini. In questo pianto ci anneghiamo tutti. Salviamo Gaza!”. Alessandra ha avuto la sensibilità di usare il palco più popolare del Sud per i bambini palestinesi. Solidarietà in Italia con la Palestina Da Catania e Siracusa il 4 settembre salperanno le barche e le navi per portare aiuti umanitari a Gaza. Sono programmate una grande manifestazione per il 3 pomeriggio e un raduno per il 4 per salutare gli equipaggi. I sanitari prendono una chiara posizione contro il genocidio. “Il nostro obiettivo, come Sanitari per Gaza, è far prendere posizione a tutte le Istituzioni contro il genocidio in corso e boicottarne ogni forma di complicità. Perché fermi il genocidio, Israele dovrà percepire l’isolamento e la pressione politica ed economica da parte della comunità internazionale”. Ogni giorno in piazza del Duomo di Milano, dal 16 giugno, si tiene un flash-mob silenzioso con lettura di poesie contro il genocidio compiuto da Israele a Gaza. Sciopero della fame a staffetta contro il genocidio Sono passati 101 giorni dall’inizio del Digiuno x Gaza, l’iniziativa lanciata a maggio da Anbamed. Oggi, lunedì 25 agosto, prosegue incessantemente per la 101a giornata l’azione nonviolenta di sciopero della fame 24h a staffetta. La solidarietà non dorme. Si mobilita anche in tempo di vacanze. Continueremo la campagna di sciopero della fame 24H a staffetta fino alla fine definitiva della guerra contro la popolazione di Gaza. L’azione continuerà nei prossimi giorni con la partecipazione di altri gruppi. Gli iscritti sono tantissimi e, secondo le disponibilità espresse, costruiremo il calendario con l’elenco dei partecipanti di tantissime città italiane, europee e arabe. È un digiuno del cibo e non della sete. Si può liberamente bere. Vi chiediamo di scattare una vostra foto con un cartello “IO DIGIUNO X GAZA”. Una lunghissima galleria di immagini che trasformeremo in un mosaico di solidarietà. Mandateci le foto a anbamedaps@gmail.com e pubblicatele sui vostri account social. ANBAMED