Tag - Cipro

Riguardo agli assets congelati, Mosca è pronta a ripagare l’Occidente con la stessa moneta
La questione è stata sempre presente in ogni dibattito intorno a una possibile composizione del conflitto ucraino, anche se sui giornali ha attirato molto di più l’attenzione il possesso di qualche chilometro quadrato. Ma proprio in questi giorni il nodo degli assets russi congelati dai paesi occidentali è tornato all’attenzione […] L'articolo Riguardo agli assets congelati, Mosca è pronta a ripagare l’Occidente con la stessa moneta su Contropiano.
Nati nel limbo
Sono a Cipro da cinque giorni, è aprile 2024. Atterro a Pafos, sulla costa ovest, passando per Limassol,  risalgo poi verso Nicosia. Cammino in un’isola che è uno Stato e allo stesso tempo due. Non per chiunque, e nemmeno da sempre. Oggi, nel paesaggio e nelle istituzioni restano impressi i segni di una divisione che la storia politica recente ha inciso, trasformando differenze culturali, religiose e identitarie in una frattura politica e militare quotidiana. Cipro oggi è un Paese sovrano e membro dell’Unione Europea. A sud si estende la Repubblica di Cipro, riconosciuta dalla comunità internazionale, a nord la Repubblica Turca di Cipro del Nord, proclamata nel 1983 e sostenuta soltanto da Ankara. In mezzo corre la buffer zone delle Nazioni Unite che attraversa l’isola e divide in due anche la capitale. Camminando a Nicosia si avverte la cesura. A sud botteghe e caffè si alternano a palazzi veneziani, moschee e tribunali coloniali, strade dritte e viali ombreggiati portano a edifici moderni e torri di vetro. L’aria sa di Mediterraneo ma richiama anche Londra. A nord la lingua si fa turca, la moneta lira, le stesse case hanno un aspetto più dimesso, i ritmi rallentano e l’isolamento si percepisce nei servizi incerti e nelle strade meno curate. La città conserva la sua ossatura comune, ma ogni lato racconta un destino che si è allontanato dall’altro. La presenza greco-ortodossa e turco-musulmana risale al 1570, con l’arrivo degli ottomani. Cipro era già un crocevia conteso, ma il sistema dei millet organizzava la società in comunità confessionali autonome: gli ortodossi nel millet rum, i musulmani in quello islamico. Ogni gruppo amministrava matrimonio, eredità e istruzione attraverso le proprie istituzioni. Non esisteva una cittadinanza unitaria, ma una pluralità di sudditi che condividevano lo stesso spazio, con frizioni quotidiane che non degeneravano in antagonismo. Il vero salto avviene nel 1878, con l’amministrazione britannica. Londra non abolisce i millet, li riconfigura. La distinzione religiosa viene codificata come etnica e nazionale: gli ortodossi sono classificati come greco-ciprioti, i musulmani come turco-ciprioti. La cittadinanza coloniale, pur includendoli come natives of the colony, li etnicizza dall’interno, avviando un processo di nazionalizzazione che cancella la dimensione comune. Scuole, manuali e lingue d’insegnamento consolidano due identità contrapposte. Nel 1931, quando i greco-ciprioti si sollevano, la repressione britannica mostra come la priorità fosse impedire l’emergere di un’identità condivisa più che contenere i nazionalismi opposti. TIMELINE DI CIPRO 1570: Arrivo Ottomani 1878: Amministrazione britannica 1950: Referendum unione con la Grecia 1964: Scontri intercomunitari 1974: Colpo di Stato e intervento turco 1983: Nascita Turkish Republic of Northern Cyprus Dopo la Seconda guerra mondiale la spirale accelera. Con Makarios III e il referendum del 1950, in cui il 95% dei greco-ciprioti vota per l’unione con la Grecia, il nazionalismo greco-cipriota si istituzionalizza. Nasce l’EOKA, che considera i turco-ciprioti un ostacolo. La risposta arriva con l’appoggio di Ankara: prende forma il TMT, che rilancia con il progetto opposto, il taksim, la divisione dell’isola. Due nazionalismi costruiti in opposizione si fronteggiano, compiendo fino in fondo il meccanismo coloniale che aveva tradotto la differenza in conflitto. Il punto di rottura matura nel decennio che precede il 1974. Già negli anni Sessanta le tensioni esplodono in violenza, lo mostrano le fotografie di Don McCullin: nel 1964, nelle strade di Nicosia, immortala una donna in lacrime per un familiare ucciso durante gli scontri intercomunitari, un’immagine che gli valse il World Press Photo. Una donna greco-cipriota piange la morte di un familiare durante la guerra civile a Cipro. Don McCullin, Cipro (1964; stampa 2013), © Don McCullin. Per gentile concessione delle National Galleries of Scotland Dieci anni più tardi la crisi si radicalizza con il colpo di Stato greco-cipriota e l’intervento militare della Turchia, presentato come difesa della comunità turco-cipriota. Da quel momento l’isola si ridisegna: i turco-ciprioti vengono concentrati a nord, lasciando case e quartieri condivisi per generazioni con i vicini greci, mentre i greco-ciprioti residenti a nord vengono trasferiti a sud. LA TUTELA CHE DIVENTA CONTROLLO: IL PESO TURCO SU CIPRO Nel periodo successivo agli scontri intercomunitari molte persone trascorrono anni in alloggi provvisori o in villaggi recintati. La neonata repubblica de facto, riconosciuta soltanto dalla Turchia, si trova fin da subito in isolamento internazionale: embargo commerciale, esclusione da eventi sportivi e culturali, divieto di collegamenti aerei diretti con l’estero. Una condizione che alimenta una dipendenza strutturale da Ankara, che provvede a stipendi pubblici, investimenti e garanzie militari. Fattori che assicurano una stabilità solo apparente e che diventano al tempo stesso gli strumenti con cui la Turchia imprime sull’isola un preciso progetto politico e culturale.  Uno dei principali strumenti di rafforzamento del legame con Ankara è stato il progressivo trasferimento di popolazione dalla Turchia verso Cipro Nord, organizzato in diverse ondate dopo il 1974 e tale da modificare in profondità la composizione demografica dell’area. La prima, tra il 1974 e il 1979, portò circa quindicimila cittadini turchi a ottenere la cittadinanza della Turkish Republic of Northern Cyprus (TRNC) e l’assegnazione di villaggi e proprietà appartenuti ai greco-ciprioti. Negli anni Ottanta arrivarono professionisti e studenti, mentre negli anni Novanta il boom edilizio e la liberalizzazione dei permessi di lavoro alimentarono ulteriormente i flussi. Tra il 1996 e il 2011 il numero di cittadini turchi residenti nella TRNC passò da 3.700 a oltre 80.000. Le stime più recenti collocano la popolazione complessiva tra 400.000 e 800.000 abitanti, ma l’assenza di un censimento ufficiale dopo il 2011 impedisce di conoscere con precisione la consistenza attuale dei turco-ciprioti sull’isola.  Accanto ai cambiamenti demografici si è consolidata anche una pressione culturale. I turco-ciprioti, storicamente influenzati dal kemalismo – l’ideologia laica e nazionalista promossa da Mustafa Kemal Atatürk nella Turchia del Novecento, che relegava la religione alla sfera privata – si trovano oggi esposti a un processo inverso promosso da Ankara. Negli ultimi vent’anni sono state costruite più di cinquantadue nuove moschee, un numero che supera quello delle scuole. Sono stati aperti centri di formazione religiosa come l’Hala Sultan College of Theology e avviati corsi coranici finanziati dalla Diyanet e da fondazioni turche. Sul piano linguistico, il dialetto turco-cipriota, il Gibrislidja, è stato escluso dai media nazionali nel 2009 e definito un ‘turco sbagliato’.  Anche la vita politica è stata influenzata. Le elezioni presidenziali del 2020 sono state segnate da episodi di ingerenza documentati dal report indipendente di Raporluyoruz 1, un gruppo di avvocati, ricercatori e membri della società civile, che descrive il ruolo diretto dell’intelligence turca (MIT) nella campagna elettorale. Secondo il report, ad alcuni collaboratori del presidente uscente Mustafa Akıncı fu comunicato che sarebbe stato “meglio per lui, la sua famiglia e i suoi colleghi” ritirare la candidatura. Bambini che tornano da scuola attraversano la strada a Nicosia (Lefkoşa), sullo sfondo il volto di Erdoğan e una bandiera turca dominano la scena. PH: Federico Rinaldi Lo stesso documento segnala che l’ambasciata turca a Nicosia Nord convocò parlamentari locali per fare pressione a favore di Ersin Tatar e che quest’ultimo compì due visite improvvise ad Ankara, ricevendo la promessa di iniezioni di fondi nell’economia turco-cipriota. BÜLENT E LE SUE SORELLE: CRESCIUTI A NICOSIA, CITTADINI ALTROVE Una visuale del quartiere di Samanbahçe. PH: Federico Rinaldi Durante il mio viaggio, alloggio nella parte greca di Nicosia e continuo a muovermi avanti e indietro, passaporto alla mano. Un giorno capito per caso nel quartiere di Samanbahçe, nella parte turco-cipriota della città. È il primo progetto di edilizia popolare dell’isola: venti case disposte su una griglia regolare, una fontana bianca e grigia al centro che ne riprende i colori. L’atmosfera è ordinata, silenziosa e un po’ sospesa. Incontro per caso Pembe e Hamide, che vivono l’una di fronte all’altra da anni con le rispettive famiglie. Pembe e Hamide si incontrano dopo pranzo per una chiacchierata davanti casa Hamide e Fevzi davanti alla porta di casa Hamide è sposata con Fevzi, un uomo sulla sessantina, presenza autorevole e occhi gentili. Corre avanti e indietro per Nicosia in sella al suo motorino, e io l’ho soprannominato “Örümcek Adam”, l’uomo ragno. Insieme hanno tre figli: Bülent, il maggiore, e le sorelle minori Yağmur e Gülseren di ventitré e ventuno anni.  Bülent ne ha venticinque. Chiama le sorelle Anaconda e Kobra, dice che hanno sempre risposte taglienti e cattive. Non ha molti amici e, tra venti giorni, partirà per il servizio militare in Turchia, dove rimarrà per sei mesi,  ha infatti cittadinanza turca. Lo stesso vale per le sorelle: sono nate in Turchia e i genitori le hanno portate a Cipro all’età di due anni. Davanti alla porta di casa di Hamide con lei la figlia Gülseren a destra e Pembe a sinistra Di recente Bülent non ha lavorato e non sembra avere molta voglia di cercare un impiego. Sul braccio ha tatuato la frase fuck work, drink beer, che riassume con ironia la sua filosofia di vita. Mi fa sorridere, ma al tempo stesso dà l’idea di un giovane che fatica a immaginare un futuro diverso. Il mercato del lavoro per i coetanei turco-ciprioti, mi racconta, offre poco più del corrispettivo di  3 euro l’ora. Nonostante sia cresciuto a Nicosia, Bülent è cittadino turco, così come le sorelle. Per la legge della Repubblica di Cipro non sono considerati ciprioti perché la madre è arrivata sull’isola dopo il 1974 attraverso porti e aeroporti che Nicosia sud considera ‘illegali’. Questa esclusione non riguarda solo la loro famiglia, ma migliaia di casi simili, ed è il risultato diretto della normativa sulla cittadinanza. Nel 2002 è entrato in vigore il Civil Registry Law: l’articolo 109(1) stabilisce che chi nasce a Cipro dopo il 16 agosto 1960 è cittadino se almeno uno dei genitori lo è, a meno che l’ingresso o la permanenza di un genitore nella Repubblica non sia stato ‘illegale’. In questi casi la domanda passa al Consiglio dei Ministri. Poiché tutti gli ingressi dal Nord dopo il 1974 sono classificati come illegali, migliaia di richieste si trovano sospese in questa corsia discrezionale, inclusi i figli di matrimoni misti. La situazione si è irrigidita nel 2007, quando il Consiglio dei Ministri ha introdotto criteri ancora più restrittivi che hanno di fatto bloccato la quasi totalità delle domande, congelando migliaia di pratiche. Le stime parlano di almeno diecimila persone coinvolte, altre fonti alzano il numero fino a trentamila 2: giovani cresciuti a Cipro, che parlano il dialetto locale e hanno frequentato le scuole dell’isola, ma che non hanno mai ottenuto il documento che li renderebbe cittadini europei. È una questione che si trascina da quasi vent’anni e che ha creato una generazione sospesa in un limbo giuridico. Il paradosso è che il principio dello ius sanguinis, applicato senza esitazioni in altri casi, riconosce la cittadinanza anche a chi nasce a migliaia di chilometri dall’isola da un genitore cipriota, mentre chi cresce qui, da padre o madre turco-cipriota, ne resta escluso. Le domande di cittadinanza presentate dai figli di coppie miste vengono trasmesse al Consiglio dei Ministri e, dal 2007, la maggior parte resta sospesa o non giunge mai a esito. La Corte Suprema ha stabilito che questi giovani non sono tecnicamente apolidi, poiché possiedono quasi sempre la cittadinanza turca. Tuttavia la mancata cittadinanza della Repubblica di Cipro li priva dei diritti europei, con conseguenze dirette nella vita quotidiana. Sul piano dello studio, non possono iscriversi come studenti comunitari nelle università dell’UE e si trovano a dover pagare tasse elevate come studenti internazionali, con accesso limitato a borse e programmi di mobilità Erasmus+. Quanto al lavoro, non hanno la possibilità di esercitare liberamente la professione in Europa e necessitano di visti o permessi specifici, un ostacolo che li spinge spesso a cercare impiego in Turchia o nel mercato non riconosciuto del Nord. La mobilità è ugualmente condizionata: senza passaporto cipriota non possono viaggiare nell’UE senza visto, devono appoggiarsi a documenti turchi e spesso subiscono controlli più severi ai checkpoint interni dell’isola. Questa esclusione ha portato il tema al centro dell’agenda politica e internazionale. L’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno più volte richiesto che le pratiche vengano trattate in modo trasparente e non discriminatorio: lo testimoniano la petizione al Parlamento europeo 3, i rilievi dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani e le raccomandazioni espresse nell’Universal Periodic Review del 2019 4 e del 2024 5.  Nel 2024 il governo di Nikos Christodoulides ha annunciato quattordici misure correttive 6, tra cui la revisione delle domande arretrate e interventi su servizi, istruzione e attraversamenti di frontiera. Questi provvedimenti sono stati accolti con scetticismo dalle autorità del Nord, ma rappresentano un segnale di possibile apertura. OLTRE IL CONFINE: DIRITTI, MEMORIE E FUTURO Il principio di autodeterminazione, pilastro del diritto internazionale, per i turco-ciprioti resta una formula teorica. Tra la pressione culturale esercitata dalla Turchia e l’esclusione legale dalla cittadinanza della Repubblica di Cipro, la comunità subisce da anni un processo lento ma costante di cancellazione. Le sue radici, che affondano nella lingua, nella memoria e nella storia dell’isola, sono minacciate da due Stati antagonisti, e a pagarne il prezzo è il patrimonio storico e culturale incarnato in migliaia di vite. Hannah Arendt ricordava il paradosso dei diritti umani: restano fragili quando non esiste uno Stato pronto a difenderli. Nel caso della comunità turco-cipriota il paradosso è ancora più netto, perché non è l’assenza ma l’azione di due Stati a renderli vulnerabili. In questo vuoto, la società civile turco-cipriota ha mantenuto un ruolo decisivo di mediazione e difesa. Associazioni, sindacati e gruppi spontanei hanno dato voce a chi rischiava di restare invisibile, aprendo spazi di confronto e di tutela dei diritti. Le campagne del Movement for Resolution of the Mixed Marriage Problem per il riconoscimento dei figli di coppie miste, l’impegno del sindacato degli insegnanti KTÖS contro le interferenze di Ankara e i progetti culturali del Home for Cooperation e di PeacePlayers, che coinvolgono giovani greco- e turco-ciprioti, mostrano la pluralità di un attivismo che rimane centrale nel dibattito sull’isola.  Dal 2003, i nove checkpoint lungo la linea verde hanno reso più permeabile un confine che per decenni era invalicabile. Organizzazioni locali come HADE! chiedono l’apertura di nuovi varchi e il miglioramento di quelli esistenti, spesso congestionati da file interminabili. L’idea che questi passaggi possano trasformarsi in strumenti di pace è ormai parte della dinamica cipriota.  Io posso attraversare i checkpoint con un passaporto in mano, superare le postazioni dei caschi blu e in pochi minuti trovarmi dall’altra parte. Per Bülent invece, che qui è nato e cresciuto, quel confine resta spesso invalicabile. Ci siamo salutati con la promessa di rivederci a Nicosia al suo ritorno, immaginando un giorno in cui per lui sarà facile varcare quella linea quanto lo è oggi per me.  Bülent sulla sinistra accanto a Pembe e a suo marito, i vicini di casa 1. Report on the Interference in the 2020 TRNC Presidential Elections ↩︎ 2. In search of a legal bond: Turkish Cypriot children of mixed marriages in Cyprus, European Network on Statelessness (2023) ↩︎ 3. Petition No 0754/2020 by Derya Beyatli (Cypriot) on the discrimination of Turkish speaking Cypriots as EU-citizens ↩︎ 4. Cyprus’ responses to recommendations (as of 13 September 2019) ↩︎ 5. All country summary and recommendations related to the right to a nationality and the rights of stateless persons, European Network on Statelessness ↩︎ 6. Christodoulides reveals 14 CBMs for Turkish Cypriots, Financial Mirror (gennaio 2024) ↩︎
Cipro, nuove speranze di ricomposizione?
La storica e non ancora risolta controversia cipriota torna, se mai vi fosse uscita, nell’agenda internazionale. Si è tenuta infatti giovedì 17 luglio 2025 la sessione plenaria della conferenza su Cipro, convocata dal Segretario Generale, António Guterres, presso la sede delle Nazioni Unite, alla presenza del Presidente della Repubblica di Cipro Nikos Christodoulides, del leader turco-cipriota Ersin Tatar, dei Ministri degli Esteri di Grecia e Turchia, Giorgos Gerapetritis e Hakan Fidan, e del Ministro per l’Europa del Regno Unito, Stephen Doughty. Scopo della conferenza – rilanciare i colloqui di pace, mettendo così alla prova la speranza di una possibile riconciliazione e riunificazione dell’isola, vera e propria – non è solo uno slogan – “perla del Mediterraneo”. Il tutto sotto l’egida delle Nazioni Unite, nel cui contesto si svolgono i colloqui diplomatici e che mantiene una propria storica missione di interposizione (peacekeeping di prima generazione) a Cipro, la Unficyp (United Nations Peacekeeping Force in Cyprus), sin dal 1964, quando fu dislocata sull’isola, all’indomani degli scontri intercomunitari tra greco-ciprioti e turco-ciprioti degli anni precedenti, allo scopo di impedire il ripetersi delle violenze intercomunitarie, interporsi tra le parti in conflitto e contribuire al mantenimento della sicurezza. Sebbene le Nazioni Unite abbiano definito i colloqui “costruttivi”, non molti sono stati gli sviluppi effettivamente rilevanti e difficile resta il clima di dialogo tra le parti. Il Presidente cipriota Christodoulides ha ribadito la disponibilità a riprendere i negoziati, sospesi sin dal 2017, sottolineando la necessità di rispettare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e il quadro giuridico delle Nazioni Unite come fondamento per la risoluzione della questione cipriota che è infatti, al tempo stesso, prodotto di conflitto etnopolitico e questione complessa di diritto internazionale. D’altra parte, secondo la posizione espressa dal portavoce del Ministero degli Esteri turco, Öncü Keçeli, è necessario rilanciare il quadro negoziale a partire dalla c.d. “soluzione a due stati”, quanto mai problematica, tuttavia, dal momento che l’articolazione istituzionale turco-cipriota, la cosiddetta Repubblica Turca di Cipro del Nord, istituita nel 1983, non ha, a parte quello della Turchia, alcun riconoscimento internazionale, e mantiene sul proprio territorio un contingente militare turco di ben 40 mila soldati.  Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha sottolineato che sono stati compiuti progressi su quattro delle sei iniziative concordate nella precedente riunione allargata sulla questione di Cipro, tenutasi a Ginevra a marzo. I quattro ambiti in cui si è registrato un progresso sono stati la creazione di un nuovo comitato tecnico bi-comunitario per i giovani, una serie di iniziative da intraprendere in materia ambientale, il restauro dei cimiteri e la definizione degli accordi sullo sminamento, che saranno finalizzati “una volta definiti i dettagli tecnici definitivi”. Tuttavia, le due principali iniziative concordate a marzo, l’apertura di quattro nuovi punti di attraversamento tra le due parti dell’isola (la parte sud, a maggioranza greco-cipriota, su cui esercita effettivo controllo la Repubblica di Cipro, e la parte nord, amministrata de facto dalla Repubblica Turca di Cipro del Nord e a maggioranza turco-cipriota), nonché la creazione di un impianto di energia solare presso la zona cuscinetto sotto controllo della missione delle Nazioni Unite, non hanno registrato progressi rilevanti.  Come hanno confermato alla stampa fonti diplomatiche turco-cipriote, “non ci sono ancora progressi sulla questione dei valichi di frontiera perché il leader greco-cipriota [il presidente Nikos Christodoulides] insiste su un corridoio di transito, invece di un vero e proprio valico di frontiera”. Si tratta dei punti di attraversamento che si estenderebbero da una parte all’altra dell’isola, in particolare quello attraverso Kokkina, piccolo centro a maggioranza turco-cipriota solo in parte ricadente nel territorio della cosiddetta Repubblica Turca di Cipro del Nord (luogo sensibile, peraltro, perché luogo della battaglia di Tillyria, un violento scontro armato tra forze greco-cipriote, turco-cipriote e turche dell’agosto 1964), e quello tra Aglantzia e Athienou (uno dei quattro villaggi all’interno della zona cuscinetto delle Nazioni Unite, gli altri tre essendo Pyla, Troulloi e Deneia). Come si intuisce, anche questa questione ha a che fare con l’integrità del diritto internazionale: i punti di transito che attraversano la zona cuscinetto (la buffer zone delle Nazioni Unite) e permettono il passaggio tra le due parti non sono infatti un “confine” ma una linea di separazione e al contempo, nei punti concordati, una linea di transito.  A parte la questione dei punti di attraversamento, il Segretario Generale ha poi affermato che le parti hanno raggiunto una “intesa comune” in ordine alla creazione di un “organismo consultivo per il coinvolgimento della società civile”, sulla questione dei beni culturali, su un’iniziativa per il monitoraggio della qualità dell’aria e sulla lotta all’inquinamento. “È fondamentale attuare queste iniziative, tutte, il prima possibile a beneficio di tutti i ciprioti”. Ha poi confermato l’intenzione di incontrare nuovamente entrambi i leader durante la settimana di alto livello dell’Assemblea Generale in programma a settembre. “C’è una lunga strada da percorrere”, ha affermato, “ma questi passi mostrano l’impegno a proseguire il dialogo e a lavorare su iniziative a beneficio di tutti i ciprioti”. Una soluzione da ricercare, appunto, all’insegna del “win-win”, del comune beneficio.   La controversia cipriota resta infatti una questione cruciale in un’area strategica: Cipro (e il suo conflitto ancora irrisolto) è all’interno dell’Unione Europea e occupa una regione strategica (dal punto di vista militare e dal punto di vista economico) nel Mediterraneo orientale. Quest’area, a cavallo tra Grecia, Turchia, Israele, Egitto, e, appunto, Cipro, ospita infatti, secondo alcuni studi del 2010 della USGS, l’Istituto Geologico Nazionale degli Stati Uniti, circa 10 trilioni di metri cubi di gas. Un’area di tensioni, che da tempo le forze di pace cercano di trasformare in una zona di speranza: non mancano situazioni e contesti (Pyla e Potamia, ad esempio) di convivenza, e l’imponente ricchezza storica, artistica e culturale dell’isola può costituire, insieme con i fondamentali progetti a gestione bi-comunale e bi-comunitaria, uno straordinario potenziale di pace.  Riferimenti: Vibhu Mishra, UN chief reports progress in Cyprus talks, 17.07.2025: https://news.un.org/en/story/2025/07/1165427 Elias Hazou, UN bid to break Cyprus deadlock, 17.07.2025: https://cyprus-mail.com/2025/07/17/un-hosts-informal-cyprus-talks Laura Ponte, Il gas del Mediterraneo Orientale come risorsa strategica, 24.05.2022: https://aspeniaonline.it/il-gas-del-mediterraneo-orientale-come-risorsa-strategica Progetto “Dialogues of Peace in Cyprus” (2005-2008):  https://www.pacedifesa.org/home-2/progetti-sul-campo/dialoghi-di-pace-a-cipro Nicosia This Week, An unofficial guide to the biennial that never was, Werkplaats Typografie, 2006: https://www.mottodistribution.com/shop/publishers/werkplaats-typografie/nicosia-this-week-an-unofficial-guide-to-the-biennial-that-never-was.html  Gianmarco Pisa
Crescono le preoccupazioni a Cipro per l’acquisto di immobili da parte dei coloni israeliani in fuga
Presstv. In un recente congresso dell’AKEL, il secondo partito cipriota, il Segretario Generale Stefanos Stefanou ha affermato che l’acquisto di terreni da parte di Israele vicino a infrastrutture critiche e aree sensibili rappresenta una seria minaccia nazionale. Ha anche messo in guardia contro la formazione di “ghetti” a Cipro a causa delle vendite di immobili ai coloni israeliani, citando “scuole e sinagoghe sioniste” come parte di una strategia di espansione. “Ci stanno portando via il Paese”, ha detto, avvertendo che l‘afflusso di acquirenti israeliani rispecchia gli schemi osservati nei territori palestinesi occupati. Stephanou ha descritto gli acquisti come parte di un “piano di ampio respiro” che potrebbe portare alla creazione di insediamenti, istituzioni religiose e a un maggiore controllo economico da parte di Israele. Ha inoltre criticato il governo cipriota per non aver affrontato la questione e ha chiesto normative più severe sulle transazioni immobiliari straniere nel Paese. Allo stesso modo, gli analisti ciprioti hanno avvertito che i continui acquisti immobiliari da parte di israeliani potrebbero rappresentare una minaccia per la sovranità di Cipro in futuro e portare a ricadute economiche. Tuttavia, l’ambasciatore israeliano a Cipro, Oren Anolik, ha condannato l’emergere di quella che ha definito “retorica antisemita” nel dibattito pubblico cipriota. In risposta, Stefanou ha difeso la posizione del suo partito, sottolineando che criticare le politiche israeliane non è antisemitismo. “Israele non tollera alcuna critica e vuole controllare tutto”, ha affermato Stefanou, osservando che il regime usurpatore ha etichettato il capo delle Nazioni Unite come antisemita per aver criticato duramente la guerra genocida in corso contro Gaza. I dati ufficiali stimano che circa 2.500 israeliani vivano stabilmente a Cipro, ma alcuni esperti ritengono che il numero reale potrebbe essere compreso tra 12.000 e 15.000, a causa dell’ingresso con passaporti europei.
Cipro: Il lavoro sottotraccia dei comitati tecnici congiunti
L’isola di Cipro è divisa da ormai cinquant’anni, e le opportunità di una riunificazione come federazione di due zone e due comunità sono al lumicino – gli ultimi incontri a Ginevra non sono stati particolarmente illuminanti. Eppure, in questo problema geopolitico intrattabile, esistono esempi di cooperazione su temi concreti. Si tratta dei dodici comitati tecnici congiunti – un raro esempio di successo di coinvolgimento senza riconoscimento, secondo la ricercatrice Nasia Hadjigeorgiou. Il loro lavoro è al centro dell’attenzione del progetto di ricerca InPeace (Inclusive Peacebuilding: the Technical Committees in Cyprus) finanziato dall’UE per il periodo 2023-2026. Il progetto di ricerca mira a valutare l’efficacia dei comitati tecnici e migliorarne le relazioni con le associazioni della società civile cipriota. I comitati tecnici, strumento di risoluzione dei problemi Nel 2008, sei comitati tecnici bicomunitari sono stati istituiti dai leader delle comunità greco-cipriota e turco-cipriota per “affrontare le questioni che incidono sulla vita quotidiana delle persone, incoraggiando e facilitando una maggiore interazione e comprensione tra le due comunità”; da allora, altri sei comitati tecnici si sono aggiunti all’elenco, gestiti da greco-ciprioti e turco-ciprioti sotto l’egida delle Nazioni Unite, per affrontare le sfide e gli obiettivi comuni di Cipro. Le loro prestazioni restano variabili da tema a tema, eppure sono molti gli esempi positivi. Tra i primi, il Comitato tecnico per l’energia: nel 2011, quando la Repubblica di Cipro rischiava di restare senza elettricità per un’esplosione alla centrale di Vasilikos, il comitato ha favorito la fornitura temporanea di energia dal nord dell’isola occupato dalla Turchia – riattivando la rete elettrica nazionale tramite cui, dal 1974 fino agli anni ’90, erano stati invece i greco-ciprioti a fornire elettricità al nord, allora senza sufficienti fonti energetiche autonome. O ancora, in un altro caso di fuoriuscita di petrolio al nord, lo stesso comitato tecnico ha favorito contatti per far arrivare in tempo equipaggiamenti necessari a prevenire un disastro ecologico. Un altro esempio è quello del Comitato tecnico sulle questioni criminali, tramite cui le agenzie di sicurezza delle due parti si scambiano informazioni sensibili e collaborano per il ritorno dei criminali che attraversano la Linea Verde in cerca di impunità, e per evitare ad esempio che casi di separazione familiare si trasformino in rapimento di minori. Il Comitato tecnico per la salute ha inoltre svolto un ruolo fondamentale durante la pandemia, coordinando le risposte delle due comunità al Covid-19 e mettendo a disposizione della comunità turco-cipriota alcune dosi di vaccino ricevute dalla Repubblica di Cipro. Il Comitato tecnico per le questioni economiche e commerciali ha contribuito all’adozione della denominazione di origine protetta per l’Halloumi/Hellim e ha iniziato a facilitare i contatti tra i sistemi bancari delle due comunità, anche se molto resta ancora da fare. Opacità dei lavori e dipendenza dal potere politico Eppure, tutti questi esempi positivi negli ultimi 15 anni restano ben poco noti all’opinione pubblica delle due parti. Ciò perché i comitati tecnici non si fanno pubblicità e non sponsorizzano i propri risultati – spesso perché temono che l’attenzione pubblica innesci la paura del riconoscimento reciproco, e possa impedire l’efficacia dell’azione tecnica. Dall’altra parte, questa discrezione non permette loro di raggiungere il proprio secondo obiettivo – quello di migliorare la comprensione tra le due comunità, e fungere da misure di costruzione della fiducia (confidence-building). Il loro operato resta quindi spesso opaco, senza coinvolgimento della società civile. Una eccezione è il lavoro del Comitato tecnico per il patrimonio culturale, il cui focus sulla ricostruzione delle chiese al nord gli è valso il sostegno vocale della Chiesa ortodossa greco-cipriota. Un altro elemento di debolezza deriva dalla dipendenza dei comitati tecnici dalle nomine politiche da parte dei leader delle due comunità. Ciò comporta un rischio di spoil system e di sospensione dei lavori ogni volta che vi sia un cambiamento di governo – anche se non necessariamente: il leader turco-cipriota Mustafa Akıncı, arrivato al potere nel 2015, apportò solo modifiche minori alla composizione e alle presidenze dei comitati tecnici. Dall’altra parte, con la vittoria di Ersin Tatar nel 2020 i comitati tecnici hanno visto un cambiamento sostanziale, con nuove nomine che sposassero la visione dei “due stati” propugnata dalla leadership turco-cipriota. Dalla risoluzione dei problemi alla costruzione della pace Negli scorsi 15 anni, i comitati tecnici congiunti a Cipro hanno ottenuto risultati importanti per migliorare la qualità della vita di tutti i ciprioti, nel nord come nel sud dell’isola. Tale approccio non è pero scevro da critiche. Resta il timore infatti che, in tal modo, si normalizzi la spartizione dell’isola tra la Repubblica di Cipro, stato membro UE, e l’autoproclamata Repubblica turca di Cipro Nord. Una critica fondata, soprattutto nel contesto dell’erosione dei negoziati di riunificazione dopo il fallimento di Crans Montana nel 2017, ma che va discussa. Da una parte, la cooperazione tecnica consente di far fronte a problemi immediati e questioni vitali per i ciprioti di tutte le comunità – compito che ha un valore in sé. Dall’altra, i comitati tecnici hanno anche il mandato di incoraggiare le relazioni tra le due comunità e la comprensione reciproca, mostrando che la cooperazione è possibile e favorendo lo sviluppo dal basso di un processo di pace. E’ il caso del Comitato tecnico sulle questioni di genere, che ha prodotto nel 2022 un piano d’azione per integrare la prospettiva di genere in tutte le dimensioni degli accordi di riunificazione, adottato anche a livello politico, come spiega la ricercatrice Fezile Osun. Il caso della cooperazione tecnica tra greco-ciprioti e turco-ciprioti, pur nel contesto di un problema geopolitico spesso considerato impossibile da risolvere, potrebbe fornire ispirazione anche ad altri contesti di conflitto. Secondo la ricercatrice Nasia Hadjigeorgiou, “in un momento in cui i negoziati sono spenti, i comitati tecnici dimostrano che sull’isola ci sono ancora persone che si stanno impegnando per una migliore cooperazione e per costruire un clima di fiducia. Nonostante i loro sforzi, tuttavia, c’è ancora molto da fare per raggiungere l’obiettivo di ‘facilitare una maggiore interazione e comprensione tra le due comunità’, a partire dall’informare le comunità delle loro attività.” * Per approfondire: Podcast Nicosia Uncut – Episode 57: InPeace project elaborates on the bicommunal technical committees in Cyprus (20/1/2025) East Journal