Tag - sionismo

Antisemitismo, antisionismo, razzismo: un libro e una riflessione a più voci
È stato presentato ieri all’Istituto Gramsci Siciliano il libro di Donatella Della Porta Guerra all’antisemitismo? Il panico morale come strumento di repressione politica (Altreconomia). Il prof. Nicosia, aprendo l’incontro, ha ricordato come il 7 ottobre costituisca una lacerazione politica ed etica che impone una ricostruzione storica. Il prof. Tommaso Baris dell’Università di Palermo ha conversato con l’autrice, dopo averla presentata: Donatella Della Porta è docente di scienze politiche alla Scuola Normale di Firenze ed ha pubblicato molti libri, fra i quali Proteste e polizie (Il Mulino) e No Global sui fatti di Genova 2001. Il suo ultimo scritto esamina l’accusa di antisemitismo usata oggi in Germania in quanto criminalizzazione delle critiche a Israele. Baris: L’antisemitismo è il lato oscuro della coscienza europea che si porta dietro la memoria dell’Olocausto e presume un progetto razzista più ampio, la discriminazione di Rom Sinti omosessuali etc. Ed è un problema non solo tedesco ma anche francese italiano norvegese ucraino polacco. La responsabilità dell’Olocausto è di tutta Europa e attiene alle destre. Com’è potuto accadere che adesso venga rovesciata sulle sinistre? Della Porta: A destra oggi il razzismo si rivolta contro i migranti. In Germania  si parla adesso  di “antisemitismo importato” dai migranti musulmani, dimenticando che un quarto dell’elettorato vota Alternative für Deutschland. È stata negata la connessione fra antisemitismo e razzismo in Francia Germania e Gran Bretagna, cioè proprio nei Paesi che più hanno contribuito alla Nakba. In Israele c’è stata la pretesa, da parte della destra nazionalista, di rappresentare uno Stato religiosamente “pulito”; la diaspora ebraica nel mondo, invece, continua a ripetere “Non in mio nome”. Anche in Germania gli ebrei antisionisti sono i primi obiettivi della repressione. Le “Voci Ebraiche per la Pace” sono state dichiarate associazioni estremiste. L’antisemitismo viene percepito come distaccato dal razzismo. È stato introdotto il “reato di comparazione”: parlare di genocidio è antisemita, paragonare Gaza a un ghetto è reato. Israele non può essere criticato, artisti e intellettuali ebrei ed ebree come Judith Butler o Nancy Fraser sono banditi. Baris: A proposito di comparazione, l’insistenza sul 7 ottobre ricorda l’interrogativo ripetuto contro la Resistenza “E allora le foibe?”. Colonialismo e nazismo, allora come oggi, e non solo rispetto alla Shoah ma anche per l’apartheid in Namibia e Sudafrica, per esempio, sollevano la questione della responsabilità. Della Porta: La memoria induce a chiedersi che fare. In Germania l’Olocausto è stato inteso come una parentesi nella storia gloriosa dell’Occidente. Io credo invece che la Resistenza continuamente rivisitata sia ancora attuale. I bambini arabi in visita ad Auschwitz si identificavano con le vittime, ma veniva detto loro che dovevano identificarsi con i colpevoli, distruggendo così la possibilità di empatia fra i popoli. È mancata la possibilità di costruire identificazione tra popolazione tedesca e palestinesi. È stato criminalizzato il boicottaggio, mentre qui da noi in Italia è stato possibile: al festival del cinema di Venezia, in occasione della partita di calcio con Israele, col movimento BDS, lo sciopero della fame dei lavoratori della sanità, l’iniziativa dei camalli di Genova, le mobilitazioni sindacali. Interviene a questo punto Giuseppe Lipari, collaboratore della prof. Della Porta presso la Scuola Normale di Firenze e si interroga sul che fare di fronte alla “soluzione finale” in Palestina. Anche in Italia, sostiene, viene oppressa la libertà e si muove la dinamica del “panico morale”. L’omicidio Kirk negli USA ha scatenato pure qui da noi accuse di violenza alla sinistra. Esiste poi un controllo governativo sui panel delle lezioni universitarie. Si connette da remoto Amal Khayal, responsabile del CISS a Gaza, dove ha perso tanti amici e parenti e che non manca mai di partecipare alle iniziative per la Palestina. Nel mio Paese non esisteva l’antisemitismo, spiega. I miei nonni convivevano con i vicini ebrei. Del resto, anche i palestinesi sono semiti! Ma il termine “antisemitismo” intende surrettiziamente solo l’odio contro gli ebrei. Il sionismo è altra cosa, è un’ideologia nazionalista, e dunque altra cosa è anche l’antisionismo. Che cosa può fare il movimento antisionista per i palestinesi? La campagna BDS può aiutare a bloccare il genocidio nella striscia di Gaza e così pure il dibattito nelle scuole e all’università. A questo proposito, Baris cita la mozione della Normale di Firenze che rifiuta ogni tipo di rapporto sia economico sia culturale con le istituzioni che collaborino alle azioni militari o alle occupazioni civili nei Territori. Questa mozione è stata definita antisemita, ricorda Dalla Porta: Ebrei allora e Palestinesi adesso sono additati come fonte del male dalle ideologie dell’estrema destra ostili alla cultura “woke” e al “gender”. Ma arte sport musica sono luoghi della politica: anche lì occorre praticare il boicottaggio e costruire solidarietà. Inoltre si può contribuire a fermare lo sterminio con aiuti concreti, come borse di studio per gli studenti profughi, come si fece con i profughi cileni dopo l’undici settembre 1973. Quanto alle scuole, la celebrazione della “giornata della memoria” il 27 gennaio in sé non è un errore né è propaganda, ma bisogna evitarne la banalizzazione e la strumentalizzazione, perché può rischiare di provocare “lo svuotamento semantico dell’antisemitismo” o peggio il suo rovesciamento razzista in chiave antipalestinese. Occorre non dimenticare che l’attuale genocidio in passato ha trovato sponda nel centro-sinistra: Biden e Scholz vendettero armi a Israele. Lipari conclude la serata invitandoci a guardare, pur nella tragedia, il lato positivo: il movimento internazionale, pur con tutte le sue contraddizioni, sta funzionando oltre la rassegnazione e il conformismo, come dimostra la Global Sumud Flotilla. Ci lasciamo proprio per raggiungere il presidio dell’equipaggio di terra alle 20 a Piazza Verdi, cui parteciperà anche Pif. Daniela Musumeci
Alle radici del male: Israele, Palestina e il cortocircuito dell’umanità
Premessa Consapevoli che non è possibile ripercorrere tutte le tappe, con illusorie pretese di esaustività, di una complessa questione come quella Palestinese (si rimanda alle note per approfondimenti e fonti), elencheremo qui dei punti a sostegno di una tesi che è volta a considerare tale questione come cartina tornasole del […] L'articolo Alle radici del male: Israele, Palestina e il cortocircuito dell’umanità su Contropiano.
Charlie Kirk, un omicidio perfetto?
Charlie Kirk, 31 anni – influencer cofondatore dell’organizzazione giovanile conservatrice d’estrema destra Turning Point Usa (Tpusa), cristiano evangelico integralista e grande propagandista di Trump – è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco durante un raduno il 10 settembre in una università dello Utah.  Mentre era sul palco è stato colpito da un proiettile che lo ha raggiunto al collo. Trasportato in ospedale è morto poco dopo. Il cecchino si dice fosse appostato a 200 MT di distanza. Kirk, giovane esponente della destra radicale, ha aiutato Trump in modo determinante, facendogli prendere i voti necessari per vincere le elezioni, con circa 10/12 milioni di voti portati tramite sit-in in scuole universitarie e college, grazie ai suoi video virali e ad azzeccate campagne di promozione. “Le armi salvano vite” – diceva Charlie Kirk da convinto sostenitore delle armi, aggiungendo – “Vale la pena accettare qualche morto in più, se questo significa poter esercitare il diritto di avere un’arma per difendere gli altri diritti concessi da Dio”. Fu profetico! Per anni è stato un costruttore assiduo, sui social media e in tv, di una narrazione tossica, fascista e disumanizzante dell’Altro. Tra le altre: “Se mia figlia di 10 anni fosse stuprata, dovrebbe partorire il bambino”; “I neri stavano meglio quando erano schiavi perché commettevano meno crimini”; “La legge perfetta di Dio dice che i gay andrebbero lapidati a morte”; “I bambini dovrebbero assistere alle esecuzioni pubbliche”; o che le personalità afroamericane famose (come Michelle Obama) “non hanno le capacità cerebrali per essere prese sul serio” e che “hanno rubato il posto ad un bianco”; e che Israele non sta affamando il popolo palestinese. La sua carriera politica di ideologo di Trump si è fondata sull’odio, sulla banalizzazione, sul tono autoritario, sulla violenza verbale e sulla giustificazione della violenza fisica. Per anni Charlie Kirk ha difeso il modello di società armata, polarizzata, presentando il conflitto come virtù e le armi come “garanzia di libertà”. Cronache Ribelli, sulle sue pagine social ha scritto: “Da quando Charlie Kirk è stato ucciso chi non esprime pubblico cordoglio, chi non si straccia le vesti, chi non è disposto a colpevolizzarsi per questa morte diventa automaticamente un criminale. Insomma, noi dovremmo provare empatia per un uomo che non aveva empatia per alcuna categoria umana che non fossero i multimiliardari, bianchi e sani. Per lui le donne stuprate dovevano partorire e stare zitte, i neri stavano meglio quando c’era la schiavitù, i ciechi non possono fare i medici, a Gaza non c’è alcuna crisi umanitaria e nessun crimine. Per gli estremisti come lui i morti sul lavoro non sono violenza, i morti per mancate cure sanitarie non sono violenza, i morti di fame, sete, povertà non sono violenza. Persino i genocidi non sono violenza. Questa strategia la conosciamo bene. Si basa sulla normalizzazione: se tanta gente muore di lavoro o sul lavoro allora diventa normale. Sulla frammentazione: se la violenza non arriva come un colpo singolo ma a piccole dosi (mancati screening, malattie professionali, precarietà, marginalità, inquinamento) allora non è violenza. Sulla comparazione: di che ti lamenti c’è sempre chi sta peggio di te. Sull’invisibilità della sofferenza delle classi subalterne, che vengono espulse da ogni narrazione mediatica. Noi continuiamo a dire che se la violenza deve essere condannata, allora si cominci da quella sistemica e profonda. (…)” Una nazione, gli USA, che presenta più di 392 milioni di armi da fuoco in circolazione: numero infinitamente più alto di tutta la popolazione statunitense. Di quale libertà stiamo parlando? Evidentemente stiamo parlando della “libertà” autoinflitta della popolazione statunitense di rischiare di morire quotidianamente per colpi di arma da fuoco sia di persone “normali” sia di persone mentalmente instabili: una strage silente di 45.000 persone morte per colpi d’arma solo nel 2024. Ma non è l’unica opzione che sta dietro alla morte di Kirk. Dietro a questo marasma di violenza normalizzata quotidiana e di giustizia a mo’ di Far West, gli USA sono anche la nazione dei complotti: dei complotti veri, non quelli inventi saltuariamente da qualche “complottista da tastiera” o da qualche propagandista di Trump. “Complotti” che abbiamo visto negli ultimi decenni: golpe blandi spacciati per “regime-change” (tentativi terroristici contro Cuba); guerre spacciate per “operazioni di peacekeeping” o “guerre umanitarie” (Iraq, Jugoslavia); interventi e occupazioni militari di suoli esteri spacciati per “esportazione di democrazia, diritti umani e diritti delle donne” (Afghanistan); colpi di Stato neonazisti spacciati per “rivoluzioni” (Euromaidan in Ucraina nel 2014); spacciare per “resistenze” quelle che in realtà sono scontri etnonazionalisti tra eserciti nazionali (conflitto russo-ucraino dal 2022); additare di “terrorismo” le vere resistenze di popolo e le lotte per l’autodeterminazione (Palestina); regime-change violenti spacciati per “rivoluzioni pacifiche” (paesi post-sovietici); omicidi mirati con drone di persone definite “pericolo per la sicurezza degli USA” (funzionari iraniani). Tutte cose che è la storia degli USA a raccontarci, che essi siano governati da Democratici e Repubblicani. Secondo le indiscrezioni Charlie Kirk negli ultimi mesi aveva cominciato ad essere ingombrante, a denunciare un sistema di controllo eterodiretto sui principali mainstream, a dubitare di Israele, a criticare fortemente le politiche di aggressione dell’entità sionista che prima sosteneva. Secondo le testimonianze di un amico di lunga data di Charlie Kirk, a The Grayzone (Articolo di Max Blumenthal e Anya Parampil – 12 settembre 2025), fu lo stesso Kirk a rifiutare un’offerta fatta all’inizio di quest’anno dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu di organizzare una massiccia nuova iniezione di denaro da parte sionista nella sua organizzazione Turning Point USA. Nelle settimane precedenti al suo assassinio, avvenuto il 10 settembre, Kirk aveva iniziato a detestare il Primo Ministro israeliano, considerandolo un “bullo”, ha detto la fonte. Kirk era disgustato da ciò a cui aveva assistito all’interno dell’amministrazione Trump, dove Netanyahu cercava di dettare personalmente le decisioni del Presidente in materia di personale e sfruttava risorse israeliane come la miliardaria donatrice Miriam Adelson per tenere la Casa Bianca saldamente sotto il suo controllo. Secondo l’amico di Kirk, che aveva anche avuto accesso al Presidente Donald Trump e alla sua cerchia ristretta, Kirk aveva fortemente messo in guardia Trump lo scorso giugno dal bombardare l’Iran per conto di Israele. “Charlie è stato l’unico a farlo”, hanno detto, ricordando come Trump “gli abbia urlato contro” in risposta e abbia chiuso adirato la conversazione. La fonte ritiene che l’episodio abbia confermato nella mente di Kirk l’idea che il Presidente degli Stati Uniti fosse caduto sotto il controllo di una potenza straniera maligna e stesse conducendo il suo Paese verso una serie di conflitti disastrosi. Il mese successivo, Kirk era diventato il bersaglio di una prolungata campagna privata di intimidazione e rabbia smodata da parte di ricchi e potenti alleati di Netanyahu, figure che lui stesso definiva pubblicamente “pezzi grossi” e “personaggi ingerenti” ebrei. “Aveva paura di loro”, ha sottolineato la fonte. Kirk aveva 18 anni quando lanciò il TPUSA nel 2012. Fin dall’inizio, la sua carriera fu trainata da donatori sionisti, che inondarono la sua giovane organizzazione di denaro attraverso organizzazioni neoconservatrici come il David Horowitz Freedom Center . Nel corso degli anni, ripagò i suoi ricchi sostenitori scatenando un’incessante ondata di diatribe anti-palestinesi e islamofobe , accettando viaggi di propaganda in Israele e bloccando severamente le forze nazionaliste che contestavano il suo sostegno a Israele durante gli eventi del TPUSA. Nell’era Trump, pochi gentili americani si erano dimostrati più preziosi di Charlie Kirk per l’autoproclamato stato ebraico. Ma mentre l’attacco genocida di Israele alla Striscia di Gaza assediata scatenava una reazione senza precedenti nei circoli di destra di base, dove solo il 24% dei giovani repubblicani ora simpatizza con Israele piuttosto che con i palestinesi, Kirk iniziò a cambiare idea. A volte, seguiva la linea israeliana, diffondendo disinformazione sui bambini decapitati da Hamas il 7 ottobre e negando la carestia imposta alla popolazione di Gaza. Eppure, allo stesso tempo, cedeva alla sua base, chiedendosi ad alta voce se Jeffrey Epstein fosse una risorsa dell’intelligence israeliana, mettendo in dubbio se il governo israeliano avesse permesso che gli attacchi del 7 ottobre proseguissero per promuovere obiettivi politici a lungo termine, e ripetendo a pappagallo narrazioni familiari al suo più accanito critico di destra, lo streamer Nick Fuentes.  A luglio 2025, al suo Summit d’azione studentesca TPUSA, Kirk ha offerto un forum alla base della destra per sfogare la propria rabbia per l’assedio politico di Israele all’amministrazione Trump. Lì, relatori come gli ex sostenitori di Fox News Tucker Carlson e Megyn Kelly, e il comico ebreo antisionista Dave Smith , hanno denunciato l’assalto sanguinoso di Israele alla Striscia di Gaza assediata, hanno bollato Jeffrey Epstein come una risorsa dell’intelligence israeliana e hanno apertamente schernito miliardari sionisti come Bill Ackman per “averla fatta franca con le truffe” pur non avendo “alcuna competenza”. Dopo la discussione, Kirk è stato bombardato da messaggi di testo e telefonate infuriate da parte dei ricchi alleati di Netanyahu negli Stati Uniti, compresi molti di coloro che avevano finanziato il TPUSA. Secondo il suo amico di lunga data, i donatori sionisti hanno trattato Kirk con assoluto disprezzo, intimandogli di fatto di tornare sui propri passi.  “Gli veniva detto cosa non era permesso fare, e questo lo stava facendo impazzire”, ha ricordato l’amico di Kirk. Il leader dei giovani conservatori non solo era alienato dalla natura ostile delle interazioni, ma anche “spaventato” dalle reazioni negative. Kirk è apparso visibilmente indignato durante un’intervista del 6 agosto con la conduttrice conservatrice Megyn Kelly, mentre discuteva dei messaggi minacciosi che riceveva dai pezzi grossi filo-israeliani.  In una delle sue ultime interviste, condotte con il principale influencer israeliano negli Stati Uniti, Ben Shapiro, Kirk ha cercato ancora una volta di sollevare la questione della censura nei confronti dei critici di Israele.  “Un amico mi ha detto, in modo interessante: ‘Charlie, ok, abbiamo respinto i media sul COVID, sui lockdown, sull’Ucraina, sul confine'”, ha detto Kirk a Shapiro il 9 settembre. “Forse dovremmo anche chiederci: i media stanno presentando la verità assoluta quando si tratta di Israele? Solo una domanda!”        “È caccia al Killer”, così hanno titolato le principali notizie subito dopo l’omicidio di Kirk. Inizialmente non era stato ancora trovato l’assassino, e sempre ovviamente Trump e la sua amministrazione repubblicana hanno subito puntato il dito contro le “sinistre radicali”. Altrettanto ovviamente fin da subito si percepiva che fosse una bugia. Poi il killer è stato trovato: il capro espiatorio, funzionale per tutte le stagioni e tutte le evenienze. E’ il 22enne Tyler Robinson, che sui proiettili del fucile usato per uccidere Kirk avrebbe inciso lo slogan “Bella ciao, bella ciao ciao ciao” e “Hey, fascista beccati questa!” (hanno riferito le autorità americane in conferenza stampa, confermando l’arresto del 22enne Tyler Robinson), sparando da un tetto al 31enne attivista conservatore. Notizia che potrebbe dare l’impressione di un classico omicidio politico, ma qualcosa risulta dissonante rispetto alla narrazione mainstream. Robinson è un affiliato al Partito Democratico? O è di “sinistra radicale”? O è appartenente dell’amalgama della “sinistra neoliberale”? No. Robinson, che non ha alcun precedente penale, è un maschio bianco di famiglia repubblicana che vive con la sua famiglia e i suoi due fratelli minori nella contea di Washington, a St. George. https://x.com/benryanwriter/status/1966651218232832325 I dubbi sono molti e più approfondiamo, più ci sono elementi che avvolgono il caso di mistero. O siamo di fronte ad un caso di omicidio particolare, o stiamo parlando di una società che sta implodendo su stessa e non riesce più a gestire il dissenso nè interno nè esterno.   Ulteriori info: https://edition.cnn.com/2025/09/12/us/tyler-robinson-charlie-kirk-shooting-suspect-invs https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/09/12/chi-e-tyler-robinson-killer-charlie-kirk-proiettili-bella-ciao/8124904/ > L’omicidio Kirk è una tragedia e un disastro Lorenzo Poli
Quasi mille arresti in un giorno nella democrazia filo-sionista del Regno Unito
Il 6 settembre è stata un’altra importante giornata di mobilitazione nel Regno Unito, annunciata già da tempo e svoltasi, nonostante gli atti repressivi che l’hanno preceduta. Al centro, come da settimane a questa parte, non solo la solidarietà col popolo palestinese, ma anche con Palestine Action, rete di attivisti inserita […] L'articolo Quasi mille arresti in un giorno nella democrazia filo-sionista del Regno Unito su Contropiano.
5 mila in corteo contro il governo Meloni e complici sionisti
Anche Bologna è pronta a bloccare tutto! Grande risposta studentesca e popolare nella giornata di mobilitazione nazionale a sostegno della Sumud Flottilla: prima dimostrando ancora una volta da che parte stanno gli studenti delle scuole e delle università, strappando un incontro con la governance di UNIBO, e dopo partendo in […] L'articolo 5 mila in corteo contro il governo Meloni e complici sionisti su Contropiano.
Non è solo umanitarismo: la Palestina come questione politica globale
Nei giorni della partenza della Global Sumud Flottilla[i] assistiamo, finalmente diremmo, alla rottura nel mainstream di una cappa insopportabile che da decenni difendeva lo Stato di Israele da tutte le sue malefatte. Non ci accostiamo a coloro che criticano questa operazione come un mero tentativo da parte dell’opinione pubblica occidentale […] L'articolo Non è solo umanitarismo: la Palestina come questione politica globale su Contropiano.
Fermare Israele
Il dibattito tra chi sostiene che la soluzione del conflitto mediorientale stia nella formula “due popoli, due Stati” e chi invece ipotizza la costituzione di un’unica entità statale, testimonia la giusta volontà di trovare una soluzione che salvi i palestinesi dallo sterminio, ma diventa una discussione sterile se si cerca di entrare troppo (e troppo astrattamente) nel merito delle ipotesi, perché ciò che solo conta in questo momento è fermare Israele prima che sia troppo tardi. Israele si presenta oggi come un tragico incidente della storia. Di base, si tratta del classico caso di interpretazione integralista, assolutizzata ed escludente, di una credenza religiosa che pensa di potersi imporre a dispetto di tutto e di tutti. Uno degli aspetti più caratteristici e deleteri di questo estremismo religioso è quello che si esprime attraverso l’idea della “guerra santa”. Una distorsione che in vari momenti della storia ha interessato in particolare tutte le religioni monoteiste come il Cristianesimo e l’Islam, mettendone in discussione quello che per altro verso va considerato il loro indubbio e positivo valore storico. Il sionismo rappresenta oggi questo tipo di estremismo, capace di mettere in gioco la stessa sopravvivenza del popolo palestinese sottoposto agli orrori del genocidio in corso. Bisogna fermare Israele! Non ci sono alternative! Se ciò non avverrà, domani, quando il presente sarà storia, ci chiederemo come sia stato possibile. Piangeremo i morti, ma ciò non basterà, perché resterà comunque aperta una ferita che prima di rimarginarsi potrebbe produrre altri conflitti, odi permanenti e ipotesi di vendette. Il male purtroppo, molto spesso, non produce altro che male. Oggi pagano i palestinesi. Domani pagheremo tutti, compreso il mondo ebraico che dovrà portare la macchia di questa onta, esattamente come la memoria delle crociate pesa ancora, a distanza di secoli, sul mondo cristiano. Fermare la follia sionista non è facile. Molte cose giocano a suo favore. La memoria dell’Olocausto, innanzitutto, che pesa più di qualunque altro misfatto del passato, proprio perché avvenuta entro le mura di casa nostra, sotto i nostri occhi e non in terre lontane. Qualcuno sostiene che da quel momento, al culmine dei tanti orrori della “seconda guerra dei trent’anni”, (come viene ormai sempre più spesso definito il periodo che va dal 1914 al 1945), si cominciò a delineare un nuovo modo di vedere la storia, al centro della quale non stava più “la figura dell’eroe vincente”, quanto piuttosto quella della “vittima”. Certamente un grande passo in avanti nel modo di vedere le cose. Una spinta alla speranza del cambiamento rivoluzionario in favore degli sfruttati e degli oppressi, che tuttavia, come tutte le cose di questo mondo, poteva essere ribaltata mostrando il suo possibile lato oscuro. A partire dall’inizio degli anni Settanta, Israele ha giocato sulla (falsa) identificazione di antisionismo ed antisemitismo, autoproclamandosi depositaria dell’eredità dell’Olocausto. L’attenzione ed il valore dell’essere “vittima”, come motore di una nuova etica della pace e dell’uguaglianza tra possibili “fratelli diversi”, è stata in questo modo trasformata in una sorta di diritto alla “pretesa della vittima vendicata”. Una follia che equivale a dire: “io sono per sempre la vittima, e chi è contro di me, a prescindere da ciò che io faccia e da ciò che lui dica, è per sempre il carnefice”. Sul piano della ragione sarebbe fin troppo facile smontare simili pretese, ma purtroppo a fare gioco è anche il profondo senso di colpa che attraversa l’Occidente per quanto avvenuto in passato, e che viene artatamente trasformato, da motore verso l’affermazione di un più radicale senso di giustizia, ad un passivo bisogno di espiazione: “tu sei per sempre il colpevole e non hai diritto di parola”. In questi suoi sporchi giochi Israele può poi contare, come suo ulteriore punto di forza, sull’appoggio incondizionato dell’Occidente, Usa in testa, che si serve dello Stato ebraico sul piano geopolitico, come avamposto armato nel cuore del mondo islamico, potendo anche, all’occorrenza, distinguere (sempre molto timidamente) la propria posizione da quella dello Stato sionista, giocando tra guerra e diplomazia. Come fermare dunque Israele? In realtà, anche su questo, sul piano puramente ipotetico la risposta sarebbe facile: ISOLAMENTO TOTALE dello Stato sionista, sia politico che valoriale, da parte del resto del mondo, motivato da un senso di repulsa e di sdegno che considera il genocidio in atto a Gaza come qualcosa di scandaloso che non ha bisogno di altre parole. Rottura dei rapporti diplomatici e commerciali. Se possibile espulsione dall’ONU, e al culmine dell’isolamento eventuale intervento di forze di interposizione. Sto sognando? Può darsi! In ogni caso la possibilità che le cose si evolvano positivamente e che Israele sia infine fermato, non credo possa essere affidata ai giochi delle diplomazie degli Stati, che nulla hanno potuto (o voluto) in quasi ottanta anni di arbitrio sionista. La sola ed unica speranza sta nella crescita di un movimento che sia in grado di mobilitare decine di milioni di persone in tutto il mondo. Solo in questo modo, creando una opinione pubblica a livello globale che si opponga al genocidio, si potranno piegare le politiche degli Stati, dando anche voce e visibilità alle forze ebraiche antisioniste, oggi messe all’angolo. Si farà in tempo a fermare le mani sporche di sangue dei sionisti? Non lo so! Quello che certamente so è che non vorrei che tra cinquanta o più anni, i nostri nipoti, oggi bambini, siano costretti a fare i conti con tutti i mali e le eredità di una catastrofe che la nostra generazione non ha saputo fermare. Per approfondire: Ilan Pappé, Dieci miti su Israele (Tamu ed.)- Ilan Pappé e Noam Chomsky, Palestina e Israele: che fare? (Fazi, ed.) e tanto altro (N.d.R.) Antonio Minaldi
La danza immobile delle manifestazioni in Israele
Le manifestazioni di protesta che proseguono in Israele hanno una natura multiforme e contraddittoria. Si dichiarano contro un governo non gradito da anni a quasi metà del paese, un dato già palesatosi dall’insediamento di Netanyahu. Criticano apertamente la gestione della liberazione degli ostaggi ancora prigionieri a Gaza che rischiano di […] L'articolo La danza immobile delle manifestazioni in Israele su Contropiano.
Israele, attua politiche naziste. Occorre dirlo a piena voce!
Sono quasi due anni che lo stato Israeliano persegue il genocidio del popolo palestinese finalizzato alla pulizia etnica di Gaza e poi dell’intera Palestina. Gaza non solo è stata trasformata in un campo di concentramento a cielo aperto ma rappresenta un nuovo capitolo della barbarie umana, in cui per uccidere un bambino non si usa nemmeno una pallottola o una bomba: lo si affama fino a quando muore di stenti e patimenti. Che il responsabile di questo genocidio sia il governo Netanyahu è ovvio ma questo non è che l’ultimo capitolo della storia della colonizzazione della Palestina sulla base dell’applicazione dell’ideologia sionista. Ridurre tutto il problema ad uno spregiudicato criminale dice un pezzo della verità ma non affronta il problema. Oltre a Netanyahu sono responsabili lo stato israeliano, il governo Statunitense – in continuità da Biden a Trump – i governi europei, a partire da quello tedesco e italiano che sono i principali fornitori di armi ad Israele al di fuori degli USA. Responsabile il governo italiano che, presieduto dalla Meloni, ha attuato un rovesciamento totale delle politiche che storicamente il nostro paese ha fatto verso il Medio Oriente. Invece di ricercare una mediazione la Meloni ha assunto una posizione di pieno sostegno del governo israeliano, arrivando addirittura a trasformarsi nella longa manus del Mossad in Italia, sia attraverso le incarcerazioni – Anan Yaeesh – che affidandogli la gestione della nostra cybersecurity con l’accordo firmato l’’8 marzo 2023. Il punto su cui vi propongo di ragionare non è quello delle connivenze internazionali con il governo israeliano – che sono più ampie dei soli paesi occidentali e toccano anche Cina e Russia – ma sulle narrazioni ideologiche che, in particolare nell’occidente, vengono utilizzare per giustificare il genocidio. In ogni caso per stemperarne il peso storico. In primo luogo il sionismo ed il governo israeliano hanno rovesciato completamente il significato della Shoah, l’insegnamento che questa aveva portato a tutta l’umanità. La barbarie del nazismo, con l’olocausto e i 7 milioni di morti nei campi di concentramento, ha portato l’umanità intera al suo punto più basso. Quell’orribile crimine, ha però anche obbligato ad una riflessione che per decenni ha connotato tutta l’umanità ed in particolare quella occidentale nel cui seno era nata e cresciuta l’ideologia nazista. Dalla reazione alla barbarie nazista e all’antisemitismo è scaturito il grido MAI PIU’ PER NESSUNO! Dal baratro del razzismo, dell’antisemitismo e dell’intolleranza per ogni dissenso politico, è emerso un tabù – contro il nazismo e le pratiche genocide – ed un messaggio universalistico: L’impegno al rispetto di ogni essere umano senza alcuna discriminazione. L’insegnamento scaturito dalla reazione alla barbarie dei campi di concentramento nazisti, da solo, sarebbe stato più che sufficiente ad impedire che il popolo palestinese fosse sottoposto al genocidio che vive oggi quotidianamente. Affinché questo genocidio fosse reso possibile e dicibile è stato necessario per il governo israeliano e per larghissima parte del sionismo rovesciare completamente l’insegnamento che da 7 milioni di morti era emerso: non più “Mai più per nessuno”, ma invece, “Mai più per noi”. Questo rovesciamento lessicale in cui un insegnamento universale e che riguarda tutta l’umanità diventa una una sorta di protezione particolare per la popolazione di uno stato – da non confondere in alcun modo con il popolo ebraico – costituisce non solo la negazione dell’insegnamento che era scaturito in reazione all’olocausto ma il suo vero e proprio rovesciamento, la sua negazione radicale: l’olocausto viene utilizzato per affermare un inesistente stato di emergenza sull’esistenza dello stato di Israele e per giustificare il genocidio dei palestinesi. Per questo non basta condannare Netanyahu e le sue azioni ma occorre smascherarne la narrazione: il rovesciamento del significato dell’olocausto riporta l’umanità nel pieno della barbarie in cui i governanti israeliani non solo compiono un genocidio, ma lo realizzano privi di sensi di colpa perché utilizzare l’olocausto come propria giustificazione apre la strada ad una totale immoralità, all’assenza di limiti: all’assenza di umanità. Accanto a questo rovesciamento di significati in cui milioni di morti periti nell’olocausto sono nei fatti sterminati un’altra volta nella loro strumentalizzazione per compiere un genocidio, occorre sottolineare un secondo elemento. Il “Dio è con noi” che Netanyahu brandisce ogni giorno, riprende integralmente il Gott mit uns che i prussiani e poi della wehrmacht portavano forgiato sul proprio cinturone. Così come il genocidio della popolazione palestinese attuato con le bombe, con la morte per fame, l’uccisione mirata – anche grazie alle tecnologie digitali e all’intelligenza artificiale – delle persone che svolgono un ruolo di “tessitura sociale” nella comunità palestinese, richiamano metodi tipicamente nazisti. Come lo sono l’attenzione particolare all’assassinio dei giornalisti, in modo da impedire la documentazione di cosa sta facendo Israele a Gaza: Nessuno deve sapere è il loro slogan. Così nell’era della fake news, l’invenzione di una Gaza inesistente, in cui i palestinesi sorseggiano bibite ghiacciate, è la ciliegina di una torta degna dell’apparato di propaganda di Goebels e delle SS. Ritengo quindi necessario dire ad alta voce che il comportamento del governo ed in generale dello stato israeliano è nei fatti nazista. La banalità del male che il movimento nazista ha posto in essere quasi 100 anni fa contro il popolo ebraico si sta ripresentando sotto ai nostri occhi e lo stato di Israele ne è l’autore. Non solo lo stato di Israele sta compiendo un genocidio ai danni del popolo palestinese ma lo sta attuando con la determinazione, la scientificità, la continuità nel tempo, la ferocia, il sadismo e la disumanizzazione delle vittime tipica del nazismo. In una situazione in cui Israele usa l’olocausto del popolo ebraico per giustificare il genocidio del popolo palestinese ed in cui l’assenza di morale che ne deriva fa si che il comportamento di Israele sia la riedizione di quello dei nazisti, è opportuno che i popoli del mondo – a partire da quelli occidentali – ne abbiano piena coscienza. Nessuna giustificazione per chi oggi ripropone la barbarie nazista che speravamo di avere sradicato dalla storia dell’umanità. Israele va fermata e questo è possibile, attraverso due azioni convergenti. In primo luogo con il boicottaggio di ogni rapporto economico da parte dei popoli e degli stati a livello mondiale. Israele non è autosufficiente e questa sua situazione di dipendenza va usata per fermare il genocidio. In secondo luogo le azioni di denuncia come la grande flotta multinazionale che nei prossimi giorni salperà per Gaza. In terzo luogo la presa di distanza dal governo e dallo stato israeliano da parte dei cittadini israeliani e del popolo ebraico in tutto il mondo. Not in my name ha una forza enorme, come ci insegnano Moni Ovadia, Ilan Pappè, Norman Finkelstein e molti altri. Avere le idee chiare in merito alla barbarie nazista dell’azione di Israele è la prima condizione per agire ed impedirgli di nuocere. Redazione Italia
Il sionismo è una forma di nazionalismo esasperato per una etnia che non c’è mai stata?
Per via della peculiare concezione nazionalistica del sionismo, lo Stato di Israele, a sessant’anni dalla sua fondazione (*), rifiuta di considerarsi come una repubblica per i suoi cittadini. Come tutti sanno in questo quarto di questi ultimi non è considerato ebreo e, nello spirito delle leggi statali, lo Stato non […] L'articolo Il sionismo è una forma di nazionalismo esasperato per una etnia che non c’è mai stata? su Contropiano.