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L’orizzonte strategico non è più a sinistra
OGNI TANTO, LA SINISTRA SI ENTUSIASMA PER LE ULTIME NOVITÀ MEDIATICHE CHE PROMETTONO TEMPI FELICI. IN QUESTI GIORNI, I NOMI DEL SOCIALISTA ZOHRAN MAMDANI, COME POSSIBILE SINDACO DI NEW YORK, E DI JEANETTE JARA, COME CANDIDATA ALLA PRESIDENZA PER I PROGRESSISTI CILENI, SONO MOTIVO DI GIOIA PER TANTI. ENTUSIASMI ANCHE PIÙ FORTI SI SONO REGISTRATI QUALCHE ANNO FA ANCHE IN EUROPA CON L’ASCESA DI PODEMOS IN SPAGNA E SYRIZA IN GRECIA. MA PER RICONOSCERE QUALCOSA IN GRADO DI RICONSEGNARE SIGNIFICATO ALLA PAROLA SINISTRA FORSE BISOGNEREBBE CAMBIARE SGUARDO, DARE MENO IMPORTANZA ALLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA. IN AMÉRICA LATINA, AD ESEMPIO, SECONDO RAÚL ZIBECHI, SONO LE RIAPPROPRIAZIONI TERRITORIALI, PROMOSSE DA ATTORI COLLETTIVI NELLE AREE RURALI E URBANE, A POSSEDERE “LA PROFONDITÀ STRATEGICA CHE LA SINISTRA HA PERSO ASSESTANDOSI NELLA ZONA DI COMFORT DELLO STATO E DELLE ISTITUZIONI…” Tratta dalla pag. fb della rete brasiliana Teia Dos Povos  -------------------------------------------------------------------------------- Di tanto in tanto, la sinistra si entusiasma per le ultime novità mediatiche che promettono tempi felici, solo per vedere questo fervore svanire senza conseguenze, poiché raramente si guarda indietro per valutarne i risultati. In questi giorni, i nomi del socialista Zohran Mamdani, come possibile sindaco di New York, e di Jeanette Jara, come candidata alla presidenza per i progressisti cileni, sono motivo di gioia e speranza. Per alcuni analisti e per il quotidiano di sinistra Sin Permiso, la vittoria di Mamdani alle primarie democratiche ha causato un “terremoto politico” così profondo che, secondo l’analista, “le ramificazioni di questa inversione di tendenza si faranno sentire per anni, in tutti gli Stati Uniti e nel mondo sviluppato”. Essendo socialista, musulmano e filo-palestinese, la sinistra si illude che il suo arrivo a sindaco della città simbolo cambierà le cose, nonostante tutte le prove contrarie. Per il settimanale di sinistra El Siglo, il comunista cileno Jara incarna “la reale possibilità che il popolo governi con la propria voce, le proprie richieste e la propria dignità in prima linea”. Per i media progressisti, come Página 12 in Argentina, il semplice fatto che Jara non provenga dall’élite incarna “la speranza di una vita migliore”. La sinistra assomiglia sempre più ai media mainstream che tanto critica. Un entusiasmo enorme, espresso in titoli di giornale, produce effetti immediati ma di breve durata. Una volta esaurito l’effetto, non si chiedono che fine abbiano fatto quelle speranze che erano riuscite a entusiasmare i loro seguaci. Credo sia necessario ricordare le esplosioni di passione che hanno caratterizzato l’ascesa di Podemos in Spagna e l’ascesa al potere di Syriza in Grecia. Sono solo fuochi d’artificio destinati a tenere a galla una sinistra traballante, che ha perso ogni spessore strategico, incapace di andare oltre effimere manovre tattiche che non cambiano nulla e vengono presto dimenticate. Mi sembra strano che molti cileni stiano di nuovo cadendo nella trappola. Sono stati ingannati da figure come la leader studentesca Camila Vallejo, che nel 2011 promise di cambiare il Paese e che l’opportunista quotidiano britannico The Guardian ha paragonato al Subcomandante Marcos. Sono ancora più sorpreso che la memoria collettiva non possa nemmeno risalire al 2019, quando un’Assemblea Costituente (convocata dalla destra e solo da una figura di sinistra, l’attuale presidente Gabriel Boric) ha spinto gran parte del movimento sociale a sciogliere le assemblee regionali e a recarsi alle urne. Vorrei fare un paragone. Lo scorso fine settimana, tre compagni brasiliani vicini alla Teia dos Povos (la straordinaria Rete brasiliane dei Popoli riunisce comunità, popoli e organizzazioni politiche rurali e urbane che promuovono percorsi di emancipazione collettiva per costruire un’alleanza nera, indigena e popolare, “il nostro obiettivo non è essere un movimento sociale che abbracci gli altri, vogliamo camminare insieme, non produrre un’unità monolitica…”, ndr) hanno visitato una mezza dozzina di riappropriazioni (bonifiche territoriali) del popolo Guarani Kaiowá nello stato del Mato Grosso do Sul, vicino al confine con il Paraguay. Negli scambi che abbiamo avuto, hanno descritto la potenza di questi spazi, uno dei quali occupa seicento ettari, la diversità delle colture e la forza delle comunità riterritorializzate. Uno degli insediamenti sta contestando 11.000 ettari di terreno con l’agroindustria, sebbene “si trovino in una situazione di grande vulnerabilità, con attacchi notturni da parte di uomini armati dei proprietari terrieri con cui si contendono il territorio ancestrale, che passano a bordo di camion 4×4 e sparano alla comunità. Sono riusciti a rimanere nella zona a intermittenza per 47 anni di riappropriazione”, dice la compagna Silvia Adoue. Riguardo a quello spazio, Pakurity, compa Esteban del Cerro scrive su Quilombo Invisível che dalla riconquista del 1986, “ci sono stati decenni di permanenza e movimento a Pakurity attraverso altri mezzi: lavori temporanei nell’azienda, utilizzo della foresta vicina per l’estrazione di piante medicinali, erbe, radici e frutta, caccia e pesca; spostamenti di famiglie nella regione; memoria dei defunti e degli antenati”. Il testo conclude: “Da nord a sud del continente, i popoli indigeni si fanno portavoce del grido zapatista per i beni comuni e la non-proprietà, e le riconquiste continuano a chiarire che la via dell’insurrezione è la via per la vittoria. L’insurrezione dimostra anche che il recupero delle terre ci dà speranza, anche in mezzo alle trincee, per un nuovo modo di relazionarci con gli esseri viventi“. La terra trasformata in territorio apre orizzonti di vita. Le riappropriazioni territoriali in tutto il continente, sostenute da attori collettivi nelle aree rurali e urbane, possiedono la profondità strategica che la sinistra ha perso assestandosi nella zona di comfort dello Stato e delle istituzioni. Non sorprende più che coloro che celebrano minime “vittorie” elettorali stiano voltando le spalle alle lotte che stanno ricostruendo il movimento popolare, impegnandosi per la sopravvivenza collettiva durante la tempesta sistemica che ci sta colpendo. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato anche su La Jornada (qui con l’autorizzazione dell’autore, che da oltre dieci anni di prende cura anche di Comune). Traduzione di Comune. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI GIORGIO AGAMBEN: > Il medioevo prossimo venturo -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE: > Gridare, fare e pensare mondi nuovi -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo L’orizzonte strategico non è più a sinistra proviene da Comune-info.
Cile. La vittoria di Jara nelle primarie apre un nuovo scenario politico
Bassa affluenza alle primarie del partito al governo Concluse le votazioni primarie, la candidata del Partito Comunista celebra una vittoria schiacciante con 824.000 voti, ottenendo oltre il 60%. Duramente sconfitti sono l’ex Concertación e Carolina Tohá, che ha ottenuto 384.000 voti, e il Frente Amplio, con il candidato Gonzalo Winter […] L'articolo Cile. La vittoria di Jara nelle primarie apre un nuovo scenario politico su Contropiano.
Cile, Jeanette Jara vince le primarie della sinistra per le elezioni presidenziali
La vittoria alle primarie di Jeannette Jara Román ha avuto due aspetti fondamentali: una percentuale schiacciante di voti e una chiara affermazione del suo messaggio. A novembre, al primo turno delle elezioni presidenziali, rappresenterà le forze democratiche, progressiste, umaniste e di sinistra e ampi settori della cittadinanza. Jeannette Jara Román inizia ora il cammino verso La Moneda. La sera di domenica 29 giugno Jeannette Jara aveva ottenuto circa il 60% dei voti, con circa 30 punti di vantaggio sulla sua più vicina sfidante, Carolina Tohá, candidata di Socialismo Democratico (SD). Il voto per Jeannette Jara ha mostrato un ampio sostegno a livello nazionale, che avrà un impatto sulla competizione presidenziale del prossimo novembre. Ha vinto in più di 330 Comuni in tutto il Paese, un successo enorme. La candidata del Partito Comunista (PC), di Azione Umanista (AH), della Sinistra Cristiana (IC) e degli indipendenti ha infranto le previsioni di un paio di mesi fa, che davano per sicura la vittoria della candidata di Socialismo Democratico (SD). Jeannette Jara ha guadagnato terreno, ha presentato misure concrete, si è dimostrata aperta al dialogo e vicina al popolo e ha ottenuto quello che oggi è un trionfo per la sinistra cilena. Un elemento non del tutto riuscito è stato il numero di votanti, che non ha superato il milione e mezzo alla chiusura dei seggi, quando si era detto che l’optimum sarebbero stati due milioni di votanti. In ogni caso, la cifra rientra nei margini stabiliti dal partito al governo. È già chiaro che Jeannette Jara sarà la principale contendente contro i candidati di destra e di estrema destra, rappresentando ampi settori democratici, progressisti e di sinistra e diventando un’opzione per la cittadinanza. In molti settori della politica, della società civile e dei media, si è ribadito che la vittoria di Jara è stata un importante risultato politico ed elettorale per il Partito Comunista, che alcuni hanno definito “storico”, un fatto senza precedenti anche in America Latina e a livello internazionale negli ultimi decenni. Traduzione dallo spagnolo di Anna Polo     El Siglo
Master and servant
I referendum sul lavoro e sulla cittadinanza sono falliti. L’affluenza al 30% segna una pesante sconfitta del principale sindacato italiano, di tutto il gruppo promotore e dei partiti che li hanno sostenuti. Eppure non mi stupisco, perché? Non intendo dissertare sulle cause più o meno politiche, sugli errori di strategia e di comunicazione, sulla inopportunità di mantenere il quorum del 50%, sulle stesse responsabilità di chi per anni, proprio in ambito sindacale, non ha reagito come avrebbe potuto, alle prepotenti leggi dei vari governi che hanno fatto carta straccia dello statuto dei lavoratori e delle tutele acquisite con lotte durate decenni. Lascio questo compito a chi è più competente di me in materia. Qui e ora, desidero piuttosto fare una constatazione di carattere storico e sociologico, a mio avviso decisiva, e lo farò senza mezzi termini. L’astensionismo, questo astensionismo in particolare, ci parla di come il lavoratore non riconosca più il padrone e non conosca neppure le opportunità che gli vengono date dall’unico strumento di democrazia diretta che esiste in questo Paese. Questa constatazione è determinata da almeno due fatti: 1) l’impressionante distanza che si è creata (che è stata creata) tra le cosiddette istituzioni e il cittadino medio, spesso poco attento alle decisioni della politica istituzionale e anche poco capace di comprenderle. 2) l’ignoranza di gran parte dei lavoratori su chi realmente determina il loro assetto esistenziale e la loro vita sociale, che ingenuamente si crede non direttamente correlata alle decisioni che i potenti prendono in tema di lavoro subordinato e non. Venendo al punto, si può affermare che decenni di ipnosi berlusconiana, dei suoi sodali e dei suoi epigoni, il susseguirsi di riforme drammaticamente peggiorative delle condizioni di lavoro e di voraci ingerenze delle istituzioni economiche europee e internazionali, hanno marchiato a fuoco l’idea stessa del ruolo e delle prerogative del lavoratore. L’essere convinti di non appartenere ad una categoria, (figuriamoci ad una classe), la deificazione della partita iva, la ingenua convinzione del “mi salvo da solo”, il trionfo del disimpegno e del più becero qualunquismo, sostenute dalla ferrea logica della produttività, hanno prodotto per una gran parte di lavoratori, la rinuncia a priori di qualsiasi lotta per l’emancipazione. Il prevalere di questa trama, la si vede chiaramente nei luoghi di lavoro e la si percepisce distintamente nelle giovani generazioni dentro le aule scolastiche. E’ questo il nuovo e più imperioso trionfo del capitale: l’essere riuscito a scindere ogni legame tra il lavoratore e il lavoro, il rendere invisibile e distaccata la proprietà, porre la precarietà al centro del lavoro e della vita. Quando il diretto interessato non va a votare su quesiti che lo riguardano in prima persona e che gli possono offrire maggiore tutela, si è varcata una linea rossa. E’ stato inquietante osservare i pensionati e i lavoratori del settore pubblico che si sono recati nei seggi, mentre la maggior parte di chi era direttamente interessato se n’è rimasto a casa. Questo non rappresenta un campanello d’allarme per chi ancora pone fiducia nella partecipazione popolare, ma è la bomba che ti arriva sulla testa. Molto c’è da fare, da ricostruire, ma senza una visione radicalmente critica di questo modello economico e sociale, senza il rifiuto della prevaricazione e della distruttività che esso rappresenta e che esso pone sui singoli, sulle comunità, sulla natura e quindi, sul concetto stesso di lavoro esclusivamente finalizzato all’interesse privato, non ne verremo fuori. A questa cultura della separazione e del dominio, occorre opporsi con vigore e con tenacia, con maggiore unità e consapevolezza dentro e fuori i luoghi di lavoro. Max Strata
PORTOGALLO: I CONSERVATORI VINCONO LE ELEZIONI ANTICIPATE. CROLLANO I PARTITI DI SINISTRA, AVANZA L’ESTREMA DESTRA DI “CHEGA!”
In Portogallo le elezioni politiche anticipate confermano il centrodestra del premier uscente Luis Montenegro. Le novità, rispetto a 14 mesi fa, sono però il crollo dei socialisti, dal 28 al 23%, oltre che di tutte le liste o partiti di sinistra, e l’avanzata della destra nazionalista e xenofoba di “Chega!” (“Basta!”), guidata dal commentatore sportiva André Ventura, che di fatto raggiunge il Partito socialista al 23%. Sulle frequenze di Radio Onda d’Urto abbiamo raccolto i commenti di: * Franco Tomassoni, ricercatore di Colador in collegamento da Lisbona. Ascolta o scarica. * Simone Tulumello, compagno italiano che vive e lavora a Lisbona. Ascolta o scarica.  [Foto: manifestazione antifascista a Porto, in Portogallo]
Milano: la forza della liberazione
Impressionante! Ho fatto sfilare praticamente tutto il corteo, sono passati per 4 ore. Partiti già alle 14, gli ultimi sono entrati in piazza dopo le 19.30. A detta di molti: più di 150mila, e secondo me c’erano tutti. Un corteo liquido, di quelli che come l’acqua riempie ogni spazio, si infila nelle vie laterali, prende fiato, si riposa dove c’è un po’ di ombra. Dai passeggini agli anziani, c’è tutto il popolo che, viene da dire, si definisce di sinistra. Che poi i vertici di buona parte delle loro organizzazioni scivolino al centro, lo sappiamo, ma si vede dai volti, dall’energia, dalla voglia di essere in piazza, che questo popolo è schierato, non è tiepido, o almeno, potrebbe non esserlo. Pare manchino i sindacati di base, gli anarchici, gli altri e le altre ci sono tutte. Anpi da ogni dove, sindacati confederali in lungo e in largo, partiti dal Pd in giù, fino a diversi partiti comunisti che fanno la loro figura. Arci, Acli, Emergency, Casa delle Donne, movimenti studenteschi, diversi centri sociali, Amnesty, ResQ, gruppi di sudamericani a difesa dei diritti nei loro Paesi, ci sono almeno 20 camion che sfilano, neanche al carnevale di Bahia. Anche il famoso striscione exGKN “Insorgiamo”! C’è anche un camion del Manifesto, quasi da non crederci. Lungo il serpentone: musica, cori, canti, slogan, diverse batucade, con percussioni, ballerine e qualche ballerino, la Murga, la banda degli Ottoni a Scoppio al gran completo. Ci sono i kurdi e un po’ più avanti anche un gruppetto di turchi che ricordano la repressione nel paese compiuta dal governo criminale di Erdogan. Peccato che queste due realtà siano separate… Decine i cartelli che invocano alla resistenza, altrettanti sfottono la “sobrietà” che è stata chiesta… Certo c’è un tema che corre lungo quasi tutto il corteo: quello della questione palestinese. Alla testa del corteo, poco dopo la banda ufficiale e un paio di striscioni, passa la oramai assidua “brigata ebraica”, almeno 200 persone con decine di bandiere di Israele, circondate da un fitto cordone di city angels in maglietta rossa. Un servizio d’ordine, misto a polizia, per lo più in borghese, davanti e dietro, isolate un paio di bandiere palestinesi. Dal marciapiede qualche voce isolata grida “Palestina libera”, una donna da dentro il corteo parte in preda ad una rabbia furibonda, quella cintura che protegge la brigata ebraica, in questo caso, deve proteggere chi grida dal marciapiede. La nonna di un mio amico diceva: “Male non fare, paura non avere”. Non credo funzioni sempre, ma l’impressione è che questo gruppo di filoisraeliani, viaggi nella paura. In effetti, in San Babila, poco dopo il loro passaggio e quello delle bandiere ucraine, la polizia si infila, fa un cordone e separa il resto del corteo che è costretto a star fermo per un po’. Ma mettiamo un altro tassello al quadro: diverse centinaia di metri più indietro, vicini alle tante bandiere palestinesi, c’è anche un discreto gruppo di ebrei contro l’occupazione, Mai indifferenti, sempre presenti, anche ai cortei del sabato. Diciamo che la solidarietà con il popolo palestinese è diffusissima, bandiere sparse, oltre alle tante dello spezzone dei palestinesi, gli slogan più gridati sono: Ora e sempre resistenza e Palestina libera. Anche dal camion dei giovani del Pd con le loro magliette arancioni, gridano forte “Palestina libera” e quando stanno quasi per arrivare in piazza Duomo, mettono un pezzo d’epoca che tutti cantano in coro e molti alzano il pugno: “bandiera rossa”. Allora la domanda da farsi è: ci sono tutte queste energie anche durante il resto dell’anno? Riuscirà la base a farsi sentire con cupole di partiti e sindacati intrise di burocrazia? Lo capiscono i vertici di Cgil, Anpi, Arci (giusto per fare qualche nome) che moltissimi di coloro che oggi erano dietro i loro striscioni, probabilmente riempivano il corteo del 12 aprile per la fine del massacro a Gaza? Per la giustizia e la libertà in quella terra martoriata? Non sappiamo cosa sia stato detto dal palco in piazza Duomo, e credo lo sappiano in pochi (di quelli che hanno manifestato), ma il messaggio di questo corteo è stato chiaro: non bisogna far procedere questo fascismo diffuso, armi, guerre, leggi repressive, attacchi alla costituzione, riduzione dei diritti come della spesa pubblica, non possono continuare, questa opposizione deve trasformarsi in forza politica, dal basso. Insomma, tutti si allontanano, portandosi a casa incontri, battute, musica, sorrisi, abbracci. Facciamo tutto il possibile perché non si rientri nei ranghi, nel nostro orticello, allargando le braccia di fronte al male che avanza. Foto di Andrea De Lotto, Loretta Cremasco e Stefano Sarfati di Andrea De Lotto PS: mi perdonino i gruppi, le associazioni, i movimenti, che non ho nominato, forse le foto aiuteranno a rendere giustizia. Buon 26 aprile, 27 aprile… resistenza ora e sempre. Andrea De Lotto