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Mozambique LNG: inglesi e olandesi si ritirano, le italiane SACE e CDP invece no
A seguito della denuncia presentata da ECCHR / European Center for Constitutional and Human Rights *, le agenzie di credito all’export di Gran Bretagna e Paesi Bassi hanno deciso di non finanziare il progetto nella cui realizzazione in Mozambico la società multinazionale Total Energies si è resa complice di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.   «Chiediamo che il governo italiano prenda posizione su questa vicenda così drammatica e obblighi SACE e CDP a ritirarsi finanziariamente da Mozambique LNG – ha dichiarato Simone Ogno di ReCommon – Dopo l’uscita delle agenzie di credito all’export di Regno Unito e Paesi Bassi, sarebbe scandaloso se centinaia di milioni di euro dei contribuenti italiani continuassero a essere destinati per un progetto così rischioso e macchiato da possibili gravi violazioni dei diritti umani». Con decisioni che hanno pochi precedenti, i governi di Gran Bretagna e Paesi Bassi hanno scelto di interrompere il sostegno finanziario al progetto Mozambique LNG, gestito dalla multinazionale francese TotalEnergies per l’opera che vede un considerevole coinvolgimento italiano, dal momento che l’agenzia di credito all’esportazione SACE / Servizi Assicurativi per il Commercio Estero dovrebbe rilasciare una garanzia di 950 milioni di euro, con cui coprire i prestiti per le operazioni di SIPEM, tra cui quello di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) del valore di 650 milioni di euro. Lo scorso novembre, l’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR), una delle più importanti Ong europee per la difesa dei diritti umani, ha presentato in Francia una denuncia penale contro TotalEnergies per complicità in crimini di guerra, tortura e sparizioni forzate. Come riportato dal quotidiano Politico, lunedì scorso il ministro britannico per gli Affari economici Peter Kyle ha comunicato l’annullamento dell’operazione da oltre 1 miliardo di dollari a sostegno del progetto di gas naturale liquefatto del colosso fossile transalpino, poiché metterebbe a rischio i soldi dei contribuenti alla luce delle gravi vicende riguardanti l’infrastruttura. Nella stessa giornata, il ministro delle Finanze olandese Eelco Heinen ha confermato al Parlamento nazionale che «i Paesi Bassi non saranno più coinvolti nel finanziamento del progetto in Mozambico». La multinazionale del petrolio e del gas è accusata di aver finanziato direttamente e sostenuto materialmente la Joint Task Force, composta dalle forze armate mozambicane, che tra luglio e settembre 2021 avrebbe arrestato, torturato e ucciso decine di civili sul perimetro del sito estrattivo in quello che è stato definito “il massacro dei container”. Una vicenda ripresa nel settembre 2024 sempre da Politico in un’inchiesta curata dal giornalista indipendente Alex Perry e, successivamente, da Le Monde e Source Material, e in cui si segnalava, grazie anche a una richiesta di accesso agli atti inoltrata da ReCommon a CDP, come TotalEnergies avesse tutti gli elementi a disposizione per essere a conoscenza degli abusi commessi dai militari mozambicani già prima dell’estate del 2021. A seguito di un attacco alla città di Palma da parte del gruppo armato Ahl al-Sunnah wa al Jamma’ah nel marzo e nell’aprile 2021, l’esercito mozambicano – compresi i membri della Joint Task Force sostenuta da TotalEnergies – avrebbe arbitrariamente detenuto decine di civili in container metallici situati all’ingresso dello stabilimento tra luglio e settembre 2021. I civili stavano fuggendo dai loro villaggi a causa degli attacchi degli insorti quando sono stati intercettati dall’esercito. Secondo le ricostruzioni, i detenuti sono stati torturati, sottoposti a sparizioni forzate e alcuni di loro sono stati uccisi sommariamente. Nel settembre 2021, gli ultimi 26 detenuti sono stati rilasciati. La Joint Task Force è stata istituita con un memorandum del 2020 tra la filiale mozambicana di TotalEnergies e il governo mozambicano come unità di sicurezza dedicata alla protezione delle operazioni del progetto Mozambique LNG. Il sostegno finanziario britannico e olandese, sotto forma di prestiti e garanzie pubblici per gli esportatori e le banche che sostengono il progetto, era stato sospeso dopo che TotalEnergies aveva invocato la forza maggiore – una clausola contrattuale che consente alle aziende di sospendere gli obblighi in caso di calamità – a seguito del deterioramento della situazione della sicurezza nella regione. SACE ha già supportato finanziariamente un altro progetto in Mozambico, con una garanzia di 700 milioni di euro: si tratta di Coral South FLNG, progetto offshore di ENI, la multinazionale energetica occidentale più attiva in Mozambico insieme proprio a TotalEnergies. Nella penisola di Afungi, dove è in fase di costruzione Mozambique LNG, dovrebbe sorgere anche l’impianto Rovuma LNG di ExxonMobil ed ENI. * La francese TotalEnergies denunciata per presunti crimini di guerra in Mozambico, in cui è coinvolta l’italiana SACE / PRESSENZA – 18.11.2025 Re: Common
A Milano corteo per la Palestina e non solo
E’ il 29 novembre 2025, Giornata Mondiale della Solidarietà col popolo palestinese e mi avvio a piedi da Piazza del Duomo a Piazza XXIV maggio in pieno quartiere Ticinese a Milano; arrivato in corso di Porta Ticinese mi rendo subito conto che la partecipazione al corteo è numerosa proprio come lo sventolio delle bandiere palestinesi ed i cartelli che gridano “Libertà per Marwan Barghouti”, l’unico palestinese veramente temuto dal governo d’Israele e dai capi di Hamas, perché in grado di mettere fine al genocidio in atto a Gaza ed ai crimini dei coloni appoggiati dall’esercito israeliano nei confronti delle famiglie palestinesi in Cisgiordania. Tanti gli striscioni e i cartelli per la liberazione dell’imam Shahin, attualmente prigioniero nel Cpr di Caltanissetta, che rischia di essere consegnato all’Egitto, con il quale il dialogo del nostro Paese continua a essere più che aperto, nonostante i pianti per l’assassinio di Giulio Regeni. Almeno in 15mila sfilano per le strade della città; non mancano numerose sigle dei sindacati di base, che oltre a gridare “Free Palestine” non tacciono sul governo Meloni e sulle condizioni sempre peggiori di lavoro, sulla precarietà, sui morti del lavoro, sulla schiavitù e sullo sfruttamento. Come ai vecchi tempi ricompaiono anche i “volantinatori” e di conseguenza i volantini fronte e retro scritti fitto fitto perché tutto stia su un foglio di carta. (avete letto bene …..di carta!). Uno di questi “piccolino nel formato” titola “Contro il piano di Trump su Gaza e i sacrifici per la guerra, per l’embargo a Israele e per buttare giù il governo Meloni con la piazza!” Su un altro volantino si legge “Contro lo sfruttamento e il riarmo! Per l’unità d’azione dei sindacati e dei lavoratori” ed io non posso che continuare a sperare che i sindacati facciano “pace con il cervello” e comincino a capire che prima dei loro piccoli interessi ci sono quelli degli sfruttati, dei poveri e della gente comune che chiede lavoro e dignità. L’unità d’azione sarebbe già un gran bel segnale! Redazione Milano
Sciopero generale, Milano attraversata da un grande corteo
Si sapeva che i numeri non sarebbero stati quelli di fine settembre, e non sappiamo neppure quanta sia stata la percentuale di scioperanti, ma la manifestazione di Milano è venuta molto bene. Appuntamento alle nove e mezza, giornata serena, ma molto fredda. Come spesso avviene all’inizio si è in pochi e gli umori sono piuttosto bassi. Ma alla partenza il corteo è fitto e durante la prima parte del percorso si riempie, settemila? Ottomila? La componente studentesca è maggioritaria, ma ciò significa anche che la forza, il colore e l’energia sono tante. Parte dal centro e va verso la periferia; diversi i camion che mandano musica, da cui partono interventi forti e ascoltati. La causa palestinese si incrocia sempre meglio con una militarizzazione diffusa, una repressione che cresce, investimenti in spese militari da paura, tagli alla spesa sociale che producono rabbia ogni giorno di più, stipendi al palo. Vengono poi ricordate le parole di ministri sempre più impresentabili. “Governo Meloni, dimissioni” grida la piazza. Striscioni, bandiere, cartelli, la giornata si intiepidisce e si cammina si cammina. Si dovrebbe finire alla stazione ferroviaria di Lambrate, ma probabilmente la questura non è d’accordo, c’è pure un elicottero che vola tutto il tempo sulla testa dei manifestanti. Dall’alto hanno deciso che alla stazione non ci si avvicina e così cominciano dei muri di camionette e agenti antisommossa che deviano il corteo, una, due, tre volte. Il corteo è compatto, non si cercano tensioni, gli idranti sopra un enorme camion non devono essere attivati. E così il corteo va avanti, avanti. Alla fine si saranno fatti quasi dieci chilometri, si finisce alle due del pomeriggio, l’anfiteatro della Martesana accoglie coloro che hanno resistito fino alla fine. Viene anche composta una grande scritta “Free Marwan Barghouti” a ricordare che domani inizia una campagna internazionale per la liberazione del leader palestinese e per la libertà di tutti i prigionieri politici palestinesi. La pace è ancora molto lontana. Bisogna continuare. E domani altro corteo alle 14 da piazza 24 Maggio, ma stavolta si finisce in piazza Duomo. Foto di Andrea De Lotto e Fiorella Socci Andrea De Lotto
Rete Antimilitarista del Nord Italia: contro “la guerra, la militarizzazione e le politiche del governo Meloni”
I promotori della manifestazione che domani, sabato 15 novembre, dal centro di Cameri si muoverà fino allo stabilimento della Leonardo SpA propongono l’aggregazione e l’allenza tra i molteplici gruppi locali che in Italia settentrionale sono impegnati in attività di contrasto all’espansione dell’industria bellica. PER UNA RETE ANTIMILITARISTA DEL NORD ITALIA DA CAMERI, CONTRO LA GUERRA, LA MILITARIZZAZIONE E LE POLITICHE DEL GOVERNO MELONI L’Europa e l’Italia sono in piena fase di riarmo. Da ben prima del governo Meloni il Paese sta destinando risorse pubbliche senza precedenti alla produzione e all’acquisto di armi – dai nuovi F-35 allo stabilimento FACO di Cameri, cuore pulsante della fabbrica di guerra europea – mentre sanità, scuola, servizi sociali e transizione ecologica vengono smantellati. Il 15 novembre 2025, a Cameri, si partecipa ad una mobilitazione popolare che non si riduce a un singolo presidio. Facciamo anche qui un primo passo di una rete antimilitarista diffusa, che unisce collettivi, associazioni, comitati locali, sindacati di base, attivisti per la pace, per i diritti umani e per la giustizia climatica, con l’obiettivo di coordinarsi su scala regionale e nazionale. ● Opporsi al riarmo dell’Europa e del governo Meloni e alla militarizzazione dell’economia ● Bloccare l’aumento della spesa militare (da 30 a 100 miliardi entro il 2035) e restituire risorse a sanità, scuola, welfare e transizione ecologica ● Denunciare il ruolo di Leonardo S.p.A. e delle altre aziende belliche come attori di guerra protagonisti di violazioni dei diritti umani ● Promuovere la riconversione civile delle industrie oggi dedite alla produzione di armi ● Costruire un fronte comune tra Nord e Sud Italia, connesso alle lotte antimilitariste europee e internazionali La rete si fonda sui principi di * nonviolenza attiva * trasparenza * democrazia orizzontale * solidarietà internazionalista Attraverso assemblee locali, campagne informative, iniziative di disobbedienza civile nonviolenta e pressione sulle istituzioni, miriamo a rendere visibile e inarrestabile il rifiuto popolare alla guerra. Prime adesioni: Coordinamento Novara per la Palestina Comitato Vercelli per la Palestina Individualità lombarde e piemontesi No Army No Border / Il nero drappo VCO ADESIONI E CONTATTI : prochannel@protonmail.com Redazione Italia
Torino, annullata la conferenza “Russofobia, russofilia, verità”. La risposta di Angelo D’Orsi
Non è tardata ad arrivare la risposta del prof. Angelo d’Orsi che con un comunicato ufficiale ha umiliato il PD torinese, nazionale e Pina Picierno. Massima solidarietà al Professor Angelo d’Orsi e condivisione come chiesto da quest’ultimo nel medesimo comunicato. Nella città di Gramsci e Gobetti, medaglia d’oro alla Resistenza, è una vergogna che un sindaco del PD vieti – sulla linea della cancellazione delle esibizioni degli artisti russi – una conferenza sul conflitto russo-ucraino ad un noto esponente dell’accademia torinese solo perché contrasta con la vulgata del regime NATO sostenuta senza pudore dal governo Meloni, dalla destra italiana, dai neoliberali Renzi e Calenda e dal PD. Di seguito il comunicato di D’Orsi. La mia conferenza “Russofobia, russofilia, verità”, prevista l’11 novembre a Torino nei locali del Polo del ‘900 è stata inopinatamente annullata. L’accusa che ‘spiega’ l’annullamento è la stessa che ha impedito al direttore d’orchestra russo Gergiev, al baritono Abdrazaov, per citare solo gli ultimi episodi di cronaca, ossia di fare ‘propaganda’. E quindi senza neppure aspettare che io tenga la mia conferenza vengo poco democraticamente silenziato in nome della democrazia, di cui l’Occidente sarebbe il faro, mentre la Russia di Putin affoga nella ‘autocrazia’. Chi sono io? Sono un ‘terrone’ (salernitano) e vivo a Torino dal 1957, e vi ho compiuto tutti gli studi dalle Medie all’Università dove mi sono laureato con Norberto Bobbio. Sono stato professore ordinario di Storia del pensiero politico nell’ateneo cittadino, e ho insegnato nelle Facoltà di Scienze politiche e di Lettere e Filosofia, diverse altre discipline. Ho collaborato alla creazione dell’Archivio storico dell’ateneo e ho inventato e diretto per un quindicennio i ‘Quaderni di Storia’ dell’Università di Torino. E tra i miei libri ve n’è uno, molto corposo, specificamente dedicato alla nostra università (Allievi e maestri, l’Università di Torino tra 800 e 900). Ho 43 anni di docenza alle spalle, senza contare gli ultimi tre anni nei quali sono stato docente a contratto al Politecnico.  Ho presieduto per anni il più importante corso di laurea della mia Facoltà, quello in Scienze politiche. Di Torino ho studiato la storia culturale pubblicando opere rimaste come pietre miliari, a cominciare da La cultura a Torino tra le due guerre (2000) il libro più discusso in quell’anno, vincitore di premi importanti. Ho scritto la biografia dei tre iconici intellettuali del 900 che hanno operato sotto la Mole: Antonio Gramsci, Leone Ginzburg e ultimo Piero Gobetti, che uscirà in libreria tra qualche mese. Ho fondato e diretto le riviste ‘Historia Magistra’ e ‘Gramsciana’ che escono tuttora e sono considerate testate autorevoli a livello internazionale. Sul piano della milizia civile, dopo essere stato redattore capo del glorioso foglio di GL ‘Resistenza’, ho fondato e diretto ‘Nuova Sinistra’ e, anni dopo, ‘Nuvole’, che poi ho abbandonato. Giornalista pubblicista del 1971 (ho ricevuto la targa per i Decani dei giornalisti piemontesi), ho collaborato intensamente per un ventennio al quotidiano La Stampa e ad altri quotidiani (Corriere della Sera, Il Sole 24 ore, Il Manifesto…). Ho pubblicato oltre 50 volumi, e miei scritti sono usciti in inglese francese spagnolo portoghese tedesco serbocroato: è appena stata pubblicata la traduzione spagnolo della mia biografia di Gramsci, per citare solo l’ultimo esempio. Ho preso parte, sempre, alla vita culturale e al dibattito civile e politico, da indipendente, in città e sul piano nazionale Sono stato anche, sempre come indipendente, candidato sindaco di una coalizione di sinistra. Le mie posizioni di sinistra sono note a tutti, e non tocca a me sottolineare il mio peso di studioso e di intellettuale, ma credo sia universalmente riconosciuto. Ebbene, non avrei mai (e dico mai) potuto immaginare che venisse annullata una mia conferenza nella mia città. Era previsto anche un collegamento dal Donbass con un giornalista italiano, Vincenzo Lorusso, in quanto autore di un recente volumetto intitolato ‘De russophobia’, quindi persona informata e qualificata per parlare. Ma questo era un ‘di più’: il cuore dell’incontro annullato era precisamente la mia conferenza. Dopo un comunicato di una ignota associazione ucraina e di una sigla legata al Partito Radicale (che, ricordo, ha sempre sostenuto le forze di estrema destra nei Balcani e ora in Ucraina, contribuendo a far scarcerare il responsabile dell’omicidio del nostro fotoreporter Andrea Rocchelli, nel Donbass), è scesa in campo la ben nota Pina Picierno (che ricopre la carica di vicepresidente del Parlamento UE), la quale e ha chiesto anzi ingiunto al sindaco di Torino di far annullare l’evento. Così è avvenuto. E io l’ho saputo da un post gongolante della stessa signora, prima che gli organizzatori me lo comunicassero. Ora mi aspetto che la ministra dell’Università venga al mio fianco e mi faccia tenere la conferenza come ha fatto con rulli di tamburi e squilli di trombe con Emanuele Fiano (al quale nessuno aveva vietato di tenere conferenza, ma era stato contestato dagli studenti, cosa ben diversa e che dopo l’episodio sta girando la Penisola per godere dei frutti di quell’episodio). Mi aspetto che il sindaco di Torino dichiari di non essere intervenuto per bloccare la conferenza. Mi aspetto che l’ANPPIA nazionale che a quanto leggo su agenzie di stampa avrebbe sconfessato la sezione locale, ente organizzatore della conferenza, mi chieda scusa. E aspetto le scuse anche della presidenza e della direzione del Polo del ‘900. Mi aspetto che la segretaria del PD sconfessi la Picierno. Mi aspetto un gesto di solidarietà dal mondo accademico e intellettuale, almeno cittadino. Temo che nessuno di questi atti avverrà. Perciò chiedo alle testate giornalistiche con le quali ho collaborato in passato o collaboro nel presente, e ai programmi televisivi delle diverse reti di quali sono stato e sono frequentemente ospite di pubblicare questa mia o di darmi spazio per esporre pubblicamente le mie ragioni nel primo momento utile. Che ad uno storico di professione, un accademico ‘togato’, frequentemente invitato a tenere lezioni in Europa e fuori (le prossime saranno a Parigi, Saragozza, Barcellona, Teheran), venga impedito di tenere una pubblica conferenza è un fatto inaccettabile, di cui sarebbe vergognoso tacere o sarebbe colpevole sottovalutare. Angelo D’Orsi Redazione Italia
Dal 2023 al 2026 € 17,5 miliardi in meno per la sanità pubblica
L’aumento apparente delle risorse per la sanità pubblica in realtà maschera un definanziamento strutturale del Servizio Sanitario Nazionale: tra il Fondo Sanitario Nazionale effettivo e quello che si sarebbe ottenuto mantenendo il livello di finanziamento stabile al 6,3% del Pil nel 2022, si registra infatti un gap cumulato di € 17,5 miliardi nel periodo 2023–2026. Si continua a sbandierare un aumento in valore assoluto del SSN, ma in realtà la sanità pubblica ha perso in quattro anni l’equivalente di una legge di bilancio. Intanto, per i cittadini crescono le liste di attesa, la spesa privata e le diseguaglianze di accesso. E’ quanto ha evidenziato la Fondazione Gimbe, nell’audizione davanti alle Commissioni Bilancio riunite di Senato e Camera. “Il Disegno di Legge sulla Manovra 2026, ha sottolineato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, è molto lontano dalle necessità della sanità pubblica: le risorse stanziate non bastano a risollevare un Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) in grave affanno, sono insufficienti per coprire tutte le misure previste e mancano all’appello priorità cruciali per la tenuta della sanità pubblica. Innanzitutto il titolo dell’art. 63 “Rifinanziamento del Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” è fuorviante perché non riporta gli importi del FSN rideterminati a seguito dello stanziamento di nuove risorse”.  Per questo motivo la Fondazione Gimbe ha proposto di rinominare l’art. 63 in “Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” e di indicare, per ciascun anno, l’importo rideterminato del FSN. Le risorse aumentate che vengono sbandierate riguardano poi esclusivamente il 2026, quando il FSN crescerà di € 6,6 miliardi (+4,8%) rispetto al 2025, grazie a € 2,4 miliardi previsti dalla Manovra 2026 e, soprattutto, a € 4,2 miliardi già stanziati con le precedenti manovre, in gran parte già allocati per i rinnovi contrattuali del personale sanitario. Nel biennio successivo, invece, la crescita del FSN in termini assoluti è irrisoria: € 995 milioni (+0,7%) nel 2027 e € 867 milioni (+0,6%) nel 2028. Infatti, se va riconosciuto al governo Meloni di aver aumentato il FSN di ben € 19,6 miliardi, cifra mai assegnata da nessun esecutivo in 4 anni, è altrettanto vero che tagliando la quota di FSN sul PIL dal 6,3% del 2022 a percentuali intorno al 6% negli anni successivi, la sanità ha complessivamente lasciato per strada ben € 17,5 miliardi. Quindi, nonostante gli aumenti nominali, la sanità ha perso in quattro anni l’equivalente della prossima legge di bilancio. Siamo di fronte ad un disinvestimento continuo dalla sanità pubblica, avviato nel 2010 e perpetrato da tutti i governi. L’aumento del FSN in valore assoluto, spesso sbandierato come un grande traguardo, non è che un’illusione contabile: la quota di PIL destinata alla sanità cala infatti inesorabilmente, fatta eccezione per gli anni della pandemia quando i finanziamenti straordinari per la gestione dell’emergenza e il calo del PIL nel 2020 hanno mascherato il problema. E con la Manovra 2026 si scende addirittura sotto la soglia del 6%, toccando nel 2028 il minimo storico del 5,93%. Di fronte alla realtà drammatica di queste cifre, che mettono seriamente  a rischio la salute dei cittadini, la Fondazione GIMBE ha proposto di avviare un rifinanziamento progressivo della sanità pubblica, accompagnato da coraggiose riforme strutturali di sistema. “Perché aggiungere fondi senza riforme, è stato sottolineato in Audizione, riduce il valore della spesa sanitaria, mentre varare riforme senza maggiori oneri per la finanza pubblica crea solo “scatole vuote”, così come è accaduto per il Decreto anziani e soprattutto per il Decreto Liste di attesa. Nonostante la stagnante crescita economica, gli enormi interessi sul debito pubblico e l’entità dell’evasione fiscale, se c’è la volontà politica è possibile pianificare con approccio scientifico un incremento percentuale annuo del FSN, al di sotto del quale non scendere, a prescindere dagli avvicendamenti dei governi”. In linea con le indicazioni politiche suggerite dal report OCSE sulla sostenibilità fiscale dei servizi sanitari, la Fondazione GIMBE ha presentato in audizione proposte concrete per rifinanziare il SSN: una tassa di scopo su prodotti nocivi alla salute (sin taxes: tabacco, alcol, gioco, bevande zuccherate), oltre a imposte su extraprofitti e redditi molto elevati; la rivalutazione dei confini tra spesa pubblica e privata, con la revisione del perimetro LEA accompagnata da una “sana” riforma della sanità integrativa per aumentare la spesa intermediata su prestazioni extra-LEA e da una revisione mirata delle compartecipazioni alla spesa sanitaria (ticket); un piano nazionale di disinvestimento da sprechi e inefficienze, con riallocazione di risorse su servizi e prestazioni sotto-utilizzate. Qui per scaricare il materiale dell’Audizione informale della Fondazione GIMBE: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/434/397/Fondazione_GIMBE.pdf Giovanni Caprio
Sabato 25 ottobre mobilitazione nazionale a Roma
Sabato 25 ottobre 2025 Concentramento ore 13:30 in Piazza della Repubblica, corteo fino a Piazza San Giovanni, Roma Il Global Movement to Gaza Italia aderisce alla giornata di mobilitazione nazionale del 25 ottobre, convocata dalla CGIL contro le politiche economiche e sociali del governo. Nel 2025 il governo Meloni ha destinato 45 miliardi di euro alle spese militari, e punta a 146 miliardi entro il 2035: più di quanto si spende oggi per la sanità pubblica (137 miliardi). Noi vogliamo un’altra direzione: più fondi per sanità, istruzione, casa e welfare, una tassazione equa sulle grandi ricchezze, la lotta all’evasione, salari dignitosi, pensioni giuste, diritti sul lavoro e una vera transizione ecologica e sociale, non la riconversione bellica mascherata da “difesa”. Contro la guerra, la precarietà e l’ingiustizia sociale. Vogliamo molto di più. Redazione Italia
Allarme università: è ora di mobilitarsi
Sono molto grato a Roars per la pubblicazione di questo mio intervento, che va inteso come un segnale di allarme rivolto a tutta la comunità universitaria italiana. I processi che avevo tratteggiato in Libera università (uscito nello scorso febbraio) sono puntualmente partiti, e le prossime settimane saranno decisive: la ‘riforma’ dell’università per la quale il governo aveva avuto delega parlamentare sarà approvata entro l’anno come collegato alla legge di stabilità. Dunque, se c’è un momento in cui mobilitarsi, quel momento è ora. Il progetto è molto chiaro: svuotare l’articolo 33 della Costituzione, mettendo quanto più possibile l’università sotto il controllo del potere esecutivo. Il modello è l’Ungheria di Orbán, già adottato come tale negli USA di Trump e Vance. E l’università non è ovviamente l’unico bersaglio: manifestazioni di piazza, libera stampa, magistratura sono egualmente nel mirino. Il potere esecutivo deve poter tutto controllare, in un disegno illiberale che torce la nostra democrazia in una forma autoritaria. Gli strumenti sono sul tavolo: a partire dalla progettata presenza del governo nei CdA degli atenei (dove oggi siedono già ben due revisori dei conti nominati da Mur e Mef: ma qua si vuole una presenza ‘politica’, con diritto di voto), e dal controllo governativo della valutazione di università e ricerca (attraverso la ‘riforma’ dell’Anvur). In ‘cambio’ il governo offre un sostanziale arbitrio locale nel reclutamento, il prolungamento dei mandati rettorali attuali (cioè due mali) e forse un piano straordinario di qualche generosità. Un piatto di lenticchie, avvelenate. In un Paese normale, a reagire dovrebbe essere in primo luogo la Crui, la conferenza dei rettori: visto che se passa la riforma del CdA, i rettori taglieranno nastri, e poco di più (e come insegna Orbán, questo sarebbe solo l’inizio…). Ecco, questa reazione non ci sarà. La nuova presidenza Crui (salutata con entusiasmo mai visto dalla stampa di estrema destra) ha chiarito che ‘non farà politica’. Quando mi sono accorto che all’audizione parlamentare sulla riforma Anvur del 21 ottobre, Crui risultava rappresentata da due colleghi uno dei quali siede al tavolo della riforma 240 (e non per indicazione Crui, ma per scelta del governo) ho chiesto spiegazioni sulla chat delle rettrici e dei rettori, domandando anche notizie circa la linea che avremmo espresso: ebbene, la reazione è stata la chiusura in diretta della chat stessa, che sarà trasformata in un canale broadcast in cui parli solo la presidenza. L’asilo Mariuccia al tempo di Salò si sarebbe regolato meglio. Ed è evidente che a questo punto il dibattito si sposta, per quanto mi riguarda, anche fuori da Crui, visto il clima di intimidazione ed evidente collateralismo al governo (i lettori di Roars già conoscono la vicenda della mia lettera relativa alle borse Iupals e alla circolare Mancini inoltrata sulla chat, e subito messa alla berlina su «Libero» e «il Giornale»…). Poi la presidenza ha finalmente comunicato la linea Crui per l’audizione: > «In relazione al d.p.r. Anvur e [sic] condivisibile l’obiettivo generale di > rafforzare la proiezione internazionale dell’Agenzia semplificandone al > contempo parte delle procedure operative. Alcune previsioni specifiche > dell’articolato contrastano però con questo obiettivo laddove prevedono una > limitazione del grado di autonomia dell’Anvur che ne metterebbe seriamente a > rischio l’appartenenza alle organizzazioni ed europee e internazionali di > valutazione della ricerca, e vanno conseguentemente modificate. Tale adesione > è presupposto indispensabile per l’accreditamento dei corsi di > specializzazione in medicina, per la partecipazione a titoli congiunti a > livello europeo e per permettere che ad Anvur vengano affidati compiti di > valutazione d parte di sistemi universitari di altri paesi». Tralasciamo la forma italiana: per carità di patria, e perché è il contenuto che preoccupa. Bene sottolineare che la conseguenza sarà l’uscita di Anvur dalle organizzazioni di valutazione internazionali: ma questo è solo uno degli effetti di una causa che non si ha nemmeno il coraggio di nominare. Questo elefante nella stanza è il controllo del governo, dell’esecutivo, della maggioranza politica, sulla valutazione dell’università. Un dispositivo di disciplinamento politico – sia chiaro – che sarebbe egualmente grave se opposto fosse il segno politico del governo: l’università deve essere libera dal governo in quanto tale, da qualunque governo. Per i prossimi giorni è stata anche convocata una assemblea straordinaria Crui sul tema: «Revisione L. 240/2010 – Governance: Senato, CdA, ruolo del Rettore e Direttore Generale». Un tema come si vede limitato e marginale (!) per una assemblea telematica programmata per ben un’ora (!!), e senza che possiamo discutere nessun articolato (!!!). Una linea che definire inadeguata è un benevolo eufemismo. Naturalmente, un gruppo di rettrici e rettori consapevoli dei rischi del momento si sta organizzando in chat e consultazioni indipendenti, attrezzandosi per difendere l’autonomia. Ma spero che le comunità dei vari atenei inducano proprio tutti i miei colleghi e tutte le mie colleghe della Crui a cambiare velocemente passo. Difendere l’autonomia dell’università non significa ‘fare politica’ in senso deteriore, significa invece permettere che l’università conservi la libertà garantita dalla Costituzione. Senza libertà, non c’è università. Al giuramento imposto dal governo nel 1931 disse ‘no’ solo una quindicina di professori (il numero canonico è 12) su 1251: oggi come andrà a finire?    
Caso di Alberto Trentini. Un diplomatico venezuelano accusa: “Il governo Meloni non ha mai chiamato Caracas”
Dopo circa 300 giorni di prigionia, giungono sconcertanti novità sulla situazione di Alberto Trentini, cooperante veneziano arrestato in Venezuela il 15 novembre 2024.   Infatti un funzionario diplomatico venezuelano, pochi giorni fa, ha rilasciato alcune dichiarazioni preoccupanti: “La Repubblica Bolivariana del Venezuela resta aperta al dialogo con l’Italia” per trattare “sui prigionieri e su altri temi di interesse comune”, ma finora Palazzo Chigi “non ha neppure telefonato alle autorità di Caracas”. “Tale atteggiamento è infantile, non appartiene ai rapporti tra Stati, ma passa come distacco e mancata volontà politica”.  La fonte ha chiesto riservatezza, a causa delle recenti tensioni con gli USA che hanno aggravato il clima interno portando ogni informazione filtrata a poter apparire come un tradimento, tuttavia la colpa, spiega la fonte, non sarebbe di Maduro bensì degli statunitensi che provano a corrompere i funzionari venezuelani. Il diplomatico si è poi soffermato, sulle scarcerazioni, di questo 24 agosto, degli italiani Margarita Assenza e Americo De Grazia, per le quali, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, aveva dato il merito al governo italiano guidato da Giorgia Meloni. In merito a questa vicenda, il funzionario venezuelano ha chiarito: “È stata una scelta sovrana, un affare interno che ha coinvolto anche le opposizioni democratiche e qualche mediatore a latere”; “l’Italia non ha neppure toccato palla né indicato alcun nome sull’elenco dei rilasci, ma ne è venuta a conoscenza quando l’accordo era stato fatto”. Tali dichiarazioni trovano conferma dalla delegazione costituita da Henrique Capriles, Stalin Gonzalez e Tomas Guanipa, la controparte di Maduro al tavolo negoziale, che ha affermato: “C’eravamo solo noi davanti alla prigione dell’Helicoide al momento delle scarcerazioni”, aggiungendo “c’è ancora tanta strada da fare, alcuni scarcerati sono comunque sotto processo e divieto di espatrio”.  La situazione e risultati della diplomazia italiana resta molto difficile, specie se paragonata con i risultati di altri Paesi: gli USA infatti hanno ottenuto rilasci negoziando su un binario politico-umanitario; la Svizzera ha visto uscire invece un compagno di cella di Trentini. Lunedì 15 settembre alla mostra internazionale del cinema di Venezia, Armanda Colusso- madre di Alberto Trentini, che a differenza della madre di Cecilia Sala non è stata mai ricevuta a Palazzo Chigi dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni- ha dichiarato riguardo suo figlio: “Cosa penserà questo ragazzo del suo Paese che per mesi l’ha abbandonato e non si è attivato abbastanza per liberarlo?”. Giorgia Meloni sta continuando a non nominare pubblicamente Alberto Trentini, evitando deliberatamente di riconoscerne il peso e l’importanza della vicenda. La situazione quindi è sempre più drammatica, la speranza è che i richiami anche dell’opinione pubblica riescano a far smuovere qualcosa.  Andrea Vitello
Migranti e Paesi sicuri, la Corte Europea di Giustizia affonda ancora il governo Meloni
Ennesima mazzata per il governo Meloni in materia di immigrazione. Con una sentenza attesa, pronunciata oggi alle 10.57 la Corte Europea di Giustizia ha sentenziato che non sono i governi dei singoli Paesi a poter determinare quali siano i “Paesi sicuri” in cui rimpatriare, o per meglio dire, deportare le persone che fuggono, ma che tale decisione appartiene ad un giudice obbligato a valutare se tutto il Paese di provenienza di chi chiede asilo sia o meno sicuro al punto da predisporre il diniego alla domanda e il conseguente rimpatrio. Piantedosi e Meloni avevano provato sia a ridurre il numero dei Paesi in cui deportare, sia a stringere con questi nuovi accordi, sia, soprattutto, a depotenziare il ruolo della magistratura. L’intero impianto salta, al punto che anche il costoso esperimento coloniale in Albania, che comprende, ricordiamo, un hotspot e un CPR, diventa un colossale boomerang che si abbatte su chi legifera dimostrando di avere scarsissima conoscenza del diritto internazionale. La sentenza precisa che fino a quando, probabilmente nel 2027, non ci sarà un nuovo regolamento che determinerà le modalità e le ragioni di ogni rimpatrio, la decisione di un tribunale dovrà essere considerata valida su tutto il territorio dello Stato membro; non sono ammesse disposizioni discrezionali. Resta l’amaro in bocca di chi è convinto che a tali decisioni si debba arrivare attraverso la politica e non per decisione di una, per quanto autorevole, Corte internazionale. Ci si svegli, anche in Parlamento, prima ancora di attendere che una sentenza ci lavi la coscienza. Maurizio Acerbo, Segretario nazionale Stefano Galieni, Responsabile nazionale immigrazione, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea   Rifondazione Comunista - Sinistra Europea