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Pulizia etnica a Gerusalemme: 100.000 nuove unità coloniali a Gerusalemme
Gerusalemme/al-Quds. Il sindaco di Gerusalemme, Moshe Lion, ha annunciato l’intenzione di supervisionare la costruzione di almeno 100.000 nuove unità abitative a Gerusalemme, 70.000 delle quali faranno parte di progetti di riqualificazione urbana. L’espansione verticale degli insediamenti coloniali evidenzia non solo un cambiamento nella strategia architettonica, ma anche un approfondimento degli sforzi a lungo termine di Israele per consolidare il controllo su Gerusalemme Est, un’azione che rimane illegale secondo il diritto internazionale e ampiamente condannata dalla comunità internazionale.
Pulizia etnica e demolizioni a Gerusalemme: Israele promuove un piano di insediamenti residenziali di alto livello
Gerusalemme/al-Quds. In un significativo inasprimento della sua politica di espansione degli insediamenti, le autorità israeliane di occupazione hanno presentato un nuovo piano edilizio a Gerusalemme, incentrato sulla costruzione di torri residenziali di alto livello, che segna un passaggio dall’espansione orizzontale alla densità verticale come strumento di ebraizzazione. La nuova strategia mira ad aumentare il numero di coloni israeliani in città, riducendo al contempo la presenza palestinese. Secondo i dati di pianificazione urbana, Israele ha già occupato circa l’87% di Gerusalemme Est e oltre il 52% dell’area è classificata come “zone verdi”, dove è vietata la costruzione palestinese. Adottando l’edilizia verticale, le autorità israeliane mirano a massimizzare la densità degli insediamenti, demolendo sistematicamente le case palestinesi con il pretesto della “mancanza di permessi”. Questa tattica, ampiamente criticata dai gruppi per i diritti umani, fa parte di una più ampia campagna per sfollare i residenti palestinesi e cancellare gradualmente la loro presenza dalla città. Gli analisti considerano il piano parte di una strategia a lungo termine per imporre la sovranità unilaterale su Gerusalemme e alterarne radicalmente l’identità demografica, geografica e culturale. Il progetto sottolinea il tentativo dell’occupazione di creare fatti irreversibili sul campo. Attraverso insediamenti e grattacieli, Israele continua a impegnarsi per stabilire una maggioranza ebraica forzata in città. Nonostante queste politiche aggressive, i residenti palestinesi di Gerusalemme rimangono risoluti. La città, con i suoi monumenti sacri, il suo patrimonio culturale e la sua popolazione persistente, continua a simboleggiare la resistenza agli sfollamenti e la determinazione a preservare la sua identità araba e islamica. (Fonti: PIC, Quds News).
Israele ordina lo sfratto di 22 famiglie palestinesi a Gerusalemme e blocca i lavori di costruzione nella Valle del Giordano
Gerusalemme-PIC. Le autorità di occupazione israeliane hanno emesso ordini di sfratto e demolizione contro le comunità palestinesi sia a Gerusalemme che nella Valle del Giordano settentrionale, in quello che i gruppi per i diritti umani affermano essere parte di uno sforzo sistematico per sfollare i palestinesi ed espandere gli insediamenti illegali. Nella città di Um Tuba, a sud di Gerusalemme, a 22 famiglie palestinesi è stato ordinato di lasciare le loro case nel quartiere di Al-Mashahid, entro il 7 luglio. Il Governatorato di Gerusalemme ha affermato che l’ordine mira a sequestrare terreni per l’espansione dell’insediamento di Har Homa, costruito su terreni appartenenti a Jabal Abu Ghneim. Lo sfratto comporterebbe lo sfollamento di circa 180 residenti. Youssef Abu Tair, uno dei residenti interessati, ha confermato che il tribunale israeliano ha fissato una scadenza per l’evacuazione. “Respingiamo categoricamente questa decisione”, ha dichiarato. “Questa è la nostra terra e la terra dei nostri antenati, e non ce ne andremo nonostante i loro tentativi di sfollamento forzato”, ha aggiunto. Nel frattempo, nella Valle del Giordano settentrionale, le forze di occupazione israeliane hanno emesso ordini di interrompere la costruzione di tutte le strutture residenziali e i recinti per il bestiame nella comunità di Ein al-Hilweh fino al 16 luglio. I residenti temono che gli ordini preludano a demolizioni su vasta scala. Secondo Mahdi Daraghmeh, capo del consiglio del villaggio di Al-Malih e Al-Medarib, le strutture minacciate sono vecchie e vulnerabili, il che le rende probabili obiettivi di demolizione. Tredici famiglie vivono nella zona e hanno dovuto affrontare una crescente violenza da parte dei coloni, tra cui attacchi alle tende, tentativi di furto di bestiame e restrizioni al pascolo. Queste misure fanno parte di una più ampia politica israeliana di sfollamento dei palestinesi dalle loro terre per far posto all’espansione degli insediamenti e per consolidare il controllo su aree strategiche.
Israele intensifica la repressione contro Al-Aqsa: Guardia arrestata, crescono gli appelli per una presenza massiccia nella Moschea
Gerusalemme/al-Quds-PIC. Venerdì, le forze di polizia israeliane hanno arrestato la guardia della moschea di Al-Aqsa, Arafat Najib, e hanno emesso un ordine di espulsione che gli impedisce di accedere alla moschea per una settimana, con possibilità di proroga. Najib, una delle guardie più note di Al-Aqsa, è stato ripetutamente preso di mira dalle autorità di occupazione israeliane in quella che gli osservatori descrivono come una politica deliberata volta a svuotare la moschea dei suoi protettori e del personale. L’arresto avviene nel contesto dell’escalation delle violazioni israeliane contro i fedeli e i funzionari della moschea, tra cui le incursioni sempre più frequenti dei coloni nei cortili di Al-Aqsa sotto la protezione della polizia. In risposta, attivisti gerosolimitani e palestinesi hanno lanciato appelli diffusi per una mobilitazione di massa presso la moschea di Al-Aqsa dopo la sua recente riapertura. Gli appelli esortano i residenti di Gerusalemme e della Palestina occupata nel 1948 a riunirsi in gran numero per la preghiera e le veglie del venerdì, descrivendo la presenza nel luogo sacro come una forma di resistenza popolare e un rifiuto dei tentativi israeliani di isolare la moschea. Gli attivisti hanno sottolineato che frequentare Al-Aqsa è fondamentale per contrastare i tentativi israeliani di imporre una divisione temporale e spaziale nel luogo sacro, e hanno dichiarato che Al-Aqsa è una linea rossa che non può essere oltrepassata. Il movimento di Hamas ha, inoltre, condannato le attuali politiche israeliane di chiusura, le aggressioni ai fedeli e i tentativi di giudaizzare il sito. In una dichiarazione, Hamas ha descritto queste azioni come una palese violazione dello status storico e legale di Al-Aqsa e ha avvertito che tale continua aggressione rappresenta una seria minaccia alla stabilità regionale. Hamas ha invitato i palestinesi a rimanere risoluti e a mantenere una forte presenza nella moschea. Ha inoltre esortato i paesi arabi e islamici, insieme alle organizzazioni internazionali, ad adottare misure immediate per fermare l’escalation israeliana e proteggere i luoghi santi islamici e cristiani a Gerusalemme. Traduzione per InfoPal di F.L.
623 case e strutture di Gerusalemme demolite da Israele in oltre due mesi
Gerusalemme/al-Quds-PIC. L’autorità di occupazione israeliana (IOA) ha demolito un totale di 623 case e strutture palestinesi a Gerusalemme dal 7 ottobre 2023, secondo l’ufficio del governatore di Gerusalemme. “L’elenco delle demolizioni includeva case – alcune abitate da decenni e altre in costruzione – nonché strutture commerciali ed economiche che fornivano sostentamento a decine di famiglie di Gerusalemme”, ha dichiarato l’ufficio del governatore in una nota di mercoledì. “I bulldozer israeliani, pesantemente sorvegliati dalle forze armate, hanno demolito oggi una casa nella città di Hizma, nel nord-est della città, nell’ambito di una campagna sistematica contro la presenza palestinese nella Gerusalemme occupata”, ha aggiunto l’ufficio del governatore. L’ufficio ha accusato l’IOA di aver costretto i cittadini di Gerusalemme a demolire le proprie case sotto la minaccia di multe salate o di carcere, descrivendo tale politica israeliana come una “pratica razzista sistematica volta a coinvolgere le vittime nel suo crimine e a esaurirle mentalmente e finanziariamente, con l’obiettivo finale di cacciarle dalla città santa”. “Le famiglie colpite da queste demolizioni hanno pagato multe ingenti per molti anni, importi che, in alcuni casi, hanno superato il costo iniziale di costruzione. Ciononostante, l’autorità di occupazione continua a negare loro i permessi di costruzione o a imporre condizioni proibitive, rendendo quasi impossibile per i palestinesi ottenere l’autorizzazione legale per costruire”, ha spiegato l’ufficio. “Il tasso di approvazione delle richieste di licenza edilizia rimane inferiore al due percento, poiché ai palestinesi è consentito costruire solo su non più del 13 percento della superficie totale della città occupata di Gerusalemme Est”, ha aggiunto.
La polizia israeliana chiude nuovamente la moschea di al-Aqsa dopo l’incursione notturna
Gerusalemme – PIC. La polizia di occupazione israeliana ha chiuso nuovamente la moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme, domenica mattina, pochi giorni dopo averla riaperta ai fedeli musulmani. Mercoledì sera scorso, la polizia israeliana ha riaperto parzialmente i cancelli della moschea di al-Aqsa dopo quasi sei giorni di chiusura totale. Secondo il Dipartimento per i beni religiosi islamici nella città santa, domenica mattina le forze israeliane hanno ripristinato la chiusura completa della moschea di al-Aqsa, impedendo l’ingresso ai fedeli, fatta eccezione per le guardie della moschea e il personale del Dipartimento. La chiusura è avvenuta in seguito a una incursione notturna della polizia israeliana, durante la quale sono state prese d’assalto le sale di preghiera, saccheggiati gli spazi sacri e allontanato i fedeli con la forza. Sono state inoltre arrestate quattro guardie della moschea, mentre altre sono state interrogate sul posto. Mentre il regime di occupazione israeliano lanciava la sua guerra contro l’Iran, le sue forze hanno chiuso i cancelli della moschea di al-Aqsa – la prima Qibla dell’Islam – vietando la preghiera del venerdì il 13 giugno 2025, e mantenendola completamente chiusa da allora. Traduzione per InfoPal di F.L.
Le IOF chiudono il complesso di al-Aqsa
Gerusalemme/al-Quds. Le forze di occupazione israeliane (IOF) hanno chiuso la moschea di Al-Aqsa, all’alba di venerdì. Hanno costretto tutti i fedeli ad uscire e ne hanno sigillato i cancelli. La polizia israeliana ha fatto irruzione nel complesso della moschea e ha allontanato i fedeli dalle sale di preghiera coperte. Hanno espulso tutti e poi hanno chiuso tutti gli ingressi al sito. Si tratta della prima chiusura completa della moschea di Al-Aqsa dal 2020. La misura arriva mentre Israele annunciava la chiusura totale nella Cisgiordania occupata. La decisione è seguita a un attacco aereo israeliano su vasta scala contro l’Iran ed è stata attuata con il pretesto di seguire le “istruzioni del Comando del Fronte Interno” e di rispondere alle sirene di allarme diffuse a livello nazionale. Fonti locali hanno confermato un massiccio dispiegamento di forze israeliane all’interno e nei dintorni della moschea. Un fitto cordone di sicurezza è stato imposto in tutta la Città Vecchia di Gerusalemme occupata, scatenando tensioni tra i residenti. La chiusura si aggiunge alle crescenti tensioni regionali dopo l’attacco israeliano all’Iran. Aumentano i timori di una potenziale escalation più ampia nella regione. Le ultime azioni delle forze israeliane sollevano preoccupazione tra i palestinesi per le crescenti restrizioni alla libertà religiosa, in particolare nel terzo luogo sacro dell’Islam. La moschea di Al-Aqsa è da tempo oggetto di attacchi da parte di Israele. I suoi ripetuti assalti da parte delle forze israeliane e dei coloni hanno suscitato ampie condanne da parte dei paesi musulmani e delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. (Fonti: Quds News, PIC, Telegram).
Standing Toghether mette i propri corpi per interporsi tra i violenti e le vittime
Il 26 maggio 2025, migliaia di nazionalisti israeliani hanno partecipato alla Marcia delle Bandiere a Gerusalemme, attraversando il quartiere musulmano della Città Vecchia e intonando slogan razzisti come “Morte agli arabi” e “Che il tuo villaggio bruci”. L’evento, che commemora la conquista israeliana di Gerusalemme Est nel 1967, è stato segnato da tensioni crescenti nel contesto della guerra in corso a Gaza. Tra i manifestanti sono stati esposti striscioni provocatori, tra cui uno che recitava: “Gerusalemme nelle nostre mani, 1967. Gaza nelle nostre mani, 2025” Secondo fonti internazionali come Associated Press, The Guardian, Reuters ed El País, diversi manifestanti hanno molestato palestinesi, giornalisti e attivisti israeliani, spesso senza l’intervento delle forze di sicurezza.  The Guardian, Thousands join Israeli flag march through Muslim quarter of Old City in Jerusalem – https://www.theguardian.com/world/2025/may/26/thousands-join-israeli-flag-march-through-muslim-quarter-of-old-city-in-jerusalem Reuters, Far-right Israelis confront Palestinians, other Israelis in chaotic Jerusalem march, witnesses sayhttps://www.reuters.com/world/middle-east/israeli-far-right-police-minister-visits-al-aqsa-mosque-site-ahead-jerusalem-2025-05-26 Quel giorno, attivistə di Standing Together hanno usato i loro corpi per interporsi tra i violenti e le vittime dell’aggressione. Standing Together è un movimento di ebrei e arabi che vogliono “Pace e indipendenza per israeliani e palestinesi, piena uguaglianza per tuttə in questa terra, e vera giustizia sociale, economica e ambientale” (dal loro website https://www.standing-together.org/en ) Nella loro newsletter scrivono così sulla giornata di Lunedì 26 maggio: “La violenza nella nostra terra continua ad aumentare. La nostra risposta? Mettere i nostri corpi in prima linea per combattere il razzismo e l’odio nella nostra società. È esattamente quello che abbiamo fatto ieri, quando decine di attivistə della nostra Humanitarian Guard si sono mobilitatə per proteggere palestinesi contro le bande di estrema destra che erano arrivate per creare violenza nella Città Vecchia di Gerusalemme, in occasione del Giorno di Gerusalemme. Siamo andati a Gerusalemme per proteggere i-le residenti palestinesi, ma anche per far sentire la nostra voce contro l’estremismo e a favore dell’umanità. Ci stiamo mettendo fisicamente in mezzo alla violenza, e vogliamo assicurarci di avere il tuo sostegno”. In questo video Nati, uno degli attivisti della Humanitarian Guard, si lancia in mezzo alla folla per proteggere un giovane. https://www.instagram.com/reel/DKIKDgCKzLx/?utm_source=ig_web_copy_link Ancora dalla loro newsletter: “Questa marcia razzista, che si tiene ogni anno, è finanziata dal Comune di Gerusalemme e sostenuta dal governo. Come movimento dal basso formato da ebrei e palestinesi, il nostro lavoro è chiaro: non solo dobbiamo contrastare la violenza contro i palestinesi nel momento in cui accade, ma dobbiamo anche combattere i sistemi più ampi che la alimentano e la rendono possibile. Non si tratta solo di reagire, ma di impegnarsi per costruire, dalle fondamenta, la società in cui vogliamo vivere. Nessun@ di noi può essere veramente liber@ o al sicuro in una società che tollera questa violenza.” Ilaria Olimpico
Il vento della pace può soffiare da Gerusalemme? Sul Summit di pace dell’8 e 9 maggio
Gaza è un campo di sterminio, denuncia il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Impassibili, Netanyahu e Smotrich confermano. Pronti all’invasione e occupazione dell’intera Striscia, obiettivo dichiarato la pulizia etnica. “La popolazione sarà spostata” “Coscienza”, in Occidente, è ormai solo il nome di una nave di volontari della Freedom Flotilla Coalition, che dal 2008 tenta di rompere l’assedio di Gaza. La nave che hanno affondato, al largo di Malta. Buio e silenzio in fondo al male: gli occhi di duecentodiciassette giornalisti spenti, forse ormai di più: anche loro nel silenzio della maggior parte dei colleghi europei. Se devo morire/tu devi vivere/per raccontare la mia storia, scriveva Refaat Alareer, docente di letteratura inglese, prima di essere assassinato insieme a gran parte della sua famiglia a Gaza City. Oh, andatevelo a leggere, quel prontuario della lingua felpata o bifida della grande stampa italiana, quel florilegio dei cinismi e della viltà che è (insieme ad altro, molto altro, come i diari dall’inferno del reporter Alhassan Selmi e i pastelli dell’anima, colorati di dolore e di speranza, di Marcella Brancaforte) il libro di Raffaele Oriani, Hassan e il genocidio (People 2025): il giornalista che un anno fa ha rinunciato alla prestigiosa testata su cui scriveva perché dove lui vedeva “un’unica cosa enorme” la maggior parte delle maggiori firme troncavano, sopivano, banalizzavano – o addirittura aggredivano le vittime. “Scrivo mentre il mondo continua a voltarsi dall’altra parte”, esordisce il libro appena uscito di Rula Jebreal: Genocidio. Quello che rimane di noi nell’era imperiale (Piemme). Il genocidio “ha rivelato il vuoto morale e politico di un mondo che riduce l’umanità a una gerarchia di morte” Siamo in fondo al male, certo. Eppure c’è un mistero che la dialettica di Hegel e di Marx aveva (piuttosto infelicemente) tentato di rendere loico: lo stesso cui senza teologali pretese accennava quel sussurro di voce rimasta a papa Francesco per le sue ultime parole Urbi et Orbi, annunciando Pasqua, cioè resurrezione, mentre moriva. Trasformando la sua effettiva via crucis nella via regia – muta e dolorosa – dell’ultimo suo giro fra la folla. Ascoltai, a Gerusalemme, a Pasqua, a San Giacomo degli armeni, la stessa improvvisa coincidentia oppositorum del dolore immemoriale di tutti i genocidi (e gli armeni ne sanno qualcosa), quando dal profondo sale all’alto, al lieve, all’avvolgente canto di salvezza. Più prosaico, più timido ritrovai lo stesso annuncio nell’omelia del Patriarca latino di Gerusalemme, oggi papabile. Di desolazione: una tomba. Nient’altro che una tomba vuota. E di consolazione: la parrocchia di Gaza, “una piccola barca ancorata alla vita, in un mare di dolore e di sofferenza”. La stessa che fino all’ultimo giorno il papa morente aveva amato, senza più parole. A Gerusalemme si prepara per l’8 e il 9 maggio da oltre un anno, un Summit popolare di pace, “il più grande, partecipato, complicato, importante convegno di pace mai tentato prima d’ora in Medio Oriente, e forse nel mondo. Oltre 60 diverse organizzazioni hanno aderito, in migliaia approderanno a Gerusalemme da altre città di Israele, interventi sono previsti anche dalla Palestina benché solo via internet, e da tutto il mondo sarà possibile seguire in streaming”. Ne scrive Daniela Bezzi sul sito di Assopace e su Pressenza, dove oltre a tutta l’informazione necessaria si trovano anche interviste ai due principali iniziatori del progetto: l’israeliano Maoz Inon, che ha perduto i genitori nel massacro del 7 ottobre, e il palestinese Aziz Abu Sarah, che ha perduto un fratello torturato a morte nelle carceri israeliane. Entrambi abbracciati l’anno scorso da papa Francesco, all’Arena di Pace di Verona. Ma, avverte, in collegamento con Gerusalemme il palestinese Sayel Jabareen da Beit Jala: “Non è certo per equiparare l’oppressore e l’oppresso che abbiamo deciso, da partners, di rompere il ciclo di silenzio e divisione per convenire in uno spazio di dolore condiviso. Ma per insistere nella nostra umanità e dichiarare che ci rifiutiamo di permettere che tutta questa sofferenza continui”. Vogliamo provare a crederci? Cioè ad esserci? Con tutti i nostri numerosi ma ancora troppo impercettibili sussurri, le molte iniziative sperse e sparse per tutta la penisola che si stringe al calvario della Palestina. Insieme, forse, faremmo una ruah, il vento della vita che risorge. Roberta De Monticelli. Il Manifesto Ripubblicazione autorizzata dall’autrice Redazione Italia
Solidarietà con la Palestina in Italia e incendi intorno a Gerusalemme
Un gruppo di intellettuali, giornalisti e professori universitari ha lanciato un appello sui social per un’azione collettiva di massa per il cessate il fuoco, da tenere online per tutto il giorno del 9 maggio 2025, dalle 00:00 alle 24:00. #ultimogiornodigaza #gazalastday è stata denominata l’azione di bombardamento del web con messaggi, foto, video, vignette, ecc… con l’hashtag in italiano e inglese. Per aderire e attivarti: clicca! Lo stesso giorno alle 17:30 si terrà a Milano il primo incontro tra intellettuali ebrei italiani e attivisti palestinesi residenti in Italia. “Dialoghi possibili” è il titolo dell’evento. clicca Incendi intorno a Gerusalemme Colossali incendi intorno a Gerusalemme hanno divorato migliaia di ettari e minacciato villaggi e insediamenti, che sono stati evacuati. Anche il villaggio dei nostri amici pacifisti di Neve Shalom- Wahat al-Salam (Oasi di pace) è stato evacuato. (Leggi: clicca) Per tre giorni, il fuoco si è sviluppato ed esteso senza che i vigili del fuoco e la protezione civile, malgrado l’impiego delle unità militari, potessero domarlo. Alte temperature e forti venti hanno reso impossibile il lavoro dei soccorsi. Il governo di Tel Aviv ha chiesto ai Paesi amici di fornire mezzi aerei per lo spegnimento. Sono arrivati soccorsi dalla Spagna, dall’Italia e dalla Francia. Dopo tre giorni terribili, il fuoco è stato domato e la popolazione ha potuto far ritorno alle proprie case, ma l’allerta rimane alta. Certa stampa italiana prezzolata ha dato visibilità esagerata a un comunicato falso trasmesso su un canale Telegram a nome di Hamas, che incita i palestinesi a “incendiare tutto”. Non c’è nessun comunicato ufficiale del movimento islamista palestinese che parla del tema. L’autorità nazionale palestinese ha messo a disposizione i suoi mezzi antincendio, ma la notizia non è stata riportata dalla medesima stampa propagandista, che beve tutti i veleni della hasbara israeliana.   ANBAMED