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Donald Trump e l’egemonia culturale a Gerusalemme
La figura di Donald Trump è il simbolo dell’espansionismo israeliano a Gerusalemme, attraverso azioni culturali che rafforzano l’egemonia statunitense nella vita quotidiana della città. E’ il 26 febbraio 2025 quando sugli account del neoeletto presidente Donald Trump appare un video generato dall’intelligenza artificiale ritraente una versione distopica della Striscia di Gaza, con resort fronte mare in pieno stile statunitense, bambini divertiti dai palloncini a forma di Trump e statue dorate del presidente americano. Soprassedendo sul clamore che il video ha suscitato nel dibattito pubblico internazionale -al contrario delle migliaia di video di Gaza (reali!) che da mesi circolano sui social- vale la pena soffermarsi sul ruolo giocato dal capo della Casa Bianca nelle mire espansionistiche di Israele oltre i propri confini. A ben vedere, agli occhi della classe politica e della società civile dello Stato ebraico – anche quella meno irredentista  – Donald Trump gode di una sorta di status di “garante delle occupazioni” fin dal suo primo mandato, durante il quale gli sono state perfino intitolate delle colonie nelle alture del Golan. Oltre che nella Striscia di Gaza e nel sud-ovest della Siria, la figura di Trump è entrata di diritto anche nello storico contenzioso fra l’Autorità Nazionale Palestinese e Israele per il possesso di Gerusalemme, grazie ad azioni inedite come lo spostamento dell’ambasciata americana nella città santa e la designazione di Gerusalemme come capitale di Israele nel celebre “Peace for prosperity plan” del 2020. Nonostante ciò, l’importanza del leader repubblicano nel contesto di Gerusalemme non può essere ridotta alle sole azioni politiche e diplomatiche, che sono simultaneamente causa ed effetto dell’egemonia culturale che il tycoon statunitense impartisce sulla città. Stuart Hall definisce tale egemonia come lo sfruttamento delle pratiche culturali – film, sport, celebrazioni nazionali e musei – per costruire un consenso spontaneo nell’elettorato. Alcuni casi di egemonia culturale nella rappresentazione di Trump a Gerusalemme sono Piazza Donald Trump, la Stazione Donald Trump, il Beitar Jerusalem e il Mikdash Educational Center, attraverso i quali l’immagine del magnate newyorkese esce dai palazzi del potere e popola le strade e la quotidianità di Gerusalemme. Il primo caso è Piazza Donald Trump, creata il 3 luglio 2019nel quadrante sud-est di Gerusalemme, vicino alla “nuova” ambasciata americana. In quell’occasione, l’allora sindaco Nir Barkat rilasciò la seguente dichiarazione: “Il presidente Trump ha deciso di riconoscere Gerusalemme come capitale del popolo ebraico, di schierarsi dalla parte della verità e di fare la cosa giusta”. Nonostante non sia mai stato ufficialmente adottato, il nome della piazza viene informalmente utilizzato, richiamando l’analoga piazza di Tel Aviv. Il secondo caso è la Stazione Donald Trump, un progetto della città di Gerusalemme annunciato nel 2019 dal Ministro dei Trasporti Yisrael Katz come ringraziamento per “aver riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele”. La mitizzazione di Donald Trump però, non trova la propria raison d’etre solamente in progetti istituzionali, ma anche la stessa società civile israeliana dimostra da sempre una certa affezione per il presidente statunitense. Il caso più eclatante è la squadra di calcio del Beitar Gerusalemme, da sempre oggetto di controversie in tema di islamofobia (è l’unica squadra israeliana a non aver mai ingaggiato calciatori arabi). Eli Tabib, all’epoca proprietario del club, decise nel 2018 di cambiare il nome della squadra da Beitar Gerusalemme a “Beitar Trump Gerusalemme” per “onorare il presidente americano per il suo affetto e sostegno”, come dichiarato in un comunicato diffuso sulle pagine social ufficiali della squadra. Ancora oggi è facile imbattersi in articoli di merchandising online che accostano il nome di Donald Trump e quello de “la familia”, storico gruppo di supporter gerosolimitani vicini al sionismo revisionista e all’estrema destra israeliana. L’ultimo caso è il Mikdash Educational Center, un’organizzazione educativa e religiosa no-profit che nel 2018 ha coniato una moneta da collezione raffigurante il volto di Donald Trump e quello del re Ciro II di Persia (detto il Grande). Il paragone fra i due, già promosso da altre figure chiave dell’espansionismo israeliano come Benjamin Netanyahu, richiama la costruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, legittimando il controllo dello Stato ebraico sulla città attraverso la connessione biblica con la sedicente terra d’Israele. Da questi elementi appare dunque chiaro come le speculazioni geopolitiche non possano esaurire il discorso sulle occupazioni israeliane. L’espansionismo di Tel Aviv – iniziato all’indomani della Guerra dei sei giorni e mai affievolitosi, nemmeno durante la stagione di Oslo –  non è solo frutto delle scelte politiche della Knesset, ma rappresenta anche un sentimento radicato nel tessuto sociale israeliano ed espresso attraverso l’istruzione, lo sport e altre manifestazioni culturali. La presenza capillare della figura di Donald Trump nella quotidianità di Gerusalemme rappresenta un esempio interessante, elevando la portata coloniale delle politiche estere israeliane e statunitensi. Se l’intitolazione di piazze, stazioni, squadre sportive e monete da collezione può sembrare parte del progetto di Hasbara (diplomazia pubblica), promosso da Israele per presentarsi al mondo come partner statunitense, appare chiaro come la società israeliana stessa subisca il fascino di Washington in una sorta di “mimesi” bhabhiana, ovvero il fenomeno per cui i colonizzati tendono a replicare le pratiche dei colonizzatori. Per dare un senso al non plus ultra della violenza raggiunto negli ultimi mesi a Gaza e nei territori occupati della Cisgiordania (e Gerusalemme Est), bisogna confrontarsi anche con la forza egemonica che Donald Trump esercita sulla società israeliana: se è vero che nel video pubblicato dal presidente repubblicano a “Trump Gaza” sono presenti gadget, statue e palloncini a forma di Trump, vale la pena ricordare che a pochi chilometri da quel luogo martoriato esiste già una “Trump Jerusalem” le cui piazze e squadre sportive portano il nome del presidente degli Stati Uniti, quasi a riaffermare il fatto che l’americanizzazione della Striscia di Gaza deve prima passare per l’americanizzazione di Israele. Redazione Italia
Gerusalemme capitale di Israele e altre menzogne dei manuali scolastici
Tra pochi giorni le e gli studenti e le studentesse di tutta Italia torneranno sui banchi, mentre le/i docenti sono pronte/i a riprendere il loro posto in aula, ma mai come in questo momento è necessaria non solo una riflessione critica sui manuali (in particolare di storia) proposti nelle scuole, ma soprattutto un lavoro di costante monitoraggio sui contenuti spesso ambigui, quando non palesemente scorretti, circa la situazione in quell’area di mondo che in troppi continuano a definire Medio Oriente. Si potrebbe cominciare da qui, come suggerisce, sulla scorta di Edward Said, Michele Lucivero (in un articolo pubblicato su www.pressenza.it), a decolonizzare il linguaggio della manualistica o, quantomeno, a rendersi conto di quanto imbevuto di pensiero spesso inconsapevolmente colonialista sia il linguaggio mainstream. Sarebbe questo un primo passo doveroso, ma certamente insufficiente oggi, nel momento in cui, come lo stesso Lucivero sottolinea (in un articolo pubblicato su www.jacobinitalia.it), proprio il manuale più soddisfacente dal punto di vista di una narrazione storica non “marcatamente colonialista” è stato (non a caso!) oggetto di segnalazione da parte del Ministero dell’Istruzione e del Merito. Trame del tempo, il manuale di storia edito da Laterza di cui sono autori Ciccopiedi, Colombi, Greppi e Meotto, è stato infatti accusato di aver stabilito una indebita continuità storica tra fascismo e governo Meloni. Il caso non è che l’ultimo di una serie di interventi di carattere censorio che da parte di Governo e Ministero dell’Istruzione stanno sempre più frequentemente attentando alla libertà di ricerca e di insegnamento. Sulla base di questa lunga ma necessaria premessa è quindi importante leggere l’articolo uscito su “il Manifesto” del 29 agosto 2025 (https://ilmanifesto.it/loccupazione-israeliana-nei-libri-scolastici-italiani), in cui l’autrice Eliana Riva ricostruisce il lavoro della rete Docenti per Gaza, che grazie a uno scrupoloso monitoraggio dei manuali italiani ha messo il evidenza il fatto che «nelle nostre scuole Gerusalemme viene sempre indicata come capitale di Israele e che i territori palestinesi occupati sono a volte inseriti all’interno dello stato ebraico». La rete ha dato mandato all’avvocato Dario Rossi di chiedere rettifica alle case editrici, che spesso indicano la questione semplicemente come “controversa” o descrivono territori illegalmente occupati come “oggetto di contesa”. Il punto di vista prevalentemente adottato dalla manualistica è quello israeliano, implicitamente avallandone le gravissime violazioni del diritto internazionale e contribuendo, sotto traccia, a diffondere una versione non solo unilaterale, ma francamente criminale della questione palestinese, spesso con la scusa di “rendere comprensibile una materia complessa”. Le risposte delle case editrici hanno solo parzialmente soddisfatto le richieste di rettifica, a conferma di quanto sia necessario oggi più che mai un paziente ma capillare lavoro culturale che deve partire proprio dalla denuncia di quelli che solo a un occhio ingenuo possono apparire semplici errori o imprecisioni. Il diritto internazionale è chiaro a riguardo: Gerusalemme non è la capitale di Israele e gran parte della Palestina è illegalmente occupata da Israele. Fino a che non si chiariranno in modo inequivocabile almeno queste premesse, sarà necessario condurre un lavoro culturale e di formazione che infatti sempre più docenti sentono necessario: l’iniziativa della Scuola per la Pace di Torino e Piemonte “Nello specchio di Gaza” (clicca qui per il progetto) rappresenta a tale proposito un importante tassello per contribuire alla crescita di una cultura antirazzista e colonialista. Anche questo è politica, anche questo è militanza, anche questo è accompagnare la navigazione della Global Sumud Flotilla e affiancarne, da terra, da dietro la cattedra, facendo cultura, la missione. A questo proposito segnaliamo che la campagna continua e che Docenti per Gaza raccoglie segnalazioni: https://www.instagram.com/docenti.per.gaza/p/DFNSJxNOX7h/?img_index=4 Irene Carnazza, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Torino
Coloni israeliani illegali prendono d’assalto la Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme
Gerusalemme occupata. Decine di coloni israeliani illegali hanno fatto irruzione mercoledì mattina nel complesso della Moschea di Al-Aqsa, nella Gerusalemme Est occupata, hanno riferito i media locali. I coloni hanno visitato il complesso ed eseguito rituali talmudici sotto la protezione della polizia israeliana, ha riportato l’agenzia di stampa ufficiale Wafa. L’incursione dei coloni è avvenuta in mezzo a crescenti tensioni in tutta la Cisgiordania occupata a causa della brutale offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza, dove quasi 63.000 palestinesi sono stati uccisi dall’ottobre 2023. La Moschea di Al-Aqsa è il terzo luogo più sacro al mondo per i musulmani. Gli ebrei chiamano l’area Monte del Tempio, sostenendo che fosse il sito di due templi ebraici nell’antichità. Israele ha occupato Gerusalemme Est, dove si trova Al-Aqsa, durante la guerra arabo-israeliana del 1967. Ha annesso l’intera città nel 1980, in una mossa mai riconosciuta dalla comunità internazionale. (Fonti: MEMO, Anadolu, Wafa).
Notizie dal Medio Oriente
Gaza Gli occupanti israeliani hanno compiuto nella notte centinaia di demolizioni con la dinamite nei quartieri di Sabra e Zeitoun di Gaza città e a Jebalia. L’obiettivo è di svuotare il capoluogo della sua popolazione. I proclami che ordinano lo sfollamento vengono ripetuti con lanci di volantini e con altoparlanti sui droni. Artiglieria e aereonautica militare completano l’opera di sterminio dei civili. 51 sono stati uccisi stamattina fino al momento in cui scriviamo (08:15). Il capo di stato maggiore israeliano Zamir è favorevole ad uno scambio di prigionieri. La sua preoccupazione non è la morte dei civili palestinesi, ma la vita dei 50 ostaggi israeliani in mano a Hamas: “C’è la certezza che i miliziani che custodiscono gli ostaggi cercheranno di ucciderli e suicidarsi, nel momento del nostro avvicinamento ai loro nascondigli nei tunnel. Sarà possibile la ripresa delle operazioni militari dopo la conclusione della tregua temporanea”. Netanyahu è deciso ad andare avanti nella carneficina e nell’uso della fame come arma di guerra. “L’operazione militare per l’occupazione di Gaza va avanti e tratteremo alle nostre condizioni”. Infatti è passata una settimana dalla risposta affermativa di accettazione da parte di Hamas della proposta dei mediatori, ma il ricercato per crimini di guerra non si è pronunciato né per il sì, né per il no. E nessuna diplomazia lo ha incalzato. La stampa israeliana parla di opzioni diverse per i mediatori e cita emirati o una capitale europea. Un modo per scaricare il lavoro di Doha e Il Cairo, umiliate dalla mancata risposta di Tel Aviv. La linea imposta da Netanyahu, Smotrich e Bin Gvir per la fine delle operazioni militari è “il rilascio di tutti gli ostaggi, la resa dei Hamas e l’occupazione della Striscia”. Negli ospedali di Gaza sono arrivati ieri 64 civili uccisi e 278 feriti. Ieri sono morti 8 persone per fame, tra loro 2 bambini al di sotto dei 5 anni. Non hanno scosso le loro coscienze neanche i milioni di manifestanti che sono scesi in tutto il mondo, da Tokio a Seul, da Nouakchout a Istanbul, per dire no al genocidio. Immagini dall’Australia: Guarda. Cisgiordania Continuano le operazioni militari contro la popolazione civile in Cisgiordania da parte dell’esercito di occupazione. La linea di Tel Aviv è la cancellazione di tutti i campi profughi e la presenza dell’Onu a protezione dei profughi e del loro diritto al ritorno. Deportazione strisciante con la demolizione delle case. A Jenin sono oltre mille gli edifici rasi a terra in 7 mesi di aggressione, iniziata il 21 gennaio scorso. Il totale dei deportati fuori dai campi profughi di Jenin e Tulkarem supera i 50 mila civili. Sono ospitati “temporaneamente” in strutture collettive messe a disposizione dell’ANP in altre città della Cisgiordania o da parenti. L’altra linea di attacco del colonialismo israeliano in Palestina è l’appropriazione dei luoghi di culto. A Nablus, a el-Khalil, ma soprattutto a Gerusalemme est, esercito e coloni agiscono di concerto per l’occupazione delle moschee islamiche. Migliaia di coloni stanno affluendo in queste ore nella moschea di Al-Aqsa per le cerimonie del capodanno ebraico. La moschea viene rinominata con il nome di Monte del Tempio, col sogno di ricostruirlo dopo la distruzione della moschea, terzo luogo sacro per un miliardo e mezzo di musulmani. Jude Shalabi salvo dalla lapidazione Il papà Bassam ci ha mandato un vocale di Jude registrato durante la festa per i suoi 5 anni, ieri 24 agosto. “Sto festeggiando. Ci sono mia sorellina e tutti i cugini. Ho ricevuto tanti regali e la mamma ha fatto una bella torta, dolcissima. Grazie a Dio, ogni giorno”. Abbiamo pubblicato ieri un’intervista video realizzata da Anbamed con suo padre sull’aggressione dei coloni al posto di blocco dell’esercito di occupazione israeliano lungo la strada Nablus-Tulkarem e il lancio di pietre che ha distrutto l’auto, rotto il vetro e causato la frattura del cranio al bambino. Yemen 40 caccia israeliani hanno attaccato 18 obiettivi in Yemen, compreso il palazzo presidenziale a Sanaa. Netanyahu intende ripetere in Yemen ciò che ha compiuto in Libano, ma non sembra che stia ottenendo gli stessi risultati, malgrado la potenza di fuoco messa in campo. Nei giorni scorsi, gli Houthi avevano lanciato sul territorio israeliano un missile balistico a testate multiple che non è stato possibile intercettare e ha colpito diversi obiettivi nella zona di Tel Aviv causando la chiusura dell’aeroporto. Solidarietà di artisti con Gaza L’altra sera, davanti a 150.000 persone e in diretta su Rai3, è accaduto un fatto bellissimo, emozionante. Durante la Notte della Taranta, l’artista Alessandra Caiulo ha cantato “La furtuna”, un brano profondo, toccante, che parla di chi attraversa il mare in cerca di speranza, di un futuro migliore, ma che invece trova la morte. Poi Alessandra ha fatto una cosa ancora più potente: ha rotto il silenzio. Con una dedica che è un grido politico e umano: “Fortuna è avere un domani. A Gaza, i bambini un domani non ce l’hanno. Gaza è un pianto che non si asciuga, un campo senza mani, una scuola senza bambini. In questo pianto ci anneghiamo tutti. Salviamo Gaza!”. Alessandra ha avuto la sensibilità di usare il palco più popolare del Sud per i bambini palestinesi. Solidarietà in Italia con la Palestina Da Catania e Siracusa il 4 settembre salperanno le barche e le navi per portare aiuti umanitari a Gaza. Sono programmate una grande manifestazione per il 3 pomeriggio e un raduno per il 4 per salutare gli equipaggi. I sanitari prendono una chiara posizione contro il genocidio. “Il nostro obiettivo, come Sanitari per Gaza, è far prendere posizione a tutte le Istituzioni contro il genocidio in corso e boicottarne ogni forma di complicità. Perché fermi il genocidio, Israele dovrà percepire l’isolamento e la pressione politica ed economica da parte della comunità internazionale”. Ogni giorno in piazza del Duomo di Milano, dal 16 giugno, si tiene un flash-mob silenzioso con lettura di poesie contro il genocidio compiuto da Israele a Gaza. Sciopero della fame a staffetta contro il genocidio Sono passati 101 giorni dall’inizio del Digiuno x Gaza, l’iniziativa lanciata a maggio da Anbamed. Oggi, lunedì 25 agosto, prosegue incessantemente per la 101a giornata l’azione nonviolenta di sciopero della fame 24h a staffetta. La solidarietà non dorme. Si mobilita anche in tempo di vacanze. Continueremo la campagna di sciopero della fame 24H a staffetta fino alla fine definitiva della guerra contro la popolazione di Gaza. L’azione continuerà nei prossimi giorni con la partecipazione di altri gruppi. Gli iscritti sono tantissimi e, secondo le disponibilità espresse, costruiremo il calendario con l’elenco dei partecipanti di tantissime città italiane, europee e arabe. È un digiuno del cibo e non della sete. Si può liberamente bere. Vi chiediamo di scattare una vostra foto con un cartello “IO DIGIUNO X GAZA”. Una lunghissima galleria di immagini che trasformeremo in un mosaico di solidarietà. Mandateci le foto a anbamedaps@gmail.com e pubblicatele sui vostri account social. ANBAMED
Il PFB condanna la provocatoria visita di Ben-Gvir alla Moschea di Al-Aqsa
Londra – PIC. Il Palestinian Forum in Britain (PFB) condanna con fermezza la pericolosa e provocatoria incursione del ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, nel complesso della Moschea di Al-Aqsa, avvenuta domenica. In palese violazione del diritto internazionale e di tutti gli accordi storici, Ben-Gvir ha apertamente guidato preghiere e rituali ebraici all’interno del complesso, circondato da coloni e funzionari estremisti. Questo atto non rappresenta soltanto una violazione della sacralità religiosa del sito, ma è un’affermazione calcolata e aggressiva della sovranità israeliana su uno dei luoghi più sacri dell’Islam. Zaher Birawi, presidente del Palestinian Forum in Britain, ha dichiarato lunedì che questa incursione costituisce un crimine e una palese provocazione ai sentimenti musulmani, oltre a una pericolosa escalation che rischia di incendiare la regione, di cui l’occupazione israeliana porta la piena responsabilità. Ha aggiunto che i governi dei paesi arabi e islamici hanno una parte significativa di responsabilità in questa ripetuta prevaricazione sionista, sostenendo che il loro silenzio e il mancato intervento deciso e concreto per fermare queste gravi violazioni ai siti sacri incoraggia l’occupazione a perpetrare ulteriori aggressioni. Birawi ha esortato i popoli del mondo arabo e islamico a farsi carico delle proprie responsabilità e a prendere l’iniziativa nella difesa di Gerusalemme e della benedetta Moschea di Al-Aqsa. L’intrusione di Ben-Gvir non è stata una visita privata né un gesto simbolico. Si è trattato di un’escalation deliberata, parte di un progetto continuo guidato da fazioni estremiste israeliane all’interno del governo, volto a imporre una nuova realtà ad Al-Aqsa, con l’obiettivo di dividere spazialmente e temporalmente la Moschea tra musulmani e coloni ebrei. Tali azioni richiamano il ben documentato piano utilizzato dall’occupazione israeliana per dividere la Moschea di Ibrahimi ad al-Khalil/Hebron dopo il massacro dei fedeli musulmani nel 1994. Questa violazione rappresenta un ulteriore passo in questa campagna sistematica per cancellare la presenza palestinese e il patrimonio religioso a Gerusalemme, e per recidere la città dalla sua identità araba, musulmana e cristiana. La provocazione è avvenuta sotto la protezione e con gli applausi dell’apparato statale israeliano. Le forze di sicurezza hanno allontanato le guardie musulmane dai loro posti, impedito ai fedeli palestinesi di entrare e permesso a Ben-Gvir e ad altri di eseguire rituali talmudici in aperta sfida allo status quo riconosciuto a livello internazionale. È importante sottolineare che il Regno hascemita di Giordania è l’unico custode legale della Moschea di Al-Aqsa, status ripetutamente riconosciuto dalla comunità internazionale. Eppure Israele continua a sfidare il diritto internazionale, incoraggiato dal silenzio e dall’inerzia. Le scene di domenica, con coloni che cantavano, ballavano e celebravano matrimoni all’interno del complesso, hanno messo in luce la logica coloniale che guida l’occupazione israeliana: umiliare i palestinesi, profanare i loro luoghi sacri e affermare il dominio nel modo più provocatorio possibile. Il messaggio era forte e chiaro: ai loro occhi non c’è spazio per il culto palestinese, nessun ruolo per la custodia giordana e nessun rispetto per il diritto internazionale. Il PFB esprime, inoltre, profonda preoccupazione per il silenzio inquietante dei governi occidentali che predicano i diritti umani mentre chiudono gli occhi di fronte alle più sacre violazioni dei diritti religiosi e nazionali palestinesi. Questo ultimo episodio arriva mentre Gaza continua a subire una guerra genocida, con oltre 60.000 morti, molti dei quali bruciati vivi in ospedali e campi profughi, e bambini che muoiono di fame a causa del deliberato blocco israeliano degli aiuti. Proprio mentre Ben-Gvir sfilava ad Al-Aqsa, le forze israeliane aprivano il fuoco su folle di persone affamate in un punto di distribuzione degli aiuti a Gaza, uccidendone decine. Questi crimini sono collegati. La stessa ideologia razzista che giustifica il massacro a Gaza alimenta l’assalto coloniale dei coloni ad Al-Aqsa. Il PFB esorta la comunità internazionale ad agire urgentemente, andando oltre la semplice condanna. Le ripetute profanazioni di Al-Aqsa richiedono una seria risposta internazionale, non solo per proteggere il sito, ma per sfidare il più ampio progetto israeliano di apartheid religioso e pulizia etnica. Chiediamo inoltre al governo britannico e a tutte le istituzioni di condannare questa provocazione, di ritenere Israele responsabile e di porre fine alla cultura dell’impunità che alimenta la sua aggressione. “Ricordiamo al mondo che Al-Aqsa non è solo una moschea, ma un simbolo della fermezza, dell’identità e della dignità palestinese. Appartiene al popolo di Gerusalemme, al popolo palestinese e all’intera Ummah musulmana. Il popolo palestinese non accetterà mai la sua profanazione o divisione, e continuerà a difenderla, come ha sempre fatto, con incrollabile determinazione”, conclude la dichiarazione del PFB.
Pulizia etnica a Gerusalemme: 100.000 nuove unità coloniali a Gerusalemme
Gerusalemme/al-Quds. Il sindaco di Gerusalemme, Moshe Lion, ha annunciato l’intenzione di supervisionare la costruzione di almeno 100.000 nuove unità abitative a Gerusalemme, 70.000 delle quali faranno parte di progetti di riqualificazione urbana. L’espansione verticale degli insediamenti coloniali evidenzia non solo un cambiamento nella strategia architettonica, ma anche un approfondimento degli sforzi a lungo termine di Israele per consolidare il controllo su Gerusalemme Est, un’azione che rimane illegale secondo il diritto internazionale e ampiamente condannata dalla comunità internazionale.
Pulizia etnica e demolizioni a Gerusalemme: Israele promuove un piano di insediamenti residenziali di alto livello
Gerusalemme/al-Quds. In un significativo inasprimento della sua politica di espansione degli insediamenti, le autorità israeliane di occupazione hanno presentato un nuovo piano edilizio a Gerusalemme, incentrato sulla costruzione di torri residenziali di alto livello, che segna un passaggio dall’espansione orizzontale alla densità verticale come strumento di ebraizzazione. La nuova strategia mira ad aumentare il numero di coloni israeliani in città, riducendo al contempo la presenza palestinese. Secondo i dati di pianificazione urbana, Israele ha già occupato circa l’87% di Gerusalemme Est e oltre il 52% dell’area è classificata come “zone verdi”, dove è vietata la costruzione palestinese. Adottando l’edilizia verticale, le autorità israeliane mirano a massimizzare la densità degli insediamenti, demolendo sistematicamente le case palestinesi con il pretesto della “mancanza di permessi”. Questa tattica, ampiamente criticata dai gruppi per i diritti umani, fa parte di una più ampia campagna per sfollare i residenti palestinesi e cancellare gradualmente la loro presenza dalla città. Gli analisti considerano il piano parte di una strategia a lungo termine per imporre la sovranità unilaterale su Gerusalemme e alterarne radicalmente l’identità demografica, geografica e culturale. Il progetto sottolinea il tentativo dell’occupazione di creare fatti irreversibili sul campo. Attraverso insediamenti e grattacieli, Israele continua a impegnarsi per stabilire una maggioranza ebraica forzata in città. Nonostante queste politiche aggressive, i residenti palestinesi di Gerusalemme rimangono risoluti. La città, con i suoi monumenti sacri, il suo patrimonio culturale e la sua popolazione persistente, continua a simboleggiare la resistenza agli sfollamenti e la determinazione a preservare la sua identità araba e islamica. (Fonti: PIC, Quds News).
Israele ordina lo sfratto di 22 famiglie palestinesi a Gerusalemme e blocca i lavori di costruzione nella Valle del Giordano
Gerusalemme-PIC. Le autorità di occupazione israeliane hanno emesso ordini di sfratto e demolizione contro le comunità palestinesi sia a Gerusalemme che nella Valle del Giordano settentrionale, in quello che i gruppi per i diritti umani affermano essere parte di uno sforzo sistematico per sfollare i palestinesi ed espandere gli insediamenti illegali. Nella città di Um Tuba, a sud di Gerusalemme, a 22 famiglie palestinesi è stato ordinato di lasciare le loro case nel quartiere di Al-Mashahid, entro il 7 luglio. Il Governatorato di Gerusalemme ha affermato che l’ordine mira a sequestrare terreni per l’espansione dell’insediamento di Har Homa, costruito su terreni appartenenti a Jabal Abu Ghneim. Lo sfratto comporterebbe lo sfollamento di circa 180 residenti. Youssef Abu Tair, uno dei residenti interessati, ha confermato che il tribunale israeliano ha fissato una scadenza per l’evacuazione. “Respingiamo categoricamente questa decisione”, ha dichiarato. “Questa è la nostra terra e la terra dei nostri antenati, e non ce ne andremo nonostante i loro tentativi di sfollamento forzato”, ha aggiunto. Nel frattempo, nella Valle del Giordano settentrionale, le forze di occupazione israeliane hanno emesso ordini di interrompere la costruzione di tutte le strutture residenziali e i recinti per il bestiame nella comunità di Ein al-Hilweh fino al 16 luglio. I residenti temono che gli ordini preludano a demolizioni su vasta scala. Secondo Mahdi Daraghmeh, capo del consiglio del villaggio di Al-Malih e Al-Medarib, le strutture minacciate sono vecchie e vulnerabili, il che le rende probabili obiettivi di demolizione. Tredici famiglie vivono nella zona e hanno dovuto affrontare una crescente violenza da parte dei coloni, tra cui attacchi alle tende, tentativi di furto di bestiame e restrizioni al pascolo. Queste misure fanno parte di una più ampia politica israeliana di sfollamento dei palestinesi dalle loro terre per far posto all’espansione degli insediamenti e per consolidare il controllo su aree strategiche.
Israele intensifica la repressione contro Al-Aqsa: Guardia arrestata, crescono gli appelli per una presenza massiccia nella Moschea
Gerusalemme/al-Quds-PIC. Venerdì, le forze di polizia israeliane hanno arrestato la guardia della moschea di Al-Aqsa, Arafat Najib, e hanno emesso un ordine di espulsione che gli impedisce di accedere alla moschea per una settimana, con possibilità di proroga. Najib, una delle guardie più note di Al-Aqsa, è stato ripetutamente preso di mira dalle autorità di occupazione israeliane in quella che gli osservatori descrivono come una politica deliberata volta a svuotare la moschea dei suoi protettori e del personale. L’arresto avviene nel contesto dell’escalation delle violazioni israeliane contro i fedeli e i funzionari della moschea, tra cui le incursioni sempre più frequenti dei coloni nei cortili di Al-Aqsa sotto la protezione della polizia. In risposta, attivisti gerosolimitani e palestinesi hanno lanciato appelli diffusi per una mobilitazione di massa presso la moschea di Al-Aqsa dopo la sua recente riapertura. Gli appelli esortano i residenti di Gerusalemme e della Palestina occupata nel 1948 a riunirsi in gran numero per la preghiera e le veglie del venerdì, descrivendo la presenza nel luogo sacro come una forma di resistenza popolare e un rifiuto dei tentativi israeliani di isolare la moschea. Gli attivisti hanno sottolineato che frequentare Al-Aqsa è fondamentale per contrastare i tentativi israeliani di imporre una divisione temporale e spaziale nel luogo sacro, e hanno dichiarato che Al-Aqsa è una linea rossa che non può essere oltrepassata. Il movimento di Hamas ha, inoltre, condannato le attuali politiche israeliane di chiusura, le aggressioni ai fedeli e i tentativi di giudaizzare il sito. In una dichiarazione, Hamas ha descritto queste azioni come una palese violazione dello status storico e legale di Al-Aqsa e ha avvertito che tale continua aggressione rappresenta una seria minaccia alla stabilità regionale. Hamas ha invitato i palestinesi a rimanere risoluti e a mantenere una forte presenza nella moschea. Ha inoltre esortato i paesi arabi e islamici, insieme alle organizzazioni internazionali, ad adottare misure immediate per fermare l’escalation israeliana e proteggere i luoghi santi islamici e cristiani a Gerusalemme. Traduzione per InfoPal di F.L.
623 case e strutture di Gerusalemme demolite da Israele in oltre due mesi
Gerusalemme/al-Quds-PIC. L’autorità di occupazione israeliana (IOA) ha demolito un totale di 623 case e strutture palestinesi a Gerusalemme dal 7 ottobre 2023, secondo l’ufficio del governatore di Gerusalemme. “L’elenco delle demolizioni includeva case – alcune abitate da decenni e altre in costruzione – nonché strutture commerciali ed economiche che fornivano sostentamento a decine di famiglie di Gerusalemme”, ha dichiarato l’ufficio del governatore in una nota di mercoledì. “I bulldozer israeliani, pesantemente sorvegliati dalle forze armate, hanno demolito oggi una casa nella città di Hizma, nel nord-est della città, nell’ambito di una campagna sistematica contro la presenza palestinese nella Gerusalemme occupata”, ha aggiunto l’ufficio del governatore. L’ufficio ha accusato l’IOA di aver costretto i cittadini di Gerusalemme a demolire le proprie case sotto la minaccia di multe salate o di carcere, descrivendo tale politica israeliana come una “pratica razzista sistematica volta a coinvolgere le vittime nel suo crimine e a esaurirle mentalmente e finanziariamente, con l’obiettivo finale di cacciarle dalla città santa”. “Le famiglie colpite da queste demolizioni hanno pagato multe ingenti per molti anni, importi che, in alcuni casi, hanno superato il costo iniziale di costruzione. Ciononostante, l’autorità di occupazione continua a negare loro i permessi di costruzione o a imporre condizioni proibitive, rendendo quasi impossibile per i palestinesi ottenere l’autorizzazione legale per costruire”, ha spiegato l’ufficio. “Il tasso di approvazione delle richieste di licenza edilizia rimane inferiore al due percento, poiché ai palestinesi è consentito costruire solo su non più del 13 percento della superficie totale della città occupata di Gerusalemme Est”, ha aggiunto.