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Firenze: commemorazione del genocidio di Rom e Sinti
Oggi 2 agosto presso il Giardino dei Giusti  a Firenzesi è svolta la cerimonia di ricordo del genocidio dei Rom e dei Sinti da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Alla cerimonia, presenziata dal presidente del Consiglio Comunale Cosimo Guccione, hanno assistito cittadini e rappresentanti delle associazioni rom e dell’ANEP, Associazione Nazionale ex deportati. La cerimonia ricorda che il 2 agosto 1944  fu liquidato il “campo zingari” di Auschwitz-Birkenau: oltre 4.000 persone  furono sterminate nelle camere a gas. Per ricordare quella tragedia da alcuni anni si celebra il Roma Genocide Remembrance Day, la Giornata in memoria del genocidio dei Rom e dei Sinti durante la Seconda guerra mondiale. In lingua romanì, questo sterminio viene chiamato Porrajmos o Samudaripen  e causò complessivamente la morte di circa mezzo milione di persone appartenenti a questa popolazione. E’ stata presentata recentemente alla Camera dei Deputati una Proposta di Legge per far dichiarare il Samuradipen Giorno della Memoria; gli atti della conferenza stampa, il testo di legge e vari interventi storici sono stati pubblicati quest’anno, a cura di Andrea Vitello,  da Multimage sotto il titolo Il Samudaripen: genocidio dei rom e sinti nella Seconda guerra mondiale. Redazione Toscana
La mostra “Testament” a Mitrovica e la condizione dei Rom in Kosovo
Il Museo Civico di Mitrovica (Museum of Mitrovica, MoM), in Kosovo, conferma la sua vocazione di “museo di partecipazione”, attento alla fruizione del patrimonio e alla promozione dei diritti, con l’inaugurazione di una mostra di grande impatto civico e sociale, la mostra “Testament”, realizzata in collaborazione con la ONG Voice of Roma, Ashkali and Egyptians. La mostra ha un tema conduttore chiaro sin nel titolo: rappresentare e mettere in luce le storie, la memoria e la dignità delle comunità Rom, Ashkali ed Egyptians (Egizi) del Kosovo, manifestando e illustrando, indirettamente, la pluralità e la ricchezza straordinarie del tessuto etnico e sociale della regione. Il Kosovo è infatti una delle regioni a maggiore intensità interetnica dell’intero spazio post-jugoslavo: non solo Albanesi (oltre il 90%) e Serbi (circa il 5%) del Kosovo, con le loro caratteristiche e le loro specificità, ma anche Bosgnacchi (slavi musulmani), Turchi, presenti soprattutto nell’area di Prizren, a Sud, Gorani, la cui regione di principale insediamento è l’area di Gora, a cavallo tra Kosovo, Albania e Macedonia del Nord, e appunto le comunità definite nell’insieme R.A.E., vale a dire i Rom, gli Ashkali e gli Egyptians. Come indica la presentazione della mostra, Testament è un invito alla riflessione, alla consapevolezza e all’ispirazione per le generazioni future, compiuto attraverso l’arte: non solo un’espressione essenziale dell’ingegno, della fantasia e della creatività umana, ma anche un ponte tra passato e presente, capace di connettere con il passato, fare riflettere sulle condizioni del presente, ispirare e, quando grande arte, orientare verso l’avvenire. Testament, in particolare, usa il linguaggio della fotografia e riflette sui Rom e la loro condizione, nello specifico della realtà kosovara. Qui, Rom, Ashkali e Egyptians non costituiscono un’unica comunità. Ad esempio, i Rom del Kosovo parlano il serbo o il romanì come prima lingua; la maggior parte è di religione cristiana ortodossa, tuttavia alcuni sono musulmani. Sono un gruppo disperso, con un numero significativo di sfollati dopo le violenze legate alla guerra e all’aggressione della Nato contro la Jugoslavia del 1999 e poi ai pogrom del 2004, dispersi principalmente in campi in Kosovo e Serbia. L’European Roma Rights Centre ha stimato la popolazione Rom prima del 1999 a circa 120 mila unità. Nel censimento del 2011, che tuttavia non comprende il Kosovo del Nord, si stimava un totale di 8.824 Rom, sebbene le stime Osce del 2010 indicassero 34 mila Rom ancora residenti in Kosovo. Ashkali ed Egyptians parlano invece prevalentemente albanese come prima lingua e vivono comunemente con gli Albanesi nelle aree urbane e nei villaggi. Gli Egyptians, infine, differiscono dai primi per la loro asserita discendenza egiziana. Come detto, i Rom parlano il romanì o il serbo e tendono a vivere in villaggi o enclavi miste Serbi/Rom o talvolta monoetnici. La mostra offre uno spaccato visuale di questa realtà così complessa: presenta venti ritratti di venti rappresentanti di queste comunità, fotografati da Arben Llapashtica, con la curatela di Eliza Hoxha. Per tornare alle cifre, secondo il Rapporto Osce sulla “Panoramica delle comunità Rom, Ashkali ed Egyptians in Kosovo” (2020), gli ultimi dati ufficiali sulla rappresentanza di tali comunità in Kosovo risalgono al censimento del 2011, e le cifre esatte indicano che in Kosovo vivono 8.824 Rom, 15.436 Ashkali e 11.524 Egyptians. I Rom sono quindi lo 0,51% della popolazione del Kosovo, gli Ashkali lo 0,89% e gli Egiziani lo 0,66%. Questi dati, tuttavia, non forniscono un quadro demografico accurato, per diversi motivi, poiché non tutti i membri delle rispettive comunità hanno partecipato al censimento e poiché il censimento stesso non è stato condotto nel Kosovo del Nord, dove la presenza Rom pure è significativa. Inoltre, sono spesso disponibili stime informali del numero di abitanti di ciascuna comunità e le discrepanze numeriche, a loro volta, possono fare riferimento, ad esempio, ai movimenti delle persone legati alla migrazione verso l’Europa occidentale o anche alle conseguenze dei rimpatri nella regione dall’Europa occidentale, specie negli anni tra il 2014 e il 2016. La maggior parte dei membri delle tre comunità vive spesso ai margini della società, alle prese con alti tassi di disoccupazione e bassi livelli di istruzione. Vivono spesso in insediamenti, in alcuni casi informali, con infrastrutture carenti, e le abitazioni versano spesso in condizioni gravi. Inoltre, i membri delle comunità Rom, Ashkali ed Egyptians del Kosovo, in particolare le donne, si trovano ad affrontare ostacoli che li escludono da una piena ed effettiva partecipazione. Molti membri delle comunità ricevono assistenza sociale da Pristina o Belgrado. Per di più, quando i membri delle tre comunità trovano lavoro, si tratta spesso di lavori poveri o stagionali, sebbene alcuni lavorino nel settore pubblico, principalmente come insegnanti o impiegati, una composizione sociale erede del passato jugoslavo, quando le condizioni sociali e lavorative delle comunità Rom erano decisamente incomparabili con la drammaticità della situazione attuale. Si capisce dunque l’importanza di questa mostra: conferma la vocazione del Museo civico di Mitrovica come spazio in cui l’arte si fa uno strumento di dialogo e rispetto reciproco e getta una luce su una delle realtà più complesse e problematiche, ma anche più marginali e sconosciute, del Kosovo, alimentando un’ispirazione positiva che va nel senso della pace positiva, dell’inclusione, di «tutti i diritti umani per tutti e per tutte». Riferimenti: Minority Rights Group, “Roma, Ashkali and Egyptians in Kosovo”, 2018: https://minorityrights.org/communities/roma-ashkali-and-egyptians Organization for Security and Co-operation in Europe, “Overview of Roma, Ashkali and Egyptian communities in Kosovo”, 2020: https://www.osce.org/mission-in-kosovo/443587 Minority Rights Group, “The Roma – Kosovo’s forgotten victims”, 2004: https://minorityrights.org/the-roma-kosovos-forgotten-victims Gianmarco Pisa
La bandiera romanì arriva per la prima volta sull’Everest: un giorno storico per i rom e sinti di tutto il mondo
È stato l’abruzzese Gennaro Spinelli, presidente nazionale UCRI, artista, attivista e portavoce della cultura romanì nel Mondo a portare materialmente la bandiera per la prima volta nella storia sull’Everest, la montagna più alta dell’mondo il 27 aprile scorso. La sua forza, la sua determinazione e la sua visione hanno reso possibile questo gesto simbolico e profondo. “Portare per la prima volta nella storia la bandiera romanì sull’Everest è stato un onore immenso!  La nostra bandiera è il nostro simbolo, la nostra forza e il nostro futuro!  Portarla sulla montagna più alta del pianeta è il simbolo della bellezza, grandezza e forza della cultura romanì che dopo migliaia di anni vuole esistere e pretende di farlo con dignità in tutto il mondo.” Oggi è una di quelle giornate che fanno tremare le ossa: la bandiera romanì ha toccato il cielo, là dove l’aria è così fina che manca il respiro – sull’Everest, il tetto del mondo. È un fatto storico, ma è anche un grido: “Ci siamo, ci siamo sempre stati, e oggi siamo più forti che mai.” Dopo 150 chilometri a piedi tra pietre, ghiaccio e vento tagliente come la bora – e con lo zaino pieno non solo di viveri, ma di memoria, orgoglio e sogni – siamo saliti. Più di 5500 metri sopra il mare, a -20 gradi, con le gambe dure ma il cuore acceso: la bandiera dei Rom e dei Sinti ha trovato spazio nel cielo più alto. E non era una bandiera qualsiasi: reca le firme di Rom, Sinti e attivisti per la cultura romanì di tutta Europa, testimonianze vive di una comunità che resiste, che crea, che ricorda.     “Portare la nostra identità lassù è stato come portare il nome di tutte le nonne, i padri, i figli e le figlie che hanno camminato, spesso scalzi, spesso soli, ma mai piegati. Un gesto di resistenza come quello dei partigiani, un gesto di dignità come tutti gli esseri umani.”  L’Impresa ha avuto il patrocinio morale dell’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso Palazzo Chigi e la presidenza del consiglio dei ministri, tramite il suo direttore Mattia Peradotto, il sostegno morale dell’ ANPI NAZIONALE tramite il suo presidente Gianfranco Pagliarulo che ringraziamo e della Croatian Romani Union “KALI SARA” ha dato forza e radici a questa impresa. Da anni queste organizzazione si spendono per la cultura romanì, e oggi l’hanno spinta fino al punto più lontano della Terra. L’iniziativa è stata promossa dall’UCRI – Unione delle Comunità Romanès in Italia nel mese dell’orgoglio Rom, con l’obiettivo di unire simbolicamente le voci e le storie del popolo romanì di tutto il mondo. Ma non si è trattato solo di una scalata. È stato un gesto simbolico e potente, un filo teso tra le vette dell’Himalaya e le terre dell’Abruzzo, dei Balcani, del Rajasthan, dell’Europa intera. Un cammino lungo mille anni, fatto di dolore, bellezza e testardaggine. Un ringraziamento importante va agli Sherpa, ai tecnici e alle comunità e a chi – con una parola, un abbraccio, una preghiera – ha sostenuto questa visione. E oggi, lassù, abbiamo piantato il nostro nome e la nostra storia. Oggi i Rom stanno sull’Everest. Oggi siamo fieri. Redazione Italia