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“Un Panettone Fatto per Bene” di Emergency ad Alessandria, Asti, Casale Monferrato, Cuccaro e Novi Ligure
Dal 5 all’8 dicembre prossimi verrà distribuito ai banchetti allestiti in piazze, centri e ospedali. Il suo acquisto contribuisce a garantire cure gratuite alle vittime della guerra e della povertà nei Paesi in conflitto dove l’ONG opera attivamente, come a Gaza, in Ucraina e in Sudan. Appositamente realizzato dalla storica pasticceria VERGANI secondo la classica ricetta milanese, con farina di grano tenero italiano e lievito madre naturale, uvetta sultanina e scorze di arancia candite, Un Panettone Fatto per Bene pesa 1 kg ed è venduto sul sito emergency.it/panettone e nei temporary-shop EMERGENCY aperti dal 22 novembre al 24 dicembre in 25 città italiane: Milano, Roma, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Pisa, Brescia, Padova, Napoli, Bari, Catanzaro, Teramo, Cagliari, Catania, Ferrara, Aosta, Macerata, Mestre, Reggio Emilia, Livorno, Reggio Calabria, Trieste, Messina. Accompagnato da una shopper in cotone naturale decorata dall’artista e musicista @dario_sansone, al prezzo di 22 euro viene distribuito ai banchetti allestiti in 700 località italiane nelle giornate dal 5 all’8 dicembre. Ad Alessandria verrà distribuito in tre date e luoghi differenti: * giovedì 4 dicembre presso l’Ospedale Infantile dalle 9:30 alle 16:30; * venerdì 5 dicembre presso l’Ospedale Civile dalle 9 alle 17; * sabato 6 dicembre all’ICS ETS (via Dossena 27) dalle 10 alle 12 e dalle 15:30 alle 18:30. A Casale Monferrato sarà in distribuzione venerdì 5 dicembre, nell’androne dell’Ospedale Santo Spirito (ingresso da viale Giolitti 2) dalle 10 alle 17. Nella giornata di sabato 6 dicembre verrà distribuito a * Asti, in piazza Alfieri, dalle 10 alle 12; * Novi Ligure, presso il SOMS (via Cavanna 12) dalle 15 alle 18:30. Nella giornata di domenica 7 dicembre il banchetto sarà allestitito dalle 9 alle 17 nella ‘cornice’ del Mercatino di Natale di Cuccaro Monferrato, dove i volontari di EMERGENCY nella stessa data organizzano una camminata in costume.   Redazione Piemonte Orientale
Più guerra che pace, R1PUD1A bocciata in due collegi docenti
«Dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell’umanità».  Gino Strada, Stoccolma 30 novembre 2015 celebrazione Right Livelihood Award, il Premio Nobel alternativo. Hanno scritto all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università due insegnanti; tra di loro non si conoscono, ma hanno vissuto la stessa situazione spiacevole. Essi hanno proposto nel loro Collegio Docenti di collegare la propria scuola alla community R1PUD1A di Emergency e incredibilmente hanno trovato in alcuni insegnanti e nel/la dirigente scolastico/a un muro.  Ci hanno scritto che preferiscono mantenere l’anonimato loro e della scuola, ma ci tenevano a farci sapere dell’accaduto. Possiamo ipotizzare che ci siano altri casi simili nelle nostre scuole, e che ce ne saranno in futuro. Se volete siamo qui a raccogliere la vostra esperienza e a denunciarla.  Ci hanno scritto: «La mozione della campagna di Emergency aveva raccolto 40 firme. Ne abbiamo discusso. La preside ha parlato prima della votazione dicendo che la scuola non fa politica. Risultato: dei 40 firmatari abbiamo votato a favore solo in 17». «Quando il dirigente dà un suo parere contrario, gli insegnanti si sentono costretti ad aderire alla sua linea». Alcuni dirigenti scolastici e insegnanti, con la scusa che a scuola non si debba fare politica, bocciano iniziative lodevoli di un’associazione riconosciuta come Emergency, che da anni entra in punta di piedi nelle scuole primarie e secondarie a spiegare la brutalità delle guerre. Sono gli stessi dirigenti scolastici e insegnanti che talvolta abbracciano le nuove collaborazioni con il Ministero della Difesa e se ne fanno partecipi, legittimando il militarismo dilagante e diventando essi stessi il punto debole del sistema scolastico in un contesto globale segnato da conflitti e riarmo. Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università siamo vicini a chi sente la scuola come un pilastro fondativo di una società che non va arruolata alla guerra e lotta per costruire percorsi di pace e nonviolenza, come quello che si è svolto a Verona l’8 novembre e che ha visto la partecipazione di circa 250 insegnanti al II Forum nazionale delle scuole per la nonviolenza. A scuola non trasmettiamo solo competenze, ma costruiamo la coscienza civica. Per questo pensiamo che la visione di dirigenti scolastici e insegnanti sia dirimente. Possono avere lungimiranza, incoraggiare la partecipazione, rendere la scuola un luogo vivo, capace di incidere sul presente oppure no.  Ringraziamo chi ci ha scritto e invitiamo altri insegnanti, genitori, studenti a farlo. Tutto quello che interessa la scuola ci interessa, che siano ostacoli o traguardi raggiunti, vedete per esempio questa serie di mozioni per la pace. Appena trascorsa la giornata del 4 novembre, data simbolo della fine della Prima Guerra mondiale, che la legge n. 27 del 1 marzo 2024 ha rinominato “Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate” in una dubbia esaltazione del passato bellicista e della attuale difesa armata, noi riprendiamo a segnalare i casi di militarizzazione delle scuole, delle università e, in generale, dei territori.  A chi volesse sottrarsi suggeriamo di leggere e usare i moduli che abbiamo scritto con l’aiuto di legali e sindacalisti vicini al nostro Osservatorio.  Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università 
Napoli R1PUD1A la guerra
In Piazzetta Aldo Masullo, associazioni, scuole e cittadini si uniscono all’appello di EMERGENCY per trasformare il principio costituzionale del ripudio della guerra in un gesto collettivo di memoria e impegno civile. Promosso da EMERGENCY, al Vomero un flash mob che fa “rumore per la pace” e trasforma un principio costituzionale in un gesto collettivo e in una memoria viva. “ Ripudiamo la guerra, abbracciamo la pace. ” Napoli, città abituata al suono della vita, sceglie di farsi sentire ancora una volta per ciò che conta davvero: la pace. L’iniziativa nasce per riaffermare il valore della pace e per ribadire, con un gesto semplice ma dal forte significato simbolico, che la guerra non rappresenta il popolo italiano. È questo il messaggio che sabato 8 novembre, dalle ore 12 , risuonerà in Piazzetta Aldo Masullo , nel cuore del Vomero, dove associazioni, cittadini, studenti, insegnanti e volontari parteciperanno al flash mob – sit-in collettivo “Facciamo rumore” , promosso da EMERGENCY nell’ambito della campagna nazionale “R1PUD1A” . Un flash mob per ricordare che la pace non è un’utopia, ma una scelta quotidiana che si rinnova nei gesti, nelle parole e nella cura reciproca. IL SIGNIFICATO DELLA CAMPAGNA R1PUD1A Il nome della campagna, R1PUD1A , gioca graficamente con numeri e lettere: l’“1” sostituisce la “I” e richiama direttamente l’articolo 11 della Costituzione italiana : “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli…” Un articolo spesso citato, talvolta dimenticato, che torna a risuonare tra le voci e i suoni di una piazza decide di ricordare come la pace non sia un’astrazione, ma un impegno quotidiano. Quel principio costituzionale deve diventare azione, voce, presenza . UN PROGETTO PER SCUOLE E TERRITORI EMERGENCY rilancia iniziando questo principio attraverso un progetto ampio e concreto, rivolto a scuole e territori: una piattaforma di educazione alla pace che invita a riflettere su quanto la guerra colpisca la vita dei civili ea diffondere l’idea che la pace non è semplice assenza di guerra, ma una scelta attiva che richiede partecipazione. R1PUD1A vuole raggiungere tutti i territori, essere inserito stabilmente nei programmi scolastici e nelle agende delle amministrazioni locali. Scegliere di “ripudiare la guerra” diventa più forte se accompagnato da educazione permanente, eventi e continua sensibilizzazione. OBIETTIVI DELLA CAMPAGNA * Diffondere il valore della pace in un momento storico in cui aumentare conflitti e spese militari. * Coinvolgere attivamente i cittadini, in particolare le scuole, che possono scaricare kit e materiali didattici per organizzare attività in classe. * Far vivere l’articolo 11 non come una citazione astratta, ma come un impegno concreto, calato nei singoli contesti. Qualsiasi soggetto — cittadini, scuole, istituzioni — può aderire all’iniziativa. Napoli , insieme a oltre 300 comuni italiani, ha già aderito alla campagna. IL FLASH MOB UN GESTO SEMPLICE E POTENTE CHE TRASFORMA IL VALORE COSTITUZIONALE IN AZIONE CONCRETA , IN CORPO , IN COMUNITÀ , PERCHÉ “LA SOLIDARIETÀ È UNA FORZA IMMENSA CHE APRE ALLA DIGNITÀ E ALLA SPERANZA CONDIVISA”, SPIEGANO GLI ORGANIZZATORI. Dopo l’intervento iniziale di EMERGENCY , che spiegherà il senso dell’evento, seguirà la lettura dell’articolo 11 della Costituzione Italiana , per ricordare come, dopo le tragedie dei conflitti mondiali e milioni di morti, “L’Italia non vuole più fare la guerra”. Ha scelto la rinascita, la pace e la solidarietà come principi fondativi della propria Costituzione. Come ricorda EMERGENCY, la nostra storia ci insegna a non tacere, a impegnarci insieme per abolire la guerra , per risolvere i conflitti con la diplomazia e la politica , e per non dimenticare mai le vittime . Poi esploderà il rumore . La piazza si riempirà di suoni, voci e strumenti di ogni tipo: un “rumore collettivo” per attirare l’attenzione e trasformare l’indignazione in partecipazione. Seguirà il silenzio , a capo chino, come segno di dolore e consapevolezza: un silenzio pieno di memoria e di rispetto per tutte le vittime, ma anche di impegno — quello di continuare a ripudiare la guerra ogni giorno , in nome della vita e del futuro delle prossime generazioni. VIENI A PARTECIPARE TUTTI SONO INVITATI A PARTECIPARE “ARMATI” DI FISCHIETTI, TAMBURI O QUALSIASI OGGETTO CHE FACCIA RUMORE, PER CREARE INSIEME UN GRANDE SUONO COLLETTIVO CHE CATALIZZI L’ATTENZIONE E RIAFFERMI IL NO ALLA GUERRA . Tutti sono invitati a indossare un capo con i colori di EMERGENCY : il bianco e il rosso . * Il bianco simboleggia la pace e gli sforzi di EMERGENCY per costruire un mondo senza guerre. * Il rosso rappresenta il coraggio, l’impegno contro i conflitti, l’emergenza medica e la necessità di cura, ma è anche il sangue, la vita umana che EMERGENCY si impegna a salvare. È un vero atto di resistenza civile , un modo per riaffermare che la pace non è assenza di conflitto, ma presenza di giustizia, dialogo e solidarietà . Perché la pace “è un fatto di popolo: nasce dal basso, cresce nella partecipazione, si costruisce nei gesti quotidiani”. E quando il rumore si placherà, resterà un silenzio pieno — di memoria, di dolore, ma anche di promessa: quella di non smettere mai di ripudiare la guerra e di credere, ostinatamente, che un altro mondo sia possibile. Chiuderanno l’evento gli interventi dei soggetti partecipanti. All’iniziativa di EMERGENCY aderiscono: ANPI Napoli Vomero – Sezione Aedo Violante , IoCiSto APS Associazione per il Sociale , Libreria IoCiSto Presidio Permanente di Pace , FIAB Cicloverdi di Napoli , insieme ad altre realtà associative del territorio. Durante la manifestazione sarà allestito un punto informativo dove sarà possibile ricevere indicazioni sulla campagna R1PUD1A e aderire formalmente all’iniziativa. RIPUDIARE LA GUERRA Ripudiare la guerra non è solo rispettare un principio costituzionale, ma è un obbligo morale : significa scegliere la vita, la solidarietà, il futuro delle prossime generazioni. Nessuno può restare in silenzio di fronte ai conflitti: il messaggio che resta è che dobbiamo impegnarci tutti per costruire un mondo fondato sul dialogo, sulla cooperazione e sulla pace . Gina Esposito
La presenza rassicurante della nave Life Support di Emergency. Diario di bordo dalla Global Sumud Flotilla
Secondo giorno di navigazione e tutto procede per il meglio, sebbene l’onda lunga faccia soffrire molte persone in quasi tutti gli equipaggi. Sulla barca Zefiro si viaggia con un parlamentare dissidente della parte maggioritaria al Parlamento polacco e proprio per la fortuita coincidenza tra questa presenza e la bandiera polacca dell’imbarcazione il team legale del deputato sta valutando tutte le ripercussioni in caso di abbordaggio delle truppe scelte israeliane:  per esempio, un’imbarcazione che batte bandiera polacca può essere considerata territorio polacco a tutti gli effetti e quindi interpretare l’azione e il conseguente rapimento dei membri dell’equipaggio come un atto di guerra? Come si comporterà il governo polacco nei confronti di quello israeliano rispetto a tale azione? Sicuramente questo metterà in difficoltà il governo Netanyahu, così come gli eventuali segnali di SOS lanciati dalle barche attraverso l’EPIRB, un sistema satellitare di ricerca e soccorso previsto nelle convenzioni marittime internazionali, che obbliga ciascun Paese responsabile nella propria zona SAR a intervenire. Anche questo fa parte della strategia di disobbedienza civile inserita nel quadro di una pressione politica contro il governo israeliano, affinché sospenda l’assedio a Gaza, interrompa il regime di apartheid e si sieda ad un tavolo per il raggiungimento di una convivenza pacifica per le prossime generazioni palestinesi ed israeliane. Nel frattempo vediamo alla nostra poppa la nave Life Support di Emergency, una presenza rassicurante per tutta la flottiglia che ogni giorno discute su tutte le ipotesi possibili di reazione violenta dell’esercito sionista: blocco navale con fuoco di avvertimento, utilizzo di droni con sistemi avanzati di repressione, affondamento delle imbarcazioni,  abbordaggio, ecc… Ciò che può ottenere alto il morale, oltre alla nave ospedale all’orizzonte, è l’ipotesi di una reazione tutto sommato nonviolenta, perché qualsiasi atto contro la flottiglia sarebbe un boomerang insostenibile per un Paese che ormai da molti anni e soprattutto negli ultimi due, si sta isolando da tutto il contesto geopolitico internazionale, ma soprattutto dalla maggioranza delle popolazioni, che in quasi tutti i Paesi cominciano a manifestare in piazza sempre più duramente contro la cinica strategia geopolitica israelo-statunitense. Non si tratta ovviamente di fenomeni di recrudescenza di un presunto, strisciante antisemitismo, ma semmai della presa di coscienza di che cosa realmente rappresentino il sionismo e la sua ideologia portata alle massime conseguenze nei confronti di una popolazione inerme, sottoposta a un regime di apartheid da oltre 80 anni anche grazie al supporto di un padrino facoltoso come gli Stati Uniti, senza il quale tutto ciò non sarebbe stato possibile. Stefano Bertoldi
La Life Support salpa da Siracusa con la Global Sumud Flotilla
La Life Support, la nave di EMERGENCY, è in partenza dal porto di Siracusa insieme alla delegazione italiana della Global Sumud Flotilla. La nave di ricerca e soccorso dell’Ong fondata da Gino Strada sarà l’ultima a partire delle barche italiane dirette a Gaza, avrà il ruolo di nave osservatrice e offrirà supporto medico e logistico alle navi che dovessero averne necessità. EMERGENCY insieme alla flotta italiana si incontrerà poi con la delegazione internazionale, composta da tutte le barche partite dalla Spagna e dalla Tunisia e lungo la rotta anche con quelle partite dalla Grecia. La Life Support offrirà assistenza sanitaria ai partecipanti in caso di necessità, garantirà assistenza per riparare attrezzature tecniche danneggiate e contribuirà al rifornimento di acqua e viveri alle barche della flotta. “EMERGENCY ha deciso di aderire a questa iniziativa promossa dalla società civile perché ha visto direttamente le condizioni della popolazione nella Striscia – dichiara Anabel Montes Mier, capomissione della Life Support di EMERGENCY. Lo staff, che lavora nella Striscia in due centri sanitari nel governatorato di Khan Younis, riporta una situazione gravissima, mai vista prima. Di fronte al silenzio e all’inazione dei governi, l’ampia partecipazione dei cittadini alle manifestazioni a sostegno di questa cordata umanitaria è segno di una volontà di pace e giustizia che condividiamo e vogliamo sostenere.” La Life Support, nave di ricerca e soccorso di EMERGENCY, è operativa dal dicembre 2022 e da allora ad oggi ha soccorso un totale di 3.001 persone con 36 missioni nel Mediterraneo Centrale. Per la Flotilla partirà domani chiudendo la delegazione italiana con un equipaggio di 29 persone formato da medici, infermieri, logisti, mediatori culturali, soccorritori e marittimi. EMERGENCY è a Gaza da agosto 2024 e attualmente lavora nella sua clinica nella località di al-Qarara, nel governatorato di Khan Younis. Qui offre primo soccorso, assistenza medico-chirurgica di base per adulti e bambini, attività ambulatoriali di salute riproduttiva e follow up infermieristico post-operatorio, stabilizzazione di emergenze medico-chirurgiche e trasferimento presso strutture ospedaliere. Nella clinica dall’apertura, a gennaio 2025, a fine luglio ha visitato in media 241 persone al giorno con picchi anche di 400. Su un totale di oltre 23 mila visite effettuate nello stesso periodo, oltre la metà sono state su minori. Prosegue inoltre il lavoro dell’Ong per offrire assistenza sanitaria di base alla popolazione nella clinica di medicina di base allestita dall’associazione locale CFTA (Culture & Free Thought Association) ad al-Mawasi. Dall’inizio delle attività, a novembre 2024, a fine luglio, in questo presidio sanitario ha effettuato oltre 19 mila visite. Qui i pazienti possono ricevere cure di base, farmaci e le medicazioni necessarie in seguito a interventi chirurgici.       Emergency
Global Sumud Flotilla smentisce la presenza di barche non autorizzate
In merito alle recenti dichiarazioni di Claudio Locatelli sulla sua presunta partecipazione alla missione Global Sumud Flotilla con un cosiddetto “vascello stampa”, la delegazione italiana del Global Movement to Gaza smentisce categoricamente l’aggregazione alla missione di barche non precedentemente autorizzate. “La barca “press” di Claudio Locatelli non è mai stata formalmente autorizzata a far parte della Global Sumud Flotilla, men che meno a raccogliere fondi a nome della Flotilla. La nostra è una missione seria. Le persone e le imbarcazioni che ne fanno parte hanno affrontato e superato un lungo e rigido processo di controllo e formazione, oltre a un percorso di condivisione di valori e pratiche di pacifismo e nonviolenza”, afferma la portavoce italiana Maria Elena Delia, membro del comitato direttivo della Global Sumud Flotilla. Le uniche due barche autorizzate, non strettamente facenti parte della Global Sumud Flotilla, sono quelle di Emergency con il vascello di ricerca e soccorso Life Support, e della Freedom Flotilla Irlanda, che accompagnerà la flotta con un team di osservatori legali. Altre imbarcazioni, come il “vascello stampa”, non sono mai state autorizzate né a unirsi né a raccogliere fondi a nome della Global Sumud Flotilla. “Questo non è un gioco. Il rumore che abbiamo generato collettivamente sulla missione può avvicinare anche persone o organizzazioni con cui non abbiamo condiviso valori e pratiche, ma nessuno deve avere altri interessi che non siano quelli di rimanere in ogni momento al fianco della popolazione palestinese. Questo deve essere sempre messo al centro; non c’è bisogno di eroi ‘combattenti’, la nostra unica arma è la nonviolenza”, conclude Delia. Come già annunciato, il Global Movement to Gaza ribadisce che le notizie ufficiali sulla missione verranno fornite esclusivamente tramite interviste alla portavoce, comunicati stampa, canali social ufficiali e dichiarazioni degli attivisti autorizzati in precedenza dal comitato direttivo. Redazione Italia
La Flotilla dell’umanità è in viaggio sotto un cielo stellato; le stelle, però, sono droni
Partita da Barcellona per Gaza, la Global Sumud Flotilla affronta sorveglianza militare, minacce e sostegno internazionale . Il 2 settembre, le prime barche della Global Sumud Flotilla erano partite da meno di 48 ore da Barcellona, quando, intorno alle 22:30 ora italiana, mentre navigavano a circa novant miglia nautiche dall’isola di Minorca, sono state intercettate da tre droni. Ma cos’è la Global Sumud Flotilla? È un’azione civica, nata dal basso, nell’ambito del Movimento Globale a Gaza, composta da circa cinquanta imbarcazioni civili, con a bordo attivisti provenienti da quarantaquattro paesi del mondo. L’obiettivo è creare un corridoio umanitario per Gaza, sotto assedio israeliano da mesi. Sulla flottiglia è puntata l’attenzione di quella parte di mondo che riconosce i diritti umani e il valore della vita; purtroppo, però, non soltanto di quella. La presenza dei droni sulla flottiglia è stata comunicata dall’attivista Thiago Avìla attraverso una diretta lanciata sul profilo Instagram del movimento @globalmovementtogaza. Thiago è ormai un volto noto per chi segue la causa palestinese: climattivista e militante per i diritti umani, è stato protagonista di una precedente spedizione della Freedom Flotilla, membro dell’equipaggio della barca Madleen, bloccata illegalmente dall’IDF, sempre attraverso droni e quadcopters (quadricotteri militari). Nella diretta, Thiago ha evidenziato, mettendo in allerta il resto dell’equipaggio, che i droni potevano essere lì per una ricognizione di sorveglianza ordinaria dell’autorità marittima competente su quelle acque; oppure per un attacco militare. A chi non abbia seguito attentamente gli ultimi sviluppi dell’invasione di Gaza potrebbe sembrare un’affermazione forte. Invece, la seconda ipotesi è molto plausibile. Infatti, come chi scrive sottolineava poco prima, all’enorme e commovente solidarietà che è giunta da ogni parte del globo (è notizia recente che anche Emergency sosterrà la flotta e affiancherà le imbarcazioni con natanti di supporto logistico e medico), si sono contrapposte le dichiarazioni del governo israeliano: sul Jerusalem Post di tre giorni fa, il ministro della Sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, annunciava che stava per presentare un piano al governo secondo cui «tutti gli attivisti arrestati saranno trattenuti in detenzione prolungata, a differenza della precedente prassi, nelle prigioni israeliane di Ketziot e Damon, utilizzate per detenere i terroristi in condizioni rigorose tipicamente riservate ai prigionieri di sicurezza. Non permetteremo a chi sostiene il terrorismo di vivere nell’agiatezza». Tale piano è stato considerato illegittimo da vari giuristi esperti di diritto internazionale. La relatrice speciale Onu per i territori palestinesi, Francesca Albanese, ha definito l’azione della Global Sumud Flotilla «pienamente conforme al diritto internazionale». Secondo Albanese, «ogni tentativo di fermare o intercettare le imbarcazioni nelle acque internazionali costituirebbe una violazione della libertà di navigazione sancita dal diritto marittimo». È questo il clima in cui naviga oggi la flotta per Gaza, la flotta dell’umanità. Ma torniamo ai droni, ai quadricotteri. Tutti e tutte ne abbiamo sentito parlare. Vengono usati come regalo per i bambini al compleanno, dai fotografi per i matrimoni, dalla protezione civile per la prevenzione degli incendi. Eppure, facendo una ricerca su AI Overviews, leggiamo che sono “piccoli aerei a pilotaggio remoto, utilizzati per ricognizione, sorveglianza e attacchi mirati, che offrono una maggiore protezione delle forze armate grazie alla fornitura di dati in tempo reale e riducendo la necessità per i soldati di accedere ad aree pericolose. Dotati di sensori e telecamere avanzati, questi droni possono operare di giorno e di notte e alcuni modelli sono dotati di funzionalità sull’intelligenza artificiale per l’edge computing e la navigazione avanzata. Le loro dimensioni ridotte e laità rapida di impiego li rendono ideale per le unità di fanteria, sebbene la loro proliferazione, in particolare nei conflitti come quello di Gaza, abbia sollevato anche significative preoccupazioni etiche riguardo all’impatto sulla popolazione civile e al potenziale uso improprio”. Non bisogna essere esperti di ingegneria aerospaziale per capire, quindi, che i droni sono l’esempio perfetto delle tecnologie dual use, cioè di quell’insieme di dispositivi e sistemi operativi che, nati per scopo pacifico, sono oggi largamente utilizzati nelle attività belliche. Un tema che solo di recente è giunto alla ribalta della cronaca, soprattutto per l’uso che se ne sta facendo in Palestina. Che la questione sia delicata lo dimostra il fatto che l’unica base giuridica che prova a disciplinare la materia sia il Regolamento (UE) 821/2021, attraverso cui le produzioni di questi dispositivi vengono supervisionate dall’Unione Europea. I primi droni, però, da ciò che ci dicono le fonti, sono stati impiegati già nel XX secolo, in particolare dagli Inglesi nella Prima guerra mondiale. Non è un po’ tardi arrivare, solo nel 2021, all’adozione di un regolamento europeo per questa materia? Sì, lo è: se, nel secolo scorso, a Sarajevo, durante l’assedio, per sparare alla popolazione civile in mezzo alle strade venivano assoldati mercenari che si posizionavano sui tetti dei palazzi o sulle colline circostanti, nel terzo millennio il cecchinaggio avviene attraverso la tecnologia. Le testimonianze su come l’IDF usi i droni contro la popolazione civile non si contano più, da parte della stampa, dei medici, dei sanitari. La robotizzazione della sparatoria aumenta esponenzialmente la distanza tra la bocca e la vittima e, quindi, trasporta l’atto omicida verso una derivazione di disumanizzazione che non ha precedente. Così, il lavoro delle bombe intelligenti viene coadiuvato perfettamente dai droni killer. La Global Sumud Flotilla, flotta dell’umanità, naviga verso la spiaggia di Gaza che, ricordiamolo sempre, rispetto all’Italia è soltanto dall’altra parte del Mediterraneo; come per i Gazawi, anche per gli attivisti della Sumud il pericolo può arrivare dall’alto, silenzioso e imprevedibile, sotto forma di una piccola lucina nel cielo, che però non è una stella. Non c’è protezione dai droni, per i civili disarmati di Gaza come per gli equipaggi delle imbarcazioni. Forse, però, i nostri occhi possono farsi luce, diventare fari. Tenerli aperti su Gaza e sulla flottiglia può essere una missione, per chi crede che questo massacro vada fermato. La difesa del diritto alla vita dei Gazawi e della permanenza dignitosa sulla loro terra è difesa del diritto internazionale e, quindi, delle nostre stesse esistenze. Ogni cosa è connessa. Da terra, si può e si deve costruire una flotta, che attraversi tutti i paesi e che faccia pressione sui governi, come un’azione internazionalista tra i popoli, a protezione delle barche. È quello che sta facendo il GMTG in tantissime città. Seguiamola, quest’onda, portiamo i nostri corpi nelle piazze e rispondiamo numerosi alla chiamata per le flotte di terra che ci sarà il 4 settembre. Sulle pagine del GMTG ci sono tutti gli appuntamenti: a Napoli, ci vediamo alle 18:00 in Largo Berlinguer. Sosteniamo la Global Sumud Flotilla Fonti Jerusalem Post, 30 agosto 2025 – http://link https://www.jpost.com/israel-news/article-865898 La Repubblica, 1 settembre 2025 Redazione Napoli
Afganistan dopo 40 anni di guerre
EMERGENCY | AFGHANISTAN 15 AGOSTO 2021 – 15 AGOSTO 2025 EMERGENCY ha iniziato a lavorare in Afghanistan nel 1999 e, da allora, ha curato oltre 8 milioni di persone, in un Paese composto da circa 40 milioni di abitanti. Nel 2001 ha aperto il Centro chirurgico per vittime di guerra a Kabul, un punto di riferimento per la popolazione della capitale e delle province vicine. Nel 2003 ha avviato le attività del Centro di maternità di Anabah che offre assistenza ginecologica, ostetrica e neonatale alla popolazione locale e negli anni ha anche attivato sul territorio una rete di oltre 40 Posti di primo soccorso (FAP) e di Centri sanitari di base (PHC). Prosegue inoltre il suo lavoro nel Centro chirurgico per vittime di guerra di Lashkar-gah (Helmand) e nel Centro chirurgico di Anabah. Sono passati quattro anni da quando il 15 agosto 2021 le forze internazionali hanno abbandonato l’Afghanistan e il nuovo governo talebano si è instaurato al potere. In questi quattro anni il Paese ha visto l’inasprirsi di una crisi economica profonda; l’impoverimento della popolazione tra la disoccupazione e il divieto di lavorare per le donne in quasi tutti i settori tranne quello sanitario; il collasso del sistema salute, definanziato e depotenziato. Una situazione che non è destinata a migliorare alla luce del non riconoscimento internazionale dell’autorità de facto, della scelta nel corso del 2025 da parte dall’amministrazione Trump di tagliare i fondi all’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), e del crescente disinteresse della comunità internazionale. La pace in Afghanistan ha significato la fine della guerra, ma non delle sue conseguenze. Negli ospedali e negli ambulatori di EMERGENCY sparsi nel Paese i postumi di quarant’anni di guerre sono ancora evidenti. Feriti da mina antiuomo, accoltellamenti e sparatorie, attentati continuano ad affollare i reparti dell’ospedale di Kabul; vittime di incidenti stradali hanno reso necessario cambiare i criteri di ammissione dei centri chirurgici di Lashkar-gah e di Anabah; donne incinte in condizioni sempre peggiori raggiungono il Centro di maternità nella Valle del Panshir anche insieme ai loro bambini, sempre più malnutriti. “L’Afghanistan di oggi è la cartina tornasole di cosa resta dopo decenni di guerra: 22.9 milioni di persone, più di metà della popolazione[2] con necessità di aiuti umanitari, infrastrutture danneggiate, accesso alle cure limitato, diritti compromessi – dichiara Dejan Panic, direttore del programma di EMERGENCY in Afghanistan -. Ma nelle nuove generazioni di giovani medici e infermieri e nella formazione vediamo ancora una speranza per il futuro.” Nel suo ultimo report sull’accesso alle cure d’urgenza in Afghanistan (giugno 2025)[3], EMERGENCY ha denunciato ancora una volta il legame diretto tra collasso economico e peggioramento delle condizioni sanitarie. Oltre il 70% della popolazione non ha accesso a cure gratuite o sostenibili. Tre afgani su cinque non possono pagare le cure e per ottenerle spesso si indebitano chiedendo denaro in prestito o vendendo i propri beni. Un afgano su quattro invece deve posticipare o annullare un intervento chirurgico perché non può pagarlo. Tanti sono i nuovi bisogni emersi a seguito della fine ostilità, dalle malattie non trasmissibili, tra cui malattie croniche che necessitano di lunghe terapie, alle patologie acute spesso trascurate per mancanza di mezzi economici e di trasporto. Le strutture di EMERGENCY restano tra le poche a offrire assistenza gratuita e di qualità. Nell’ospedale di Kabul il 50% dei pazienti sono ancora considerati vittime di guerra: arrivano al pronto soccorso con ferite da arma da fuoco, da taglio (sono la metà del totale dei feriti), da esplosioni o da mina. Violenza e criminalità sono conseguenze di una guerra che è terminata negli scontri, ma ha lasciato armi in quantità, mine antiuomo disseminate soprattutto in aree remote, povertà. “Vediamo vittime di rapine e aggressioni, liti famigliari, sparatorie – spiega Panic –. Tra i feriti da mine antiuomo, nel 2025, nei nostri Centri chirurgici di Kabul, Lashkar-gah e Anabah il 75% sono bambini che stavano solo giocando.” Il Centro chirurgico di Lashkar-gah è l’ospedale che accoglie il maggior numero di feriti a causa di traumi civili (circa l’80% dei pazienti ammessi), in particolare incidenti stradali causati dalla cattiva manutenzione delle strade e dell’aumentata mobilità quasi inesistente prima del 2021. Nel Centro di maternità di Anabah l’impatto delle limitazioni imposte alle donne da un punto di vista dell’istruzione, del lavoro e degli spostamenti è evidente nelle pazienti che raggiungono l’ospedale in gravi condizioni. “Le donne – racconta Keren Picucci, ginecologa del Cento di maternità di EMERGENCY ad Anabah – spesso esitano a rivelare i propri problemi di salute fino a quando la situazione non diventa grave e la preferenza o l’obbligo di essere trattate da personale medico femminile riduce ulteriormente le opzioni disponibili. Continuiamo a vedere mamme morire al parto perché non raggiungono l’ospedale in tempo o a causa di gravi complicanze che si sarebbero potute evitare. Molte donne incinte soffrono di carenze nutrizionali gravi che compromettono il buon esito della gravidanza e del parto.” La mancanza di reddito e di sicurezza alimentare ha causato l’aumento dei casi di malnutrizione. In quelli più critici, la malnutrizione materna e neonatale si traduce in neonati sottopeso, infezioni ricorrenti e difficoltà nello sviluppo psicofisico, con conseguenze a lungo termine. Nel 2025 il 20% dei bambini ammessi nei reparti del Centro pediatrico di EMERGENCY ad Anabah sono malnutriti. EMERGENCY continua a formare il personale sanitario locale, anche femminile. A oggi oltre il 97% dello staff medico, infermieristico e non sanitario impiegato nelle strutture EMERGENCY è afgano. Il 23% sono donne. “Le nuove generazioni sono la nostra unica speranza concreta. Vogliamo continuare a formare giovani uomini e donne, capaci di prendersi cura del proprio Paese. Per fare ciò è fondamentale che tutti, donne comprese, possano tornare ad avere il proprio spazio nella società, e che la comunità internazionale non abbandoni l’Afghanistan, né definanziandolo né silenziandolo” – conclude Panic. Storie dai Centri di EMERGENCY in Afghanistan – Farid, 10 anni, vive a Kabul con la sua famiglia. Oltre ai genitori ha una sorella più piccola e tre fratelli più grandi. Un giorno i genitori decidono di portare tutta la famiglia fuori città, in una zona arida vicino a un fiume. Dopo pranzo si allontana e mentre cammina vede un vecchio pezzo di ferro, di colore bianco. Decide di colpirlo con un sasso, per gioco, ma l’urto provoca un’esplosione che lo ferisce alla mano sinistra. Era una mina antiuomo. Il padre lo porta direttamente all’ospedale di Kabul dove viene operato per rimarginare le ferite alla mano. – Rohullah è arrivato con una profonda ferita all’addome provocata da un coltello da cucina. L’accoltellamento è avvenuto durante una lite familiare a causa di un prestito non restituito. Vive a Kapisa, in Panshir, è sposato e ha quattro figli. A causa della profonda crisi economica non lavora. Immediatamente dopo l’incidente è stato portato in un pronto soccorso poco distante dalla sua abitazione, è stato stabilizzato e poi riferito al Centro chirurgico di EMERGENCY (un’ora di viaggio con la macchina) di Anabah dove ha subito una laparotomia per suturare le ferite. – Samir viene dalla provincia di Ghazni e all’età di 18 anni si è trasferito a Kabul per studiare da infermiere. Ha due mogli e un figlio con disabilità. Dopo la laurea ha lavorato per 10 anni in un ospedale governativo e 5 anni fa ha saputo che l’ospedale di EMERGENCY cercava infermieri così ha fatto richiesta ed è stato assunto. Quando gli hanno detto dell’assunzione è stato felicissimo. Per lui lavorare in questo ospedale è molto importante perché ha standard sanitari alti, offre un servizio gratuito alla popolazione. “Ciò che mi ha colpito di più è la formazione che ho ricevuto per i primi due anni. È molto importante continuare ad imparare anche quando termini il tuo percorso universitario.” – Zahra 9 mesi, è arrivata al Centro pediatrico di EMERGENCY ad Anabah in stato di malnutrizione acuta, con una grave polmonite, e problemi al cuore. Con lei c’era la zia, la madre infatti è morta dopo il parto, avvenuto a casa, a causa di una eccessiva perdita di sangue. La famiglia proviene da un remoto villaggio nella valle del Panshir, a qualche ora di distanza dall’ospedale. Una volta tornata a casa ha contratto un’infezione: il sistema immunitario dei bambini malnutriti e il loro sviluppo psicofisico sono infatti gravemente compromessi. Emergency
Emergency: “ampiamente oltrepassate tutte le linee rosse”
“Un’occupazione totale della Striscia, con un’escalation militare, per liberare gli ostaggi è un obiettivo già fallito, utile solamente a creare altre sofferenze. Sappiamo tutti che invece l’unica strada verso la pace è un cessate il fuoco permanente per fermare il massacro dei civili, corridoi umanitari sicuri, la libera entrata e l’accesso agli aiuti, il ripristino e il rispetto del diritto internazionale.” Così EMERGENCY commenta l’approvazione di questa notte del governo israeliano della proposta del primo ministro Benyamin Netanyahu di conquistare Gaza City, un’operazione che richiederà entro il 7 ottobre 2025 l’evacuazione di un’area in cui attualmente vive circa un milione di persone e che porterà a un assedio militare totale della zona. “Dall’inizio del conflitto l’87% della Striscia di Gaza è già stato occupato dall’esercito israeliano e sottoposto a ordine attivo di evacuazione [1] – prosegue EMERGENCY –. Due milioni di persone vivono già stipate nel poco territorio rimasto, meno del 20%, non attualmente occupato o sotto ordine di evacuazione. Evacuare anche solo la popolazione che si trova a Gaza City, ovvero la metà di questi due milioni, porterebbe sicuramente a un numero altissimo di vittime civili in pochissimo tempo, come EMERGENCY ha già visto per tutto il conflitto. Provocherebbe una massa umana in spostamento, con conseguenze drammatiche, oltre a quelle causate già dai bombardamenti. Le operazioni verosimilmente come sempre accaduto, potrebbero iniziare prima che tutta la popolazione civile sia in salvo portando a ulteriori vittime civili. Un intensificarsi delle operazioni per l’occupazione totale della Striscia vorrebbe dire complicare ulteriormente il lavoro delle organizzazioni umanitarie, la fine di una qualsiasi speranza collettiva per la popolazione gazawi già prostrata da quasi due anni di conflitto che hanno provocato oltre 60.000 morti, quasi 145.000 feriti e 2 milioni di sfollati. Una popolazione affamata con 470 mila persone che affrontano livelli catastrofici di insicurezza alimentare; costretta a vivere in tende e alloggi di fortuna e in continuo movimento a causa dei quotidiani ordini di evacuazione. L’intervento umanitario dipende dall’accesso che il governo israeliano lascia alle organizzazioni umanitarie: da cinque mesi si protrae un blocco dapprima totale e ora parziale all’entrata di aiuti umanitari, con una distribuzione inadeguata e pericolosa da parte della Gaza Humanitarian Foundation che ha dimostrato dalla sua implementazione di non funzionare provocando solo ulteriore morte e afflizione per la popolazione. A fronte di questa decisione la situazione è destinata solo a peggiorare. Sono già state superate ampiamente tutte le linee rosse, ma ogni volta ne viene tracciata una nuova puntualmente superata a sua volta.”  A tal riguardo EMERGENCY ribadisce le richieste avanzate al governo italiano nell’appello “ORA!” firmato in pochi giorni da 250 mila persone: 1. Di non rinnovare come forma di pressione il memorandum d’intesa per la collaborazione militare tra Italia e Israele; 2. Di interrompere la compravendita di armi e sistemi d’arma da e per Israele; 3. Di schierarsi per la sospensione del trattato di associazione tra Unione europea e Israele come già 17 Paesi hanno fatto per le continue violazioni dei diritti umani. [1] OCHA, Reported impact snapshot | Gaza Strip (6 August 2025), https://www.ochaopt.org/content/reported-impact- snapshot-gaza-strip-6-august-2025 Emergency
Naufragio di Cutro, le Ong del soccorso in mare parte civile al processo
EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE, parte civile nel processo sul naufragio di Cutro, soddisfatte per il rinvio a giudizio. Le Ong chiedono che le autorità responsabili, a tutti i livelli, siano chiamate a rispondere della deliberata negligenza nelle operazioni di soccorso. Sollecitano infine il pieno rispetto del diritto internazionale nel Mediterraneo. Una tappa importante nel lungo percorso per ottenere verità e giustizia sui mancati soccorsi al caicco Summer Love, naufragato a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023 causando almeno 94 morti e un numero imprecisato di dispersi. Così EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE, che si sono costituite parte civile nel processo sul naufragio di Cutro, salutano il rinvio a giudizio dei sei imputati deciso dal giudice ieri sera a conclusione dell’udienza preliminare. Considerata la grave serie di negligenze e sottovalutazioni con cui sono state attivate e portate avanti, ma di fatto mai realizzate, le operazioni di soccorso, ai quattro militari della Guardia di Finanza e ai due della Guardia Costiera che andranno a processo la Procura della Repubblica di Crotone contesta i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Le Ong costituitesi parte civile chiedono che sia chiarita la sequenza di eventi e omissioni che hanno portato a uno dei più tragici naufragi della storia italiana. Proprio il processo potrebbe essere l’occasione giusta per fare luce su tutti i passaggi critici, sulle responsabilità dei sei imputati e, auspicabilmente, anche su quelle dei funzionari e delle autorità di livello più alto. “I tempi sono fondamentali per la buona riuscita delle operazioni di soccorso; per questo i ritardi nell’attivare interventi di salvataggio non sono un incidente, ma una negligenza, che non può restare impunita” commentano le Ong. In questo caso specifico le autorità italiane hanno ignorato il loro dovere di soccorso e l’omissione ha avuto conseguenze drammatiche. “Non è accettabile e non si deve più consentire che i responsabili di questo come di altri naufragi restino impuniti mentre le persone continuano ad annegare” dicono ancora le Ong. “Il diritto internazionale, la tutela della vita e il dovere di soccorrere chi è in difficoltà in mare devono essere rispettati sempre, anche nel Mediterraneo”. EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE chiedono inoltre di porre immediatamente fine alla criminalizzazione delle persone in movimento e di ripristinare efficaci operazioni di ricerca e soccorso in mare, auspicabilmente anche con una missione europea dedicata.       Redazione Italia