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Il parlamentare israeliano Ofer Cassif a Varese: “Bisogna resistere e continuare a sperare”
Nella serata di martedì 9 settembre, presso la sede dell’Associazione Varesina Un’altra storia, Anna Camposanpiero, responsabile esteri della segreteria nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, ha presentato il Professor Ofer Cassif, deputato (attualmente sospeso) della Knesset (il Parlamento israeliano). Per la traduzione simultanea ha collaborato la professoressa Elisa Vergazzini. Ofer Cassif è l’unico ebreo tra i cinque parlamentari del gruppo di opposizione di Hadash (fronte democratico per la pace e l’uguaglianza) e membro del Partito Comunista di Israele. È professore di scienze politiche all’Università di Tel Aviv e da sempre si batte perché termini il genocidio dei palestinesi e l’occupazione israeliana delle terre di Palestina. La sala al numero 34 di via Cairo era piena: molte persone hanno partecipato e l’interesse dimostrato, anche con le domande nel dibattito finale, era evidente e fortemente sentito. La parole di testimonianza pronunciate da Ofer Cassis sono state importanti per comprendere meglio la situazione attuale dei palestinesi e per spronare la comunità internazionale alla manifestazione del dissenso verso il governo di estrema destra di Netanyahu. Ofer Cassif ha espresso gratitudine per la possibilità di far sentire la voce della sua gente, persone che urlano in un mondo che assiste silenzioso. Il genocidio che viene perpetrato da due anni sotto gli occhi di tutti riguarda tutta la popolazione palestinese, bambini che sono ormai solo “ombre con gli occhi”, medici, insegnanti, giornalisti colpiti volutamente, civili che non sanno più cosa fare e dove andare, che muoiono di fame.  Tutto questo scempio avviene sotto il cielo della storia e le giustificazioni da parte di Israele, che sostiene che tutto questo sia necessario per la propria difesa e sicurezza, sono solo un cumulo di bugie e di inganni. La distruzione di Gaza era già prevista dal 2017 nel piano Smotrich che poneva le basi teoriche della violenta pulizia etnica in corso, e l’attacco di Hamas del 7 ottobre 23 ha fornito la scusa per l’offensiva di Israele. L’obiettivo vero è l’occupazione totale delle terre palestinesi e l’annientamento degli abitanti, con il sacrificio anche degli ostaggi e dei soldati israeliani. Il messaggio di speranza di Ofer Cassif parla di un’opposizione che cresce; in questi due anni, nonostante la repressione della polizia, i licenziamenti mirati di chi si ribella, la retorica razzista dei media e le sospensioni e le accuse di impeachment dei parlamentari di opposizione, la società civile sta provando con tutte le sue forze a ribellarsi. Sono diverse le manifestazioni di dissenso interne al Paese: cortei silenziosi di persone che si riuniscono nelle piazze tenendo in mano le foto dei bambini uccisi a Gaza, giornalisti che iniziano a parlare più liberamente e a opporsi al massacro, nonostante le minacce. I sindacati e anche gli ex generali chiedono a Netanyahu di fermarsi. Ci sono sempre più obiettori di coscienza tra i giovani soldati e anche tra i riservisti chiamati a combattere. Anche se non si tratta ancora di grandi numeri, il discorso pubblico sta cambiando e il supporto cresce. Oltre al dissenso interno però occorre anche il supporto internazionale. La prima cosa da fare, secondo Ofer Cassif, è il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dai governi secondo il Diritto Internazionale. Ma oltre a questo occorrono azioni reali e concrete: sanzioni economiche e diplomatiche a Israele, embargo delle armi, mandati di arresto per crimini di guerra per i responsabili: Netanyahu , i suoi ministri e gli alti ufficiali. È indispensabile anche l’aiuto della gente civile organizzata, come sta facendo la Global Sumud Flotilla, che se anche non dovesse riuscire a raggiungere le coste palestinesi, porta con sé un carico di attenzione mediatica e di responsabilità dei governi che rappresenta. Gli ambasciatori da Israele  vanno ritirati, come hanno fatto Spagna e Colombia, ricorda Anna Camposanpiero. Bisogna anche rendere la mobilità degli israeliani negli altri Stati vincolata da visti speciali e porre sanzioni in attività come lo sport per le squadre israeliane, o nei progetti di collaborazione universitari, in modo da tenere alta l’attenzione e ostacolare l’ordinarietà della vita internazionale di Israele. Occorre un blocco storico e internazionale in opposizione al mondo fascista della destra israeliana e ai suoi alleati, in primis gli Stati Uniti di Trump. Ofer Cassif ha poi voluto esprimersi sugli argomenti di stretta attualità della giornata di ieri: l’attacco da parte di un drone alla barca “Familia Madeira” della Global Sumud Flotilla, battente bandiera portoghese al largo delle coste tunisine e l’attacco aereo a Doha contro i vertici di Hamas riuniti nella capitale del Qatar per discutere la proposta degli USA per porre fine alla guerra a Gaza. “Israele è il vicino bullo” ha detto Cassif. “Sta distruggendo Gaza da due anni, colpisce Paesi liberi e indipendenti, come la Tunisia o il Qatar senza che nessuno dica e faccia niente in barba al Diritto Internazionale e tutto questo è vergognoso. Siamo al totale collasso della Legge Internazionale ed è molto pericoloso”. In ultimo Cassif ha ricordato che discende da una famiglia sterminata dai nazisti e non potrà mai perdonare il fatto che ora la sua gente stia facendo questo ai palestinesi. Nella seconda parte della serata il pubblico ha fatto diverse domande. Ofer Cassif è stato molto disponibile e chiaro nelle risposte e nei commenti, tenendo quasi un’interessante lezione di filosofia politica. Non sono mancati i riferimenti al Principe di Macchiavelli, agli scritti di Gramsci e alle teorie di Marx. Ha sottolineato l’importanza di distinguere tra antisemitismo e antisionismo. Bisogna combattere l’antisemitismo, che è un crimine perché è una forma di razzismo contro chi è nato ebreo, e abbracciare l’antisionismo, che è un dovere poiché combatte un’ideologia di autodeterminazione con lo scopo di creare uno Stato ebraico in Palestina a costo della distribuzione totale dei palestinesi, come sta avvenendo oggi. Ha raccontato, su sollecitazione di un intervento, di un confronto con Ilan Pappé, storico e attivista critico con Israele per il conflitto israelo-palestinese: Pappé sostiene che per liberare la Palestina occorra prima eliminare il sionismo, mentre Cassif pensa che prima servirà liberare la Palestina e così si potrà eliminare definitivamente l’egemonia sionista. La Storia ci dirà chi ha ragione, perché il futuro è la soluzione di due popoli e due Stati, magari anche sotto forma di una confederazione; nonostante al momento tutto questo sembri improbabile, bisogna resistere e continuare a sperare. Foto di Federica Guglielmi Redazione Varese
Essere e fare sindacato a Odessa durante la guerra: il Centro di sostegno psicologico
Alle porte di Odessa dopo un viaggio di sei ore iniziato a Kiev, il pullman deve passare lentamente un check point, zigzagando tra militari armati di mitra, le loro guardiole mimetizzate alla bell’e meglio, cavalli di frisia e moduli di cemento spartitraffico che obbligano gli automobilisti a fermarsi. Il pullman invece viene fatto passare a passo d’uomo: i controlli sono già stati fatti prima della partenza. Sul cellulare mi arriva un messaggio dal governo: informa che è vietato l’accesso alla spiaggia e al mare. Come a Leopoli e a Kiev la vita tuttavia sembra scorrere serena, se non addirittura spensierata. Odessa però non può nascondere i segni e le vere e proprie ferite causate innanzitutto dalla guerra, ma anche dall’odio di fazioni minoritarie, ma violente e organizzate, del nazionalismo etnico, filo fascista e banderista, che dall’esterno hanno aggredito e aggrediscono una città di mare, portuale e quindi, per sua natura, aperta al mondo, colta  e cosmopolita. Mercoledì 26 agosto ho un incontro davvero importante con le colleghe dell’Organizzazione Regionale di Odessa del Sindacato dei lavoratori dell’istruzione e della scienza dell’Ucraina. Google Maps non mi aiuta a trovare la sede, chiedo persino alla polizia, che ne sa meno di me. Alla fine Olena Lagunova, la traduttrice, mi viene incontro nella piazza dove si trovava la statua della Zarina di tutte le Russie Caterina la Grande, rimossa dalla furia distruttiva dei nazionalisti seguaci di Stepan Bandera. Rimane solo il piedestallo, sormontata dalla bandiera ucraina. Raggiungiamo quindi la sede del Centro di sostegno psicologico ristrutturato, aperto e attivato dal Sindacato degli Insegnanti grazie al sostegno economico della CGIL, che mi ha messo in contatto con loro. L’accoglienza di tre colleghe insegnanti –  Lyubov Korniychuk, Direttrice dell’Organizzazione Regionale di Odessa del Sindacato, Svitlana Zhekova Direttrice della Casa degli Scienziati di Odessa, Lyudmila Berezovskaya, Direttrice del Dipartimento per il lavoro organizzativo e di massa del sindacato – è davvero calorosa. Con loro ci sono le due psicologhe che lavorano al centro: Nadiya Oksenyuk, Direttice del Centro di Riabilitazione e Assistenza Sociale e Psicologica e Lyudmila Rozkoshna. Il Centro di ascolto e sostegno psicologico è al servizio di tutte le studentesse e gli studenti di ogni età del distretto, dei loro insegnanti e parenti e più in generale di chiunque ne abbia bisogno. Un lavoro quindi immane; se si pensa che interventi di questo tipo sono indispensabili anche nelle nostre scuole in tempo di pace, figuriamoci quanto siano preziosi in una città che di fatto vive sotto assedio, con il suono quotidiano della sirena, gli attacchi di droni e missili, le mine che galleggiano nel mare, padri e fratelli maggiori, ma anche qualche mamma e sorella, al fronte, in trincea, oppure rientrati a casa con invalidità fisiche o traumi psichici. Oltre ad una saletta per i colloqui individuali, c’è una sala per incontri collettivi, di mutuo sostegno psicologico e umano, guidati da una delle due psicologhe del Centro, che sono animate da esperienza, passione ed entusiasmo e hanno tutto il sostegno umanamente ed economicamente possibile del sindacato. Qui, a questo proposito, entra in campo la solidarietà italiana, una solidarietà che viene garantita non dal governo, ma grazie all’impegno dal maggior sindacato italiano e quindi dalle lavoratrici e dai lavoratori organizzati, che hanno scelto di stare al fianco del popolo ucraino nell’unico modo eticamente giusto e concretamente utile possibile: la solidarietà con le vittime della guerra, partendo dai più giovani e da chi si prende cura di loro e deve essere messo nelle condizioni di poter svolgere al meglio il proprio lavoro. Bisogne sottolineare, e non è cosa da poco, la bellezza del luogo ove si è aperto il Centro: un’ala di un palazzo, proprietà del sindacato e uno dei monumenti di maggior pregio del centro storico di Odessa che, insieme al porto, è stato inserito nel 2023 nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco e quindi posto sotto la tutela della comunità Internazionale. Il palazzo, attualmente chiamato la Casa degli Scienziati, fu disegnato da un architetto italiano, come del resto molti palazzi di Odessa, sullo stile del classicismo russo. Venne costruito nel 1832 dal Conte Mikhail Mikhailovich Tolstoj, famoso per le sue opere filantropiche e imparentato con Lev Tolstoj, il grande scrittore russo, pedagogista e promotore dell’azione nonviolenta. Dopo la Rivoluzione il palazzo viene acquisito dallo Stato, diventò quindi proprietà del sindacato sovietico e con l’indipendenza del 1991 passò a quello ucraino. Purtroppo nel 2023 un missile russo esplose nel giardino di questo importantissimo monumento, che è uno dei simboli della città e lo spostamento d’aria distrusse completamente le sue vetrate, uniche per la loro bellezza e danneggiò gravemente gli stucchi e le decorazioni delle stanze del palazzo. Per proteggere l’edificio, le sue meravigliose sale, i pavimenti, le scalinate, le decorazioni, gli arredi e i beni artistici qui custoditi, tra cui un antico fortepiano, tutta la palazzina è stata “imballata” con pannelli di compensato. Non è credibile che il missile lanciato nel centro storico, sia caduto proprio qui per errore, e lo stesso vale per un altro, che ha danneggiato gravemente la Cattedrale Ortodossa della Trasfigurazione. In entrambi i casi si sono voluti colpire con modalità terroristiche due simboli della città per fiaccarne la capacità di resistere. Non è però armando l’Ucraina che si porrà fine a questo scempio. Le armi alimentano la guerra e non si può spegnere un incendio con un lanciafiamme, ma solo con vere trattative di pace, sostenute e favorite dall’intera comunità internazionale attraverso la mediazione delle Nazioni Unite. Nel frattempo l’unico vero aiuto è quello di soccorrere la popolazione civile ucraina, come si fa qui a Odessa in questa meravigliosa oasi di pace, dove io e le colleghe ci godiamo un piacevole rinfresco e conversiamo tra insegnanti sui nostri comuni problemi, alternando, grazie all’interprete, le lingue ucraina, italiana e russa: tre nazionalità che hanno costruito la storia e l’identità di Odessa.   Mauro Carlo Zanella
Non c’è posto in Alaska per le follie “europeiste”
Non c’è nulla di più complicato delle trattative per metter fine ad una guerra, a meno che una delle due parti non abbia raggiunto una situazione schiacciante sul campo. Il che sicuramente non è, nel caso del conflitto in Ucraina, per l’alleanza occidentale che supporta Kiev, ma neanche per Mosca, […] L'articolo Non c’è posto in Alaska per le follie “europeiste” su Contropiano.
“Ora basta armi nucleari!”, incontro a Venegono Superiore (Va)
Un pomeriggio di memoria, consapevolezza e impegno collettivo contro la minaccia nucleare. Si è tenuto sabato 19 luglio al Castello dei Missionari Comboniani di Venegono Superiore l’incontro “Ora basta!” promosso da Abbasso la guerra, Mondo senza guerre e senza violenza e Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza in occasione dell’ottantesimo anniversario del test Trinity, la prima esplosione nucleare della storia. Era il 16 luglio 1945. L’appuntamento ha registrato una partecipazione significativa di cittadini, attivisti e rappresentanti delle associazioni, che si sono ritrovati nel parco del castello per ribadire la volontà di proibire le armi nucleari. Ha introdotto l’evento Tiziana Volta (MSGV) spiegando i motivi della scelta del luogo dove si è deciso di svolgere questo significativo appuntamento.  Innanzitutto all’interno del Parco da Castello dal 2017 cresce un Hibakujumoku di Hiroshima, un Gingko biloba nato da un seme di uno degli alberi sopravvissuti all’attacco atomico del 6 agosto 1945.  Sono ben 170 gli alberi di 30 specie  che sono rigermogliati e che testimoniano la grande speranza di rinascita della vita, ma che sono anche un monito all’intera umanità e un ricordo della sua grande capacità distruttiva. Nel marzo 2024 proprio nel castello si è svolto il coordinamento europeo della Terza Marcia Mondiale, una tre giorni ricca di testimonianze e confronti, dove si è ribadita la volontà di creare un mondo senza armi così letali e di diffondere la nonviolenza attiva come nuova cultura, ma soprattutto come stile di vita soprattutto negli ambiti educativi e universitari. Nel suo andare la Marcia Mondiale raccoglie esperienza, cerca di mettere in connessione, di creare ponti e unioni tra tutti nel rispetto delle diversità. “In Italia durante il passaggio della delegazione internazionale nel novembre scorso ben 32 tra città e piccole località sono state coinvolte nel desiderio di unirsi globalmente.  Incontri come questo continuano a rafforzare quello spirito e le azione che si continuano a intraprendere”, conclude Volta. La parola è poi passata a Sandro Ciani, sempre di MSGV, che nel suo intervento ha ribadito l’importanza del Trattato di Proibizioni delle Armi Nucleari (TPAN) approvato in sede Onu nel luglio 2017 ed entrato in vigore nel gennaio 2021. A oggi 73 Paesi lo hanno adottato e altri 21 hanno aperto la procedura di ratifica. Importanti sono stati i tre incontri che si sono svolti dopo la sua entrata in vigore (Vienna 2023, New York 2024 e 2025), con la presenza di tantissime  realtà della società civile. Purtroppo l’Italia non solo non ha ancora ratificato il trattato, ma non è mai stata presente come Stato osservatore. Elio Pagani, attivista e referente del movimento Abbasso la guerra, ha ripercorso la storia della corsa agli armamenti nucleari. Negli ultimi anni, soprattutto dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, alcuni Paesi europei si sono resi disponibili a ospitare nuovi euro-missili e auspicano la produzioni di armi nucleari nel continente. Secondo il Sipri, nel gennaio 2025 le testate nucleari nel mondo erano 12.241, il 90% delle quali possedute da Russia e USA. Pagani ha denunciato il riarmo globale e ha inoltre ricordato le azioni portate avanti sul territorio, come i presidi a Ghedi e Aviano, la denuncia penale contro la presenza di armi nucleari in Italia nata dopo lo studio sulla legalità o meno della presenza di armi nucleari in Italia, commissionato nel 2021 alla sezione italiana di IALANA. Purtroppo il Tribunale di Roma ha archiviato la denuncia. Di recente è stata spedita una lettera a tutti i 1.500 Comuni lombardi proponendo la rimozione delle testate atomiche da Ghedi, quale vera azione preventiva. A conclusione ha parlato l’avvocato Ugo Giannangeli, illustrando più in dettaglio l’approccio della denuncia penale archiviata a Roma e ribadendo l’intenzione di depositarne altre due nuove presso i tribunali di Brescia (per Ghedi) e di Pordenone (per Aviano), sempre contestando l’illegalità della presenza di armi termonucleari. La giornata si è conclusa con un momento di silenzio sotto il Ginkgo biloba, simbolo di resilienza e di speranza e con l’impegno condiviso a continuare la mobilitazione. Foto di Abbasso la guerra e Gabriella Colli Tiziana Volta
Lido di Camaiore (LU), Incontro pubblico “La scuola tra militarizzazione e Nuove Indicazioni Nazionali”
SABATO 24 MAGGIO PRESSO CROCE VERDE LIDO DI CAMAIORE (LU), INCONTRO PUBBLICO SUL TEMA: “LA SCUOLA TRA MILITARIZZAZIONE E NUOVE INDICAZIONI NAZIONALI” CON INTERVENTI DI RITA CORSI, SERENA TUSINI, ILARIA SABATINI, CRISTINA RONCHIERI PER LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “COMPRENDERE I CONFLITTI, EDUCARE ALLA PACE”, ATTI I CONVEGNO NAZIONALE CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ. L’incontro, molto partecipato (una sessantina le presenze) e aperto a tutta la cittadinanza, è stato introdotto e coordinato dalla docente Rita Corsi, che ha spiegato le motivazioni dell’iniziativa e l’esigenza di aprirsi al territorio per far conoscere ciò che accade nelle scuole relativamente all’ingerenza, sempre più frequente e pressante, dell’esercito e delle forze militari e come questa realtà si intrecci, a livello ideologico, con la riscrittura delle indicazioni programmatiche della scuola del primo ciclo (infanzia, primaria e secondaria di primo grado). Serena Tusini, docente dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, è intervenuta illustrando le varie modalità della presenza dell’esercito e delle forze dell’ordine all’interno delle scuole, celata spesso dietro interventi o ricerche destinate alla società civile. Si è soffermata sul cambiamento della forma della guerra, da guerra asimmetrica a guerra simmetrica, da esercito di professionisti alla necessità di ritornare ad un esercito di leva, di come la guerra sia sempre guerra di una classe dirigente ai popoli, ma proprio per questo possa suscitare o mettere in moto cambiamenti profondi e aprire spazi aperti da riempire come soggetti e forze organizzate di opposizione. Ilaria Sabatini del Movimento della Cooperazione Educativa di Pisa ha focalizzato il proprio intervento su alcune parti delle nuove indicazioni programmatiche, evidenziandone i numerosi aspetti non condivisibili: la visione esclusivamente occidentale ed eurocentrica della storia, la concezione individualistica del “discente”, maschio avulso da un contesto sociale, la mancanza di riferimenti alle complessità culturali, alla differenza di genere, l’uso di termini quali “talenti”, educazione del “cuore”. Ha messo in risalto come queste “indicazioni” in realtà si configurino come prescrittive e lesive della libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione, soprattutto per i vari “suggerimenti” presenti. Cristina Ronchieri, dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, ha presentato gli autori e le autrici dei vari contributi del libro “Comprendere i conflitti, educare alla pace”, soffermandosi sulla necessità di contrapporre a questa deriva bellicista, una cultura non-violenta, pacifista, che si concretizzi in percorsi e pratiche educative basate sulla cooperazione e l’empatia. Numerosi sono stati gli interventi delle persone presenti e dei gruppi organizzati, quali quello del Comitato Salute Pubblica Versilia-Massa Carrara, della Casa delle Donne, dei ferrovieri, dai quali è emersa la necessità impellente di coordinarsi e di fare rete. Rita Corsi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università