Papia Aktar (Arci): il decreto flussi crea posti di lavoro opachi e ricattabiliNel discorso mainstream in tema di politiche migratorie, la «buona migrazione» –
regolare e in linea con le esigenze produttive del paese – è spesso evocata in
contrapposizione alla «cattiva migrazione», quella dell’attraversamento
irregolare dei confini, a cominciare dal Mediterraneo. Questa «buona migrazione»
è in realtà una trappola per le persone che provano ad arrivare in Italia
nell’ambito del decreto flussi, il meccanismo presentato come legale e
trasparente, ma che in realtà è una fabbrica di precarietà e sfruttamento.
A raccontarlo non sono solo le inchieste giornalistiche o le organizzazioni che
denunciano il malfunzionamento del sistema, ma le persone invischiate in questo
meccanismo. Un ampio gruppo di cittadini di origine bengalese si sta mobilitando
per rendere visibile la propria condizione e chiedere una soluzione politica. Un
processo importante, non solo per il merito del tema, che mette a nudo la natura
farsesca dei decreti flussi, ma anche per le modalità con le quali sta prendendo
forma. In uno scenario, quello dell’attivismo solidale con le e i migranti, in
cui si ripete spesso – più come riflesso automatico che con le lenti
dell’analisi – che le persone migranti «non partecipano» o «non si organizzano»,
questa mobilitazione capovolge la prospettiva: è nata dal basso, su iniziativa
diretta di centinaia di lavoratori stranieri ed è segnata da una partecipazione
ampissima. Un processo che dimostra come il protagonismo delle persone migranti
non sia un’aspirazione futura, ma un affare dell’oggi. Abbiamo parlato di questi
temi con Papia Aktar, responsabile degli sportelli di orientamento legale per
migranti di Arci Roma, che da mesi accompagna la comunità in questa vertenza.
Com’è nata e come si è sviluppata l’assemblea pubblica – partecipatissima – del
29 ottobre 2025 a Roma, una delle tappe fondamentali di questa mobilitazione?
L’assemblea è nata dall’iniziativa di un gruppo di circa 400 cittadini bangla
che hanno scritto ad ASGI e ad ARCI, dopo aver cercato invano aiuto presso
diverse organizzazioni della comunità. Sono tutti arrivati in Italia con il
decreto flussi, quindi con un lavoro e un alloggio regolari. Una volta qui,
però, hanno scoperto che quelle case e quei posti di lavoro prospettati non
esistevano. Da allora vivono in una condizione di irregolarità forzata: molti
lavorano, ma non possono avere il permesso di soggiorno perché la legge impone
di firmare il contratto di soggiorno insieme al datore di lavoro che li aveva
chiamati – quel datore che, nella maggior parte dei casi, è scomparso.
Ora queste persone chiedono allo Stato italiano di riportare la loro vicenda
dentro un quadro di coerenza e giustizia. Sono solo loro a pagare le conseguenze
di un sistema opaco. Molti si sono indebitati per venire in Italia: anche se il
decreto flussi non prevede pagamenti, il sistema chiuso e non trasparente
favorisce gli intermediari, che chiedono cifre tra i 3.000 e i 25.000 euro.
Alcuni hanno venduto proprietà o lasciato altri lavori nei Paesi del Golfo,
convinti di poter ripagare il debito. Le persone coinvolte sono oltre un
migliaio e all’assemblea erano presenti almeno 800 persone, soprattutto dalla
Campania. Non è un fenomeno isolato: secondo la campagna Ero Straniero, solo il
7,8% delle domande presentate tramite decreto flussi si traduce in un permesso
di soggiorno e in un impiego stabile.
Come interpretate una partecipazione così ampia, in un contesto dove il
protagonismo delle persone migranti è spesso evocato ma raramente favorito?
ARCI e ASGI lavorano da anni sul campo. ARCI, in particolare, ha un legame
diretto con le comunità attraverso circoli, sportelli e iniziative itineranti di
ascolto e advocacy. Il paradosso è che parliamo di migrazione regolare, ma senza
alcun punto informativo istituzionale né nei Paesi di partenza né all’arrivo.
Molti scoprono solo in Italia che il lavoro promesso non esiste e spesso non
riescono nemmeno a comprendere cosa c’è scritto nei documenti, disponibili solo
in italiano. Entro otto giorni dall’arrivo dovrebbero presentarsi in prefettura
con il datore di lavoro, ma l’appuntamento arriva anche un anno dopo: nel
frattempo il visto scade e la persona diventa ricattabile. Questa condizione di
vulnerabilità ha conseguenze pesanti anche sulla salute fisica e mentale. I
lavoratori che si sono riuniti in assemblea avevano creato un gruppo Facebook
per scambiarsi informazioni. Si tratta spesso di persone istruite, che hanno
compreso l’importanza di rivolgersi a organizzazioni affidabili e sentirsi
accolti.
Quanto ha contato il tema specifico – le truffe legate ai flussi – e quanto il
modo in cui è stata costruita la mobilitazione?
Entrambi gli aspetti sono stati fondamentali. Il tema è molto concreto, ma
spesso poco conosciuto, anche tra chi lavora nel settore sociale. Moltə
operatorə sanno molto di accoglienza e asilo, ma poco di queste problematiche.
Questa iniziativa ha permesso di far emergere una realtà che di solito affiora
solo nei giorni dei “click-day” e di darle voce attraverso i diretti
protagonisti.
Che ruolo hanno avuto le figure di mediazione – attivistə, avvocatə,
sindacalistə? Come evitare che il sostegno diventi sostituzione nella presa di
parola?
In questo caso siamo di fronte a una forma di autorganizzazione reale, che ha
scelto consapevolmente di collaborare con realtà radicate e competenti. Non c’è
stato il rischio di sostituzione: l’ARCI non è un soggetto di rappresentanza, ma
una rete di circoli, una struttura di movimento e di mutualismo. Il nostro ruolo
è stato amplificare la loro voce, non parlare al loro posto.
Quali insegnamenti pensi possano essere utili per attivare altre comunità su
altri temi o in altri territori?
Il punto di forza è l’incontro tra autorganizzazione e competenza: la spinta dal
basso e il supporto di chi conosce gli strumenti giuridici e politici per
trasformarla in azione concreta. Già altre comunità si stanno muovendo su questa
strada: il metodo è costruire fiducia, ascoltare, formare e accompagnare, senza
mai sostituirsi.
Quali sono le prossime tappe?
Scenderemo in piazza e non saremo solə. Dopo il confronto dell’assemblea,
chiediamo al governo che venga applicata la circolare che prevede, a chiunque si
trovi in questa situazione, il rilascio del permesso di soggiorno per «attesa
occupazione». Le forze sociali e i sindacati si sono impegnati a portare avanti
la vertenza anche in sede politica. All’inizio di dicembre ci sarà un’altra
assemblea, stavolta online: servirà a decidere le modalità della mobilitazione
di piazza. ARCI Roma continuerà a esserci, perché non siamo fornitori di
servizi, ma una struttura di movimento e di mutualismo conflittuale.
La copertina è di Dmitry Vinogradov, wikicommons.
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