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Continua la mobilitazione della global march to Gaza a Bruxelles
Oggi e domani  continua la mobilitazione della global march to Gaza a Bruxelles. Nel pomeriggio ci saranno dei flash mob e delle azioni di fronte all’ingresso del Parlamento Europeo e inoltre è stata inviata una lettera vedi il link allegato, che si rivolge ai capi di stato e di governo europeo come la Callas rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Ursula Von der Leien, presidente della commissione, Antonio Costa Presidente del Consiglio Europeo e Roberta Meztola la Presidente del Parlamento. In questa lettera i Global March chiedono di fermare il genocidio del Popolo palestinese, visto che ci sono voluti duemila anni per arrivare alla carta dei diritti umani dell’ONU che è stata costruita sulla cooperazione dei paesi e anche sul rifiuto di ripetere olocausti e genocidi.Nella carta all Europa ci si chiede se questi testi fondamentali valgono solo per gli europei o valgono anche per gli altri paesi per gli altri popoli di fronte al terrore ai massacri alle carestia provocati da uomini i governi cosa fanno rimangono solo a guardare? Un intero Popolo può cessare di esistere la sua cultura e la sua musica la sua arte le sue storie scomparire insieme agli edifici ai corpi alle famiglie ai bambini, bambini che non ascolteranno mai storia dei loro nonni,e  genitori che non sentiranno mai la voce dei loro figli? Con questa lettera Global March to  Gaza ha lanciato una pietra contro le istituzioni che in nostro nome hanno permesso il genocidio del popolo palestinese e in questi giorni stanno votando un documento per l’aumento delle spese militari fino al 5% in modo da peggiorare pesantemente le nostre vite quotidiane nei 27 paesi membri.Sempre in nostro nome ma senza la nostra voce! La lettera termina con l’accusa di non rappresentarci più di averci ignorato di averci messo a tacere come è stato fatto col popolo palestinese. Questa la lettera integrale: Open_Letter_from_the_Global_Marchers_for_Gaza_to_the_European_leaders Redazione Italia
Politiche guerrafondaie, dissenso e pressione pacifica
Mentre Turchia, USA e le forze cosiddette occidentali proseguono nelle loro strategie neocoloniali volte a mantenere e se possibile allargare la loro influenza in Oriente anche all’Iran, i loro popoli tentano di esprimere il dissenso alle politiche guerrafondaie delle élite che li governano, alle prese con una crisi economica di sistema senza precedenti. La triade che rappresenta la punta più antagonista di questo malcontento dal basso, Carovana Sumoud, Freedom Flottilla e Global March to Gaza, si è data appuntamento a Bruxelles per una serie di iniziative di pressione politica pacifica, ma pur sempre nel quadro di un’ espressione del dissenso che ogni giorno che passa presenta sempre nuovi paletti. In Italia, con il colpo di mano del governo neo-fascista, si sono “inventate” nuove fattispecie di reato, mentre il movimento BDS e altri pro-Pal entrano nella black list di un numero crescente di Paesi. Redazione Italia
Global March to Gaza, dall’Egitto a Bruxelles con i palestinesi
Dopo l’Egitto la Global March to Gaza ha deciso di partecipare alla settimana di iniziative per la Palestina e contro il genocidio a Gaza che si stanno tenendo a Bruxelles nei luoghi simboli del potere dell’Unione Europea: la Borsa il Parlamento e le commissioni. Ieri è stata una giornata densa di flash mob e manifestazioni in diverse zone della città, in particolare quella serale davanti alla Borsa, dove è stata srotolata un’enorme bandiera palestinese e dove i militanti, soprattutto molti palestinesi e comunque cittadini stranieri hanno intonato canti e slogan e come “Tous le monde deteste les sionistes” o “Siamo tutte antifasciste”, e “So so so solidarité avec le peuple palestinien”. Dopo l’esperienza in Egitto chi è tornato e chi non ha potuto partire ha pensato di far rivivere il movimento straordinario della Global March to Gaza, che ci ha permesso di metterci in contatto in Italia con tutte le regioni. Quindi questi giorni a Bruxelles sono un’occasione per manifestare per la Palestina, ma anche un momento per incontrarsi fra i vari pezzi della Global March e ripensare una forma diversa di organizzazione, orizzontale e non verticistica, che abbia cura degli altri e delle loro ansie, che sia più chiara e meno opaca possibile nella comunicazione umana. Ieri è stata anche una giornata di arresti, perché gli attivisti di Stop Arming Israel hanno bloccato una fabbrica che produce sistemi per droni chiamata Syensqo e un sito di produzione militare a Tournée, sempre in Belgio; in centinaia, vestiti con le tute da lavoro bianche usate nelle centrali nucleari, hanno circondato la fabbrica, mentre alcuni entravano nei capannoni e con la vernice scrivevano su tutti i muri Save Gaza, Stop Genocide  e Viva Palestina. Ieri abbiamo fatto un presidio alla sede della polizia per chiedere la liberazione dei 500 attivisti arrestati e oggi mi sto recando a l’Eglise de Beguinage per incontrare gli attivisti e le attiviste che da un mese stanno facendo lo sciopero della fame. Foto di Manfredo Pavoni Gay Redazione Italia
La pace non ha bisogno di permessi
Bruxelles, 20 Giugno Il movimento dei cittadini liberi Global March To Gaza Italia, reduce dell’esperienza del Cairo grazie alla quale ha rafforzato i propri legami con il movimento internazionale e ha avuto l’opportunità di crescere e maturare sulla base delle esperienze sul campo, si è rinnovato per affrontare insieme a tutte le altre delegazioni i prossimi importanti appuntamenti. A Roma il 21 Giugno, si svolgeranno due manifestazioni con lo stesso obbiettivo. Nel rispetto di chi soffre e muore sotto il nostro naso, parteciperemo a entrambe, perché dividere è sinonimo di opprimere. Confidiamo in un grido unisono, talmente alto da scavalcare ogni muro, ogni piazza. Un grido contro il Riarmo Europeo, contro la guerra, per la difesa del popolo palestinese. Uno dice NO alla NATO, l’altro un secco NO al genocidio. Sappiamo che non è una ragione sufficiente per spaccare le piazze. Noi non ci sentiamo di entrare nelle dinamiche che hanno portato alla divisione. Auspichiamo l’unità, per dare più forza ad un movimento di opposizione di massa che possa tenere l’Italia fuori dalla guerra, impedendo al governo Meloni di ubbidire ai circoli atlantisti guerrafondai. Gli appuntamenti sono alle 13:30, l’uno al bar a 100 metri dall’uscita destra della metro B stazione Piramide; l’altro è all’angolo della ex MAS, oggi Accademia della Moda. Scendiamo in piazza per ribadire il supporto alla Resistenza Palestinese, contro il genocidio, contro il Riarmo Europeo. Oggi, 20 Giugno, a Bruxelles, ci stabiliremo al Parco del Cinquantenario in attesa del 23 Giugno, giorno in cui verrà discusso l’accordo di associazione UE-Israele al Consiglio dei Ministri. Il 26 e il 27 ci sarà l’Incontro tra i capi di Stato, e anche in quei giorni noi saremo lì, ad aspettare una presa di posizione umana. Il 19 giugno la carovana SUMUD non è tornata in silenzio a Tunisi. Le delegazioni di tutto il mondo non hanno dimenticato il trattamento ingiusto che gli è stato riservato, e non ci siamo dimenticati la forza del nostro privilegio. A prescindere dalle autorizzazioni andremo avanti comunque, forti della convinzione che la pace non abbia bisogno di permessi. Delegazione Italiana – Global March to Gaza CONTATTI STAMPA brussels@posteo.com @globalmarchtogazaitalia http://www.marchtogaza.net Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri, non dimenticare il cibo delle colombe. Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri, non dimenticare coloro che chiedono la pace. Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri, coloro che mungono le nuvole. Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri, non dimenticare i popoli delle tende. Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri, coloro che non trovano un posto dove dormire. Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri, coloro che hanno perso il diritto di esprimersi. Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso, e di’: magari fossi una candela in mezzo al buio. (Mahmud Darwish)     Redazione Italia
Global March To Gaza, mobilitazione a Bruxelles dal 20 al 27 giugno 2025
La Global March to Gaza invita a partecipare a una mobilitazione pacifica a Bruxelles. Di seguito il programma: A partire dalla sera del 20, 21 e 22 giugno: installazione del campo, discussioni, supporto e attività di sensibilizzazione. 23 giugno: proteste per richiedere la cancellazione dell’accordo di associazione tra l’Unione Europea e Israele, durante la riunione del Consiglio dei Ministri. 24-25 giugno: campo, seduta, supporto e attività di sensibilizzazione. 26-27 giugno: manifestazioni durante l’incontro dei capi di stato e di governo presso il Consiglio Europeo. Gaza sta gridando per il dolore. Gaza sta aspettando la nostra solidarietà. Dopo l’Egitto, lascia che le nostre voci echeggino alla porta europea. Mostriamo la nostra incrollabile determinazione a porre fine a questo massacro. Troppo sangue è stato versato. Troppe vite sono state rubate. È tempo di agire insieme, di rompere il silenzio e di denunciare la complicità dei potenti. Il futuro di un popolo martirizzato è nelle nostre mani. Redazione Italia
Tornando dalla Global March to Gaza
Francesca Incardona racconta in modo semiserio le sue esperienze durante la Global March to Gaza. Come posso andarmene? Con la mia camicia di lino, il telefono con il piano tariffario migliore di tutti, l’unico sempre connesso. Io che non mi trovo completamente in nessun gruppo, né ebrea né no, sempre un po’ esclusa, qui c’ero tutta. Parole e immagini dell’ultima settimana mi si confondono nella mente nei corridoi dell’aeroporto. E’ sabato, sto tornando a Roma dopo tre, quattro, non so quanti giorni al Cairo, non ho dormito quasi mai, io c’ero sempre. Già da prima, alla riunione organizzativa pre-partenza: ”Mi dispiace, io sono così”, tutti i miei dubbi espressi liberamente con cattiveria senza filtri: non mi fido dell’organizzazione, sono degli incapaci, oppure non ci dicono la verità, come è possibile che due giorni prima di partire quella che doveva essere una prenotazione di albergo fake, perché ce n’era un altro segreto prenotato per tutti, diventa invece la nostra destinazione vera? Non c’è nessuna logistica al Cairo, e poi l’Egitto non darà mai l’autorizzazione alla marcia, siete tutti pazzi se non avete paura, nel Sinai ci sono bande e milizie, il controllo statale egiziano è durissimo e parziale, e poi c’è Israele che spara anche sui parlamentari europei, e sicuramente siamo infiltrati dai servizi italiani e da quelli egiziani e dal Mossad. Mi guardo intorno, chi sarà l’infiltratǝ? Vabbè, ma allora che ci vieni a fare qui, non è che così come se niente fosse puoi venire qui a rompere tutto. È il potere conoscitivo della paranoia, bello. È meglio essere preparati. E poi io sono così. Per la prima volta non me ne vergogno, io sono così e farò parte del gruppo. Giovedì 12 giugno. All’atterraggio il telefonino si riempie di messaggi terrorizzanti, attenta, hanno fermato, arrestato, rimpatriato centinaia di persone, di alcuni si sono perse le tracce, ti svuotano lo zaino, metti tutte le cose importanti in tasca. Mi viene il fiato corto: soldi, cellulare, passaporto, caricabatterie. Sul bus mi avvicino a due con lo zaino, guardando altrove gli bisbiglio le istruzioni; ci ho preso, sono della Marcia. Se li ho individuati io figuriamoci i servizi. Le indicazioni sono di andare a gruppetti di 2 o 3 per non dare nell’occhio e che siamo qui per turismo. Penso che sia una pessima idea, sicuramente ci conoscono uno per uno, la nostra forza è nell’essere tanti e sotto i riflettori, siamo migliaia e il mondo parla di noi, solo così possiamo salvarci, come Greta con la Freedom Flotilla che ha costretto Israele a mettersi in posa per la foto col tramezzino. Come i Sumoud, che attraversano in auto la Libia cantando e sventolando le bandiere della Palestina. Però queste sono le indicazioni, ci prepariamo. Claudia ha 27 anni, l’età di mia figlia e gli occhi troppo limpidi, a costo di farmi notare la seguo al controllo passaporti. Alla formazione ci hanno detto in caso di fermo di mandare rapidamente un messaggio al referente, ma se non fai in tempo? Lo spettro di Regeni aleggia sulle nostre teste. Ma in aeroporto no, non può succedere, al massimo un fermo, il rimpatrio. È il suo turno, l’impiegata le prende il documento e si allontana, mi accorgo che mi sto mangiando le unghie e ho un’aria innaturale, se qualcuno lo nota non le faccio un favore. L’impiegata torna, è tutto a posto. Del mio volo e dei successivi passiamo tutti. I rimpatri sono stati solo il giorno prima e la mattina, qualche centinaio. Abbastanza per scoraggiare il 10-15%. Ma non importa, siamo comunque tanti. Il Cairo pullula di persone con lo zaino, le scarpe da trekking e il cappello da sole, ci riconosciamo da lontano. Camilla è arrivata ieri sera, ha 21 anni, l’età di mio figlio, è bellissima, l’hanno fermata, interrogata, troppo bella, troppo giovane, il poliziotto sta per farla passare, solo un’ultima domanda: Dov’è Rafah? Lei sgrana gli occhi: Rafà? Cos’è? Va bene, vada. Molti sono stati presi in albergo, i nostri alberghi fake da 8 euro a notte, arriva la polizia, camionetta di fuori e porta via tutti. Questo è molto peggio che all’aeroporto. Si riaffaccia Regeni. Si sa qualcosa di quelli sul pullman? Qualcuno dice mandati in Turchia. In Turchia, com’è possibile? I telefoni non funzionano o non si possono sprecare dati, i referenti dicono solo restate in albergo. Usciamo per cena, le strade del Cairo rutilanti di gente, meravigliosi palazzi coloniali in rovina, l’aria è gialla di sabbia e di smog. Un maggiolino parcheggiato a lato di una piazza fa l’auto-caffè e un bambino porta i bicchieri alle persone sedute sulle panchine. Non dobbiamo farci notare, ma a cena ci raggiungono altri alla spicciolata. I camerieri contenti aggiungono sedie. Katz ha detto che se l’Egitto ci fa avvicinare a Rafah loro ci spareranno in Egitto, non ci sarà più linea rossa. È incredibile quanta impudenza, e come sempre l’Europa tace, nessuno dei nostri Paesi dice nulla. Certo, altrimenti non saremmo qui. Però abbiamo messo paura a Katz! Ridiamo. Non abbiamo nessuna speranza di ottenere il permesso per la Marcia. Se i nostri coordinatori ancora ci credono sono scemi. O pazzi. O ci stanno mentendo. Venerdì 13 giugno, giorno di preghiera. Nella notte Israele ha attaccato l’Iran. Cazzo. Questo cambia tutto. Un messaggio in inglese arriva su tutte le chat della Marcia: andiamo a Ismailia da turisti coi taxi in un ostello. Niente di illegale. Ma che gli diciamo al tassinaro? A Ismailia non c’è un cazzo da vedere. Contromessaggio, la voce affannata della nostra coordinatrice: Non andate, è pericoloso, non è una decisione corale della Marcia. Che facciamo? L’organizzazione è tutto, obbediamo. L’appuntamento è al bar Illy, davanti alla sinagoga, incastonati tra camionette della polizia. Pian piano arrivano messaggi e immagini, al checkpoint per Ismailia i manifestanti vengono fermati, picchiati, spinti sui bus. Almeno 2-300 persone. Ecco. Dovevamo andare anche noi, li abbiamo lasciati soli. Era quello il senso della Marcia, arrivare fin dove possibile pacificamente, in attesa di autorizzazione. Finirà su tutti i media del mondo, è la nostra Marcia, i nostri corpi inermi per attirare l’attenzione sul genocidio. Allora sei un facinoroso, dillo. Sbagli, è questo il pacifismo. Claudia è venuta col PC, 2 chili in più nello zaino per finire la sua tesi del master. Faccio la mamma e glielo ricordo, lasciatela in pace. Alle quattro andiamo a vedere il Nilo. Sosta in un parco per un succo di mango, c’è un mezzo busto di Gandhi, tocchiamo il bronzo commossi. Anche lui le ha prese. A sera arriva Lavinia fuori di sé, ha parlato con dei canadesi e dei francesi: ieri a Ismailia c’erano più di mille persone. I 2-300 dei messaggi di prima erano solo quelli del primo checkpoint, li hanno divisi. Al secondo checkpoint erano oltre 1.000, li hanno fermati e loro si sono seduti pacificamente per terra, hanno fatto riunioni e cantato e gridato Free Palestine, poi la polizia li ha circondati e gli ha detto di andarsene, c’erano dei pullman apposta. Una metà è andata, l’altra è rimasta seduta. Allora sono arrivati degli arabi col volto coperto e hanno fatto il lavoro sporco per la polizia, li hanno minacciati e picchiati, ma poco, non come se fossero stati egiziani; noi siamo europei, ci picchiano piano. Ci sono i filmati, impressionanti, girano su tutto il web. Ci abbracciamo. E’ chiaro, Israele ha attaccato l’Iran per non far parlare troppo della Marcia. Che sei scema? Dai, scherzavo. Sabato 14 giugno. Di nuovo al bar Illy. Fotografo la sinagoga e poi alzo le mani coi poliziotti che mi sgridano. Dentro c’è la solita penombra, i tavolini rossi, ormai siamo habitué. Ci hanno autorizzati. Cosa?? Un pullman scortato dall’esercito, forse più di un pullman, chiunque voglia venire, dobbiamo mandare i passaporti entro l’una. Evviva! Abbiamo vinto! I passaporti si accumulano sul tavolo. Ma così non è lo stesso, la Marcia, le migliaia di persone. Però è qualcosa, anzi è di più, è più di quello che avessi mai sperato. Io no, cos’è, vai fai un selfie e te ne torni. Ma ti rendi conto che stiamo lottando contro il Mossad, i servizi segreti nostri, quelli egiziani, Bruxelles? Nessuno la voleva questa marcia, dopo la minaccia di Katz è anche calato il silenzio stampa. Questa è la realtà, il nemico è più potente di noi e però abbiamo fatto Ismailia e ora arrivare a Rafah in qualunque modo è una vittoria enorme. Non lo so, questo è protagonismo, io non vado. Senti, fammi un favore, smettila. Io devo partire. Mi dispiace, ho paura, forse non ero davvero preparata ad attraversare il Sinai, e con una guerra mondiale sulla testa. Provo timidamente a dire a Claudia e Camilla di venir via anche loro, ma hanno deciso, hanno già mandato i passaporti. Abbraccio Ale, Stefi, Giulio, Giorgi, Marco. Cerco un taxi, penso al mondo salvato dai ragazzini, ai pazzi di Sumoud, alla carovana di farfalle spaventate che ha inondato di colori i checkpoint di Ismailia, agli FP, i felici pochi, i folli pazzi che cambieranno il mondo, all’Europa che guarda e non si muove. Il genocidio siamo noi, danno collaterale, la voracità distruttiva del potere. Il tassista tenta di insegnarmi i numeri in arabo: teleta, arbah. La prossima marcia la facciamo a Bruxelles.   Redazione Italia
“Fame di giustizia” a Bruxelles: cinque giorni di digiuno solidale per la Palestina
Il 12 giugno 2025, durante una conferenza stampa organizzata a Bruxelles in Place du Luxembourg, di fronte al Parlamento europeo, i/le coordinatori/trici e i/le volontari/e della House of Compassion, in collaborazione con il collettivo Palestinian Refugees for Dignity, hanno lanciato lo sciopero della fame « Faim de Justice pour la Palestine » (Fame di giustizia per la Palestina), a sostegno del popolo palestinese e per l’applicazione del diritto internazionale in seguito all’escalation del crimine di sterminio e degli atti di genocidio commessi da Israele a Gaza nei confronti della popolazione palestinese. Questa azione della durata di cinque giorni, prevista dal 16 al 21 giugno 2025, si inserisce nella continuità di campagne europee nonviolente quali la « Hunger Strike for Justice in Palestine » e la stessa « Faim de Justice pour la Palestine » rappresentando una risposta civica alla crisi umanitaria estrema e alla distruzione a Gaza in un contesto di attacchi massicci che hanno causato più di 60.000 morti e 127.000 feriti dal 7 ottobre 2023, in maggioranza donne e bambini. Oltre due milioni di persone risultano sfollate, mentre una repressione crescente sta colpendo in questi giorni le azioni di solidarietà internazionale, come testimoniano i recenti casi della “Freedom Flotilla” e della “Global March to Gaza” (Marcia mondiale verso Gaza). Nelle ultime ore, una decina di militanti sono stati espulsi o incarcerati, tra cui l’europarlamentare franco-palestinese Rima Hassan, arrestata a seguito dell’intercettazione e del dirottamento da parte della marina militare israeliana della nave umanitaria Madleen nelle acque internazionali, a 185 chilometri dalle coste di Gaza. Il Béguinage: un luogo carico di storia, lotte e simboli Il digiuno si svolgerà nella chiesa di San Giovanni Battista al Beghinaggio (in francese Saint-Jean-Baptiste-au-Béguinage, in fiammingo Sint-Jan Baptist ten Begijnhofkerk), situata in Place du Béguinage, nel cuore del centro storico di Bruxelles e appartenente all’antico Beghinaggio. Ridenominata House of Compassion circa cinque anni fa, questa chiesa che rappresenta uno dei massimi esempi dell’architettura barocca fiamminga del XVII secolo, è oggi un centro interconfessionale e intergenerazionale molto frequentato, animato da volontari/e, dedicato all’accoglienza, all’ascolto e alla solidarietà, soprattutto a favore delle persone spinte ai margini della società. Sotto l’impulso di padre Daniel Alliët, la House of Compassion incarna un percorso sociale e spirituale fondato sul motto: “Tratta gli altri come vuoi essere trattato”. Dal 2019 la sua sede è diventata un polo di impegno per la giustizia sociale dopo aver ospitato numerose azioni di disobbedienza civile condotte da persone in movimento senza documenti, compresi diversi scioperi della fame. Molto conosciuta all’estero per l’occupazione prolungata da parte di migranti in lotta per la regolarizzazione, la chiesa ha ospitato nel 2021 più di 450 digiunanti che rivendicavano il diritto a una vita dignitosa. Nelle sue navate sono ospitate mostre fotografiche, sculture e conferenze, l’ultima delle quali, organizzata una settimana fa, è stata dedicata all’approfondimento del nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo con la sessione specifica intitolata: “Impatti e alternative europee”. Stop al genocidio All’ingresso della chiesa, un lungo nastro rosso con la scritta «Stop au génocide» (Stop al Genocidio) accoglie passanti e visitatori. Questo gesto simbolico invita a tracciare una linea rossa, con azioni e parole, contro l’impunità a Gaza. Padre Daniel Alliët ha ricordato durante la conferenza stampa del 12 giugno: “Quello che succede a Gaza è davvero disumano. Va avanti da anni. Il diritto internazionale è calpestato, gli ospedali sono stati rasi al suolo, la fame avanza. Tutti palestinese rischia di morire di fame.” Ispirate in particolare dal gesto del dottor Pascal André, medico francese che ha iniziato uno sciopero della fame dopo aver prestato soccorso a Gaza, le azioni promosse dalla House of Compassion si inseriscono in un ampio processo di digiuni solidali, contro l’oblio e l’inerzia dei governi dei Paesi che potrebbero prendere una posizione netta a tutela del diritto internazionale. Un’azione interconfessionale e inclusiva L’iniziativa proposta dalla House of Compassion è stata presenta come apartitica, non violenta e laica, con l’obiettivo di riunire credenti e non credenti e persone provenienti da tutte le tradizioni, lingue e origini geografiche e culturali e si avvale del sostegno simbolico di collettivi come EUstaff4Peace – Civil servants for Human Rights e European Jews for Palestine (EJP), nonché di Aida Touma-Sliman, giornalista arabo-israeliana e deputata della Knesset, il Parlamento israeliano, con il partito Hadash (Fronte democratico per la pace e l’uguaglianza) e di diversi europarlamentari invitati a intervenire durante la mobilitazione a Bruxelles. Tra gli organizzatori, Omar Kareem, giornalista palestinese residente a Bruxelles che ha già condotto un primo sciopero della fame, denuncia le ambiguità delle politiche occidentali e dei doppi standard: «Abbiamo bisogno di uguaglianza. I palestinesi hanno diritto alla libertà, alla giustizia e alla dignità, come ogni altro essere umano.» L’appello pubblico per la partecipazione al digiuno dal 16 al 21 giugno In occasione della conferenza stampa, la coordinatrice della House of Compassion, Geneviève Frère, ha lanciato un appello chiaro: «Chiunque voglia unirsi al digiuno, anche solo per un giorno, sarà più che benvenuto. Potete anche venirci a sostenere in Place du Béguinage, un giorno, due giorni o anche di più. Non si tratta di un atto religioso, ma di un atto di umanità.» Frère ha inoltre precisato le rivendicazioni sostenute dall’azione di mobilitazione: «Chiediamo l’interruzione immediata di qualsiasi attività di cooperazione diplomatica, militare ed economica tra il Belgio e il governo israeliano, esigiamo il rispetto del diritto internazionale e l’esecuzione dei mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale.» Il digiuno inizierà lunedì 16 giugno alle 10 nella chiesa del Béguinage e sarà preceduto, domenica 15 giugno alle 14 alla Gare du Nord, dalla partecipazione collettiva alla manifestazione nazionale di solidarietà con la Palestina organizzata a Bruxelles da oltre 150 organizzazioni della società civile e intitolata “Trace la ligne rouge pour Gaza” (Tracciare la linea rossa per Gaza). Durante la manifestazione sarà formata una catena umana rossa nel centro della città per dare visibilità alla protesta europea contro la guerra a Gaza e per rafforzare le richieste al governo belga e all’Unione europea di: • prendere l’iniziativa di imporre un embargo militare internazionale totale nei confronti di Israele; • sospendere l’Accordo di associazione tra Unione europea e Israele; • rafforzare l’impegno per garantire l’accesso all’aiuto umanitario e alla ricostruzione per le popolazioni civili palestinesi. La mobilitazione si svolgerà anche in parallelo con i raduni internazionali in convergenza verso Il Cairo sotto il nome di “Global March to Gaza” (Marcia Mondiale verso Gaza) i cui partecipanti, provenienti da più di 35 paesi, prevedono di raggiungere il confine palestinese proprio il 15 giugno. L’inizio del digiuno “Fame di giustizia per la Palestina” Sempre a Bruxelles, lunedì 16 giugno si terrà una conferenza stampa inaugurale alle 10:00 presso la House of Compassion quale lancio ufficiale del digiuno “Fame di giustizia per la Palestina”, riunendo anche intellettuali e diverse voci note impegnate a sostegno della mobilitazione, tra cui Ludo De Brabander, Dominique Willaert e Dalila Hermans. La conferenza segnerà anche l’inaugurazione di un’installazione realizzata da Alain De Clerck, artista plastico di Liegi, già autore di opere emblematiche come « Recognize Palestine », un’azione visiva significativa con una bandiera palestinese di 280 m² dispiegata al rond-point Schuman durante il Consiglio dei Ministri europei degli Affari Esteri, in sostegno alle 900.000 firme raccolte per il riconoscimento dello Stato palestinese, e la « Porte de la Paix », una scultura interattiva dove le bandiere palestinese e israeliana si alzano quando due persone si stringono la mano sopra una linea verde, incarnando un gesto di dialogo e riconciliazione. La sua ultima installazione sarà visibile nella chiesa del Béguinage per tutta la durata del digiuno e rappresenterà un invito alla riflessione in risonanza con la mobilitazione cittadina. Contatti stampa, informazioni e partecipazione: * House of Compassion – Église du Béguinage, Bruxelles * Conferenza stampa e inizio digiuno: 16 giugno 2025, ore 10:00 * Partecipazione al digiuno: +32479491036 – e-mail: coord@houseofcompassion.be Anna Lodeserto
Global March to Gaza, il valore della testimonianza
La Global March to Gaza è fallita per la repressione attuata dall’Egitto su tre fronti: in Libia è stato bloccato il convoglio proveniente da Tunisia e Algeria proprio con la scusa della mancata autorizzazione dell’Egitto e al Cairo c’è un controllo pervasivo, strada per strada, iniziato dall’aeroporto, dove molte persone sono state fermate e rimpatriate. Il terzo fronte si era aperto ieri perché una parte consistente di attivisti stava cercando di raggiungere un meeting point a 30 km dal Cairo, ma anche qui la repressione egiziana ha cacciato indietro tutti. Rimane il valore della testimonianza, in attesa di una fantomatica autorizzazione che non arriverà mai. La delegazione italiana è rimasta al Cairo per non mettere in pericolo gli attivisti, senza cercare di fare ulteriori pressioni. Redazione Italia
Global March to Gaza: le delegazioni internazionali bloccate a Ismailia
Nonostante le espulsioni e i fermi arbitrari ieri sono arrivati al Cairo altri 200 attivisti per unirsi al resto della marcia che dovrà partire oggi dal Cairo verso El Arish e poi verso il valico di Rafah. Dalle ultime notizie degli attivisti e delle attiviste che sono in Egitto risulta che stamattina i portavoce internazionali hanno fatto un incontro con le forze militari e con i responsabili politici egiziani per cercare di avere un’autorizzazione e per percorrere la lunga strada che dal Cairo porta a El Arish e poi a Rafah. In questo momento mi giungono le informazioni via Telegram degli attivisti che dai diversi alberghi stanno cercando di raggiungere il luogo da dove porteranno i pullman che è un luogo fuori dalla città di Cairo, ma proprio negli ultimi minuti la polizia egiziana sta circondando gli alberghi dove dormono gli attivisti italiani. Dopo un incontro tra i portavoce delle varie delegazioni la delegazione italiana ha deciso di non forzare il blocco e di attendere una risposta positiva dalle autorità egiziane; le altre delegazioni hanno invece deciso di forzare il blocco e si sono recati verso la città di Ismailia nei pressi del canale di Suez, in direzione di El Arish dove sono stati fermati da un ingente forza di polizia ed esercito in assetto antisommossa gli sono stati ritirati i passaporti e da ore sono bloccati nella strada. Carola Rackete, membro del Parlamento europeo, era appena arrivata a Ismaila quando la situazione è degenerata. Poco dopo qualcuno le ha preso il telefono, è stata spinta dalla polizia in borghese sull’autobus probabilmente per essere portata al Cairo ed espulsa. Redazione Italia
Break the siege on Gaza by sea, by land, by air. Freedom Flotilla Coalition, Global March to Gaza e Sumud Caravan uniscono le forze
Le iniziative della Freedom Flotilla Coalition sono svolte all’insegna del motto Break the siege on Gaza (Rompiamo l’assedio di Gaza) e sostenute dai coordinatori delle due mobilitazioni, la Global March to Gaza e la Sumud Caravan, che puntano a convergere al valico di Rafah. Insieme, i gruppi di attivisti dichiarano: «La carovana di Sumud, la Global March to Gaza e la Freedom Flotilla Coalition stanno unendo le forze in un’azione comune, urgente e determinata. Abbiamo costituito un Comitato di coordinamento internazionale per sostenere e rafforzare le iniziative della società civile che, in questo mese di giugno, attraversano frontiere e barriere per portare speranza, solidarietà e resistenza alla popolazione palestinese. Chi non può intervenire fisicamente, può contribuire da casa, diffondendo e condividendo i messaggi di libertà, giustizia sociale e resistenza che derivano dalle azioni in corso». Gli attivisti di 54 nazioni si stanno radunando al Cairo per attraversare il deserto. Purtroppo, come raccontato in questo articolo, molti attivisti arrivati per partecipare alla Global March to Gaza sono stati fermati all’aeroporto del Cairo. Nel frattempo i coordinatori di Freedom Flotilla Coalition stanno intervenendo in ogni sede giudiziaria e diplomatica per ottenere il rilascio incondizionato degli 8 membri dell’equipaggio e passeggeri della Madleen imprigionati nelle carceri di Israele e a cui è stata ingiunta l’espulsione, prevista in esecuzione nelle giornate di oggi, mercoledì 12, e domani, giovedì 13 giugno. Le partenze infatti sono state pianificate prevedendo il trasferimento prima, mercoledì 12, di Rima Hassan e Reva Viard a Parigi, Suayb Ordu e Yasemin Acar a Berlino e Thiago Avila a Madrid e poi, giovedì 13, di Pascal Maurieras e Yanis Mhamdi in Francia e di Marco van Rennes ad Amsterdam. Ma Yasemin Acar e Thiago Avila, referenti di Freedom Flotilla Coalition e coordinatori della missione della Madleen, nel frattempo separati dai compagni, condotti in altre carceri e sottoposti a un regime detentivo più restrittivo, prima di partire vorrebbero incontrare tutti i membri del gruppo, perciò si sta aspettando la risposta delle autorità israeliane alla loro richiesta. In queste ore la Freedom Flotilla Coalition ha diramato i messaggi scritti da Marco van Rennes, Pascal Maurieras e dal giornalista Yanis Mhamdi e sta cercando di ottenere, anche con il supporto delle associazioni e delle organizzazioni umanitarie e della autorità giudiziarie internazionali, che a Israele sia imposta la restituzione del carico di cibo e medicinali imbarcato nella nave diretta a Gaza e la revoca dell’ingiunzione, rivolta alle persone che erano a bordo della Madleen, che le bandisce dallo Stato israeliano, impedendo così loro anche di entrare nei territori palestinesi occupati dai coloni e dall’esercito israeliano. La flotta umanitaria che aggrega i volontari impegnati a soccorrere la popolazione di Gaza chiede a tutti di sostenere il suo impegno firmando la lettera Formal Notice Regarding the Civilian Humanitarian Vessel Madleen and the Legal Obligations of the State of Israel Under International Law indirizzata a numerosi funzionari dell’ONU ed esponenti del governo israeliano e l’appello ALL EYES ON DECK – Demand An Independent Investigation into the Attacks on the ‘Conscience’ and an End to Israel’s Blockade of Gaza con cui si propone di raccogliere almeno, possibilmente più di 51˙200 firme. Attualmente è arrivata a 43 mila. Informazioni e adesioni : BREAK THE SIEGE ON GAZA: BY SEA, BY LAND, BY AIR   Maddalena Brunasti